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Synaptic Mind

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Questo blog nasce con l'intento di fornire informazioni aggiornate relative all'ambito della psicologia sperimentale, con particolare attinenza al campo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze da un lato, e della psicologia della comunicazione dall'altro.  Data la trasversalita' di queste discipline le ricerche raccolte pertengono a numerosi altri settori limitrofi: dalla clinica alle nuove tecnologie.  L'obiettivo è quindi quello di segnalare notizie che pertengono o ruotano intorno all'ambito della psicologia e che sono state riprese dalle principali ed autorevoli riviste presenti on-line (nazionali ed internazionali).

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Post N° 69

Post n°69 pubblicato il 15 Maggio 2007 da celr
 

Meditazione e plasticità cerebrale

Possono la meditazione e l’esercizio mentale rinforzare le aree del cervello deputate all’attenzione? Una ricerca realizzata presso un’università americana risponde affermativamente… 

Uno studio condotto presso l’Università del Wisconsin, mostra come la meditazione sia in grado di plasmare il cervello e specificamente di avere effetti positivi sull’area dell’attenzione.

E’ noto per i praticanti della meditazione la funzione benefica svolta da questa attività sulla mente degli stessi, i quali traggono benefici nei processi di percezione di quelli che in genere vengono considerati minimi dettagli del nostro flusso esperienziale.

Attraverso lo studio decennale condotto dal neuroscienziato Davidson, si è giunti inoltre alla conclusione che oltre a permettere la gestione ed il controllo conscio della propria mente, sarebbero altresì evidenti gli effetti positivi di tale pratica sull’attention deficit hyperactivity disorder, che colpisce parecchie persone.

L’eserzio mentale (il cosiddetto “mental training”) agisce quindi sulle proprietà della nostra mente che sono tutt’altro che immutabili.

La meditazione inoltre permette la gestione e regolazione delle emozioni oltre che dell’attenzione: questa considerazione mette in evidenza il profondo legame che sussiste tra le diverse funzioni cognitive di ordine superiore.

Il flusso sensoriale in cui ci troviamo immersi fa si che la nostra coscienza selezioni stimoli considerati rilevanti e ne lasci in secondo piano altri che non hanno la stessa valenza contestuale; la conseguenza è che sono più gli input che ci sfuggono che quelli che riusciamo a cogliere (detto fenomeno è definito “cecità dell’attenzione”).

Attraverso l’esercizio mentale di una antica forma di meditazione buddista chiamata Vipassana proposto a due gruppi sperimentali (uno sottoposto a training intensivo, mentre l’altro moderato da una semplice lezione che doveva essere ripetuta ed estesa per un certo numero di minuti per una sola settimana), è stato possibile valutare in fase di pre e post-test la capacità di percepire una serie di stimoli visivi proposti su un monitor sottoforma di flash. Il primo gruppo, come da aspettative, è stato in grado di migliorarsi rispetto al pre-test e quindi di cogliere una grande quantità di informazioni in tempi brevi, mentre il secondo gruppo vi è riuscito solo parzialmente.

I risultati della ricerca sono consultabili sulla rivista PLoS Biology.

Le implicazioni terapeutiche, riabilitative e soprattutto teoriche sono evidenti. A titolo personale colgo l’importanza di questa ricerca ancora una volta nella proprietà ormai sempre più rilevante e centrale che i neuroscienziati attribuiscono ed assegnano alla plasticità del nostro cervello. Si apre quindi un vero e proprio filone di ricerche che prende il nome di neuroplasticità.  

Per visualizzare l'articolo originale clicca qui

Post di Edoardo Santucci

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