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Un blog creato da simurgh2 il 29/04/2010

Invidio il vento

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ALMOST BLUE-CHET BAKER

 

 

"In un mondo senza malinconia gli usignoli si metterebbero a ruttare"
(E. Cioran) 

 

Non so se quello che faccio possa chiamarsi "scrivere". Piu che altro confeziono dei brani che possano servirmi a riempire dei buchi (H. Murakami)

 

 

Ce la fan mica delle volte le parole sai

Post n°504 pubblicato il 24 Febbraio 2013 da simurgh2
 

Gianluigi Toccafondo è un  illustratore che mi piace da matti.
Ha disegnato la copertina del libro che stò leggendo:
"Ballata" di John Cheever per la Fandango.
Non c'entra neanche con le parole che non ce la fanno
però mi piaceva  

 

 

Ce la fan mica le parole, delle volte.

Ce la fan mica le parole, delle volte
che provi a scrivere anche grosse
che fan paura solo a vederle
anhce se srcivi ARARAT TERRORE
esci da questo corpo Satana
Nietne da fare, a travarsele davanti 
Neacnhe loro ce la fanno
E non è per via di coraggio o altro
Non ce la fanno ad andare oltre
a trovar quelle giuste
a spiegrae quello che senti
L'altra sera ci son passato sopra
con la mano messa di taglio
come a buttarle via dal foglio
e cosa è successo?
Avevo il quaderno sopra la tovaglia
dopo cena, e cosa è successo?
Le parole si sono staccate dal foglio
come fossero state appena appena appoggiate.
Erano deboli, insicure, tremolanti..
Si deve far cosi, ho capito
se quello che hai scritto non ha temperamento
autorevolezza, che nessuno gli crede.
E cosi tutte quelle parole sparpagliate sulla tovaglia,
tra il bicchiere, il tovagliolo, le macchie.
E' la che mi son accorto che ci son rimaste male.
Come dicessero: e queste?
Le macchie, sopratutto
ma anche il bicchiere e il tovbagliolo
Guardavano le parole e poi han guardato me
E' stata una roba di un secondo.
Io ho guardato tutte queste cose sul tavolo
e le parole spazzate guardavano me.
Ho pensato che era l'inesprimibile,
il vuoto angosciate che sentivano anche loro.
Come quando guardando troppo giu, dentro l'abisso
ti accorgi ad un certo punto che anche l'abisso guarda te.
Diomadonnadiundio!
Solo che là, con le cose sopra la tovaglia
è stata una cosa tenerissima e commuovente.
Io di sicuro ma anche loro: eravamo sbigottiti e stupefatti.
Come ci fossimo riconosciuti a condividere la stessa pena.
Come ci abbracciassimo e ci dessimo pacche sulle spalle.
Per un momento poi, mi sono sentito felice.
Come fossimo amanti clandestini.

Poi mi è venuto in mente che qualcuno ha detto che
le parole non hanno colpa del loro significato.
A no? 

 
 
 

Vene nel cielo e corvi

Post n°503 pubblicato il 21 Febbraio 2013 da simurgh2

 

Li ho visti tante volte gli alberi spogli d'inverno.
Delle volte li vedi diversi da altre.
Quanti inverni ho visto?
Erano tanti rami e contro il cielo parevano vene.
Nidi neri tra i rami che parevano emboli del cielo.
Uova di baratri.
Le impronte di lei nell'erba
claudicante spariva in un altro cielo.
Da bambino andavo su per gli alberi a rampicarmi.
Cercavo nidi.
Se trovavo uova le bevevo. Come le volpi.
Erano preghiere brevi di bambini.
Gli alberi sembravano cose semplici.
Parole da rampicarsi.
Andare alto, guardare giu. Graffiarsi.
Dove sono andati a finire quegli occhi da bambino?
Cos'è questo atterrimento che provo adesso?
Il tempo ha deposto le sue piccole gioie ai piedi di un traliccio.
Nel tempo han costruto delle contrafforti
che via via si son fatte inespugnabili
e sono stato io, senza accorgermi.
Bisognerà tentare un assalto.
Seguire il disegno nell'aria che fanno le ali dei corvi.
Come scrivessero nei simboli carpirne il segreto.
Forse è il tentativo di cucire i lembi di due cieli sovrapposti.
Sentirsi in mezzo senza un cielo tuo non è mica bello.
Non avere neanche un urlo pronto
ne artigli da piantare.
Come fai pò?
Come fai? 

" Allora lei indietreggia
inghiottendo quello che aveva esplorato
e ignora per restar com'era" 
(Antonella Anedda) 

 

 

 
 
 

Il vecchio zio e il mare

Post n°502 pubblicato il 20 Febbraio 2013 da simurgh2
 

Il vecchio zio aveva avuto un sogno, fin da ragazzino. 
Aveva in città, dentro una viuzza, un vecchio emporio.
Vendeva di tutto:attrezzi, suppellettili, generi di conforto.
Prima di lui c'era suo padre. Ognuno ha un sogno fin da giovane.
Ne ho uno anch'io, fin da allora. Ma non è il mio che importa.
Quando andavo a trovare lo zio mi regalava sempre qualcosa.
Anche se era un parsimonioso, non avido ma restio allo spreco.
Nella mia testa era un pidocchioso, pensavo.
Mi regalava un cioccolatino e diceva Cacao.
I suoi occhi prendevano subito un'aria trasognata.
Guardava il soffitto come certi santi nei quadri delle chiese. 
I suoi pensieri andavano a luoghi lontani, a mari da solcare.
Poi attaccava a parlarmi di quel posto e di quell'altro.
Un giorno mi portò in camera sua e mi mostrò i suoi libri.
Li toccava con il dito sulla costa e mi diceva di ognuno.
Erano libri vecchi, sgualciti e ingialliti. Ne aprì qualcuno.
Tirò le tende. Una luce offuscata schiarì le sue mani decrepite.
Carte geografiche, mappe, gente indigena, negri, asiatici.
Non aveva mai letto altro. Non un romanzo. Neanche i giornali.
Me ne regalò uno. Tanto ormai, disse, io non ci faccio più niente.
Erano le mappe dei suoi sogni. I posti dove avrebbe voluto andare.
Invece non si era mai mosso da li. Da quella bottega ombrosa.
Non c'erano altri libri, romanzi, roba cosi, solo quelli di posti.
Io leggevo già romanzi di avventura. I pirati, i lupi, isole del tesoro.
Anni dopo ripensai alla sensazione che mi dava il suo sguardo.
Quando parlava di quei posti che non era mai stato.
Nei suoi occhi celesti c'era sperdimento.
La mia idea di infinito l'ho poi sempre associata a quello sguardo suo.
Era il suo sogno quello.
C'è mancato poco, mi disse una volta, che mi imbarcassi.
Camminavo con lui verso casa una sera quando mi raccontò.
Una nave per il sud america. Poi invece mio padre mori.
Io ero il piu vecchio e dovevo badare ai piu piccoli. 
Non mi sono piu mosso da questa bottega. Non ho mai visto il mare. 
In camera sua sopra un mobile aveva un veliero.
Sopra il tavolo teneva un cannocchiale che nessuno usava mai.
Appesa ad un passante dei pantaloni teneva una bussola.
Nei suoi occhi umidi volavano gabbiani.
Uno alla volta me ne regalò parecchi di quei libri suoi.
Anni dopo andai da lui con dei libri in regalo.
Gli dissi "Li ha scritti un uomo di mare di nome Joseph Conrad.
Era di origini polacche, della Violinia. Nel cuore del continente.
Ma a sedici anni andò a Marsiglia e si imbarcò su una nave.
Si fece marinaio e attraversò gli oceani. Questi sono i suoi libri.
Sono mossi come il mare e profondi come gli  oceani.
Zio, tu non sei piu giovane. L'oceano non lo conoscerai piu.
Leggilo allora l'oceano zio, vedrai "
Nei suoi occhi comparve ancora quello sperdimento commosso.
Dentro i suoi occhi c'era la mia idea tradotta dell'infinitudine. 

 

Anni dopo ancora, parlai con un giovane astrofisico.
Era compagno di scuola di mio figlio. Lavorava al Cnr di Parigi.
Gli ho chiesto notizie sulle recenti scoperte sull'universo.
Con candore mi ha detto che l'universo è finito.
In che senso? gli ho chiesto. Nel senso che è ormai appurato.
L'universo è una massa di energia che si stà espandendo.
E dunque è finito.
E dove si stà espandendo? gli chiesi.
Nel nulla, mi ha risposto.
E cos'è il nulla?
Il nulla è dove non c'è energia. La mancanza di energia.

 

Queste nostre vite che si espandono
verso un infinito tutto nostro.
Un povero infinito portatile,
fatto apposta per chi crede
che il nulla esista la fuori,
che l'infinito continui a esistere
dentro in nostro dentro.
L'ho visto dentro gli occhi del vecchio zio.

Secondo Nietzsche bisogna immettere ancora piu caos
dentro di noi per far nascere una stella danzante. 

 

 

 
 
 

Sirene

Post n°501 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da simurgh2
 
Tag: sirene

 

l’elettricità improvvisa del pensiero
deflagra nell’impatto di meteora
come sinuoso tuffo di sirena
la donna branzino conduce al naufragio
quasi fosse figllia di Rimbaud, Rilke o P K Dick
ti guarda e pare dire spogliati
getta i tuoi gins sulla sabbia
Il desiderio cerca sempre una forma in cui incarnarsi
Se non gli riesce digrigna rabbia
Non lo sapevi? Ah, le tue squame
macchia pure di sangue la mia infanzia
come chicchi di sangue nello spasmo
deflagrazioni nel contatto di sinapsi
“Non chiedetevi se queste cose son vere.
Chiedetevi cosa vi voglion dire” (Sant’Agostino)
Disponi allora in ordine le tue squame
levati la collanina e strisciami sulla pelle
levantina bianca immensa balena vola
fino a raggelare o rinsavire vaticina
profetica ed ilare come l’acqua il buio consolare
madre che allatti come in una miniatura fiamminga
colma di nidi di capezzoli mi allatti
Ti ho vista annidata sopra dei portoni
effige, che ai monaci creava turbamento
scolpita nei salmi e nei pontificali del medioevo
per infragliare i pensieri a te rivolti
Ermetica sensibilità di un sillabario
che coniuga l’abisso come un haiku
di bellezza essenziale, aura arcana ed eterna
della mia cosmogonia, sirena branzino
del mio bestiario di cerva, uccello, balena
anguana che in ogni acqua flessuosa
mi derimi al tuffo e al desiderio
come le cose che verso l’alto sfuggono
generando canto all’incontrario che incanta
nelle mie parole per te la perdizione

 

 
 
 

Cronopios

Post n°500 pubblicato il 15 Febbraio 2013 da simurgh2
 

Nella mia erosa mitologia personale ci sono i Cronopios.
In realtà io vorrei essere un cronopio.
Il primo libro che ho letto di Cortazar è stato "Cronopios e Famas".
Scopro adesso questa sua cronaca per un giornale da Città del Messico, nel 1975.
Tra le tante cose dice che la c'è la piu densa combriccola di cronopios mai esistita sul pianeta, con l'eccezione di quella di Stoccolma. Da 15 anni, a Stoccolma, dei compagni spagnoli in esilio, hanno fondato il Club dei cronopios.
Pabro Neruda ha detto: "Chiunque non legga Cortazar è condannato"
Nella prefazione, Calvino spiega cosi cronopios e famas clicca 

da " Un cronopio in Messico"
Cortazar è sempre stato un grande ammiratore del pittore Rufino Tamayo   
" Da antico ammiratore della sua opera pittorica, quando ho saputo che a Oaxaca c'era un museo che conservava una collezione di pezzi precolombiani da lui donati e presentati, mi ci precipitai senza perdere un minuto. Mi aspettavo meraviglie e le trovai, ma mi aspettavo anche l'inpensato, l'altro inconcepibile club della sua sede di cristalli e colori.
Mi bastò entrare nella prima sala per riconoscerli: da dentro le vetrine, ridendo di gusto nel vedere il mio sbalordimento, i piccoli cronopios mi guardavano divertiti.

 Non è facile essere un cronopio. Lo so per ragioni  profonde, per avere cercato di diventarrlo lungo tutta la  mia vita, conosco le sconfitte, le rinunce e i tradimenti. Essere un fama o un esperanza è facile, basta lasciarsi andare e la vita fa il resto. Essere un cronopio vuol dire essere contropelo, controluce, contrromanzo, controdanza, contro tutto ogni giorno, contro ogni cosa che gli altri accettano come dettami di legge. Ma essere un cronopio è difficile, altrettanto difficile è rappresentare i cronopios, disegnarli o scolpirli.
Poche volte ho visto immagini davanti alle quali si potesse dire: Buenas Salenas, cronopio, cronopio. Il club di Stoccolma mi mandò anni fà i disegni di un bambino chiamato Miguel, quel bambino aveva visto, era stato da loro. E quando Pablo Neruda andò a Stoccolma a ricevere il premio Nobel, il club gli regalò un cronopio di felpa rossa che Pablo conservò sempre con amore e celebrò in un messaggio di cui ho già parlato altrove ma che qui ripeterò: Cronopios di tutti i paesi unitevi
contro gli scemi, i dogmatici, i sinistri, i galli, gli imboscati, gli implacabili, i microbi
Cronopios! Avanti march!

 [...] I cronopios sono spesso ingrati o smemorati, ma quelli del Club ricordano che io ero il padre della tribù e mi spedirono un cronopio di felpa identico a quello di Pablo, ma verde. Questo cronopio vive a casa mia e con la mia presenza petulante riduce in polvere ogni altra immagine che sta li, con non poca collera di due idoli africani, una bambola giapponese e tre maschere polinesiane (false).
In ogni caso, con rare eccezioni, i tentativi di rappresentare i cronopio si sono sempre risolti in fallimenti, che loro celebrano con particolare gioia. Ora succede che entro al museo Tamayo e non solo mi ritrovo un cronopio ma una intera legione insolentemente esibita nelle vetrine delle prime sale.

 

 

 Seduti, sdraiati, rossi, neri, marroni, rosa, verdi, blu, in piedi, a testa in giù, che giocano, che litigano, che dormono, vestiti, sorridenti, nudi, burloni, donne, uomini che cantano, bambini... Oh, piccolo popolo meraviglioso, rimarrai per sempre nel mio cuore. [...] Per anni avevo aspettato i Matta, i Topor, gli Oski, l'artista capace di creare su un piano o uno spazio ciò che io avevo creato con la parola.. E non sapevo che era stato già fatto, che ero io, secoli dopo gli anonimi artisti messicani, colui che aveva dato una voce a quelle forme mute

 

 

 

Strana, meravigliosa ricompensa del caso: ancora una volta mi capitava di incontrare un Messico profondo che non avevo visto prima, ma era presente in alcuni miei scritti, in incubi e intuizioni. [..] davanti a tutto ciò sento ancora che essere latinoamericano conta piu che essere messicano o argentino o panamense, che il nostro sangue circola per il continente come un solo sangue.. 

 

 Beh, dice il terzo cronopio dello scaffale superiore della seconda vetrina - Senti - dice - approfitta della distrazione del vigilante e strappami le etichette.
- Non si puo figlio mio, - mormoro sentendomi il peggiore dei fama - voi fate parte della cultura, e si sa che senza etichette non c'è cattedratico che regga...
La rabbia e il disprezzo dei cronopios m'intristiscono, però poi si dimenticano e tornano a guardarmi con affetto. Io evito accuratamente di leggere le etichette per non offenderli, e perciò mi è impossibile sapere se si tratta di cocomecas, aztejucos, olmezocos o tlacalzontles. Quello che mi sembra grattarsi la pancia, sarà anteriore o posteriore a quell'altro che danza per sè stesso, con i grandi occhi pieni di tempo congelato 

 

 

E cosi adesso ho una rappresentazione figurativa dei cronopios.
In realtà me li ero sempre immaginati cosi, piu o meno.
Con delle facce da cartoni animati.
Per me questa cronaca di Cortazar è importante.
Spero lo possa essere anche per i tanti potenziali cronopio nel mondo 

 

C'è chi dice di averli visti

 

 

 
 
 
 

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SAINKTO NAMTCHYLAK

 

I LIBRI SUL COMODINO

-Rilke - Tutte le poesie - Einaudi
-J. Franzen- Zona disagio-
-Jennifer Egan- Il tempo è un bastardo
-Tabucchi- Racconti con figure
-David F. Wallace- Tutto e di piu
-Ingo Shulze-Zeus e altre storie semplici 

 

Chi viaggia odia l'estate. L'estate appartiene al turista. Il viaggiatore viaggia da solo e non lo fa per tornare contento. Lui viaggia perchè è di mestiere. Ha scelto il mestiere di vento. (Mercanti di Liquore)

 
 
 
 

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