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Rivista di approfondimento culturale e politico dell'Associazione SocialismoeSinistra
 

 

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APPUNTAMENTO A PITTSBURGH

Post n°288 pubblicato il 19 Settembre 2009 da socialismoesinistra
 

 

Entro la fine di settembre si riunisce a Pittsburgh il G20 per cercare di varare nuove regole che cerchino di evitare i guasti del turbocapitalismo finanziario nella crisi che stiamo attraversando.

            La battaglia sarà titanica, da una parte la grande speculazione mondiale, le banche che pur salvate con i soldi dei contribuenti pare si ostinino a perseverare nella creatività finanziaria, dall’altra i governi guidati da Obama. Il presidente USA ha recentemente fatto un discorso forte contro speculatori e banche avvertendo loro che se continuano così, a breve si potrebbe ripetere un’altra crisi ma questa volta non ci sarebbero più i 2.500 miliardi di $ dei contribuenti per salvarle dalla catastrofe.

           Tra gli altri indichiamo alcuni argomenti che potrebbero essere trattati a Pittsburgh: la limitazione dei poteri delle banche, una tassazione sulle transazioni finanziarie e la revisione delle regole contabili. 

            Una delle cause della crisi del modello neo-liberista che risale ai 1975 basato sulle teorie economiche di Milton Friedman e attuato dai governi Reagan-Tatcher è stata la riforma delle banche che ritornano private (ad esempio in Italia) ma soprattutto tornano ad essere (come prima del 1929) “universali” cioè possono fare tutto: dal retail al merchant banking. Le banche che meno hanno sofferto sono state le banche locali che si limitavano a raccogliere risparmi e a finanziare le imprese non avventurandosi nei mondi dei derivati, dei futures, delle scommesse finanziarie.  Sembra vedere Maranghi, defenestrato da Mediobanca nel 2003 perché “non faceva valore” perché non voleva sentir parlare di derivati ma al contrario voleva sapere dove andavano a finire i soldi degli altri che egli gestiva e tra l’altro si opponeva alle stock-option.

            Questa liberalizzazione delle regole che le banche dovrebbero seguire ha permesso loro di operare con un rapporto tra debito e capitale  di rischio (l’effetto leva) pari a 30-35:1. Ci si può quindi aspettare un aumento dell’asticella del Core Tier cioè della percentuale di capitale proprio rapportato all’indebitamento. Ciò significa maggior tranquillità per i depositanti ma creerà un maggior costo dei prestiti.  L’opposizione delle banche potrebbe essere pesante, ma non si può permettere loro di affidarsi sul fatto che praticamente non possono fallire perché sono “too big to fail” senza che aumenti il senso della loro responsabilità.

            Un altro elemento è quello di rendere meno conveniente la speculazione finanziaria  internazionale o incrementando la tassazione dei capital gains o introducendo la famosa Tobin tax. Qualcosa si sta movendo se  Adair Turner direttore dell’autorità per i servizi finanziari (Fsa) il principale organo di controllo del settore finanziario del Regno Unito, dichiara di ritenere che una tassa globale sulle transazioni finanziarie. La Tobin tax presenta molti aspetti positivi e poche controindicazioni. L’aliquota potrebbe essere bassissima lo 0.25% applicato a tutte le transazioni finanziarie. Un’imposta così bassa avrebbe tuttavia la capacità di uccidere all’istante il trading intraday ovvero quella valanga di transazioni effettuate in tempo reale per realizzare differenze anche minime tra differenti mercati. Malgrado l’esiguità del tasso il gettito sarebbe enorme: alcune stime degli introiti si aggirano sulle centinaia di miliardi di dollari l’anno. Certo verrebbe reso meno attraente “ una attività finanziaria la cui importanza sociale è dubbia, se non negativa, che tuttavia consuma risorse reali in termini di talenti umani, risorse informatiche e debito. Non ci sarebbe quindi da stracciarsi le vesti se dovessero passare a miglior vita” (Dani Rodrik Il Sole 24 ore 16/9/2009). Una approvazione preventiva dei prodotti finanziari da parte di nuovi o esistenti organismi regolatori sarebbe garanzia contro i titoli tossici che tanta parte hanno avuto nella crisi che stiamo vivendo. Risiede in questo capitolo la scelta da operare sul short-selling, ovvero sulla possibilità di vendite allo scoperto sospese a suo tempo ma a poco a poco reintrodotte nel mercato senza una visione generale e condivisa del problema.

            L’ultimo punto riguarda le regole contabili. Il principio generalmente accettato fino a quando sono entrati in vigore gli IAS, era quello della valutazione al “minore tra costo o mercato”, ovvero una attività (dai titoli finanziari alle rimanenze di magazzino) vanno valutate al costo ed eventualmente svalutate qualora il prezzo di mercato crollasse permanentemente al di sotto del valore di costo. L’euforia finanziaria dell’era della bolla speculativa ha mutato questo criterio passando al criterio del “fair value” ovvero valutare quelle attività al valore di mercato. Ma come noto (ossimoro del valore di mercato) in tempi di bolla è tutt’altro che fair e valutare ad un valore  tutt’altro che fair permette di esaltare otre ogni limite il financial leverage. Una delle cause della crisi giapponese degli anni 80 è stata quella di permettere alle banche di calcolare i prestiti concedibili come un multiplo del capitale cui si poteva aggiungere il valore di mercato di titoli detenuti (attenzione detenuti non venduti) cioè su valori virtuali. La revisione dei principi contabili permetterebbe di diminuire l’arbitrarietà dell’azione rischiosa delle banche.

            Da ultimo c’è l’elemento culturale; ovvero il riconoscimento del crollo di uno dei tre pilastri del modello globale che ha dominato la scena per almeno due decenni. “Il secondo pilastro, legato al convincimento che i mercati finanziari operassero al meglio senza interventi governativi riuscendo a ripartire in modo efficiente il capitale di investimento e il credito  tra i vari agenti economici, si è infranto contro il muro di opacità impenetrabile creato dalla complessità delle operazioni di ingegneria finanziaria che ne permetteva la manipolazione a piacere, ma che ha causato disastri in borsa rimediati a spese del portafoglio pubblico” (Robert Wade Le nuove ragioni del socialismo Settembre 2009).

            Concludiamo tuttavia ricordando che il disastro finanziario è un aspetto patologico della più profonda crisi del turbocapitalismo affetto dalla mala-distribuzione tra profitti e salari. Su questo fronte, purtroppo, da Pittsburgh non possiamo attenderci molto.

 Renato Gatti

 
 
 
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