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II – MADAMA BUTTERFLY – G. Puccini

Post n°77 pubblicato il 01 Marzo 2007 da Sparwasser
 

Una premessa: stasera sono anche nello spirito giusto da Butterfly...

C’era molta attesa per il debutto sul palcoscenico scaligero di Fiorenza Cedolinis che , per farlo, ha puntato sul ruolo di Cio-Cio-San , ruolo peraltro già ricoperto con successo in altri prestigiosi palcoscenici (su tutti ricordiamo L’Arena di Verona e il Liceu di Barcelona).
Bè, Fiorenza Cedolinis non sarà il più grande soprano che la storia della musica lirica ricordi, però è una grande interprete. Perché il personaggio della geisha giapponese che alla fine si suicida è stato da lei studiato e analizzato con intelligenza così da offrirci l’altro giorno una prestazione che scava nella psicologia del personaggio e perciò stesso ne offre una interpretazione di personalità, per quanto, come tutte le interpretazioni, assolutamente discutibile e perciò stesso passibile di essere più o meno amata.
Questo vale soprattutto per un’opera come la Madama Butterfly che , rara avis, poggia quasi interamente sulle spalle di un solo personaggio, mancando il quale frana miseramente tutto: contorno, coro, scene, maestro, orchestra, titoli di coda.
Vi sono sostanzialmente due modi per affrontare il personaggio di Cio-Cio-San (forse tre): il primo fa leva sulla tradizione del novecento, volta ad evidenziare "la piccina mogliettina , olezzo di Verbena", ragazzina debole, vittima dello squallore degli occidentali, di una legge che squallida è; vittima insomma predestinata e ingenua, destinata alla fine al suicidio per amore, disperazione e debolezza sua propria: è la Butterfly della Caballè , della Olivero e, dico io anche se qualcuno non sarà d’accordo, anche un po’ della Freni. E’ il modo che io, uomo antico, continuo tutt’ora ostinatamente a prediligere in virtù del noto groppo in gola che continua a prendermi sulle note sparate a palla sul "O a me , sceso dal trono dell’alto Paradiso,/ guarda ben fiso, fiso di tua madre la faccia,/ che ten resti una traccia, / guarda ben! Amore, addio!" finale.
V’è però un altro modo di intendere il personaggio, opposto al primo e che sottolinea la lucidità di Cio-Cio-San, il suo diventare donna, ma soprattutto il suo diventare (se non già essere fin dall’inizio) adulta. Una visione questa che sottende e sussume come ogni gesto di Butterfly non è (o non diventa più) casuale. E’ la strada seguita ultimamente dalle ultime interpreti e seguita dalla Cedolinis, che fa, dice, pensa, canta e si muove avendo sempre presente questa chiave di lettura. E naturalmente non stona, raccogliendo (giustamente direi) le ovazioni del tremendo loggione. Del fenomeno Callasiano (che sarebbe forse la terza via: quella del delirio di Cio-Cio-San) non diremo nulla perché, al solito, fa storia a sé.
E’ stata brava quindi la Fiorenza, assecondata anche dall’orchestra che, sotto la direzione di Niksa Bareza, ha alternato momenti sublimi a piccole impunture (o almeno tali mi sono sembrate giacchè io non ho cultura tecnica musicale). Suggestivo in particolare, grazie anche al sapiente uso fatto delle luci il coro a voci mute.
Curioso invece come Butterfly e Suzuki scrutino il mare col cannocchiale verso il pubblico quando la scenografia mette il mare dall’altra parte. Possiamo sempre dire che le due giapponesi erano concentrate sul Golfo Mistico, piuttosto che sul Mar del Giappone….
Corrette le altri parti con un simpatico Pinkerton in versione palletta (Aquiles Machado) che sembra rafforzare l’ipotesi di una Butterfly innamorata più "per necessità" che "per passione".
Rispettose infine le scene e i costumi, con tratti di originalità (come ad esempio la costruzione della casa di Butterfly che inizia a sipario aperto al momento dell’apertura delle porte del teatro e non al momento della messa in musica dell’opera). Per capire però il significato di questa operazione ho deciso di dormirci sopra… (sempre se ci riesco perché per fortuna andare all’opera mi emoziona sempre…).

 
 
 
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