Creato da sonsciopaa il 02/10/2006

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A puntate, come si faceva una volta.

Post n°28 pubblicato il 07 Aprile 2007 da sonsciopaa
Foto di sonsciopaa

“Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story”. Così comincia il racconto di un altro, non il mio, io non ce li ho nemmeno trentacinque anni, ma a volte me ne sento il doppio; e per quando me ne sento il doppio ho comprato un bastone da passeggio di legno scuro con la punta affilata e il manico a testa di rapace, e la testa del rapace si svita e dentro c’è una fiala, una provetta lunga e sottile, una piccola sinuosa bottiglia come la zanna di un tricheco, e dentro la bottiglia ci tengo sempre due o tre sorsi di gin, che quando ti senti il doppio di trentacinque anni e vai a passeggio a volte ti viene voglia di sentirti un doppio gin in corpo, nelle vene, sulle tempie.

E le tempie le avevo coperte di capelli fino a qualche anno fa, e forse anche questo aiuta a farmi sentire addosso il doppio dei trentacinque anni che nemmeno ho, ma non ci faccio caso alle tempie vuote che i capelli ostruiscono l’uscita dei cattivi pensieri e impediscono l’arrivo della luce del sole.

Ma poi quanto tempo sarà che non la vedo davvero, la luce. Io non so fare nulla di quello che le persone fanno di giorno, forse qualche dispositivo mi è stato montato al contrario e io con la luce prendo sonno, con la luce mi accascio, con la luce non mi capisco proprio più.

Più di dieci anni che non torno qui, che non calpesto queste strade. Nemmeno Ulisse è stato via così tanto, ma almeno lui aveva qualcuno che lo aspettava al ritorno e io che in Grecia ci sono stato lo so che in greco ancora oggi ritorno si dice νοστος, e così si diceva pure quando c’era Omero, anche se Omero non è mai esistito, mi hanno detto in Grecia, e le città si sono date battaglia per i suoi natali e hanno fatto le guerre per essere riconosciute patria di uno che nemmeno è mai esistito. Ma Troia la hanno trovata, i resti non umani si trovano sempre, e degli umani rimangono solo le parole e Omero ne ha lasciato tantissime e una è arrivata fino a qui, alla mia penna, fino a qui. La parola per dire ritorno che resiste dura come pietra fino a qui, al mio ritorno qui, a queste strade qui che erano le mie strade e che lo sono ancora e dove ho preso quella brutta malattia che mi fa venire il sonno col sole, che anche se le due parole cominciano uguali e per me si assomigliano, la maggior parte delle persone le considerano appartenere a mondi diversi e dissimili e incompatibili tra loro.

Loro, queste pietre che oggi sono tornato a calpestare con le mie due gambe e con la terza di legno scuro appuntito; loro le pietre forse se lo ricordano dell’ultima volta che sono stato qui, perchè io non mi ricordo più nulla, perché io la boccetta del gin la tiro fuori spesso; però forse nemmeno Ulisse si ricordava per bene l’ultima notte con Penelope, che anche lui ne ha viste succedere di cose durante la sua assenza e uno mica può trattenere tutto.

Tutto quello che ricordo di questa piazza è il nome, ma non lo avevo mai richiamato alla mente prima di questa notte. Ed era notte anche l’ultima volta che sono stato qui, e non poteva essere altrimenti, che io di giorno dormo o mi nascondo dietro pesanti tende; e ora il nome me lo ricordo perché lo sto pronunciando piano piano sulle labbra, e insieme ai nomi vengono sempre fuori le facce, e insieme alle facce più nulla, perché il nome e la faccia sono tutto il necessario, il bagaglio essenziale, e a me piace viaggiare leggero. Piazza Vittorio, che poi il nome è più lungo ma quasi nessuno lo conosce più, e del resto nemmeno io sono sicuro di ricordarmelo, e se è giusto il nome che mi ricordo, bhè, preferisco essere convinto di non ricordarlo. Piazza Vittorio, Piazza Vittorio e tutti nomi di principe e nobili qui intorno, tutti così antipatici tutti così scostanti; perché io non sono mai stato nobile, e nemmeno gli aggettivi nobili mi piacciono, e non voglio essere cortese né gentile né cavalleresco né magnanimo. L’unica cosa che mi avvicina a principi e re è che anche loro a volte finiscono in esilio, ma loro sono spediti a calci in culo da sudditi che non li sopportano più, mentre per me è stato diverso, io sono andato via perché non potevo più restare, io sono andato via perché dopo quella notte era giusto che andassi via, io sono andato via perché non c’era più bellezza disponibile per me dopo quella notte di bronzo di dieci anni fa.

Continua....

 
 
 
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