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Un blog creato da celr il 27/02/2007

Synaptic Mind

Cosa si dice di nuovo nell'ambito della Psicologia Sperimentale...

 
 

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Chiara Incorpora
kiaramella83@libero.it 

Edoardo Santucci
edoardosantucci@yahoo.it
Lidia Cristofaro
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Raffaella Pellegrini
raffyw@yahoo.it

Laureandi in Psicologia della Comunicazione presso l'Universita' Cattolica di Milano.
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Questo blog nasce con l'intento di fornire informazioni aggiornate relative all'ambito della psicologia sperimentale, con particolare attinenza al campo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze da un lato, e della psicologia della comunicazione dall'altro.  Data la trasversalita' di queste discipline le ricerche raccolte pertengono a numerosi altri settori limitrofi: dalla clinica alle nuove tecnologie.  L'obiettivo è quindi quello di segnalare notizie che pertengono o ruotano intorno all'ambito della psicologia e che sono state riprese dalle principali ed autorevoli riviste presenti on-line (nazionali ed internazionali).

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PERCORSI FORMATIVI & MASTER

Corso di Formazione "Strumenti di analisi per la neuropsicologia cognitiva" (Universita' Cattolica di Milano)
Corso di Formazione "Intelligenza Emotiva. Saper Gestire le proprie emozioni" (Universita' Cattolica di Milano)
Corsi di Psicologia della Comunicazione (studio di consulenza privato - Ferrara)
Master in Comunicazione e Problem Solving Strategico (MRI - Arezzo)

 

 

Post N° 75

Post n°75 pubblicato il 07 Giugno 2007 da celr
 

Il Sistema Nervoso e le sue origini evolutive

Uno studio svolto presso l’Università di Santa Barbara in California si dimostra essenziale per l’individuazione delle origini del sistema nervoso degli esseri viventi. Le conclusioni a cui arrivano i ricercatori della sopra menzionata Università è che esisterebbero nelle spugne delle componenti genetiche che sono presenti nelle sinapsi, indipendentemente dal fatto che questi antichissimi animali non possiedano un sistema nervoso. Tuttavia a livello cellulare, le spugne possiedono la maggior parte degli elementi in grado di dar conto della formazione sinaptica.

Inoltre, la vera rivelazione di questo studio è che è stata individuata una chiara interazione tra le proteine delle spugne analoga a quanto riscontrabile nell’ambito proteico delle sinapsi umane e dei topi da laboratorio. La logica deduzione è che i ricercatori ritengono che questi organismi molto semplici  e senza organi interni, antichissimi nella loro filogenesi, hanno trasmesso quelle proteine che servono alle cellule degli esseri viventi più complessi, come appunto quelli vertebrati. Il modo in cui le proteine delle spugne interagiscono e la loro struttura atomica è quindi molto simile al SN umano.

Risulta essenziale inoltre retrodatare l’origine della comparsa del SN. Tale conclusione si basa sulla stima circa il “gap temporale” tra comparsa delle spugne (prive di sinapsi e neuroni) e i cnidari (che invece sono i primi organismi pluricellulari che hanno raggiunto un’organizzazione tissutale). Proprio sulla stima ormai consolidata della genesi di questi ultimi organismi (circa 600 milioni di anni fa) e l’evoluzione delle spugne (più antiche), è possibile inferire che la nascita del sistema nervoso è molto più antica di quanto finora sospettato e collocabile grossomodo in prossimità della comparsa di questi ultimi organismi.

Quali sono i presupposti metodologici di questa ricerca? Attraverso la definizione dei geni espressi in una sinapsi umana, è stato possibile osservare che molti dei “mattoni” del SN erano comunque rintracciabili anche nelle spugne e lavoravano in stretta interazione inviandosi segnali gli uni con gli altri.

Si assume quindi che vi sia una sorta di antenato comune alle molteplici specie, che ha fornito un meccanismo evolutivo alla base del SN e che poi ha costituito la premessa per genesi di forme molto diverse tra loro.

Tale antenato potrebbe essere la spugna, che non ha un SN, ma che ha comunque garantito una traiettoria evolutiva che con piccole alterazioni ci ha permesso di sviluppare il sistema nervoso e una funzione evolutiva del tutto originale ai tempi, e che ci permette altresì oggi di essere individui in grado di percepire, parlare, pensare, ed ovviamente acquisire una metacognizione essenziale per ragionare sulle nostre abilità innate.

Post di Edoardo Santucci

Per visualizzare la ricerca pubblicata su PLoS ONE, clicca qui

Per visualizzare la notizia ripresa da "Le Scienze", clicca invece qui

 
 
 

Post N° 74

Post n°74 pubblicato il 04 Giugno 2007 da celr
 

L’ansia e i suoi meccanismi neurali

Una ricerca condotta presso la European Molecular Biology Laboratory (Embl) e pubblicata su Nature Neuroscience, ha evidenziato alcuni meccanismi implicati negli stati d’ansia di topolini di laboratorio. In particolare sembrano coinvolti sia il neurorecettore A1 della serotonina (che è tradizionalmente ritenuto essenziale per diverse funzioni vitali quali il ciclo sonno/veglia, gli stati edonici positivi/negativi, etc), sia l’area del giro dentato localizzato a livello dell’ippocampo, a sua volta centrale per i processi mnestici e per quelli di integrazione degli stimoli ambientali.

Prima di illustrare le conclusioni della ricerca guidata da Cornelius Gross, è utile ricordare che essendo i circuiti neuronali a capo dei processi emotivi della paura condivisi a livello di diverse specie viventi, è plausibile che le evidenze empiriche possano essere generalizzabili anche per gli uomini, sebbene solo ulteriori e future sperimentazioni potranno corroborare o meno tali ipotesi.

Tuttavia, ciò che è utile evidenziare del suddetto studio è la tecnica impiegata per inibire l’attività neurale di alcuni topolini; si è infatti constatato che negli animaletti in cui il neurocettore A1 è assente, è possibile riscontrare forti reazioni di paura e veri e propri stati di panico quando vengono presentati eventi incerti. L’attivazione/inibizione di questa specifica via sinaptica influisce quindi sui livelli di serotonina e sui recettori A1, e conseguentemente sui processi interpretativi circa quegli input del flusso esperenziale che risultano essere equivoci.

Ma come si sviluppa l’ansia? In effetti ritenere che questa si possa generare solo ed esclusivamente da una condizione neurofisiologica risulterebbe ridurre il problema ai minimi termini; infatti tale condizione deriva da un processo complesso di percezione/cognizione di accadimenti facilmente fraintendibili e possibilmente colti come pericolosi dall’individuo. In condizioni normali tendiamo infatti ad adattarci ad una situazione che presenta elementi di incertezza e di fatto teniamo sotto controllo l’ipotetica valenza minacciosa, che non ha necessariamente riscontro nella realtà; ma cosa succede se siamo preda di uno stato d’ansia? Ovviamente la risposta è che tutte le situazioni dubbiose vengono “lette” come fonte di pericolo, sebbene la reazione possa essere ingiustificata. E’ su questa premessa teorica che si è fondato lo studio: ossia prendere un campione di topolini che per definizione hanno la caratteristica “dell’ansietà” (sperimentalmente elicitata attraverso l’inibizione di un opportuno recettore) e verificare quindi quali fossero le aree cerebrali coinvolte in tali stati ansiosi a fronte di stimoli equivoci.

È stato quindi possibile constatare che attraverso lo spegnimento del giro dentato, per mezzo di  trattamento farmacologico, gli stati d’ansia dei topolini cessavano.

Quale conclusione è quindi possibile trarre? I ricercatori sostengono che sia plausibile ritenere che il disturbo d’ansia possa dipendere in parte anche da un mancato funzionamento della rete sinaptica localizzata in questa specifica regione dell’ippocampo.

Post di Edoardo Santucci

Per visualizzare la notizia rilasciata da Press Releases del EMBL clicca qui

Per visualizzare la notizia ripresa da "ANSA.it" clicca qui

 
 
 

Post N° 72

Patologia schizofrenica e patrimonio genetico

Una ricerca condotta presso il Medical College of Georgia ha focalizzato la propria attenzione sugli elementi biologici e genetici che contribuiscono alla formazione e al sostenimento del disturbo schizofrenico, evidenziando inoltre come uno specifico gene che codifica una certa proteina, e il relativo recettore agiscano sul controllo dell’attività eccitatoria-inibitoria dei nostri neuroni.

La complessità del quadro psicopatologico che rientra nella categoria generale della schizofrenia è ormai nota da tempo; non a caso si parla di una patologia ad etiologia multifattoriale, dove l’interazione tra elementi genetici, neurologici, psicologici, sociali ed ambientali determinano la complessità della sindrome che assume molteplici sfumature nei sintomi manifesti e nel quadro clinico del paziente.

Tale ricerca, segnalata da “Le Scienze”, e pubblicata sulla rivista “Neuron”, chiarisce una parte del “contenuto biogenetico” responsabile nell’insorgenza di questa grave forma psicopatologica, ma va ben oltre nei contenuti poiché individua un ulteriore funzione di tale meccanismo molecolare.

Ciò che appare interessante infatti è il ruolo svolto da una proteina chiamata neuregulina-1 nota da tempo per il suo ruolo nella genesi delle sinapsi e il suo recettore ErbB4, una tirosinchinasi transmembrana che ha la funzione di segnalazione intracellulare: questo specifico meccanismo molecolare ha un ruolo decisivo nei processi di eccitazione-inibizione sinaptica, attraverso il rilascio di opportuni neurotrasmettitori. Tali elementi hanno quindi una chiara funzione anche nel controllo elettrofisiologico delle attività di eccitazione/inibizione dei neuroni nel nostro cervello, e nello specifico nell’area della corteccia prefrontale, che ha tra le sue funzioni (presidio della coscienza) quella di regolare i processi di “decision-making” e di ragionamento.

I geni individuati sono sia correlati a tale sindrome, che al ruolo di segnalazione sinaptica.

Post di Edoardo Santucci

Per visualizzare l'articolo apparso su "Le Scienze" clicca qui

Per visualizzare l'abstract dell'articolo originale, clicca qui

 
 
 

Post N° 71

Post n°71 pubblicato il 28 Maggio 2007 da celr
 

Neurogenesi e sue funzioni

Una ricerca condotta presso la Johns Hopkins University of Baltimora e pubblicata sulla rivista Cell, ha ipotizzato che la neurogenesi non abbia semplicemente la funzione di mantenere il nostro cervello “giovane” attraverso la formazione e sostituzione di alcune cellule nervose morte, ma anche quella di garantire costantemente i processi di apprendimento nell’individuo garantendo simultaneamente la stabilità della rete sinaptica.

Attraverso un virus avente la funzione di trasportare una proteina fluorescente nell’area dell’ippocampo di alcuni topi adulti, è stato possibile monitorare l’evoluzione stadiale dei nuovi neuroni cogliendone la loro adattabilità in termini di plasticità sinaptica. La conclusione dell’esperimento evidenzia come  le cellule adulte abbiano una plasticità similare a quella riscontrata in animali appena venuti alla luce. Tale plasticità dei nuovi neuroni pare essere speculare ai meccanismi di funzionamento di quei recettori implicati nei processi di apprendimento degli animali appena nati: è proprio infatti nella prima fase della vita di questi topolini che si creano le connessioni sinaptiche a seguito dei primi input ambientali.

Ricordiamo quindi le funzioni generali dell’ippocampo: gestione e controllo dei processi di apprendimento e di memoria.

Post di Edoardo Santucci

Per visualizzare la notizia riportata da "Le Scienze", clicca qui

 
 
 

Post N° 70

Neuroestetica e neuroni mirror

Che cosa ci dicono le neuroscienze nell'ambito dei processi di produzione e fruizione artistica

Presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma, Vittorio Gallese e David Freedberg hanno approfondito alcuni studi sui neuroni mirror, nello specifico valutando attraverso la risonanza magnetica transcranica di soggetti volontari i processi di immedesimazione alla base dell’attività di fruizione di un’opera d’arte. Lo studio dei neuroni mirror ha grande impulso tutt’oggi, a seguito della loro scoperta avvenuta negli anni novanta grazie al team di ricerca dell’Università di Parma.

Emerge un ambito di studio particolarmente importante nel dominio teorico-applicativo dell’estetica e della neuropsicologia, chiamato neuroestetica, ossia quella scienza che valuta la relazione tra opera d’arte e cervello.

Quando osserviamo un’opera d’arte “compiuta”, proviamo una senzazione di immedesimazione che ci porta all’interno dell’opera stessa permettendo di esperire ciò che viene avvertito dai protagonisti della scena e rievocando inconsapevolmente le skills e i gesti compiuti dell’artista per la realizzazione di questa, sulla base della condivisione di un pensiero procedurale comune a tutti gli uomini. L’abilità dell’artista risiede quindi nella sua competenza nel generare un’emozione nel cervello del fruitore. Tali emozioni sono evocate attraverso una serie di indizi che pertengono ad un patrimonio motorio condiviso sia dall’artista (che ovviamente dai protagonisti della scena) sia dagli stessi fruitori che entrano in “risonanza” con il contenuto veicolato. Tale condivisione di un patrimonio motorio comune ci permette di essere individui competenti da un punto di vista sociale.

Centrale diventa il concetto di “sintonizzazione intenzionale”: alla base della nostra competenza sociale esiste la capacità di co-costruire uno spazio condiviso inter-soggettivo che ci permette di stabilire un legame e delle relazioni con gli altri. Non siamo estranei alle azioni, emozioni e sensazioni degli altri dato che siamo sintonizzati alle relazioni intenzionali. Gli scambi interattivi tra individui (di cui gli artefatti artistici ne costituiscono un esempio e una possibilità) costituiscono comportamenti comunicativi di un sistema complesso, che sono possibili grazie alla ripetizione ed estensione di pattern motori e grazie alla regolazione del fuoco attentivo e dei processi imitativi che disponiamo. Tutto ciò costituisce il risultato terminale di un processo che ha luogo grazie anche al supporto dei neuroni mirror che si attivano non soltanto quando compiamo una certa azione, ma anche quando vediamo compiere la medesima azione da un altro che condivide il nostro stesso repertorio motorio (a qualsiasi livello, sia esso gestuale, facciale, vocale, etc.). In questo modo colui che osserva può mettersi nei panni dell’attore e fruire un dato contenuto comunicativo.

Il ruolo interattivo tra azione, percezione, emozione e conseguentemente (anche se non necessariamente) fruizione empatica di un’opera d’arte, risulta quindi l’idea di fondo di un processo molto complesso che parte da aree cerebrali particolarmente complesse ed articolate, e che termina con la considerazione finale che la componente culturale non può ovviamente essere trascurata quando parliamo di estetica.

Post di Edoardo Santucci

Il link all'articolo originale

Il link agli articoli recenti di Gallese

Il link alla notizia ripresa da "la Repubblica.it"

 
 
 
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