Creato da sottoilsette il 24/03/2005

sottoilsette

Uno sguardo tra tanti

 

 

« Chi se lo ricorda questo...?30 secondi di riflessione »

Raccontiamo...

Post n°25 pubblicato il 18 Maggio 2008 da sottoilsette
 
Foto di sottoilsette


E così ci sono caduto anche io...
Mentre aspetto un amico per cena (in realtà succedeva ieri, ma la volpe di fuoco - per una volta - non ha collaborato; parlo al presente, ma non fa nulla!), sbircio per qualche minuto il blog del mio amico Cloud, ottimo scribacchino, che racconta, seguendo l'idea di Writer, una storia d'amore, partecipando ad un gioco narrativo collettivo.

Le storie d'amore, lo confesso, non sono il mio forte. Ma se vogliamo giocare, giochiamo...
Non so che titolo metterci, è una cosetta che scrissi tempo fa e ho conservato, e oggi viene tirata fuori dal famoso cassetto...



Quella casa aveva sempre avuto su di me un certo fascino, inutile negarlo. Era piccola, su due piani, circondata da altre casette, ma non soffocata. Aveva un giardino piccolo e grazioso, l’ideale per un cane. Avevo sognato tante volte di comprarmela, ma la vita aveva deciso altrimenti. E così, avevo finito per dimenticarmela, presa come ero dal lavoro prima e dalla famiglia poi. Ma oggi, stranamente, passandoci davanti forse per la millesima volta, fui presa da un ricordo improvviso e da una fitta di nostalgia. Chissà. Forse perché la giornata era calda, forse perché una volta tanto non avevo niente da fare, forse senza una ragione precisa, rimasi lì a guardarmela. Seduta sotto un albero, in ombra, stranamente in pace con me stessa nonostante tutto stesse andando a rotoli, rimasi semplicemente là a guardarmi quella che per un anno, tanto, tanto tempo fa, era stata la casa dei miei sogni.
Miei e di Valerio.
Era tanto che non ci pensavo. Tanto tempo fa, solo a sentir nominare un qualunque Valerio, ricordo che dovevo dominarmi per non urlare. Prima di Marco, prima di Benedetta, prima di tutto.
Sospirai. La mia mente vagò per un po’, mentre mi appisolavo leggermente sotto il sole di Settembre. Per questo non mi accorsi subito di quel bambino che mi guardava.
“Ciao. Io sono Mirco. Sei una latra?”
Non realizzai immediatamente, devo ammetterlo. Strabuzzai gli occhi, mentre lo mettevo a fuoco.
“Ciao, Mirco, no, non sono una ladra.”
“Papà dice sempre che devo stare attento ai latri, perché ti possono portare via il cuore.”
Che scemate dicono sempre i bambini. Anche la mia piccola Benny talvolta… mi fermai di colpo, mentre un pensiero mi passò al volo in testa come un proiettile.
“Come hai detto, Mirco?”
“Ho detto che i latri ti possono portare via il cuore.”
Non era possibile. Era una possibilità su… no, non era possibile calcolarle. Mi fermai a guardare il bambino. Eppure… perché no? L’età, quegli occhi chiari… no, fantasie, giochi della mente. Non sarebbe stato logico. Di tutti i posti al mondo, poi …
“Mirco… Mirco…!”
La voce di un uomo che si avvicinava verso il bambino, chiamandolo, confermò le mie incredibili fantasticherie. Fu come guardare direttamente nel passato, e non fu privo di gioia, né di dolore. Istintivamente, in modo del tutto illogico, mi montò la rabbia dentro. Era davvero lui, e veniva proprio da quella che avrebbe dovuto essere la nostra casa… come aveva osato fare… farci questo? Con quale diritto?
Ero furibonda. Ma non lo mostrai. Lo lasciai avvicinare, mentre prendeva in braccio quel cacciatore di latri.
“Mi scusi, lo dico sempre di non importunare le persone, ma sa come sono…”
“Lo so. Ne ho una anch’io, Valerio.”
Non capì subito. Ma dopo pochi secondi guardò al di là di quel sipario di dieci anni e quasi svenne.
“Ma… tu…? Che ci fai qui?”
“Passavo per caso.” Ed era vero.
“Ma è incredibile. Non avrei mai… ma vieni in casa, accomodati, ti offro qualcosa, un caffè, un tè…”
Accidenti. L’ultima cosa che volevo in quel momento della mia vita era un amarcord con un mio ex. Decisamente non ne avevo bisogno.
“Ma… veramente…”
“Dai, ti prego! Saranno dieci anni che non ti vedo, e non so quanti che non ho più tue notizie. Per favore…”
Capitolai. Quella giornata assurda aveva davvero preso una piega imprevista.
Parlammo per ore. Gli raccontai del lavoro all’estero, del matrimonio, di come dopo soli cinque anni e una bambina fosse tutto colato a picco, e come fosse stato duro ricominciare, e lui mi raccontò del suo nuovo inizio dopo di noi - omettendo molti particolari - ma soprattutto mi disse di quanto aveva lavorato duro e avesse faticato per comperare quella casa alla quale era così legato. Lo ammetto, volevo saperne il motivo. Forse era l’unico motivo per cui ero lì.
“Ma.. perché prenderla? Ti deve essere costata tantissimo….”
“Che domande. Perché i miei progetti partivano da qui. La mia famiglia doveva cominciare la sua strada tra queste mura.”
“La tua… famiglia?”
Distolse leggermente lo sguardo. Deglutì a fatica. Ma parlò.
“Certo. Io e te. Ricordi?”
E come dimenticare? Finì tutto in una sera maledetta di dieci anni fa. E in una notte di una settimana prima. Certe cose non si dimenticano facilmente, anche se si reprimono. Non so quanto fredda fui in quel momento.
“Ricordo. Ma io sparii.”
“Sì. Ma io ero sicuro che saresti tornata. Prima o poi.”
Sbottai. “Che diavolo dici? Con quale coraggio lo affermi?”
Lui rispose serafico come un frate. “Col coraggio della verità. Credevo che avresti capito di esserti sbagliata sul mio conto. Che col tempo, avresti saputo tutto.”
Lo avrei strangolato, in quel momento. Giuro. Anche davanti a quel bambino.
“Tutto? Tutto cosa? Mi hai tradita, ricordi?”
“Ne sei sicura? O forse hai creduto a quello che qualcuno voleva farti credere?”
Mi accorsi di essere di nuovo in piedi. Ma quando mi ero alzata? E misi a fuoco alcune cose col maledetto senno di poi. Realizzai che il mio lavoro all’estero, la mia vita di successo nel campo del giornalismo, il matrimonio in tutta fretta, la gravidanza quasi immediata erano tutti tentativi di fuga. Fuga forse da un dolore troppo grande da affrontare…
Il suo tono di voce, stranamente, inverosimilmente, mi quietò, mentre proseguiva. “Forse ti ho tradita. Forse no. Ma tu non mi hai dato mai la possibilità di difendermi. Allora. E dopo tanto tempo ho smesso di aspettarti.”
Lo guardai. E guardai Mirco.
Per un attimo mi vidi lì, in quella casa, dove avrei potuto (dovuto?) essere. Mi domandai, scioccamente, solo per un attimo, se mai esistesse un modo per tornare indietro, a quella stupida festa che annunciava un matrimonio che non ci fu mai. E no, non si poteva.
Mi alzai, e come tanti anni prima mi diressi verso la porta, trattenendo delle lacrime che non volevano saperne di restare al di qua del mio sguardo. Stavolta, però, un braccio mi trattenne.
“Vorrei che non te ne andassi.”
Mi voltai, e mi rituffai in quegli splendidi occhi chiari. Occhi in cui mi ricordai quanto era facile cadere.
Occhi che non erano più miei.
“E io vorrei restare. Ma non posso. E non puoi tu.”
“E’ vero. Ma lasciarti andare adesso, forse, significa non vederti mai più.”
“Forse. Ma non è più questo il mio posto.”
Mi divincolai leggermente, ma stavolta non mi trattenne. Mi allontanai frettolosamente da quella casa, desiderando contemporaneamente di non essermi mai fermata e di tornare indietro. Mi concessi un ultimo sguardo, e li vidi là sulla soglia, padre e figlio, con le mani alzate in segno di saluto. Sorrisi amaramente, ricambiando quegli sguardi.
“Ciao, latro”, mormorai.

 
 
 
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