Una volta Mia aveva guardato dritto negli occhi il Blecht. Per qualche momento aveva sentito che da dentro un grosso pungiglione le succhiava l'anima. L'errore era stato domandarsi da dove quel pungiglione si fosse attaccato a lei,come l'avesse agganciata. Non ce l'aveva fatta. Era rimasta lì, non era riuscita a raggiungere nessun'altro posto dentro Se' dove mettersi in salvo. Sarebbe morta, lo sapeva. Forse non avrebbe mai più occupato lo spazio tra la scarpiera blu e il rosa bidè del suo bagno. Forse avrebbe perduto per sempre la capacità di leggere i pensieri dei guardiani della stanza dei desideri. Forse avrebbe perso la voglia di ascoltare i loro racconti, su quello che accadeva nel bagno di casa sua. Nessuna altra favola da ascoltare, nessun altro posto in cui dormire dentro un pianoforte. Niente più lacrime che scendevano giù sussurrando parole dolcissime da ascoltare per rimettere insieme anche il cuore più malmesso. Niente più, pomata al profumo di limone dentro nessuna parola per lei. Niente più gomme da masticare per fare palloni aerostatici. Palloni aerostatici con dentro la musica della sua anima soffiata dentro. Violini antichi fatti venire da amici potenti e silenziosi che dall'ombra vegliavano sulla sua felicità. Tutto per lei per condurre i suoi sentimenti fuori da se stessa, fuori da ogni intrusione nemica del Blecht sempre in agguato per rubare e depredare territori che non erano suoi. Anche se costretta in quello spazio e in quel tempo, la sua anima avrebbe fatto delle graziose pirotte nell'aria sollevandosi dentro palloni colorati pieni delle sue note. Che suonavano i suoi globuli rossi. I suoi linfociti. La sua bile. I suoi succhi gastrici. I suoi neurotrasmettitori. L'orchestra più variegata, l'orchestra più improbabile con suonatori provenienti dai paesi più lontani e dal sapere musicale più distante. Eccola lì, sollevarsi in palloni colororati sgabbettanti come prime ballerine, dentro palloni pieni di Mia. Niente più. Non sarebbe rimasto altro. In un attimo avrebbe perduto tutto. Domandandosi chi avesse dato al Blecht la chiave per entrare. Come avesse fatto il Blecht a sapere che l'avrebbe trovata lì. Dentro quel bagno. Dentro quello sguardo. La paura di perdere la dolcezza di quel mondo che con tanta pazienza si era conquistata, la scosse così terribilmete. Così terribilmente che per giorni perse la strada e non seppe più fare ritorno dal bagno a casa sua. Perse l'orientamento e non seppe riaprire la porta della stanza dei desideri. Rimase nello spazio tra il lì e l'Altrove.
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Resto qui e non esco più.Resterò qui e non uscirò più. Va bene. Va bene. Le cose non sono solo le cose in se, ma anche lo spazio tra loro stesse e le altre cose. Per questo senza calpestare nessuna mattonella, entro in questo bagno con i sanitari rosa e mi sistemo tra il bidè e la scarpiera blu. Tra il bidè e la scarpiera blu. Che sarebbero qualcosa. Ma con me, in mezzo a loro diventano qualcos'altro. O potrebbero diventarlo. Mi sistemo qui, mentre la porta si decide ad aprirsi. Oggi i custodi delle mattonelle si prendono gioco di me. Oggi sono crudeli, mi lasciano qui fuori e non mi permettono di entrare. Resterò intrappolata qui. Tra questo bagno e casa mia. Tra casa mia e questo bagno. Resterò qui, ma mi viene da vomitare. Resterò qui ma non riesco a dormire. Non trovo più note dentro i miei pensieri. Non capisco il senso dei miei pensieri, perchè sento solo rumore. I miei pensieri? Li guardo come se fossero delle istantanee che scorrono appese a nuvole paffute. Ora passa l'occhio gigantesco di una mucca bianca e nera. Poi una gigantesca bocca spalancata senza neppure un dente, ecco i girini, gli spermatozoi, gli elfi neri con i cappelli a punta, i biglietti aerei con mammele gonfie di latte. Questi sono i miei sentimenti. Mi fate entrare adesso? Ho fatto tutta questa strada, ho aperto la porta. Mi hai fatto accomodare. Guardo il lettino senza me distesa sopra. Le cose non sono solo le cose in se, ma anche lo spazio tra loro stesse e le altre cose. Lo so, ne sono certa. Tra me, questa sedia, il mio analista e quel lettino, c'è lo spazio, tutto lo spazio dell'universo, che renderà la cosa in questione, cioè me, persa dentro la relazione con le altre cose. Persa. E quando apro le mie braccia per fermare lo spazio, non posso non pensare che non mi piace la mozzarella.
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ed era il profumo dei limoni. Ed era odore di zucchero filato. Ed era come dormire dentro un pianoforte. ed era come respirare l'odore dei pensieri che non si potevano pensare. Come lasciarsi sussurrare parole senza senso. parole nuove senza senso. Alcune parole erano spezzettate dal suono metallico. Altre morbide ed appetitose. Il senso non aveva importanza. L'estasi del sentire. l'estasi. Nessuna spiegazione da rincorrere frettolosamente. Con la fronte sudata e la pelle offesa dall'odore di mille risposte inadeguate, inafferate. L'estasi dello stare. Nel non senso. Esistevano posti in cui poteva esserci musica al posto dei pensieri. Esistevano posti in cui il desiderio si esprimeva attraverso la forma, attraverso il colore, libero dalla prigionia di qualsiasi concetto. Esistevano granelli di sabbia dentro i quali passeggiare per mesi. Con il solo silenzio della felicità come destinazione. Esistevano sentimenti che salivano dal mare, facevano venire il mal di testa ogni tanto. Esisteva un campo di margherite dove addormentarsi. Esisteva il calore delle lacrime sul viso. Il calore delle lacrime sul viso. Come un falò intorno al quale scaldarsi. Col profuno della legna che arde, e le scintille del suo scoppiettare imprevedibile. E gli occhi potevano essere lanciati in aria. Potevano essere lanciati lontano dal resto del corpo. Mentre le mani impastavano fango ed i piedi altrove erano stesi ad asciugare sul filo della biancheria. Ma il mal di testa poi passava. E gli occhi ritornavano sempre al loro posto. Un giorno Mia pensò a quel falò di lacrime che la riscaldava. Pensò che quelle scintille potevano essere sparate sino in alto nel cielo. Ed accadde. Ed accadde che quelle lacrime divennero stelle. Ma poi tornarono anche loro. Tornarono piombando giù dal cielo come monete d'oro. Fu lì che Mia commise l'errore di pensare di potersene arricchire.
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Mia aveva capito che, quando arrivava il Blecht, doveva restare ferma immobile, doveva smettere di respirare e diventare "Niente". Il rischio sarebbe stato il furto dell'anima. Quell'essere spaventoso aveva il potere di rubare l'anima di chi si aggirava nelle terre del suo regno. Bastava che incrociasse i loro occhi. Piantava nelle pupille del malcapitato le proprie e ne rubava i pensieri, le emozioni che si muovevano dentro quegli sguardi. Una volta che aveva preso cio' che desiderava li lasciava confusi e pieni di sensi colpa, convinti che quel mostro terribile fosse il re di quel regno per davvero, e che ogni re avesse il diritto di conoscere i pensieri dei suoi sudditi. Per questo Mia sapeva che essere Niente era la sua unica via di scampo. Come avesse imparato a essere niente era un mistero. Se il blecht la coglieva all'improvviso bastava che si rannicchiasse tutta in una noce e sparisse appena sopra alla radice del collo. Tutto diveniva talmente immobile da far pensare che non ci fosse nulla di vivo dietro quei fari spenti. Se il blecht arrivava mentre era nel bagno di casa sua, poteva guardare le mattonelle indovinarne i sentimenti e passare nella stanza dei desideri. Quando era lì poteva accadere qualsiasi cosa fuori. Lei sarebbe stata al sicuro.
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Capito' cosi'. Per gioco indovinava i sentimenti degli esseri che abitavano le mattonelle del suo bagno. Non si trattava di semplici macchie bianche su sfondo nero, come aveva precedentemente pensato. Erano vive, pensanti esseri dotati di emozioni. Emozioni a tonnellatte. Bastava star lì a guardarle per fare indigestione di emozioni. Ognuna con un odore specifico, ognuna con una consistenza diversa, ognuna con un sapore distinto. Nutrimento e bellezza. Mia non poteva sapere di essere come un affamato nel deserto che iniziava a ingoiare sabbia. Non sapeva. talvolta ciò che ci ha salvati in un'epoca è la nostra rovina in un'altra. Ironia. Le venne offerto il bicchiere. e bevve. piccoli sorsi, piccoli sorsi. Quando questi maghi perduti nel vento, quando queste fate invecchiate negli occhi di chi cercava occhi da guardare, ebbero nomi e personalità, quando lo spazio tra il mondo della ceramica ed il mondo degli esseri fatti di globuli rossi e pelle ed ossa ed infinite solitudini si fece più simile, allora e solo allora questi esseri si misero a parlare. ed ogni volta che mia indovinava le loro vite ed i loro sguardi, loro le regalavano la stanza dei desideri. Si facevano da parte sulla mattonella, ridacchiavano, potevano essere dispettose e fare qualche bizza, potevano essere imbronciati e fingere che lei non li avesse indovinati, potevano essere docili e affabili, raccontare a loro volta qualche segreto misfatto del vicino di mattonella, le solleticavano le dita dei piedie poi il viso e dopo qualche attimo era di là, aveva passato il passaggio segreto. Nessun insegnante di psicologia le avrebbe mai insegnato quello che le avevano insegnato le mattonelle del suo bagno.
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..........IO SONO L'ULTIMA COSA CHE MI RIMANE
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