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Россия 2011 viaggio senza spazio e senza tempo (e pure senza senso) Capitolo 17 FINALE

Post n°54 pubblicato il 08 Aprile 2013 da Talix76

Россия (Rassìa) 2011

viaggio senza spazio e senza tempo (e pure senza senso) Capitolo 17

FINALE

 

“Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo, non importa. Giù nell'Ignoto per trovarvi del nuovo.”
(da Il viaggio) Charles Baudelaire

 

Le vicende avevano preso negli ultimi giorni un  crescendo Wagneriano;
pensavo di aver raggiunto il clou a Chisinau ma mi sbagliavo.

 

Chisinau  (Moldavia) – Ruse (Romania)

Stamattina ho mandato via tanti pensieri e ansie dalla testa; finalmente, come in un’equazione matematica ridotta ad una sola incognita, rimane una sola preoccupazione: raggiungere in tempo il porto di Igoumenitsa;

Leggendo alcuni libri di Alain de Botton mi era piaciuto molto il suo espediente di usare come compagno di viaggio un filosofo, uno scrittore o un artista in generale.

L'idea si confaceva molto alla mia abitudine, molto piu' grezza, di portarmi un paio di saggi da leggere;
questo non tanto per far compagnia a me quanto a quella voce fuoricampo che continuamente, interrottamente, mi confida le sue intuizioni scomparendo per minuti, ore o giorni senza una motivazione ben precisa;
voce che  dopo gli avvenimenti di ieri con X. e’ sparita, non so se perche’ soddisfatta o offesa, zittendo crucci e inquietudini.


Raggiungere Igoumenitsa: 1600 km con la moto che non parte se non a spinta, un chiodo  nella ruota e una crepa nella gomma;
indugio un attimo prima di lasciare Chisinau pensando di cercare un gommista per sistemare almeno la gomma,  ma poi ci ripenso e animato dal solito fottuto ottimismo decido di sfidare ancora una volta la sorte.
Lo spazio e’ un concetto relativo per la mente.
dopo aver raggiunto Kazan, in Tataristan, attraversare Moldavia, Romania, Bulgaria e Grecia per tornare a casa mi sembra quasi una passeggiata domenicale.

Mi succede al ritorno da ogni viaggio: il mio senso del limite spaziale si deforma e gli spazi mi stanno piu’ stretti.

Ma anche il tempo: tra l’essere li in Moldavia quel giorno e poi a Igoumenitsa il successivo ( e l’altro ancora per casa) c’era solo il breve istante di un pensiero: insomma, mi sentivo gia’ a casa.

Alla dogana moldava, per non spegnere la moto, chiedo all’ufficiale di lasciarla accesa, cosa che lo insospettisce non poco facendomi perdere piu’ tempo del dovuto  per i controlli.

Cosi le campagne moldave costellate da alberi da frutta lasciano il passo ai piatti campi rumeni.
Sfilano uno dietro l’altro i vari porti sul Mar Nero, l’aria umida e salmastra del “Delta Dunarei” lascia il posto a quella secca dell’entroterra.
Mi fermo ad acquistare un paio di cavi elettrici da un autoricambista per la strada: potranno sempre tornarmi comodo se rimango a terra.

Ripercorro a ritroso la strada fino a Slobozia, dopodiché imbocco l’autostrada fino a Bucarest  e una volta li devio a sud per Ruse e il ponte sul Danubio in ristrutturazione (ma sbaglio o sono gia’ passato di qua anni fa?)

Attraversare il Danubio e’ un gesto simbolico; butto tutto alle mie spalle e casa si fa piu’ vicina!

 

Quanti chilometri!
povero il mio propulsore!

Certe volte mi preoccupo di cose assolutamente senza senso;
mi immedesimo per esempio nel ruolo di un pistone che trascorre la sua esistenza salendo e scendendo dal Punto Morto Superore al Punto Morto Inferiore provandone profonda angoscia.

Come se osservassimo un condizionatore, vedendo il poveretto pompare continuamente calore durante l’inverno: ora dopo ora, giorno dopo giorno, ininterrottamente per mesi.

Fino a quando un bel giorno si ferma.

E subito riprende il suo interminabile ciclo all'incontrario, pompando freddo per l’estate;

e cosi' per sempre anno dopo anno;      

(e' quell'unico giorno di cambiamento l'unica novita’ della sua vita?
il condizionatore puo’dirsi felice solo in quel giorno?)

Certe altre osservo e studio il comportamento delle persone e mi viene spontaneo un parallelismo:

si svegliano la mattina, pranzano a mezzogiorno e vanno a letto la sera;
indossano i calzini corti in estate, quelli lunghi in inverno;
il piumino si avvicenda ciclicamente alla canottiera.

il ciclo e' sempre lo stesso anche a lungo termine: nascita, scuola, maturita’, casa, matrimonio, figli, pensione, funerale..

non molto dissimile da un pistone o un condizionatore;

senza ombra di dubbio non e’ nella routine che risiede la vita o si dovrebbe ammettere che pure un condizionatore e un pistone ne hanno una!


L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.”

Cesare Pavese

 

No, non e’ che sia scemo…piuttosto “diversamente intelligente”!
E’ che a volte sento la testa gravida di inafferrabili pensieri inorganici che si muovono indomabili
in un crescendo wagneriano..che stia per crearsi finalmente l’Ordine?

 

 

Ruse (Romania) - Fin dove la Sorte vuole (!)

In Bulgaria la strada si fa meno scorrevole, il traffico si dirada ma la media resta bassa a causa delle saltuarie pattuglie di poliziotti che pero’non mostrano interesse per me.

“Occhio ai poliziotti bulgari!” Mi aveva messo in guardia qualcuno.


All’apprestarsi dell’imbrunire il mio voltmetro segnava meno di 10,5V: la mia batteria era andata!
Ma perche’ queste escalations tutte insieme sempre sulla via del ritorno?
Troppo casuali per attribuirle al Caso!

Un dio? Ma allora deve essere un gran burlone! E dispettoso! Un bambino!
E se fossimo semplicemente dei suoi giocattoli?
Magari anche i vecchi Big Jim avevavo di questi dubbi  e  perplessita’!
Rimane il fatto che non potevo utilizzare i fari.

Il mio obiettivo per la giornata, non avendo leu bulgari, era raggiungere la Grecia prima di sera;

avrei anche potuto fermarmi al primo centro abitato, trovare una banca e prelevare denaro, ma per una mia strana e inspiegabile testardaggine  avevo deciso che dovevo arrivare in Grecia;

Sempre questo idiota senso di sfida a pervadermi;
E’ come quando devo fermarmi per pisciare: “no! Resisto, piu’ in la mi fermo” – e quando sono piu’ in la- “resisto ancora  un po’ ” – e alla fine non mi fermo mai!
Il senso della vita e’ proprio come il voler pisciare quando si e’ in moto!

 

Incontro inaspettato

All’ultimo crepuscolo mi fermai ad un distributore di carburante;
era ormai buio e mancavano pochi km al confine greco;

Venere , bassa all’orizzonte, mi aspettava con la sua splendida mise oltre il confine e la sua luce fendeva l’aria spessa e palpabile tipica delle serate estive;
avevo preso la decisione di proseguire ugualmente a fari spenti sfruttando il lampeggiare di un indicatore di direzione (mancavano meno di 20km alla frontiera e sapevo che avrebbe funzionato avendolo gia’ sperimentato in Albania) quando, alla cassa del distributore, una donna, sulla sessantina,  sentendo il mio italico accento si fermo’ per parlarmi.

Lei era una bulgara sposata con un napoletano che l’aspettava fuori in macchina;
insistette per farmelo incontrare nonostante le avessi spiegato la mia situazione e la fretta che avevo.
In pratica lei, prima badante e ora moglie, era in vacanza e aveva visto in me un intrattenimento per il marito che si annoiava lontano dalle abitudini italiane.
L’incontro fu per me fruttuoso: la signora, che abitava in un paesino a pochi chilometri, mi trovo’ una roulotte per la notte nel campeggio di un suo amico;
suo genero era inoltre proprietario di un negozio di autoricambi e nel giro di due telefonate avevo una batteria nuova per la mia moto mentre ancora rosicchiavo gli ossicini della mia cena.
E’ vero che noi sappiamo dare un senso agli avvenimenti solo dopo che questi sono avvenuti..ma cavolo, e’ tutto perfetto! E’ proprio quello che mi serviva.



Simeonovgrad (Bg) – Igoumenitsa (Gr)

Al mattino presto la moto non vuole ancora saperne di partire; da bravo pirla provo ad avviarla a spinta dimenticando l’interruttore di avviamento su “STOP”: mi si ingolfa!
per fortuna una squadra di ragazzi sulla via del lavoro depone pale e picconi e mi da una spinta: al secondo tentativo parto: e via!
Di nuovo con due ruote sotto al culo; e chi mi ferma piu’!

 In pochi chilometri sono in Grecia, poi solita routine: cerco di perdermi verso Salonicco, sosta benzina, altri chilometri macinati, sfioro le Meteore, poi Metsovo, 800 chilometri di “guida agli specchietti”  con l’acceleratore bloccato, altra sosta benzina finche’ l’Adriatico (ehm….Ionio da queste parti) fa capolino dietro ai monti:

e’ questo  il tratto di strada piu’ pregno emotivamente;
primo perche’ mi porta alla memoria le immagini iniziali  dello sbarco: l’alba dietro le colline greche, la nebbia bassa che si dirada, il calore dei primi raggi del sole sulla pelle.
La Grecia e’ stata la prima nazione estera che ho esplorato in moto, e quindi ogni ricordo in lei ne richiama subito un altro in maniera ricorsiva:
il martellio delle pietre all’alba nei villaggi zagori, i laghi di Prespa, la nebbia su Ioannina vista dall’alto della vecchia via Egnatia e cosi’ via a macchia d’olio finche’ un’oceano di immagini mi subissa.
E anche  perche’ molti dei miei  viaggi si sono conclusi percorrendo a ritroso la via Egnatia.

 

La strada in discesa , metafora perfetta per il termine di un viaggio, l’odore della salsedine che piano piano si diffonde sempre piu’ dentro il casco fino a pervadere i polmoni,  i colori dei monti intorno arsi dal sole e inghiottiti dall’azzurro del mare che scintilla all’orizzonte, l’asfalto che scorre  libero sotto le ruote:

Igoumenitsa!

Ce l’ho fatta!

 

Rassìa?

Rassìa…..ma perche’ proprio in Russia?

Mi riesce davvero difficile tirare le somme questa volta.
Forse perche’ e’ l’unica terra che sulla mappa  permette di volgere continuamente lo sguardo sempre piu’ a est;
spazi interminabili per andare, orizzonti sterminati che si susseguono collina dopo collina, etnia dopo etnia fino a ritrovarsi spaesati troppo lontano da ogni luogo familiare;
paesaggi dove la  malinconia corre all’infinito, le vacuita’ dominano sulle presenze, terra di rarefazioni e mancanze, assenze, spazi vuoti dove fuggire e perdersi, ponte verso le immensita’ dell’Asia, luogo ideale per quel mio delirante desiderio di ridurre tutto all’essenziale, anelito di quel sottilissimo piacere di abbandonare tutto, di non voler avere bisogno di nulla fuorche’ l’indispensabile, assenza di senso, assenza di spazio , allontanamento del tempo;
si, il posto ideale  dove amplificare quella sottilissima e incomprensibile gioia di rimuovere dalla propria vita  persone e cose..

 

Resettare continuamente la propria esistenza per ricominciarla differente provoca, nell’attimo stesso della sua decisione, un sottilissimo piacere imperscrutabile;
ma poi si finisce sempre per riprendere la stessa strada, commettere gli stessi errori e alla lunga quello che vuole essere espressione della massima liberta’ immaginabile (riscrivere la propria vita) si trasforma in aguzzino che ci vede  prigionieri condannati a convivere sempre con la stessa immutabile indole;
e l’atteso cambiamento diventa routine.
Rinnovarsi continuamente nella speranza di riscoprirsi diversi, sempre delusi dal ritrovarsi uguali.

 

Ma forse puo’ esistere un margine di liberta’ se si ipotizza che quello che noi siamo lo si deve non solo a noi, a chi ci sta intorno, al nostro vissuto, ma anche, e soprattutto, al paesaggio che ci circonda.
Cambiando anche il paesaggio intorno, forse davvero e’ possibile re-inventarsi la propria vita.
Ma esiste un nesso tra indole umana e  paesaggio?
Ripercorrendo l’etimologia dell’antica parola greca “Ethos” scopro con stupore due significati originari: da un lato “carattere”, “temperamento”, “indole”, dall’altro “luogo da vivere”, “stalla”, “tana”.

Insomma, l’indole di un uomo, per lo meno da un punto di vista della sua semantica, deve essere influenzata anche dal luogo dove vive e dubito che sara’ possibile cambiarla se non si e’ disposti a cambiare anche i propri luoghi.

Ecco la risposta: Rassìa forse anche per questo, perche’ luogo in perfetta sintonia con le mie aspirazioni secondo un labile ed effimero pensiero poco definibile.

 

Che poi non sono  luoghi quelli che in realta’ vado ricercando ma potrei definirli “pensieri”.
In fondo e’ solo un vano tentativo di dare  forma e  colore a luoghi chimerici, uno sforzo per imprimere su un’istantanea “le pareti della mente”, immagini che popolano i miei luoghi mentali;
insomma: sogni, fantasie!

Come quelli che si mettono in viaggio per vedere con i loro occhi una città desiderata e immaginano si possa godere, in una realtà, le delizie della fantasia. (1963)”

Marcel Proust

 

 

Ma quello che poi  ne rimane sono solo ricordi.

Di qui l’idea che i sogni e le fantasie non siano altro che  piccoli germogli di ricordi, evocazioni del passato allo stadio embrionale, ancor prima che possano formarsi;
nascono come aspettative, maturano in eventi e infine appassiscono come ricordi.
Si, mi piace questa visione sbarazzina e antitetica: sogni  e fantasie, che dovrebbero rappresentare il futuro, in realta’ sono il passato; e i ricordi, il futuro!

Fuga

La fuga dal reale,

ancora più lontano la fuga dal fantastico,

più lontano di tutto, la fuga da se stesso,

la fuga dalla fuga, l'esilio

senza acqua e parola, la perdita

volontaria di amore e memoria,

l'eco

che non corrisponde più all'appello, e questo che si fonde,

la mano che diviene enorme e che sparisce

sfigurata, tutti i gesti insomma impossibili,

se non inutili,

l'inutilità del canto, la purezza

del colore, né un braccio che si muova né un'unghia che cresca.

Non la morte tuttavia.

 

Ma la vita: captata nella sua forma irriducibile,

senza più ornamento o commento melodico,

vita a cui aspiriamo come pace nella stanchezza

(non la morte),

vita minima, essenziale; un inizio; un sonno;

meno che terra, senza calore; senza scienza né ironia;

quello che si possa desiderare di meno crudele: vita

in cui l'aria, non respirata, mi avvolga;

nessuno spreco di tessuti; loro assenza;

confusione tra mattino e sera, senza più dolore,

perché il tempo non si divide più in sezioni; il tempo

eliminato, domato.

Non ciò che è morto né l'eterno o il divino,

soltanto quello che è vivo, piccolo, silenzioso, indifferente

e solitario vivo.

Questo io cerco.

Carlos Drummond De Andrade

 

 

 

“The weight of dust exceeds the weight of settled objects” (R. Wyatt)
(il peso della polvere supera quello degli stessi oggetti)

Questa cosa pero’ comincia ad infastidirmi parecchio: il peso dei ricordi;
per quanto abbia deciso di non averne, preferendo le cose godute al momento per il piacere dell’attimo, questi si ostinano a popolare la mia testa; e mi piacciono!
o meglio: mi piacciono le emozioni che provocano.
Mi capita spesso di essere in un luogo senza provare particolari emozioni;
ma ecco che mesi dopo, quella scialba giornata, a causa di una incomprensibile fermentazione neuronale, acquista un aspetto del tutto nuovo.
E rivederne le immagini con la mente  provoca un’estasi speciale;
Forse e’ per questo che mi piace scriverne !

Scrivere e’un po’ come gettare cemento su una parete bianca: le lettere vi rimangono poi appiccicate come piastrelle a formare geometrie imprecise di labili ricordi.

 

E poi mi piace cercar di sputar fuori emozioni;
Non ci riesco quasi mai ma e’ bello provarci.

 

Perche’ scrivo queste note senza senso?

Me lo chiedo sempre.

Forse per trovarlo.
Un senso!
Per incorniciare il vuoto.
Eppure se lo faccio vuol dire che ne provo un piacere personale e  intimo, nonostante la sola idea che qualcuno le possa leggere mi provochi un enorme fastidio;
Ma forse sfidare quel fastidio e’ un modo insolente per dare un senso: ecco, questo sono io e non me ne vergogno affatto, anzi, ne vado fiero.

 

Arrivo

La nave disegno’ un lungo cerchio d’evoluzione smuovendo i fondali, poi finalmente attracco’ al molo.

Il suo grosso motore diesel smise di lamentarsi e si acquieto’.

Il portellone si schiuse come  una finestra che si apre al mattino per respirare aria nuova, come un giornale fresco di stampa prima di essere letto.

Una miriade di pensieri pensati  in altri idiomi, accumulati nelle settimane precedenti, all’istante evaporo’;
atomi di avvenimenti andarono dispersi;

Dopo anni parte di quegli atomi smarriti e’ stata recuperata  ricombinandosi in tracce che credevo dimenticate: questo e’ tutto quello che rimane.

 

 

La tua memoria, pasto di poesia,
la tua poesia, pasto dei volgari,
si vanno incastrando in una cosa rigida
che tu chiami: vita, e i suoi travagli.
(...)
E nulla resta, certo, di ciò che scrivi
e ti ha forzato all'esilio delle parole,
se non il piacere di scrivere.

Carlos Drummond  De Andrade

 

FINE

 
 
 
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