19.
L’odore acre dei giubbotti in similpelle zuppi di nebbia s’impastava alle gocce di vapore, tutte rapprese sul finestrino appannato. Un colpo di freni, secco, mentre lo sbuffo sordo delle porte catapultò una massa di carne sui tre metri del marciapiede alla penultima fermata di viale Padova, per subito disperdersi nel grigio opaco di Milano alle sei di sera. Affrettò il passo, strusciando lo spigolo scrostato del palazzo d’angolo fino a raggiungere la guardiola del numero 6. ‘Sera sciur Armando, ‘sera Rosina, cazzo no l‘ascensore è ancora guasto, soffocò un sospiro infilando i cinque piani di scale. Per terra, in ombra sull’angolare di marmo del terzo piano, qualcosa attirò la sua attenzione. Strinse forte sotto l’ascella il Corriere, chinandosi fin quasi a incocciare con gli occhiali il pavimento. Srotolò la carta d’alluminio che l’avvolgeva, rigirando fra le dita fredde una statuetta in gesso di Gesù bambino.
21.
Il gusto di slivovitz, distillato da quelle piccole e saporitissime prugne balcaniche, era ancora attaccato al palato quando imboccammo la strada che porta a Prnjavor. Saranno state le tre del pomeriggio, con il paesaggio che in quella stagione è già tutto ricoperto dalle fredde ombre della sera. Dietro di noi lasciavamo la gente di Stivor, con le loro casupole ordinatamente disadorne di dignitosa povertà contadina. Mi fecero compagnia nel lungo viaggio di ritorno, mentre attraversavamo ciò che restava della pulizia etnica, le loro speranze e l’ingenuità di quegli occhi in cui, ostentatamente, si specchiava il nostro mondo. Per un istante immaginai Gigi e Maruschka abbracciati su quel vecchio sofà, nella luce soffusa da trenta candele, mentre fuori la notte sibilava sinistra fra i rami degli alti abeti, nel folto del bosco.
2001 Bosnia, vigila di Natale.
22.
La piccola mano di Giulia quasi scomparve in quella del nonno, che era nodosa, ruvida eppure così calda come il lembo d’una coperta di lana scozzese. A passi lenti e sicuri il nonno raggiunse la serra, passando per lo stretto vialetto con i sassolini ghiacciati come praline su un cono gelato. Ora ti faccio vedere dove si nascondono le stelle la notte di Natale, disse il nonno con quella la voce roca che hanno i vecchi abituati al silenzio. Giulia volse all’insù il piccolo collo accennando un sorriso, mentre l’aria umida attutiva anche il rumore dei passi. Il nonno s’era chinato lentamente, puntando con un braccio la coscia per non perdere l’equilibrio, mentre con l’altra mano scostava un piccolo fascio di foglie color verde scuro. Ecco, ecco Giulia vieni a vedere, disse portando il dito indice alle labbra quasi a zittire le parole appena dette. Dalla terra nera e umida s’affacciavano tre piccoli boccioli di Euphorbia pulcherrima, conosciuta col nome di stella di Natale. Nonno, ma le stelle non sono rosse, disse Giulia rivolgendosi al nonno con una vocina rotta dalla delusione. Il nonno fece passare una mano sopra la testa di Giulia, esitando in una carezza. I suoi occhi cerulei si persero per un attimo negli angoli frastagliati di pieghe rugose. Vedi cara bambina, attaccò sforzandosi per schiarire la voce, ciò che molti non sanno è che il rosso appartiene alle foglie, mentre il vero colore di questi bellissimi fiori è di un giallo lucente, proprio come quello delle stelle da cui prendono il nome.
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il 22/03/2013 alle 06:50
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