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Tempo e Disinganno

Post n°148 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Sparwasser

 

Prendi un oratorio del 700 musicato da Handel e trasformalo in un’opera lirica con tanto di scene costumi azioni e quant’altro (incluse le immancabili sedie).

E’ successo questo alla Scala con l’allestimento del "Trionfo del Tempo e del Disinganno", oratorio (profano? sacro?) di Handel.

L’operazione fatta dal regista Jurgen Flinn (del quale non avevamo ammirato l’Otello rossiniano l’estate passata) è stata senza dubbio molto interessante ed è sempre bello andare all’opera a vedere qualcosa di nuovo o di diverso dal solito.

E non si tratta di compito agevole. L’Oratorio non è una forma musicale che nasce per essere rappresentato in un teatro , anzi: in quel tempo l’opera , che era ai suoi albori, era vista come la musica rock negli anni ’60 e quindi osteggiata (esisteva a Roma un vero e proprio divieto di una esecuzione in forma teatrale); però se ti trovavi in Italia come Handel agli inizi del ‘700 e volevi comporre musica lirica, l’oratorio costituiva una buona soluzione per operare con tranquillità, nonostante la staticità di questo tipo di libretti (il libretto è di un cardinale , il cardinale Pamphilj : più un intellettuale, che un cardinale ehm).

E’ proprio tale staticità a costituire la principale difficoltà da superare quando si allestisce (è proprio il caso di dirlo) un’operazione come questa; difficoltà risolta (come si poteva prevedere) solo in parte.

E’ buona l’idea di trasportare la vicenda in una brasserie della parigi anni Venti (dichiaratamente ispirandosi a la Coupole di Boulevard Montparnasse a Parigi) ed ai suoi Avventori, tra i quali , va da sé , ci sono le Figure Retoriche protagoniste dell’Oratorio-Messinscena (Bellezza, Piacere, Tempo e Disinganno).

E’ buona, anzi buonissima, l’idea di immaginare un’intera serata post teatro passata nella Brasserie a filosofeggiare sino al termine della serata (chiusura del locale inclusa, meta-metafora della chiusura di altre cose che si può facilmente intuire).

Di più però mi riesce difficile pretendere; e dunque niente cambi di scena, ma tutt’al più qualche gioco di movimento scenico a sottolineare (più o meno in maniera azzeccata) questo o quel momento, in una trama che si può facilmente immaginare: Bellezza che tuba con Piacere (finche ce n’è); saranno Tempo e Disinganno a farle capire come funziona la vita mentre Piacere, col terminar della serata, abbandona la sua (ex) favorita sdegnato.

Il resto lo fa la musica. Perché l’Oratorio di Handel è da questo punto di vista oggettivamente molto bello (per essere , roba barocca).

Finisce – un po’ banalmente direi -con Bellezza che canta la sua ultima aria ("Tu del Ciel ministro eletto") senza chioma bionda platino e vestita da suora.

L’aria di Piacere "Lascia la spina" è il pezzo più bello; talmente bello che Handel utilizzerà lo stesso tema in un’altra opera Il Rinaldo ("lascia ch’io pianga per mia cruda sorte") , ma che prima ancora era una sarabanda nell’Almira del 1705 (tranquilli, è normale che gli operisti riciclino i propri temi).

 

 
 
 
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