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Ti piacciono i Fumetti Baby? Parte Quinta

Post n°93 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

"...l'impiegato allo sportello mi scrutava di sottecchi dal di sopra di quei ridicoli occhialetti a mezza lente.

Ostentava un sorriso che aveva un che di fissità artificiale, come una mummia egiziana che imbalsamata da secoli, si stia risvegliando proprio in quell'istante..."

 

stradeperdute2.

 

 

 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte Quinta

 

(The Last Waltz)

 

(V.M. 18)

 

 

I

 

 

Lin si rivelò una compagna preziosa per combattere la mia solitudine all'interno del rifugio.

Le sue qualità di estrema gentilezza, bellezza e sensualità per non parlare della sua socievolezza e familiarità che mi aveva donato a piene mani da subito, la rendevano come ho detto, preziosa ai miei occhi.

Per lunghi tratti dimenticavo quale fosse il suo vero lavoro di prostituta. Ma mi consolavo dicendomi che a volte la professione che una persona svolgeva non dovesse indicare giocoforza la sua vera natura.

Lo sapevo bene io, del resto. Pure io non avevo mai svolto una professione che mi rispecchiasse.

Nemmeno una che mi gratificasse. Alla fine dopo lunghe riflessioni mi autodefinivo come un "prestatore d'opera" tanto per indorare la pillola e non altro.

Un mercenario se si mettevano da parte inutili eufemismi.

Avevo servito sotto tante insegne, sotto tante divise. Ero un veterano, ormai.

I miei capelli brizzolati sulle tempie da decano contrastavano con un fisico ancora sorprendentemente integro e compatto. Eppure in tutti quei lunghi anni non ero stato in grado di trovare uno straccio di ideale per il quale parteggiare e schierarmi.

Tutte le azioni, dalle più semplici alle più disparate ri - conducevano e convergevano sempre verso me stesso in un circuito chiuso, vizioso; autoreferenziale insomma.

 

Del grande pensatore e pianificatore che ero stato in gioventù non rimaneva traccia.

 

Giravo su me stesso da perfetto irresponsabile mettendo in pericolo oltre la mia stessa vita, quella incolpevole di Lin.

 

Non stavo più in guardia e continuavo a farmi fare pompini dalla generosa ragazza cinese. Stavamo completamente nudi tutto il giorno e tutta la notte. Non cucinavamo mai nulla e ci cibavamo solo di cazzate in scatola e roba conservata, cibo precotto tutt'al più.

Il resto era costituito praticamente solo da sesso, sesso, sesso.

Per errore o per distrazione le ero venuto dentro una volta e da allora non ci facevo più caso e le venivo dentro continuamente.

 

Andavamo spesso fuori in cortile a goderci l'ultimo sole estivo e a farci il bagno in piscina, poi dopo appena due bracciate la afferravo e la scopavo lì fuori dove capitava. Nella posizione che capitava.

Eravamo come due naufraghi alla deriva. Due arcipelaghi della solitudine temporaneamente riuniti in un non - luogo, dentro fino al collo ad una situazione grottesca e soprattutto pericolosissima.

Continuavo a visualizzare con la coda dell'occhio gli uomini dei corpi speciali vestiti come marziani che sarebbero sbucati con i loro movimenti sornioni dalla sommità del perimetro delle mura e in men che non si dica avrebbero preso la mira e ci avrebbero ucciso con pochi colpi silenziati.

Io l'avrei stretta cercando con il mio fisicaccio di proteggerla, di far scudo in qualche modo alla corsa delle pallottole. Sarei stato il primo a morire, le sarei morto fra le braccia, probabilmente con il cazzo ancora infilato fra le cosce.

Sarebbe finita così, esalando il mio ultimo respiro proprio così come da sempre mi figuravo.

 

Poi Lin si inginocchiava dinanzi a me e stringendomi delicatamente il sesso fra le dita giocava con il mio glande sulle sue labbra deliziose. Poi con il piercing sulla lingua mi stuzzicava sapientemente il prepuzio ed infine si introduceva tutto il membro dentro la bocca piccolina, delicata. Piano piano riusciva a prenderlo tutto fino in fondo accarezzandomi i testicoli gonfi di eccitazione con la manina. Con le unghie viola o blu cobalto disegnava ghirigori sul corpo che mi procuravano brividi di piacere.

Poi sollevava i suoi occhi neri come la notte verso me sorridendo e guardandomi dritto negli occhi, tornava a deliziarmi là sotto...

 

Di solito osservavo ancora per un poco le stelle tatuate sul suo corpo superbo e sui polsi sottili durante i suoi movimenti danzare, come fossero animate di vita propria e scaricavo il mio piacere con un grido venendole parte in bocca e sulla lingua, parte sul viso e sui seni...

 

Percorrevo con la mia lingua le linee ideali che separavano i glitter sparsi sulla sua pelle quindi dolcemente le aprivo le cosce andando con la lingua saettante prima sul piccolo foro dell'ombelico poi in cerchi sempre piu voluttuosi sul clito e sulle labbra della fica costringendola a spalancare la bocca per il piacere.

Dopo il suo orgasmo continuavo a leccarla e con la saliva lubrificavo anche il suo piccolo e più intimo orifizio, l'ultimo baluardo da violare. Così sodomizzandola diventava mia completamente, non volevo che fra noi due ci fossero barriere o tabù di alcun genere; tanto meno di genere sessuale.

Nel bagno non c'era nemmeno la porta e mi divertiva e mi eccitava guardarla fare la pipì, innocente come una bambina ma così maliziosa allo stesso tempo.

Ogni volta che la faceva mi chiamava per farsi guardare ed io invariabilmente mi avvicinavo a lei accosciata o seduta sul wc, mettendole il cazzo in bocca e facendomelo succhiare.

Fuori in cortile la faceva lì dove le veniva voglia, senza alcun ritegno o pudore proprio così come sapeva che io desideravo.

La guardavo giocare fintamente innocente con quel piccolo getto dorato e dopo vellicarsi in modo lascivo il pube depilato facendo di quel siparietto altamente hot l'unico e solo spettatore privilegiato e mi chiedevo allora se perlomeno un piccolo pezzo di paradiso non abitasse lì; dentro l'inferno di quella periferia...

 

Dopo aver fatto a lungo l'amore lei talvolta mi saliva lungo la schiena e mettendomi le braccia al collo si lasciava trasportare da me come fanno le bambine.

A volte invece si sedeva sulle mie ginocchia e si addormentava come una piccola creatura indifesa rannicchiandosi contro il mio petto.

Poi la mettevo dolcemente a letto. Fu così che una volta la guardai dormire abbracciando il suo orsacchiotto con il piccolo dito in bocca.

 

II

 

 

 

E per la prima volta misi finalmente a fuoco in modo inequivocabile la situazione per ciò che era.

Non avevo alcun diritto di mettere, al di là di tutta la tenerezza e l'amicizia che per lei provavo, a repentaglio la sua stessa vita.

Lei con me e i miei casini non c'entrava nulla.

Osservai dinanzi alla specchiera rotta il mio volto dividersi in più parti: di qua le parti buone di là le parti cattive...aprii un cassetto e ne cavai fuori una sottile fune metallica con alle estremità due anelli. Afferrai gli anelli stringendoli in modo spasmodico. Sarebbe stato facile, ora nel sonno, scivolarle di lato facendole passare la fune attorno al collo sottile e stringere, stringere, stringere senza pensare a nulla.

Sarebbe morta subito, senza dolore, senza nemmeno accorgersi della dipartita da questo mondo di tribolazione e nebbia...

Poi avrei brandito la mia fedele Beretta me la sarei puntata dritta in bocca oppure alla tempia e tutto sarebbe finito in un attimo così com'era iniziato...

Tornai parzialmente in me guardando stordito il mio sangue sgocciolare copioso nel lavello.

Mi ero tagliato le mani con il metallo dello strumento.

Un'allarmata Lin mi fu alle spalle prendendosi il viso dolce fra le mani: "stladepeldute tu esselti taliato, fatto male! Io medicale, io medicale te!

Attesi paziente che Lin mi bendasse le ferite sulle quali non mancò di depositare un bacino propiziatorio di pronta guarigione.

 

Poi le annunciai calmo: "ora và, vai a fare le valigie, stasera te ne devi andare...."

Non disse nulla, si voltò semplicemente dandomi le spalle ma lungo il suo bellissimo profilo mi parve di scorgere come un'ombra. L'ombra d'una lacrima, o forse fu solo la mia immaginazione.

Comunque, oltre il suo beauty case ed i suoi effetti personali non aveva praticamente nulla da portar via.

 

Indossò un soprabito leggero direttamente sulle sue splendide nudità e mi parve un delitto coprire quell'opera d'arte che era il suo corpo.

Quando, dopo avermi salutato, uscì e scomparve nell'oscurità così com'era venuta. Dal nulla, ebbi nettissima la sensazione che di lì a poco qualcosa di importante sarebbe successo.

E che ero giunto ad una svolta, indietro non sarei mai tornato...

 

Mi vestii in fretta, afferrai cellulare e pistola e mi tuffai anch'io nell'oscurità là fuori...

 

Potevo quasi udire il tic tac d'un orologio che scandiva le ultime sequenze di quella scena...

Mi spostai col suv nel quartiere limitrofo ed accesi il cellulare. Subito insieme alla solita scarica elettrica di adrenalina mi raggiunse il suono d'un sms in arrivo.

 

Prima ancora di controllare chi fosse avevo già capito tutto.

 

Ricordavo il numero a memoria, se ce ne fosse stato bisogno. Ma non ce ne fu bisogno, prima ancora di leggere l'sms in un qualche modo la sentivo, sentivo la scossa che la tastiera a distanza mi comunicava.

La stessa di quando la conobbi in chat la sera di S. Valentino di molti anni prima. Quando lei stava arrivando cominciavo a patire gli effetti di una sorta di Sindrome di Stendhal.

Un euforia incontrollabile coniugata con un effetto tunnel micidiale che schiacciava, spazzava letteralmente via le altre persone, le altre cose della mia vita, gli affetti, gli amici. Persino le altre donne.

Lei era il mio amore, da sempre.

L'unico, grande, grande, talmente grande da cancellare tutto. Tutto.

La conoscevo da sempre, come un animale sapevo che lei sarebbe venuta. E sarei stato suo.

Semplicemente era l'unica persona al mondo con cui relazionarmi in un qualsiasi altro modo sarebbe stato impossibile. Era fuori dal mio controllo, semplicemente.

Lei era più forte di me. O forse mi amava di meno. Non so.

Sapevo solo di amarla d'un amore totale, totalizzante e pertanto come tutti i veri amori, si trattava di un amore del tutto folle.

Lì i calcoli ed il cervello si fermavano, cedendo il passo a qualcosa di atavico, ancestrale. Qualcosa di invincibile, di antico come il mondo mi pervadeva assoggettandomi, possedendomi.

Era l'amore incendiario che fa le guerre e porta distruzione. Era lo stesso spirito che fece rapire Elena da Paride. Dinanzi a certe donne senno e ragione si ritiravano vinti.

Lei era una di queste.

 

Lei si chiamava Elle.

 

Quella volta con Elle al ristorante mi tornò prepotentemente alla mente.

 

Quando la ns storia stava oramai finendo. Senza alcun motivo apparente. Lo sapevamo entrambi.

Io fui preso dal panico.

Stavamo pranzando quando la guardai a lungo negli occhi verdi come calabroni e vi lessi la fine della nostra storia.

La crisi partì curiosamente dai piedi che mi accorsi di non governare più. Sarei caduto immediatamente a terra se non fossi stato seduto.

Si spaventò anche lei che di solito era imperturbabile. Poi non udii più suoni e le pareti cominciarono la loro danza tutto intorno. Caddi come in stato di trance e ricordo che pensai: "Ecco, adesso muoio."

Vidi i camerieri che non osavano avvicinarsi, tirare un grosso respiro di sollievo quando mi ripresi.

 

Poi un giorno, un bruttissimo giorno di mezza estate così come bruscamente era cominciata la ns storia altrettanto improvvisamente terminò.

 

Inutile cercare spiegazioni plausibili e razionali a ciò che razionale non è . Tutto qui.

 

Ora, dopo anni rieccola. La corrente elettrica che tanto faceva male. L'amore, il Moloch invincibile. Contro di me, un guerriero a fine carriera, scoppiato. Privo di motivazioni.

 

Loro lo sapevano.

 

I miei nemici, quelli dei servizi.

 

Lo avevano scoperto, il mio lato debole.

 

E lì attaccavano.

 

Avevo sempre avuto quel sospetto. Che anche Elle ne facesse parte in qualche modo di quella merda, dei Servizi.

 

Ora con l'invio di quell'sms ne avevo avuto l'amara conferma.

Ero stato usato.

Chissà da quando. Le mie azioni erano state dirette da una regia occulta che mettendomi sulla strada lei, aveva approfittato di me e del mio lavoro.

Doveva essere per forza così.

Non si spiegava altrimenti quel contatto via sms, quella coincidenza peraltro inspiegabile in modo diverso e altrettanto clamorosa.

 

Dopo tanti anni.

 

Lessi l'sms che diceva: " Al solito posto, a mezzanotte in punto. Ti aspetto, ti devo parlare. Firmato: Elle."

 

Guardai il quadrante fluorescente del Luminor Panerai. Erano le ventitrè: mancava appena un'ora alla resa dei conti finale.

 

Diedi gas a tavoletta al suv che sgommò via rabbiosamente. "Il solito posto" cui accennava Elle nel messaggio era il pub "La Tana del Lupo" a pochi isolati da lì.

Sui tavolini e sui divanetti imboscati dietro i separè ma nemmeno piu di tanto, complici i camerieri e la semioscurità, io ed Elle avevamo fatto l'amore selvaggiamente non ricordo quante volte.

Eravamo come fiumi in piena, incontenibili, incoercibili. E come fiumi non avevamo una coscienza da regolare.

Nulla ci avrebbe potuti fermare.

 

Mentre correvo al rendez - vous, flash - back impazziti di ricordi della nostra storia si mescolavano al whisky che ingollavo a sorsate senza nemmeno sentirlo.

 

Adesso, ero una macchina da guerra, lanciata all'epilogo finale. Quale che fosse.

 

Misi su nello stereo dell'auto la ns canzone preferita. Sembrava quasi vero. Un normale appuntamento fra una coppia innamorata.

 

Sembrava vero...Le lacrime mi salirono con foga agli occhi ed io annegai la mia disperazione nella fiaschetta del whisky...

 

Giunsi con quasi mezz'ora di anticipo al ns appuntamento...il manuale diceva: "appostati sempre prima, potrai scegliere la posizione migliore e da lì controllare la situazione..."

La posizione migliore era semplice da trovare...bastava in un locale mettersi in fondo da dove non visto oppure visto in penombra potevi controllare chi andava e veniva con una certa tranquillità e con la certezza che addossato al muro nessuno ti avrebbe colto di sorpresa alle spalle.

Parcheggiai dietro il locale e ad una certa distanza da esso, in modo però di potermi facilmente coprire una buona fuga se le cose si fossero messe male. E a giudicare dalla piega che stavano prendendo le cose ne avrei avuto certamente bisogno.

 

Entrai ed osservai l'interno del locale, l'arredamento era grosso modo rimasto lo stesso. Il bancone in legno massello scuro dominava la scena al centro e di fianco sulla destra si aprivano quei piccoli separè...

Presi posto in fondo, a quell'ora di martedì il locale era semideserto.

Ordinai una birra rossa, doppio malto.

E attesi, scrutando intorno.

Ero stranamente calmo.

Guardavo il fondo della birra torbido e schiumoso come a cercarvi un oscuro vaticinio...

Tenevo il capo incappucciato e non incrociavo lo sguardo con nessuno...

 

Quando la campana della chiesa vicina battè esattamente dodici rintocchi, alzai lo sguardo e lo fissai sulla porta di ingresso...

 

Ci fu un attimo come di blocco del tempo, come uno stacco, oppure una scossa. Una forte vibrazione come quella che precede il manifestarsi di certi eventi meravigliosi nella loro terribilità.

L'avvicinarsi di una grande ondata di tsunami od un terremoto...anche i pochi avventori dovettero avvertirla perchè si voltarono simultaneamente verso la porta come in eloquente attesa...

 

E lei apparve sulla soglia...

 

Quando si descrive una bellezza definendola mozzafiato c'è un perchè di semplice intuizione: il fiato dei presenti in quell'istante si interruppe. I discorsi cessarono e il silenzio si fece tangibile.

Ora si poteva udire solo il ticchettio dei suoi tacchi alti sul pavimento. Null'altro.

Guardai quel corpo che amavo e odiavo allo stesso tempo, per la schiavitù alla quale mi costringeva.

 

Il suo corpo da urlo era fasciato solo da un mini abito che nulla lasciava all'immaginazione.

Davanti i seni prorompenti ma sodi e dritti erano trattenuti a malapena dal verde cangiante della stoffa che non riusciva a celare il miracolo di quei capezzoli ritti come chiodi, fatti di carne.

La mente voleva uscire da quella perfezione di scollatura che giungeva fin sotto all'ombelico, ma non poteva.

Era vittima della magia della fascinazione.

 

Stupidamente osservando il suo gesto di malizia, quel gesto di sicurezza indifferente verso tutti, di terribile noncuranza della sua mano che saliva a riavviare quelle chiome vaporose pensai ad Ulisse e al Canto delle Sirene.

Ora capivo. La follia dei marinai che si sfracellavano con le loro navi contro gli scogli per le Sirene.

Seguii il suo sguardo che mi cercava; più che con esso mi trovò con l'intuito.

 

Allora venne verso di me, si avvicinò di qualche passo, potevo sentire il suo profumo di donna prepotente. Guardare le sue cosce nude da vicino, le sue spalle nude da danzatrice.

 

Piantò i suoi occhi nei miei, con la calma della predatrice, della mantide che divorerà il maschio dopo l'amplesso...

Afferrò la mia mano con la sua portandola nell'incavo dei suoi seni.

Il suo viso d'angelo diabolico si aprì poi nel sorriso più ammaliante che abbia mai visto in vita mia.

Non vi sono parole atte a descrivere quel sorriso...e contemporaneamente con la velocità d'un felino la sua mano corse alla borsetta.

Sorprese anche me che ero pur preparato a quella sortita. Ma la mia mente agiva ormai in automatico.

Ero duro da uccidere e molto.

Quando Elle estrasse con la velocità d'una pantera la pistola dalla borsetta e me la puntò contro mi ero già lasciato scivolare di lato sulla similpelle liscia del divano.

La pallottola penetrò nello schienale al quale una frazione di secondo prima ero appoggiato.

 

Non ebbe mai il tempo di riaversi dalla sorpresa.

Prima che potesse prendere nuovamente la mira, la mia Beretta perfettamente oliata, aveva già cantato. Aveva già emesso il suo verdetto...

Quando sparai si udì un fragore tremendo, della pallottola speciale che usciva senza lasciar scampo.

Credo che la condannò proprio l' incredulità per quel marinaio che al suo canto anche se solo x una volta aveva saputo resistere, senza cedere.

Cadde all'indietro con l'espressione di attonita sorpresa ancora disegnata sul viso, trasfigurato da una bellezza talmente grande da non sembrare nemmeno terrena.

 

La afferrai prima che cadesse a terra e la sorressi appoggiandola delicatamente sul pavimento.

 

Capii subito che sarebbe morta: il proiettile le aveva aperto un foro sfrangiato come una grossa farfalla all'altezza dello sterno. L'aveva trapassata da parte a parte senza lasciarle scampo.

Più che udire le sue parole le intesi dal labiale. Da quelle labbra divine e rosse al quale ora si mischiava il rosso del suo sangue in uno sbuffo largo, cresciuto come un fiore cattivo.

 

"Stradeperdute ti ho amato, ti ho amato davvero...Ho tanto freddo, ti amo, Stradeperdute, ti amo..."

 

Poi morì.

 

La strinsi forte, ma così forte nelle mie braccia che credo le spezzai tutte le costole. Mentre gridavo una disperazione talmente cupa che nemmeno riuscivo ad udire.

 

Cominciò a piovere a dirotto mentre la strada fuori si riempiva del suono rabbioso delle sirene e dei lampeggianti blu.

 

Fuggii ancora una volta dal percorso che avevo pianificato.

 

Approdai al suv.

Mi chiusi dentro e portai la canna della Beretta all'interno della bocca.

 

Ma non ce la feci a premere il grilletto.

 

Partii e imboccai una delle provinciali che conducono verso nord. Guidando sotto shock

senza meta apparente: le mie stradeperdute.

 

 

 

 

stradeperdute2

 

 

p.s

i fatti qui narrati nelle 5 puntate che le più coraggiose di voi hanno avuto la costanza e la pazienza notevole di seguire contengono un fondo di verità al quale si ancorano elementi fantasiosi (ma nemmeno poi tanto).

Le sequenze e la descrizione del mio Amore sono assolutamente reali ed accadute. La mia storia di grande, immenso Amore finita.

La bellissima, fatale Elle (solo l'iniziale del suo vero nome) corrisponde a verità, ma per sua (e mia) fortuna è viva e vegeta e forse un giorno il destino la porterà da queste parti a leggere questo racconto...

 

stradeperdute2

 

 

 

 

 

 
 
 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte Quarta

Post n°92 pubblicato il 16 Settembre 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

 

"....Forse l'inferno è un'istanza a lungo procrastinata e mai risolta, che si ripropone sempre analoga in un loop tendente all'infinito...

La banalità di frasi scontate che le persone ripetono da sempre, come un mantra necessario e ad essi preesistente, destinato a non verificarsi mai..."

 

stradeperdute2

 

 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte Quarta

 

(Lin)

 

(Vietato Minori 18)

 

 

 

Entrai col mio fiammante suv rubato all'interno del capannone che era contornato da alte e spesse mura.

Vecchie rassicuranti mura di opificio come ormai non se ne facevano più, dove la quotidianità e la vita delle maestranze era scandita dal suono delle sirene di entrata - uscita - pausa mensa, di nuovo entrata - uscita definitiva serale e via a prendere il treno del ritorno verso il nulla. Il nulla dei casermoni - dormitorio di periferia dai quali il giorno dopo le formiche operaie sarebbero nuovamente uscite per ripetere la stessa giornata - clone del giorno precedente...

Mio padre aveva fatto quella sorta di non - vita ( e ci si era beccato un sacco di pugni, mai restituiti, da quella vita).

Io forse gli somigliavo vagamente in qualche cosa, ma rispetto a lui ero molto più figlio di buona donna ( e andavo fiero di esserlo.)

Ero stato più volte dichiarato soggetto recidivo ed irredimibile e di pugni si ne avevo preso ma ne avevo anche restituiti tanti, ma tanti, da essere andato abbondantemente in credito.

 

Adesso quel posto fottuto che aveva visto tanti uomini sputare fatica, sudore e bestemmie e diventare vecchi nel farlo, era abitato solo da sinistri fantasmi o al massimo poteva diventare rifugio di disadattati a vario titolo.

Extracomunitari, Punkabbestia, Squatter, oppure semplicemente fuggiaschi "pericolosi" come il sottoscritto? L'elenco poteva esser lungo e variegato, ma avevo sempre avuto il sospetto che il denominatore fosse comune.

 

Presi a fischiettare allegramente mentre liberatomi di tutti gli inutili orpelli dei vestiti, nudo bruco, piacevolmente solleticato in tutto il mio corpo da una dolce brezza che veniva dal mare lavoravo alacremente ad ingentilire qualche angolo di quella dannata baracca...

 

Avevo creato una cosa spartana come era nel mio carattere, ma funzionale: la piscinotta circolare che avevo montato era piccola ma non troppo ed esposta al sole del pomeriggio;

poi appresso avevo gettato una pesante piattaforma in cemento col centro bucato che mi serviva per ospitare un grande ombrellone e attorno sopra il prato finto avevo disposto le sedie e le sdraio.

 

Potevo vedere con la forza dell'immaginazione le facce di quei vecchi operai che lì avevano speso la loro vita avara di emozioni e soprattutto di soddisfazioni, guardarmi nudo, costruire quella che essi avrebbero considerato una emerita cagata e crollando il capo mormorare: "le nostre lotte per il pane e per il lavoro...guarda...che fine..."

 

Risi forte mio malgrado, quel posto assurdo poteva essere l'ultimo che abitavo, ma alzai ugualmente le spalle: non era così importante dove sarei morto, importante era stato vivere come avevo voluto, da uomo libero.

 

Risi ancora di gusto mentre aprivo le pagine del mio magazine che con premeditazione tutta maschile avevo con me e andai senza ulteriore indugio all'ultima pagina. Quella degli annunci personali hot.

Alla bellezza del mio angolino non poteva certo mancare altrettanto degna regina...

 

Scelsi l'annuncio d'una ragazza orientale, che ritenevo mentalmente meno incasinata e più solare di altre, nonchè naturalmente portata ad esser servizievole...chiamai il num indicato con una scheda criptata e con la maitresse del centralino fui inflessibile sui dettagli...

 

Diedi appuntamento alla ragazza per quella stessa sera ad un paio di isolati da lì: col calare delle tenebre, come un animale, sarei uscito dal quella specie di tana e avrei ghermito la mia preda...

 

Trascorsi il resto della giornata a fare un poco di esercizio fisico, nulla di che, rimanevo ben distante dalle maratone sportive di ogni tipo fatte in passato.

 

Mi era passata la voglia, tutto lì.

 

Adesso facevo semplicemente un po' di alleggerimento, un po' di corda, qualche serie di flessioni, corsette senza affondo tirando pugni all'aria.

Poi mi piazzavo davanti ad una grossa specchiera rotta e controllavo il mio stile di boxeur; memore dei miei passati incontri abbassavo improvvisamente il mio baricentro schivando i colpi di avversari immaginari e rientravo con serie veloci di affondi brutali al volto ed alla figura.

Ero stato un pugile cattivo, come scuola avevo avuto la strada ed imprevedibile, con quel gancio destro che stordiva.

Ero stato lo sparring partner preferito di qualche campione del passato, poi senza santi in paradiso la mia carriera era morta lì.

 

Poi mi stendevo a letto ed improvvisamente rotolavo giù a terra afferrando al volo la pistola dal ripiano del comodino, scarrellando e camerando il colpo prendevo la mira con le mani appoggiate al bordo del letto e sparavo alla sagoma d'uomo disegnata in fondo allo stanzone aprendogli un ulteriore buco in mezzo alla fronte...

 

Chissà forse poteva accadere proprio così: un attacco senza preavviso di uomini all'uopo addestrati. Che avrebbero per quanto poco sferragliato per aprirsi un varco verso me, che mi sarei destato da un sonno leggero ed avrei afferrato la mitraglietta o la pistola facendo fuoco contro di essi.

 

Crollai il capo: stavo facendo considerazioni prive di senso. Avrebbe potuto un uomo solo, ridicolmente nudo, che faceva match appassionati usando una specchiera rotta come avversario, controbattere con efficacia ai componenti organizzati di corpi speciali?

No, non poteva.

 

Quando lo avrebbero ritenuto opportuno avrebbero attaccato e tutto sarebbe finito presto.

Avrebbero contato qualche ferito, forse qualche perdita ma avrebbero senz'altro raggiunto il loro obiettivo...

 

Scacciai velocemente come erano arrivati quei pensieri funesti. Dovevo prepararmi in fretta, mancava meno di mezz'ora al mio appuntamento...

Dopo una doccia veloce indossai al volo una felpa nera con cappuccio ed un paio di jeans, infradito ai piedi. Avevo la barba di tre giorni ma lasciai perdere.

 

Presi il suv uscii sulla strada e lo andai a parcheggiare esattamente dietro l'angolo del luogo indicato per il mio rendez vous: la sera ed i finestrini oscurati mi proteggevano da sguardi indiscreti mentre la osservavo scendere dalla macchina e rimanere sola come da me esplicitamente richiesto in precedenza.

La mia offerta di pagamento del doppio della tariffa solitamente applicata, abbinata a diversi giorni di lavoro da me prenotati avevano ben presto convinto la maitresse nonostante le mie richieste fossero un po' sopra le righe.

Avevo lasciato come acconto il pacco contenente la metà dei soldi dell'ingaggio, come da accordi nel luogo indicato ed il risultato ora si trovava proprio lì a pochi passi da me.

Potevo guardare deliziato quel corpo femminile flessuoso come un giunco, mirabilmente fasciato da quel microabito che ben poco lasciava all'immaginazione. Quei lunghi capelli corvini scossi da fremiti di impaziente attesa...Lei era lì, per me...la mia regina...

 

Scesi silenzioso come un predatore e la aggirai, giungendole da tergo.

 

Non visto la afferrai da dietro e cingendola con un braccio per i fianchi la sollevai mettendole l'altra mano davanti alla bocca. Si irrigidì per lo spavento, ma la rassicurai: "Sssshhhh sono io...stradeperdute" le mormorai all'orecchio; aveva i capelli morbidi e profumati e per un lungo istante indugiai con la mia bocca sulla sua nuca e sul suo collo, poi svelto le misi la benda davanti agli occhi e corsi verso il suv trasportandola a mò di valigia.

 

All'interno del suv al riparo dalla vista altrui le lasciai la benda ma le tolsi la mano da dinanzi alla bocca e la baciai subito.

 

Un bacio lungo, appassionato che la lasciò letteralmente senza fiato: si lo so non si baciano le prostitute, ma questa era senz'altro un'occasione speciale. Era il bacio che costituiva l'ultimo desiderio del condannato a morte.

 

Le mie mani le corsero senza interruzione lungo tutto il corpo e quando la spogliai completamente nuda cominciò a gemere piano, ansimando a bocca aperta.

Avrei potuto portarla da subito con me nella sicurezza all'interno del rifugio, ma non seppi o non volli resisterle e non mi fermai, spogliandomi anch'io.

 

Schiacciai solo la chiusura delle sicure degli sportelli; una precauzione sciocca di fronte all'immanenza e all'imponenza di quel pericolo che stavo correndo al di fuori del mio riparo, ma tant'è.

 

La aprii attirandola a me nell'incipienza di un amplesso senza regole e senza futuro ma che non ammetteva deroghe.

 

La mia lingua la esplorò dappertutto: recavo con me la disperazione e la risolutezza di un uomo perduto, che è arrivato alla fine della sua corsa.

Quel suv parcheggiato nel mezzo del nulla di una periferia sperduta, ospitava due anime diversamente dannate ma figlie della stessa notte che li aveva generati...

 

La presi selvaggiamente come non si deve fare, nemmeno con una prostituta, ma lei con le antenne lunghe, tipiche della sensibilità femminile captò in qualche modo il mio stato d'animo e mi assecondò in quel diabolico sabba danzando con me quell'insana ballata d'amore.

 

Fu come sprofondare insieme in un torbido gorgo di passione dove esistevano solo le nostre vite alla deriva, che godevano l'uno della carne dell'altra, l'uno delle cavità e degli anfratti dell'altra, senza più ritegno, né remore di alcun genere.

 

La trascinavo a fondo con me in quel vortice di tenebra e lussuria.

 

E lei urlava e urlava di piacere, un orgasmo dopo l'altro...

 

I nostri corpi nudi, madidi di sudore e sfatti di stanchezza si stavano ancora muovendo all'unisono quando mi staccai e dopo esser rotolato di lato, afferratola per la nuca, le abbassai la bocca verso il mio piacere imminente: fu come un'esplosione; venni dentro di lei inarcando le reni e sollevandola verso l'alto come un fuscello mentre gli occhi mi si riempivano di colori e scintille e piccoli astri roteanti tutto intorno e anch'io urlai al mondo il mio godimento...

 

Nel breve viaggio verso il rifugio non ci rivestimmo neanche e nudi come eravamo ci dirigemmo verso il nostro ritiro: le dissi solo "sono stradeperdute, piacere...tendendole la mano.

Scoppiammo entrambi a ridere, lei bellissima da far male con i capelli incollati sulla fronte per il sudore e ancora con la benda sugli occhi per non vedere in quale direzione andassimo disse: "Piacere, Lin."...

 

 

 

stradeperdute2

 

 

La fine alla prossima puntata.

 

 

p.s Nella descrizione delle scene di sesso che avevo da tempo promesso ai miei lettori ho cercato di muovermi col massimo garbo fra sequenze necessariamente "hot" ed equilibrio senza mai (spero) cadere nella volgarità gratuita.

Se qualcuna/o si sentisse offeso da queste parole voglia accettare le mie scuse che porgo in piena buona fede; sento altresì il dovere di ringraziare questa community di Libero e tutte le deliziose lettrici e lettori che mi seguono nonostante spesso non riesca per mancanza materiale di tempo ad aggiornare tempestivamente il mio blog...ciao, alla prossima.

 

 

stradeperdute2

 

 

 
 
 

Ti Piacciono i fumetti Baby? Terza Parte.

Post n°91 pubblicato il 05 Agosto 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

"La notte viene e mi parla,

con la sua lingua fatta

d'ombre e di sogni.

 

I morti invece non parlano,

vengono da me,

 

nei sogni,

 

quieti

 

e tacciono.

 

Sono tanti, una folla che un tempo

conobbi,

 

altri non ricordo.

 

Ricordo

 

solo

 

i loro occhi

 

scrutarmi muti,

 

di rimpianto

e

d'infinita

tristezza..."

 

 

stradeperdute2

 

 

 

 

 

Ti Piacciono i Fumetti baby? Parte 3

 

 

 

In breve sfruttai le mie conoscenze.

Usai però l'accortezza di non percorrere i canali di copertura usuali, ma usufruii della mia rete di conoscenze locale.

Gente fuori dal giro ufficiale, gente della feccia, della suburra. Era il mio passato che tornava.

 

La periferia dalla quale arrivavo tornava sempre.

 

Non mi facevo illusioni sul passato, ancor meno avrei potuto farmene per il futuro.

 

Era bastato spargere la voce ed ecco che nel giro di tre giorni era saltato fuori un vecchio capannone dismesso che faceva al caso mio.

 

Sarebbe stato di gran lunga più saggio il bunker antiatomico sottostante una villetta anonima sulle alture della città, come mi era stato precedentemente proposto, primo entroterra.

Quello si pressochè inespugnabile. Ma non mi andava di rinchiudermi come un insetto nel suo bozzolo: volevo sparire si, ma non seppellirmi vivo.

 

Volevo vivere, o morire. Punto.

 

Mi fidai delle informazioni ricevute sul luogo senza nemmeno curarmi di fare un sopralluogo preliminare.

L'esperienza delle persone che me l'avevano consigliato era fuori discussione, la loro lealtà pure.

Avrebbe fatto sussultare i benpensanti il fatto che dei banditi fossero leali e fedeli e non viceversa i componenti di quella parte di società che i più avrebbero considerato "normale".

 

Ma questi "banditi" rispettavano un loro codice, e le loro regole erano assai più rigide di quelle fuori del giro.

Anche le punizioni per chi le trasgrediva erano immensamente più veloci di quelle comminate dai vari tribunali e dalle varie procure e terribilmente piu efficaci.

 

Quegli uomini non mi avrebbero mai e poi mai venduto...

 

Presi il mio borsone morbido con tracolla e vi buttai i miei effetti personali, medicinali e pochissimi vestiti. Era estate, faceva fin troppo caldo e da nudista convinto quale ero non ne avrei avuto bisogno.

E poi sarei stato solo, fin troppo solo in quest'avventura senza ritorno, mentre chi mi voleva morto al momento di spararmi oppure di tagliarmi la gola non si sarebbe troppo formalizzato per il mio pisellino che pendeva libero fra le gambe.

 

Mi lasciai crescere la barba di tre giorni e mi vestii come un coatto: felpa di cotone con cappuccio nera e jeans anch'essi neri il tutto indossato direttamente a pelle, niente biancheria intima.

 

Le lavanderie in questo periodo sono tutte chiuse per ferie, pensai con un ghigno.

 

Scarpe ginniche pure di colore nero completavano il tutto.

 

Aggiunsi qualche tatuaggio all'hennè qua e là e alle dita misi anelli grandi e pacchiani, sporgenti, che all'occasione sarebbero serviti anche come tirapugni.

Il tutto indossato sul mio fisicaccio contribuiva a darmi l'aria del rocker e del coatto di periferia, non certo quella di esperto uomo dei Servizi.

 

Nel sottofondo della borsa invece ben nascosti prendevano posto i "ferri", l'artiglieria e le abbondanti munizioni con le quali non avrei mancato di dare il benvenuto agli "amici".

 

Torce, coltelli, pistole, uzi, perfino alcune bombe a mano adeguatamente potenziate. Nel caso di visite sgradite avrei scatenato l'inferno.

Da solo avrei certamente avuto la peggio, ma avrei fatto altrettanto certamente passar loro un quarto d'ora che (per i sopravvissuti) sarebbe stato impossibile da dimenticare.

 

E sarei morto da guerriero.

Per quelli come me esistevano due soli modi per andarsene con dignità: in un conflitto o fra le braccia d'una bella fanciulla.

Morire in un letto anziano e malato non era nei miei progetti.

 

Il cielo era grigio e nuvoloso e prometteva pioggia quando uscii dunque per la mia nuova avventura.

Era mattino presto e mi trovavo piuttosto lontano da luogo indicato; prendere un mezzo pubblico o peggio recarmici usando la mia auto privata era fuori discussione.

 

Avrei rubato un'automobile.

Non avevo voglia di spaccare finestrini e collegare fili della messa in moto, ma soprattutto volevo guardare in faccia il conducente.

 

Non mi andava di rubare una macchina che sarebbe potuta veramente servire al legittimo proprietario.

 

Così mi sedetti tranquillamente su di una panchina nei pressi della prima edicola che incontrai e mi disposi all'attesa.

 

Non avevo nemmeno ancora assaggiato il mio bastoncino alla liquirizia che si fermò un suv scuro che faceva proprio al caso mio, disponeva anche del full optional dei vetri oscurati per la privacy e del fatto che era un mezzo spazioso, veloce e robusto.

 

Dunque guardai il pisquano di turno completo di vestito firmato e sussiegosa boria scendere tutto pieno di sé per acquistare il sole ventiquattr'ore, ovviamente col motore acceso.

Gettai uno sguardo nei posti a sedere posteriori per assicurarmi che fosse solo; salii lesto al posto di guida gettai la borsa sul sedile del passeggero, feci scattare la sicura e sgommai via.

 

In tutto ci misi meno di una manciata di secondi.

 

Osservai dallo specchietto retrovisore solo per il piacere di gustarmi la scena e vidi che dalla tasca estraeva il cellulare.

Inchiodai, feci velocemente retromarcia, mi fermai alla sua altezza e abbassai il finestrino: impugnavo una pistola.

 

Divenne bianco come un cencio e dalla patta dei suoi calzoni vidi allargarsi una macchia e sgocciolare in terra: l'eroe s'era pisciato addosso.

 

"Tranquillo fratello" gli dissi sfoderando il mio sorriso delle grandi occasioni: "oggi è la tua giornata fortunata: butta il cellulare sul sedile e ti lascio vivere...non è l'affare più vantaggioso che tu abbia mai fatto?

 

Gettò il telefonino in macchina come se improvvisamente avesse potuto scottarsi; lo presi in mano: "fiuuuu blackberry!!!!"

 

Poi gli sorrisi ancora: "ti restituisco anche la tua valigetta" e ciò detto sgommai via, la aprii e la gettai aperta com'era fuori dal finestrino. Immediatamente si sollevò in aria una nuvola di documenti di vitale importanza e guardarlo mentre giocava ad acchiappare quelle farfalle bianche imprendibili nella giornata ventosa mi riconcigliò un poco col mondo.

 

Percorsi un paio di isolati , svoltai nella prima a destra, sganciai le targhe e le buttai nella spazzatura, quindi appesi al ruotone di scorta posteriore una targa Prova. Questo mi avrebbe consentito di non essere da subito nel mirino della Polizia per via dell'auto rubata.

 

Dopo mi diressi fischiettando un vecchio motivetto di moda una trentina d'anni fa verso un centro commerciale piuttosto fuori mano e relativamente poco frequentato e lì caricai in macchina ogni genere di provviste alimentari, libri, infradito, utensili vari.

 

Considerata la descrizione piuttosto dettagliata che gli amici avevano fatto della mia nuova dimora essa disponeva di uno piccolo spazio aperto recintato e retrostante il corpo principale costituito dal capannone, quindi ebbi un'idea.

 

Acquistai quattro sedie in plastica di cui due piccole sdraio, un tavolino circolare pure in plastica ed un ombrellone, alcuni pezzi di prato sintetico e poi come giusta chicca una piccola piscina da montare che sistemai sul tetto del "mio" suv.

 

Gli amici mi avevano organizzato tutto per una lunga permanenza, pertanto disponevo di acqua luce gas di un letto per dormire e quant'altro necessario ma di certo non avrebbero lontanamente pensato a costruirmi il piccolo angolo di giardino che avevo in mente.

 

Soddisfatto dopo aver a lungo controllato di non esser seguito (cosa letteralmente impossibile visto che il luogo si trovava isolato in una zona periferica d'un quartiere portuale) entrai col suv dentro al capannone; il mio era il solo veicolo a percorrere quella breve strada senza sbocco.

 

Così come senza sbocco era la mia vita adesso; solo di una cosa potevo essere certo:

 

Quella strada senza uscita che nessuno in possesso delle normali capacità di intendere e di volere avrebbe imboccato per alcuna ragione al mondo mi rappresentava degnamente, era la giusta metafora delle mie "stradeperdute."

 

Solo che questa sarebbe stata con ogni probabilità l'ultima...

 

 

stradeperdute2

 

 

 

p.s So che avevo programmato un poco di sano sesso per questa puntata, ma mi sono dilungato un po' troppo questa volta e per ragioni di spazio lo metterò alla prossima. Giurin giurello.

 

Sempre confidando nel fatto che Libero non mi banni :-))

 

Felice Vita a tutte/i.

 

Ciao!!!

 

 

 

 

 
 
 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte seconda

Post n°90 pubblicato il 26 Giugno 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

...Questa notte,

si beve

il niente,

del ricordo

su cui

poggia...

 

stradeperdute2

 

 

 

Ti piacciono i fumetti baby? Parte seconda.

 

 

(Stradeperdute e la sua nascita)

 

 

 

La settimana successiva tergiversai e rimandai l'incontro con il Comandante.

 

Presi ferie o malattia, non ricordo bene, e rimasi come in uno stato catatonico; una sorta di stupefazione auto - indotta. Camminavo sotto quella specie di sole malato di fine primavera e ascoltavo solo me stesso, non pensando a nulla.

Questa passività attraversava di quando in quando la mia vita e poiché vivevo costantemente sopra le righe non me ne preoccupavo più di tanto e me la lasciavo scorrere addosso.

Intanto di lì a poco come sempre, ne ero certo come di dover morire un giorno, avrei di nuovo ballato all'inferno...

 

Quando entrai di lì a qualche giorno nell'Ufficio del Comandante, trovai un tipo distinto sulla quarantina che profumava come una baldracca dei bei tempi andati, il quale confabulava con lui su non meglio precisati prodotti per la sicurezza urbana.

Un rappresentante dell'ultima ora che data la crisi vigente, dopo aver venduto mutande di pizzo e altri innominabili, simpatici articoli per il fai da te erotico alle massaie annoiate a domicilio; non aveva trovato di meglio che riciclarsi in questo nuovo target che adesso tirava di più e andava per la maggiore.

 

Quando mi vide entrare congedò con uno sguardo il venditore che si dileguò lasciando dietro di sé una inconfondibile scia all'aroma di bergamotto e legno di sandalo.

 

Non lo lasciai neppure parlare e gli annunciai solo: "il mio nome in codice sarà "stradeperdute"...

 

Fissò ancora una volta il suo sguardo colore celeste intenso nel verde altrettanto intenso dei miei occhi e come sopra pensiero, come se avesse preso una decisione grave ma irrevocabile disse piano: "si, mi pare calzante, mi pare adatto, d'accordo: da adesso lei Ispettore e la sua vita passata non esisterete più; da adesso ci sarà solo "stradeperdute".

 

Fu l'ultima volta che lo vidi, o perlomeno l'ultima di cui abbia ricordo.

 

Nella mia nuova veste nei Servizi Civili entrai subito in un vortice del cazzo di merda di affari loschi, per non dire irriferibili.

Avevo visto tanta merda in vita mia ma mai avrei sospettato che potesse esistere qualcosa di peggio che la fottuta guerra o la periferia dalla quale arrivavo.

Era come vivere continuamente prigionieri di una gabbia dalle sbarre invisibili, o ancora meglio dentro le maglie fini ma ugualmente prive di pietà d'una ragnatela tesa da un padrone - ragno crudele e raffinato.

Qualcuno o qualcosa che in qualsiasi momento poteva prenderti, incastrarti in vie prive di fuga quanto legalmente che fisicamente.

Poteva torturarti oppure ucciderti, tanto tu e la tua storia non esistevi. Infine poteva usarti per i suoi fini e quando sapevi troppo farti sparire...

 

Così dopo molti anni passati a guardarmi continuamente le spalle dai nemici, ma peggio dai così detti amici all'interno della struttura e aver dormito per lunghi periodi con un occhio solo ed il "ferro" sotto al cuscino giunse infine il mio turno.

 

Ciò che tutti gli Agenti dei Servizi temevano: divenire "anziani" del servizio; sapere troppo.

 

Quella struttura non voleva o meglio non poteva accettare questo.

 

Non poteva permettersi il rischio d'una cattura da parte del nemico e di perdere per sempre informazioni preziose estorte in un modo o nell'altro.

 

Ancor meno poteva permettersi un eventuale tradimento e l'inizio d'una collaborazione esterna con esso. Il famoso doppio gioco, insomma.

 

Cominciava allora una sorta di "allontanamento subdolo" dal vero fulcro, dal "nocciolo" del lavoro.

Incarichi sempre più esterni, sempre meno centrali ed importanti, con la scusa altrettanto subdola di una promozione a livelli superiori che diveniva in realtà una sorta di anticamera di decantazione per l'Agente che veniva posto in uno stato di attesa.

 

Quell'attesa poteva essere una specie di prepensionamento prima del dovuto, come un off - side nel calcio, ma molto peggio qualcuno lì dentro stava pensando di fotterti e a come farlo in modo più o meno pulito, in modo che sembrasse un incidente o una missione apparentemente facile nel corso della quale qualche mano che tu ritenevi amica si sarebbe sollevata dietro alle tue spalle relativamente tranquille.

 

E la lunga attesa significava solo che eri diventato una pedina troppo scottante del gioco e quindi altamente sacrificabile e la tua vita a cominciare da quel momento valeva meno di zero.

 

Era esattamente la sensazione che nutrivo io da qualche tempo, non mi dilungo sui miei incarichi precedenti. Ma sapevo davvero molto, troppo.

 

Inoltre ultimamente avevo la sgradevole sensazione che qualcuno mi stesse pedinando ed il fatto che usando tutti i trucchi del mestiere non fossi ancora riuscito a sgamarlo e a capire chi fosse e per quale motivo lo facesse, mi rendeva ancor più preoccupato.

 

Del resto la sensazione c'era e persisteva nel tempo, quindi non potevo ingannarmi; qualcuno mi stava seguendo ed osservando e il fatto che ancora non fossi riuscito a beccarlo poteva solo significare una cosa: purtroppo quel qualcuno c'era ed era un fottuto professionista, proprio come me.

 

Mi volevano fottere, semplicemente, ecco cosa.

 

Nelle settimane successive non detti adito al fatto di nutrire sospetti; continuai a fingere di appassionarmi al mio lavoro come al solito anche se avevo ormai delle consegne poco più che elementari per il mio standard professionale.

 

Di sicuro avevo i telefoni di casa, dell'Ufficio e tutti i cellulari sotto controllo, quindi continuai normalmente a telefonare rivelando solo però ciò che io volevo e pilotando adeguatamente le conversazioni.

 

Ero nella merda sicuramente, e alta anche, l'unico vantaggio seppur piccolo che avevo era che Loro non sapevano che io sapevo.

 

Ciò mi avrebbe consentito di giocare la partita sul mio terreno a loro insaputa.

Ancora il doppio gioco, ancora violenza, ancora guai. Era il mio destino evidentemente, non avevo ancora un piano preciso, ma tanto vale, avrei venduto cara la pelle.

Di questo potevano esser certi.

E sono certo che loro lo sapessero.

Le mie doti fisiche e la violenza quasi brutale frutto anche di lunghi anni di addestramento che talvolta mettevo nell'esecuzione degli incarichi era loro ben nota.

Del resto celare quelle doti per un gigante come me sarebbe stato del tutto inverosimile, se non impossibile.

Viceversa ero praticamente sicuro che avessero sottovalutato la mia intelligenza: non ero tipo da farne sfoggio particolare e loro non avevano mai puntato particolarmente su questo.

Faceva loro più comodo avere una specie di soldato - robot piuttosto che un essere pensante che poteva porsi domande indiscrete.

 

Pensando che ciò avrebbe giocato a mio favore cominciai in modo subdolo ma costante a depistarli.

Inoltre cominciai, tramite utenze telefoniche che avevo con previdente intuito attivato sotto falso nome, ad utilizzare canali di contatto a loro del tutto sconosciuti.

 

I lunghi anni passati a conoscere persone per i più svariati motivi connessi alle mie molteplici attività precedenti nell'Esercito, nelle Forze dell'Ordine e nelle Agenzie di Investigazione stavano per dare i loro frutti.

 

Un piano, a livello poco più che embrionale per ora, aveva cominciato a nascere dapprima come un'idea del tutto oziosa e velleitaria poi a maturare via via da qualche parte della mia mente ormai malata, dominata ormai poco dalla ragione e per lo più dagli istinti bestiali della guerra e dei Servizi.

 

Continua.

 

 

stradeperdute2

 

 

p.s la prox puntata un po' di sano sesso esplicito; promesso ;-)

 

 

ciao.

 

 

 
 
 

Ti piacciono i fumetti, baby?

Post n°89 pubblicato il 03 Giugno 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

Mi dici: "Zitta tu, sei un buco, una fica, tu non hai parole."

 

Il tuo cazzo solo, ha parole; me le pompi dentro,

 

fino a che non esisto più.

 

Fino ad averti ovunque, dentro, fino a riempirmi tutta, di te...

 

(Tratto dalla Maschera di Scimmia)

 

 

 

Interno sera, sul tardi, (nel bunker)...

 

(Stradeperdute riflette)

 

 

 

 

Alla fine ero fuggito da tutto e da tutti, il fatto è che mi ero congedato ormai da tempo dal bagno di sangue del Golfo e il posto statale che mi avevano riservato nelle forze dell'Ordine non faceva al caso mio.

Troppe cazzate, riunioni inutili, conferenze colte sul disagio e la repressione sulle paure urbane che nessuno ascoltava.

La solita corsa alle carriere e i soliti politici che si erano messi in bella mostra con il menù di sempre a base di amichevoli poliziotti di quartiere e segretarie-amanti bellone, ticchettanti su tacco 12 che accompagnavano ovunque i conferenzieri complete di agende elettroniche.

 

Io ero uno della vecchia guardia e tutto quel condimento del nulla mi era venuto alla nausea.

 

Avevo intrapreso una breve carriera bruciando qualche tappa e acquisendo qualche grado. Poi ne avevo avuto semplicemente abbastanza.

 

Un giorno ero piombato nell'Ufficio del Dirigente.

Era un uomo del mio stampo, uno che durante la sua carriera ne aveva viste tante e aveva la mia stima.

Quando entrai senza appuntamento alzò lo sguardo corrucciato verso di me e al solito mi guardò dritto negli occhi.

I gradi dorati gli scintillarono sulla divisa impeccabile quando non senza una venatura di ironia, mi indicò la sedia di fronte a lui: "Entri pure, non faccia complimenti, come fosse a casa sua. Se vuole le spazzolo la giacca..."

Non riuscii a trattenere la risata che sgorgò così spontanea che finì col coinvolgere anche lui, suo malgrado.

 

Senza ulteriori preamboli venni al punto: "Basta così con la carriera civile, voglio entrare nei Servizi.

 

Lui c'era stato nei Servizi, io ero stato nell'Esercito e nel mio palmarès figuravano ,manco a dirlo, anche operazioni sotto copertura.

 

Scrutò a lungo fuori dalla finestra del suo Ufficio luminoso di Dirigente, di uomo arrivato e i suoi occhi cerulei guardarono lontano, come persi in vecchi ricordi sopiti, per un istante parvero confondersi con l'azzurro terso della mattina fuori.

 

Temporeggiò in modo per lui inconsueto, soppesando quel lungo momento in cui tutto sembrò sospeso.

L'unica cosa che si poteva percepire nella stanza era l'aroma dei nostri rispettivi dopobarba.

 

Infine ruppe il silenzio:

 

Senta Ispettore, mi disse: "io la conosco, o meglio, conosco i tipi come lei".

Sempre in guerra con il mondo, cosa le manca? E' venuto via da un casino dove per un pelo non ci lasciava la pelle e non è detto che lì non si sia bruciato il cervello.

 

Abbiamo la stessa età noi due, anche lei comincia ad aver le tempie spruzzate di grigio. L'avevo messa in Ufficio e d'accordo, non le va. Non piace neanche a me a volte stare qui con le finestre chiuse e l'aria condizionata accesa. La capisco.

Ma perdio! La strada con i suoi casini non le basta?

Cosa cazzo crede di dimostrare?

A proposito lei mi dovrebbe spiegare che cosa si è ingegnato a fare nei cinque anni che mancano dalla scheda del suo curriculum. Dal suo congedo dall'Esercito a quando è stato assunto qui da noi c'è un buco temporale piuttosto lungo.

 

"Un po' di tutto" risposi, la cosa più rilevante che mi ricordo è che avevo già molte ore di volo al mio attivo per conseguire il brevetto di pilota per la nostra compagnia nazionale, poi litigai con quella gran testa di cazzo del direttore di corso.

 

Aveva preso di mira un ragazzo in difficoltà e non lo lasciava più vivere, non sopportavo più il suo modo di urlare e di insultarlo.

Poi una mattina arrivai all'accademia già su di giri di mio e quando ricominciò con la solita solfa con quell'allievo che gli era assolutamente succube non ci vidi più.

 

Mi alzai dal mio posto e mi avvicinai al direttore dicendogli di fare attenzione che gli era caduto qualcosa. Quando si chinò per guardare lo colpii con un pugno dal basso verso l'alto che gli fece cadere un paio di denti.

Ecco cosa le era caduto, gli spiegai in tono calmo, quasi sottovoce...

 

Poi naturalmente fui espulso con ignominia dal corso e feci i documenti di imbarco per salpare con un mercantile dal porto di Genova, qualunque incarico a bordo mi sarebbe andato bene, ma nel frattempo conobbi una donna che mi pregò di non partire.

 

La ascoltai e non partii, in seguito ben presto la storia terminò e incominciai una girandola di mestieri, forse non li rammento tutti.

 

Comunque ricordo che feci l'autista, il pugile, il buttafuori, la guardia giurata, la guardia del corpo, il portiere di notte, il bagnino e l'operaio.

Ah, si anche l'accompagnatore per un certo periodo, quand'ero giovane.

Cosa vuole le signore piuttosto anziane ma ancora piacenti e soprattutto piene di soldi e di tempo libero si annoiavano facilmente, non avendo nulla da fare dopo la palestra e il parrucchiere e la canasta con le amiche.

Allora cercavano un massaggiatore bravo, riservato e soprattutto con happy end finale...magari che le accompagnasse anche a cena sapendo sostenere uno straccio di conversazione e che fosse in grado di proteggerle in caso di bisogno da eventuali malintenzionati...

 

Il Comandante al termine del discorso, non sapendo cosa dire sollevò lo sguardo al soffitto e sbattè i pugni sulla scrivania.

 

"Sta bene, ci vediamo qui fra una settimana esatta...."

 

 

 

Continua qui, ciao bellezze ;)

 

stradeperdute2

 

 

 

 

 
 
 

UNA GITA ALLO ZOO

Post n°88 pubblicato il 02 Aprile 2011 da stradeperdute2
 
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Nel mezzo del cammin della mia vita mi ritrovai in un ipermercato (che la diritta via avea smarrito) in più era Sabato...

 

In uno tsunami di facce e carrelli che si aggrovigliavano selvaggiamente in modo inestricabile (ed inesplicabile) attesi fischiettando e fingendo di nulla con il carrello ben nascosto in una zona neutra (vicino agli scaffali della merda surgelata) celando artatamente le mie reali intenzioni di acquisto....

 

Ebbi anche la ventura di scorgere fra quelle facce esemplari rari: lo scemo del villaggio, il furbetto del quartierino e fra tutti il più raro, l'uomo medio qualunque; di altezza media, vestito in modo qualunque con un fare qualunque, quasi impossibile da individuare...

 

poi...improvvisamente feci scattare il blitz: noncurante d'una vecchia che era rimasta malauguratamente agganciata al porta acqua del mio carrello mi lanciai in una folle rincorsa per gli scaffali oberati di gente dell'ora di punta...

 

Alcuni sciocchi scellerati cercarono invano di contrastarmi; mal gliene incolse: la mia altezza di circa due metri e la mia massa enorme facevano la differenza. Avanzavo comunque ed ovunque come un primitivo che aveva infine rotto gli indugi e le acque, riempiendo il carrello a caso.

 

Era come una sorta di frenesia alimentare simile a quella che coglie gli squali quando banchettano mordendo anche i loro simili ed essi stessi.

 

Per non sbagliare infilai nel carrello pure qualcosa di non alimentare: camicie, profumi ,ciabatte estive infradito, canotti pinne e quant'altro...

 

Poi così come era cominciata la follia consumistica cessò...col carrello colmo di masserizie inutili d'ogni tipo, iniziai a rilassarmi e a guardare con aria saccente e riprovazione a stento trattenuta chi era arrivato tardi e ancora il carrello l'aveva vuoto o quasi.

 

Mi sfogai poi sull'edicola dei giornali dove acquistai riviste di profondo impegno (ricordo alcuni titoli): come farlo su un unghia incarnita, piccole escort crescono, come coltivare le proprie ambizioni senza fottersene niente degli altri, andè tut foeu di ball, fallo godendo come una porca senza inutili seghe mentali, compra il costume da bagno del colore adatto a far pendant col tuo cane e bunga qui bunga lì...

 

Poi mi diressi dinoccolato e spigliato verso le casse automatiche dove si udiva una ben strana eco: "centesimi, entesimi, ntesimi, tesimi, simi, imi, etc.

 

Diedi un'alzata di spalle e dato che la cassiera di guardia era giovane e carina cominciai a fare il brillante facendo battute inedite del tipo "cara hai del fuoco, dove ci siamo già visti, non pago così ti arrabbi e diventi ancora più carina, ce l'hai il porto d'armi perchè mi hai procurato profonde ferite al cuore, ho perso il mio numero di telefono potresti prestarmi il tuo" e via elencando.

Per rimorchiare, dai ecchecazzo.

(Vabbè ho capito ora si dice bunga bunga, ancora devo scaricare i miei aggiornamenti)

 

Lei mi guardò fisso nelle palle degli occhi e senza nessuna vergogna mi disse: "per me solo uomini con le palle e tu ce l'hai?"

Io la guardai a mia volta profittando della mia altezza direttamente nella scollatura e le dissi : "per le palle stai guardando all'altezza sbagliata..."

Era esattamente ciò che si aspettava le dicessi: non attese oltre e mi diede immediatamente il suo numero di cell.

 

Dopo un paio d'ore mi fermai per chiamarla e cavai fuori il numero, ma fu solo allora che mi accorsi che si trattava del codice a barre. :-)

 

Ciao. Ciao. (Buon Week end e miglior Lunedì)

 

Perdutamente Vostro.

 

 

 

stradeperdute2.

 

 

 

 
 
 

A WAR OF OTHERS

Post n°87 pubblicato il 28 Marzo 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

 

N.d.R 

Domando assolutamente scusa per la lunghezza delle 3 cartelle ma l'essere più sintetico di così avrebbe inficiato non poco la descrizione dei fatti quali si sono svolti.

Domando altresì scusa per il linguaggio necessariamente crudo, ma (spero) mai gratuito.

Un caro Saluto alle mie affezionate lettrici e lettori.

Ciao.

 

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Albeggiava di nuovo sulle rovine di quella che doveva essere stata una città ricca e gloriosa.

 

Eravamo acquattati ai piedi d'un enorme palazzo sventrato fra rottami di risulta d'ogni tipo.

Erano segnalati strani movimenti all'interno di quel palazzo e dicevano che lì una giovane donna era stata uccisa per gioco, dopo che i mercenari nostri avversari ci si erano divertiti a lungo.

 

Mercenari: le labbra mi si piegarono in un sorriso senza gioia; noi invece, che cosa eravamo?

 

E chi cazzo ero io, "uno che si credeva Dio" come mi aveva urlato in faccia con disprezzo mio padre, quando gli avevo comunicato la mia intenzione di partire per questo fronte.

Un fronte come tanti. E come molti altri ce ne sarebbero stati in futuro.

 

Faceva freddo per la latitudine alla quale ci trovavamo e distratto guardai le spalle larghe e ornate dei gradi dorati del capitano muoversi rapidamente scosse da un brivido lieve. - Il freddo, o l'attesa? -

 

Sbadigliai a lungo: avevo dormito poco e male ultimamente. I turni e le marce erano tutte forzate, ma non era neanche questo, quanto i fantasmi che avevano cominciato a ballare.

 

I fantasmi delle mie vite passate e anche di questa che stavo facendo, come no.

 

Comunque fosse ci apprestavamo ad entrare seguendo il solito schema di sicurezza di sgombero: in pochi elementi per ciò che avremmo potuto trovare all'interno e buona fortuna e stasera dai che si va a puttane etc.

 

Non molto distante si udivano i colpi secchi dell'artiglieria che si apriva un varco e tutte le altre operazioni della guerra fottuta.

Riflettei solo per un attimo sulla porca vita che mi trascinavo da quando ero venuto al mondo, il passato trascorso nella periferia, la boxe, le risse e adesso quella porca guerra a giusto coronamento.

Un colpetto al gomito d'uno dei miei mi riportò alla realtà: l'operazione cominciava.

Ammiccai alla sagoma d'una bambola rotta che mi fissava con i suoi occhioni azzurri spalancati dalla cima d'un cumulo di macerie e da praticamente sdraiato mi alzai in piedi di colpo, facendo venire un mezzo infarto agli altri.

"Cristo" disse uno di essi "quando la finirai con queste cazzate".

Si chiama il salto del poltrone non cazzata, prova a farlo tu se ti riesce, risposi sottovoce.

Grugnì qualcosa che non capii e ci dividemmo secondo l'ordine prestabilito. Rimanemmo in tre, il capitano un soldato scelto ed io. Inforcai i ray ban per vederci meglio fra le ombre incerte del palazzo. Ed entrammo.

 

Quando fummo all'interno del grosso edificio in brandelli ciò che subito mi colpì fu l'odore persistente di umanità.

Il tipo di umanità indigente e precaria della guerra intendo.

Un tappeto di rifiuti in terra, niente vetri alle finestre e l'odore, quell'odore inconfondibile d'uomo, di caffè e sudore rancidi, di cucina approssimativa e polvere da sparo.

Poi veloce, molto veloce una sagoma e la sua ombra alla mia sinistra si mossero verso noi, o meglio verso l'uscita spalancata alle nostre spalle.

Ebbi il tempo di scorgere nel ghigno dell'uomo che correva nel chiarore incerto, uno degli uomini a noi segnalati. Visto già nelle foto che tenevamo in tasca.

Ebbi solo il tempo di pensare scioccamente alle sue movenze feline, da uomo addestrato alla guerra. Poi piantai bene i piedi in terra e feci scattare entrambe le mani che reggevano il Fal da l'alto verso il basso.

Il calcio del Fal si schiantò con un crac sul mento e la mandibola dell'uomo che cadde di lato come una pera matura cade dall'albero, sputando un paio di denti.

Feci cenno al soldato che lo ammanettò alle tubature del muro di rimanere in custodia e passammo oltre.

Adesso eravamo io e il capitano, soli con noi stessi. Lo sentivo respirare appena accanto a me ogni volta che entravamo in una stanza dell'ala del palazzo, le armi in pugno, schiena contro schiena i nervi tesi e rilassati al contempo, i muscoli pronti allo scatto che significava vita o morte.

La guerra è solo bianca e nera, non concede soste nè indulge a sfumature di sentimenti e colori né spazi oltre al sentire che non sia basico: fame, sete, sforzo, scopare, vita, ferita, morte. Non esiste altro.

L'orrore se ne sta buono buono da qualche parte in fondo alle viscere e viene fuori dopo, solo dopo a torturarti, da vero macellaio coscienzioso.

Salimmo con grande prudenza quelle enormi scale che parevano non voler finire mai.

Non sapevamo certo chi o che cosa avremmo trovato alla loro sommità, ma sapevamo certamente che non ci sarebbe stato il paradiso per noi lassù.

O forse si? L'eventualità che qualcuno mi attendesse, ci attendesse per regalarci la nostra dose di piombo era tutt'altro che remota.

Dentro me conoscevo fin troppo bene ciò che si diceva nell'ambiente di noi (fra noi) che alla guerra non eravamo obbligati. "Vanno lì perchè nel loro destino c'è una pallottola con su scritto il loro nome. Tutto qui, si cercano a vicenda essi e la loro pallottola finchè uno dei due non troverà l'altro e i giochi saranno compiuti."

Ci pensavo sempre a questo detto come ad un eterno refrain, un motivo che non mi abbandonava mai: "anche tu? Anche tu sei in cerca della pallottola con su scritto il tuo nome?" Si il mio è inciso a caratteri d'oro, mi dicevo, e ciascuno di noi lo pensava, senza nessuna allegria.

Poi giungemmo in assoluto silenzio all'ampio locale che dava sulle scale e fu lì che lo vidi: era un uomo robusto ma atletico, stava comodamente seduto sulla sua sedia di formica, il fucile di precisione con il cannocchiale ed il silenziatore montati e prendeva accuratamente la mira. Sparava ai suoi, a quelli della sua stessa razza. Faceva il mestiere della guerra: faceva il cecchino.

 

Gli arrivai alle spalle senza che lui si accorgesse di nulla come l'angelo della morte, della sua morte. Con delicatezza gli appoggiai la canna della Beretta alla nuca e sollevai il cane che fece un dolce "tlic" di ingranaggio ben oliato.

Ricordo che non pensai proprio a nulla, la mia mente era semplicemente vuota, come un panno bianco ero pronto, pronto a sparare, a uccidere. Era la guerra, era solo un lavoro come un altro, io non entravo nelle storie personali e non ci volevo entrare, men che mai in questa.

 

Trasalì appena da animale avvezzo e senza proferir verbo alzò le mani in segno di resa.

Mentre il capitano gli sequestrava il fucile mi chinai su di lui quasi guancia contro guancia e gli soffiai all'orecchio: "dammi solo un motivo per spararti."

Poi lo afferrai brutalmente per la collottola da dietro e lo scagliai a terra insieme alla fottuta sedia. Urlò qualcosa in modo soffocato e accennò bruscamente a rialzarsi ma la suola vibram del mio anfibio gli martoriò il collo, schiacciandolo al suolo.

Lo risollevammo e lo portammo via reggendolo giù per le scale, di corsa, ed io sentivo come un rimbombo nella testa: "uccidi! Uccidi! Uccidi!" come l'imperio d'una urgenza, d'una istanza non più procrastinabile che adesso fosse tornata spietata ad esigere un vecchio debito.

 

In breve lo consegnammo ai soldati di sotto, di ritorno dal sopralluogo del perimetro dell'edificio e andammo nel locale adiacente a rilassarci e a fumare una sigaretta.

 

Fu un attimo, il tempo d'una veloce colluttazione con i soldati lontano dagli occhi miei e del capitano ed il cecchino, il dannato professionista della guerra, riuscì a liberarsi.

 

Lo guardai entrare nella stanza dove noi eravamo, i tratti del volto contratti in una smorfia d'odio puro e di cieco terrore affondare la mano in una delle tasche della giubba color kaki e cavarne una lunga robusta forbice del tipo da uffici. Scagliarsi forbice in pugno, come nella trama d'un film senza lieto fine contro il capitano, più vicino di me a lui.

La mia mente allenata in quell'istante mi comunicò stupidamente solo: "forbici, arma impropria", ma la mia mano no.

La mia mano fece il suo dovere, scese rapida alla fondina ed estrasse la Beretta ancora armata.

Presi la mira con calma relativa, poi il dito andò al grilletto e lo accarezzò piano per non "strappare" il colpo. Fra le mura si udì un rumore assordante come di mille spari che si facessero la eco di morte l'un l'altro.

La rincorsa del cecchino verso il capitano come di incanto cessò a mezz'aria e rivolse a me uno sguardo colmo di risentimento e di sorpresa. Poi cadde, come un'esecuzione al rallentatore, si rannicchiò su se stesso e cadde come schiantato a terra.

Appena sopra il suo ginocchio guardai aprirsi un'enorme chiazza rosso scura colare copiosa e coprire tutto. Il pavimento, gli abiti, tutto.

Avevo mirato giusto: avevo salvato la vita del capitano e anche la mia e non avevo ucciso. Non ero Dio, in fondo, non avevo diritto di prendermi la vita d'un uomo, nemmeno quella d'un cecchino. Nemmeno quella d'un professionista della guerra e della morte che sanguinava come un maiale qualsiasi, nulla più nulla meno.

 

Epilogo:

 

Nel corso d'un successivo sopralluogo in un grande edificio abbandonato adibito prima dello scoppio della guerra ad officina adiacente a quello da noi perlustrato trovammo il cadavere d'una donna orribilmente mutilato e lavorato di coltello che i due da noi catturati, messi sotto pressione confessarono di aver ucciso.

 

Io qualche tempo dopo detti segno di quello che in gergo si chiama "stress da guerra" o "nevrosi da combattimento" e durante una normale operazione logistica senza importanza misi le mani addosso ad un commilitone pivello, reo di aver fatto pesanti battute sul piacere che si prova a fare anche solo 10 minuti di guerra, scaraventandolo giù da una autoblindo in corsa.

 

Fui promosso per la brillante azione precedentemente condotta e per altre operazioni ebbi encomi e riconoscimenti vari, ma di fatto la mia carriera "operativa" volgeva al termine ed io e tutti gli altri lo sapevamo.

 

Non ci fu bisogno di dare spiegazioni ulteriori quando mi presentai negli Uffici del Comando Generale e firmai le mie dimissioni. Nessuno fiatò.

 

Passai velocemente in rassegna le camerate dell'Unità di crisi e salutai frettolosamente il capitano e gli altri.

Poi fui rimpatriato.

Tornai "allamiaperiferiamicatantotranquillapureintempodipace" italiana, da dove sarei ancora fuggito, questa volta per sempre.

 

Ma questa è un'altra storia.

 

La mia pallottola non la trovai (o lei non trovò me) e la mia guerra degli altri cessò.

Ma vi posso assicurare che la mia guerra con la vita quotidiana è appena agli inizi...

 

Sentitamente Vostro

                                                                               stradeperdute2

 

 

 

 

 

 

 
 
 

BUON COMPLEANNO ITALIA

Post n°86 pubblicato il 17 Marzo 2011 da stradeperdute2
 
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BUON COMPLEANNO ITALIA

 

 

Penso a Te. a quanti durante la Tua Storia tribolata ti hanno posseduta, a tutti i passi stranieri, alle orme che ti hanno calpestata.

Penso a quante volte il compasso del conquistatore ha disegnato, arbitro in terra nostra, i tuoi confini e quello delle tue regioni.

Ai luoghi comuni che adesso che il conquistatore se n'è andato (?) ancora e più di prima ti abitano.

A quel popolo (?) che ti abita, di sottoinsieme di somma di individui, ciascuno con testa sua ma accomunati da corpo di pecorella.

(Motto nazionale: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.)

Penso all'analfabetismo di ritorno; (ma quando se n'era andato?)

Penso al nucleare alle porte e alla nostra "proverbiale organizzazione".

 

E poi, da buon italiano medio egoista ed individualista, penso a me.

A tutte quelle volte (e ce sono state tante , ma tante) che in un affollamento di ruoli ed occasioni che manco più ricordo, ho salutato il TUO, IL NOSTRO Tricolore al vento.

A volte con una lacrima di giusta, composta commozione; altre volte (e sono state almeno altrettante) con una rabbia sorda, grigia in petto.

Trattenendo a stento lo sdegno. Per quella che tu sei: una madre puttana.

Una madre alla quale rivoltarsi e da abbandonare a se stessa.

Abbandonare, come ho fatto io, le tue periferie di abominio, fagocitanti dell'Io.

 

Penso ai segni che mi hai lasciato addosso e che mi porto dentro, che non mi lasceranno mai.

 

Penso alla bellezza amena, talvolta travolgente dei tuoi luoghi e a me, che dei tuoi luoghi ho frequentato sempre i più infrequentabili.

 

Io italiano tedesco nell'organizzazione, italiano olandese nel mio sempiterno anelito di libertà, italiano francese nella mia arrogante fierezza.

Non italiano, semplicemente, nella mia desolata malinconia in mezzo ad un popolo che sempre si diverte, non conformista in mezzo ad un popolo tutto anticonformista allo stesso tempo e modo.

 

Penso a quello che mi hai dato tu madre puttana e devota: e a quello che io mi sono preso.

PATRIA Madre Mia: ho un debito con te, ma anche un credito...tu SEI COSÌ GIOVANE HAI APPENA 150 ANNI.

Diamoci Tempo, prima o poi capirai...allora passerò a riscuotere il mio credito.

 

VOGLIO ANCORA CONTARCI, VOGLIO ANCORA CREDERCI.

 

BUON COMPLEANNO ITALIA.

 

W L'ITALIA.

 

 

stradeperdute2

 

 

 

 

 
 
 

Ossimoro

Post n°85 pubblicato il 02 Marzo 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

 

E' da molto che volevo sottoporre alla Vs c.a. di colte lettrici e lettori una serie di interessanti ossimori.

 

Ossimoro 1) (puramente ipotetico)

Cosa ne pensate Voi di una donna (ovvero di un uomo) che esercita il meretricio al fine non tanto d'un bisogno nè primario, nè tantomeno voluttuario di procurarsi cultura tramite l'acquisto di quel "monumento"della cultura e alla cultura (italiana e non) che è l'enciclopedia Treccani??? 

 

(rispondete numerosi)

Grazie.                                                                                 stradeperdute2

 

                                                                          

 
 
 

INTERAZIONE D.

Post n°84 pubblicato il 27 Febbraio 2011 da stradeperdute2
 
Foto di stradeperdute2

I Vs Commenti sui Vs desideri sono il mio desiderio.

 

(Desideri e affini)

 

 

 

Attraverso i Vs commenti a questo post vogliate gentilmente esprimere e svelare i Vs desideri.

 

Ora non postate frasi del tipo: la pace nel mondo, la salute vostra e dei vostri cari, un mondo senza guerre e carestie, senza malattie etc.

 

Questi sono desideri che noi tutti/e persone di buon senso e di buon cuore abbiamo.

 

Non siate così generici; partiamo dall'assunto di vivere in un mondo dove queste macro-criticità sono divenute purtroppo endemiche.

 

Mettete la carte in tavola.

 

Siate il più possibile specifici e microscopici.

 

Postatemi le Vs istanze urgenti e assolutamente indifferibili.

Postatemi ciò che domani vorreste fare o vorreste vi accadesse o non vi accadesse.

 

Siate il più possibile smaccatamente autoreferenziali.

 

Riferite cosa accade in voi quando il vs vicino x la milionesima volta ha fatto pisciare il suo cane sul vs zerbino.

 

Riferite cosa accade in voi quando il vs capo ha dato la promozione che spettava a voi all'ultimo arrivato.

 

Riferite le vs pulsioni inconfessabili quando guardate passare la vs vicina gnocca sui tacchi 12 (o il vs vicino gnocco) (possibilmente non su tacchi 12 :-) )

 

Insomma il senso vero del gioco, (spero), lo abbiate compreso.

 

p.s va da sé che mi interessino soprattutto le vs pulsioni inconfessabili pruriginose, ossia l'ultima che ho detto. ;-))

 

 

 

 

Anticipatamente ringrazio.

 

I più Cordiali Saluti.

 

 

                                                                                 stradeperdute2

 

 

 
 
 
 
 

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