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Fisica, musica, testi e video clips

Post n°21 pubblicato il 25 Settembre 2009 da Dave_Tiongreis

 

Fisica, racconti e ...

 

Questo post intende essere un link ad argomenti di fisica, a racconti di vario genere e ... a tutto quanto l'ispirazione, la voglia ed altri motivi decideranno. Non aspettatevi grandi cose. Buon divertimento.

 

Fisica

1. Introduzione alla relatività

2. Dilatazione del tempo

3. Contrazione dello spazio

4. Contemporaneità in relatività

5. Evidenze relativistiche

6. La trasformazione di Lorentz

7. La metrica di Minkowski

8. La teoria della relatività

9. La massa relativistica

10. Il significato della dilatazione del tempo

11. Corrispondenza tra etere ed universo fisico

12. Proprietà dello spazio-tempo

13. Origine dell'inerzia

14. Principio d'indeterminazione

15. Momento angolare in meccanica quantistica

16. Direzione del tempo e tempo guida

17. Processo Compton

18. Ulteriori conseguenze della teoria del tempo guida

19. L'enigma della corona solare

20. Macchie solari e facole

21. Effetto Compton – seconda parte

22. L'origine della metrica di Minkowski

23. Origine ed evoluzione dell'universo

 

 

Matematica

 

 1. Calcolo migrazione voti nelle elezioni

 

 

Racconti

Bei fiori di pesco (Otto quartine dodecasillabe, 205 parole)

 Fiori di pesco (16.093 parole)

Il mio servizio militare (41.128 parole)

La lettera del governo (di Yves Thériault. 1.762 parole). Traduzione originale dal francese

L'affare rovinato (di Anton Cekhov. 1.559 parole). Traduzione originale dal russo

L'eredità (di Ringuet. 8.362 parole). Traduzione originale dal francese

Lindo-Eroe. Storia di un gattino meraviglioso (6.308 parole)

Un segno nel cielo (1.126 parole). Episodio realmente accaduto

Una donna senza preconcetti (di Anton Cekhov. 1.268 parole)). Traduzione originale dal russo

 

 

Musica

Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra: - Prima parte - Seconda parte - Terza parte - Opera completa. L'esecuzione non è interpretata

Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra: - Prima parte - Seconds parte - Terza parte - Opera completa. L'esecuzione non è interpretata

D1. L'esecuzione non è interpretata

D5. I tempi di esecuzione sono stati leggermente modificati

Notturno in Si bemolle minore. L'esecuzione non è interpretata

Roberto. Canzone senza parole 

 

Video clips

Micione is a good boy

Micione loves rolling  

More Micione rollings  

Micione meets Micia  

 

 
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Sull'origine ed evoluzione dell'universo

Post n°20 pubblicato il 25 Settembre 2009 da Dave_Tiongreis
 

 

Lo scorso secolo ha visto la teoria della struttura dell'universo cambiare in modo da conformarsi alla sua osservata espansione e alla teoria della relatività generale. Tuttavia, nuove osservazioni hanno messo in difficoltà quella veduta, per almeno due motivi: essa richiede l'introduzione di forze ignote che tendano a far aumentare col tempo il ritmo di espansione; non spiega l'esistenza dei quasar. Nel prosieguo introdurremo una nuova descrizione piuttosto approssimativa di come potrebbero funzionare invece le cose.

Cerchiamo di ricavare il quadro cominciando dal concetto di universo sferico a tre dimensioni. Accettiamo che esso si espanda e che, dove le concentrazioni di materia sono sufficientemente alte, si formino dei buchi neri, i quali succhiano via materia ed energia.

Perciò possiamo immaginare questo cosmo come un'ipersuperficie di tipo spazio a tre dimensioni immersa in un etere a quattro dimensioni. In due dimensioni la si può rappresentare con un cerchio.

In quest'immagine, i buchi neri tendono a portare la materia verso il centro. Ciò non significa necessariamente che la materia sia attratta verso il centro, ma che essa tenda semplicemente a piegare lo spazio-tempo secondo una direzione privilegiata, il che deve rappresentare una proprietà dell'etere.

Come gli estremi dei buchi neri si toccano, immaginiamo che si uniscano e che, essendoci poca materia, la regione in cui avviene il contatto si espanda, dando origine ad un nuovo universo.

Origine di un nuovo universo

Il nuovo universo prende a espandersi e, poiché vicino ai buchi la concentrazione di materia va aumentando, col tempo essa darà origine a stelle, galassie e buchi neri.

Per la molta energia coinvolta nel passare attraverso i buchi, i legami tra i componenti dei nuclei atomici tendono a spezzarsi, e possiamo immaginare che la materia che esce dai buchi sia costituita per lo più da atomi di idrogeno.

In questa descrizione, si ha un numero indefinito di universi concentrici, i quali vanno espandendosi e travasando materia in quelli più giovani. Di tanto in tanto si viene a creare un nuovo universo, mentre quello più vecchio, quando tutta la sua materia è completamente travasata in quello immediatamente più giovane, scompare. Ecco uno schizzo rozzo e approssimato di come gli universi dovrebbero apparire:

Più universi in espansione

Una volta creati, gli universi tendono ad espandersi, ma ciò risente in un modo o in un altro dell'influenza causata dai buchi. I buchi neri tendono ad opporsi all'espansione, mentre quelli bianchi la favoriscono. Perciò, man mano che nuovi buchi si collegano ad un universo giovane, il suo ritmo di espansione aumenta.

Poiché il ritmo di espansione dell'universo in cui viviamo è in aumento, ne deduciamo che deve essere piuttosto giovane.

A questo punto, due domande ovvie che sorgono sono: Esistono buchi bianchi che portino particelle ed energia nel nostro universo, e che proprietà dovrebbero avere le particelle che escono da essi?

Riguardo alle particelle, attualmente non mi è chiaro. Scriverò eventualmente un altro post in futuro. Che dire della radiazione?

Se si considera che la radiazione è emessa prevalentemente in regioni dove lo spazio-tempo è molto curvo, e che dopo ciò si propaga in regioni quasi piatte, nel passare dalla regione molto curva a quella piatta le sue frequenze devono diminuire. Questo fatto è indipendente dalla direzione in cui lo spazio-tempo è piegato. Perciò la radiazione che ne esce deve avere frequenze molto spostate verso il rosso (redshift).

Esistono nel cielo oggetti molto piccoli che buttano fuori radiazione molto spostata verso il rosso? Sì. I quasar emettono questo tipo di radiazione. In armonia con questa descrizione, i quasar non sono oggetti molto lontani, come lo spostamento verso il rosso lascia credere, e l'energia che emettono non è tremendamente alta, ma ha valori più ragionevoli.

Questa descrizione provvede una spiegazione dell'origine della materia nel nostro universo e mostra che non c'è inizio né fine per il sistema di universi, ma che singoli universi nascono e muoiono. Il sistema di universi continua a ringiovanirsi; è sempre esistito e sempre esisterà.

La descrizione mostra pure che sembra che non esista alcun mezzo che permetta a qualcosa dotata di struttura di passare da un universo ad un altro, perché le sole comunicazioni tra universi avvengono attraverso buchi neri-bianchi, i quali annientano qualsiasi cosa riducendola ai suoi elementi più fondamentali.



 
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L'origine della metrica di Minkowski

Post n°18 pubblicato il 28 Dicembre 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Nel seguito esamineremo 1) la ragione per cui lo spazio-tempo fisico manifesta il comportamento espresso dalle trasformazioni di Lorentz e come ha origine la metrica di Minkowski, 2) la differenza tra lo spazio-tempo fisico e l'etere per quanto riguarda la misura delle distanze, e 3) la relazione che esiste tra le coordinate fisiche e quelle dell'etere, con la sua implicazione per quanto riguarda la velocità della terra rispetto all'etere.

Nei blog precedenti abbiamo prendemmo già in considerazione alcuni degli aspetti che andremo qui a considerare, ma con il minimo uso di formule matematiche. Ora tratteremo tali aspetti in maggior dettaglio, usando gli appropriati strumenti matematici.

1) Origine della metrica di Minkowski

Lo studio della ragione per cui il tempo si dilata nel passare da un sistema di riferimento inerziale ad uno in moto con velocità costante rispetto al primo ha mostrato che sembra ragionevole pensare che ciò che cambia non è la lunghezza del tempo (infatti una trasformazione puramente ipotetica non può cambiare le durate dei tempi), ma la sua unità di misura, la quale è proporzionale ai periodi associati alle particelle elementari.

Infatti, se prendiamo in considerazione un tempo t e un periodo T associato ad una particella elementare e li sottoponiamo ad una trasformazione di Lorentz, essi mutano in accordo con le seguenti leggi: t' =  γ, T' = T / γ, dove γ = 1 / √(1 – v2 / c2). Di conseguenza, T'  t' = T  t. Scegliendo T come unità di tempo, comprendiamo che t non è altro che il numero di oscillazioni lungo la propria direzione spazio-temporale, mentre τ = t  T rappresenta il corrispondente intervallo di tempo invariante.

Per quanto riguarda la parte spaziale, consideriamo una sbarra (o una lunghezza d'onda) di lunghezza L, posta parallela alla direzione del moto. Come la velocità del suo sistema aumenta, la sua lunghezza appare accorciata secondo la legge L' = L / γ. Se un estremo giace nell'origine del sistema di riferimento e l'altro ha coordinate x1, per effetto di un cambiamento del riferimento la relazione tra la nuova coordinata e la vecchia è la seguente x1' = x1  γ. Sebbene in termini di coordinate la lunghezza della sbarra aumenti, il prodotto λ =  x1 rimane lo stesso quale che sia la velocità del sistema di riferimento. Perciò L rappresenta la naturale unità di misura lungo la direzione spaziale.c = 1):

Questi ragionamenti lasciano capire che lo spazio-tempo fisico manifesta il suo strano (minkowskiano) comportamento per il fatto che i tempi e le distanze sono misurati in base a periodi e lunghezze d'onda, i quali agiscono da unità di misura e le cui lunghezze sono dipendenti dalla direzione nello spazio-tempo lungo cui sono misurate, ossia, dalla velocità del sistema in cui è eseguita l'osservazione.

Se si considera un periodo T ed una lunghezza d'onda L, è possibile disegnare la figura che segue, la quale rappresenta tutti i valori che T ed L possono assumere quando la velocità varia da -c a c (nel disegno le unità di spazio e di tempo sono scelte tali che


L'immagine sopra riportata, raffigurata nel sistema di coordinate fisico, è invariante rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Infatti, nell'ottenerla non ci si è riferito ad alcun particolare sistema di riferimento (è da notare che non ci sono onde muoventesi lungo la direzione spaziale della figura, in quanto non esistono particelle note che si muovano più velocemente della luce).

2) L'etere e le distanze fisiche

I ragionamenti sopra esposti costituiscono la base per l'accettazione dell'etere, caratterizzato dall'ordinaria metrica euclidea, le cui onde provvedono le unità di misurazione del mondo fisico. In altre parole, in un sistema di riferimento ortonormale il quadrato della distanza tra due punti P e Q aventi coordinate xP e xQ è dato dalla ben nota formula di Pitagora:

d 2  = (xQ0 – xP0)2 + (xQ1 – xP1)2  + (xQ2 – xP2)2  + (xQ3 – xP3)2 ,

ossia, usando la più compatta notazione tensoriale,

d2  = eμν (xQμ – xPμ) (xQν – xPν),

dove eαβ è l'ordinario tensore metrico euclideo.

In termini delle coordinate fisiche yP e yQ, il quadrato della stessa distanza è dato da:

d2  = (yQ0 - yP0)2 - (yQ1 - yP1)2  - (yQ2 - yP2)2  - (yQ3 - yP3)2 ,

e, in notazione tensoriale,

d 2  = ημν (yQμ - yPμ) (yQν - yPν),

dove ηαβ è il tensore metrico di Minkowski.

3) Relazione esistente tra le coordinate dell'etere e quelle fisiche

Che relazione esiste tra le coordinate dell'etere xμ e le fisiche yμ ? Consideriamo il caso in cui le coordinate fisiche siano a riposo rispetto all'etere (definiamo fondamentale un tale sistema). Se entrambe le coordinate sono ortonormali, allora esse possono essere fatte coincidere, e in tal caso yμ = xμ.

Supponiamo di sottoporre le coordinate fisiche ad una trasformazione di Lorentz: yμ' = Lμν xν, dove Lμν è la matrice che esprime tale trasformazione. In particolare, se il moto avviene lungo l'asse x1 con velocità v, allora:

y0' = ( x0 + v ∙ x1 / c ) ∙ γ ,

y1' = ( x1 + v ∙ x0 / c ) ∙ γ ,

dove γ = 1 / ( 1 - v2 / c2 ), mentre le altre coordinate rimangono inalterate.

Consideriamo adesso gli assi delle nuove xμ' e richiediamo che siano paralleli a quelli delle yμ'. Naturalmente, essi non sono ortogonali. Tuttavia, richiediamo che le unità di riferimento siano preservate. In tal caso, nell'etere le trasformazioni che corrispondono a quelle delle coordinate fisiche sono semplici rotazioni:

x0' = x0 ∙ cos( θ ) + x1 ∙ sen( θ ),

x1' = x1 ∙ cos( θ ) + x0 ∙ sen( θ ),

dove θ = arctan( v / c ), cos( θ ) = 1 / √( 1 + v2 / c2 ), sen( θ ) = ( v / c ) / √( 1 + v2 / c2 ). Ciascun asse è soggetto ad un'ordinaria rotazione, ma l'una in direzione opposta dell'altra, così che entrambi termini che contengono la funzione sen( θ ) hanno lo stesso segno, positivo o negativo, a seconda della direzione della rotazione.

Espresse in funzione della velocità v, le rotazioni sopra riportate hanno la seguente espressione:

x0' = ( x0 + v ∙ x1 / c ) / √( 1 + v2 / c2 ),

x1' = ( x1 + v ∙ x0 / c ) / √( 1 + v2 / c2 ),

con le inverse:

x0 = ( x0' - x1' ∙ v / c ) ∙ √( 1 + v2 / c2 ) / ( 1 - v2 / c2 ),

x1 = ( x1' - x0' ∙ v / c ) ∙ √( 1 + v2 / c2 ) / ( 1 - v2 / c2 ).

Introducendo queste nelle yμ si ottiene il seguente risultato:

y0' = x0' ∙ γ ∙ √( 1 + v2 / c2 ),

y1' = x1' ∙ γ ∙ √( 1 + v2 / c2 ),

In conclusione, scegliendo appropriatamente gli assi e le unità di misura, in generale esiste la seguente relazione tra le coordinate fisiche e quelle dell'etere:

y0 = x0 ∙ Γ,

y1 = x1 ∙ Γ,

y2 = x2,

y3 = x3,

dove Γ =[( 1 + v2 / c2 ) / ( 1 - v2 / c2 )] e v è la velocità del sistema fisico rispetto a quello fondamentale (cioè, quello dell'etere a riposo).

Lungo la direzione di moto le lunghezze sono dilatate. Un'accurata misurazione dei moti orbitali dovrebbe permettere di determinare la velocità della terra rispetto all'etere.


Qualsiasi altra trasformazione non lascia la forma invariata, ma la deforma in qualche maniera. Di conseguenza, solo le trasformazioni di Lorentz preservano la forma delle equazioni fisiche sotto un cambiamento del sistema di riferimento. Per questa ragione esse sono le sole trasformazioni adatte a cambiamenti di riferimento.

Da parte sua, la sola metrica che è invariante alle trasformazioni di Lorentz è quella minkowskiana. Lo si può verificare considerando una qualsiasi combinazione bilineare delle coordinate e sottoponendola ad una trasformazione di Lorentz. Il requisito affinché la metrica rimanga invariante possiede una sola soluzione: la metrica di Minkowski!

Perciò, poiché esprime la fisica che sottosta alle trasformazioni che coinvolgono il moto, la figura di cui sopra determina sia il tipo di trasformazioni che preservano la forma delle equazioni fisiche che la metrica dello spazio-tempo. Se le onde si comportassero in maniera diversa, sia le trasformazioni di Lorentz, sia la metrica di Minkowski sarebbero prive di significato nel contesto fisico.

Oltre a ciò, possiamo dire che tutti i vettori dello spazio-tempo si comportano come in effetti fanno a motivo di tale forma, ossia tutti i vettori che sono associati in qualche maniera a delle onde dell'etere devono ubbidire alla legge di trasformazione di Lorentz. D'altra parte, ci si aspetta che i vettori che non sono originati da onde dell'etere non debbano essere soggetti a tale legge ma, come nel caso di quelli associati direttamente all'etere, ubbidiscano alle normali leggi che governano le rotazioni.

Questo è un aspetto che deve essere provato da esperimenti del tipo di quello già proposto per la determinazione della velocità della terra rispetto all'etere. Questo argomento è considerato in maggior dettaglio nella terza parte di questo blog.

 
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Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 25 Novembre 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Effetto Compton, seconda parte

Note: una buona comprensione di questo post richiede la conoscenza di alcuni post già pubblicati.

In un post precedente abbiamo considerato l'effetto Compton dal punto di vista della teoria del tempo guida (TG). In tale descrizione l'interazione di un fotone con un elettrone produce due onde elettroniche, una per ogni direzione del tempo. In seguito, un'onda elettronica proveniente dal futuro interagisce con la discontinuità che costituisce il residuo dell'interazione precedente e dà origine a due nuove onde elettroniche, le quali cancellano quelle vecchie, ed un fotone, il quale completa l'effetto Compton (vedi Il tempo guida e l'effetto Compton).

Ora vogliamo considerare la descrizione in maggior dettaglio, in particolare per quanto riguarda l'energia-impulso e la forma delle onde elettroniche. Quest'analisi mostrerà che in questa teoria le onde elettroniche non soddisfano l'equazione di Dirac per una semplice ragione: le soluzioni dell'equazione di Dirac hanno lo scopo di provvedere mezzi atti a calcolare probabilità, mentre quelle qui considerate rappresentano le vere onde associate alle particelle elementari.

Consideriamo le energie e le quantità di moto coinvolte nel processo. Per semplicità ci poniamo nel riferimento in cui le quantità di moto dell'elettrone e del fotone incidente sono uguali ma di segno opposto. Se chiamiamo (Ee, pe) e (Ef, pf) le loro energie e quantità di moto, allora pe = -pf, e l'energia-impulso totale è (ET, pT) = (Ee + Ef, 0).

Sebbene a riposo, l'energia che ne risulta dopo la prima interazione è ovviamente maggiore di quella del solo elettrone, ossia maggiore della massa di un elettrone moltiplicata per c2. (Nota: Ee non è uguale alla massa di un elettrone a riposo moltiplicata per c2, perché la quantità di moto pe è diversa da zero).

Questo non dovrebbe sorprendere, poiché ciò che abbiamo considerato fino ad ora costituisce solo parte dell'effetto Compton osservabile. Fino a questo punto è stato assorbito un fotone, ma non è stato emesso alcunché; di conseguenza la risultante energia totale è maggiore di quella di un elettrone a riposo. L'energia extra risulterà necessaria per emettere un fotone al termine del processo.

Un risultato importante consegue da questo semplice calcolo: Il fatto che la combinazione delle onde fotonica ed elettronica nel punto di interazione produca un aumento dell'energia a riposo e si abbia l'improvviso arresto dell'onda fotonica, con la conseguente emissione di due onde elettroniche, mostra che l'etere non può accettare energie (a riposo) diverse da quelle di un insieme di valori ammissibili.

In altre parole, poiché in termini di onde energia significa frequenza, l'etere non può accettare qualsiasi frequenza lungo le direzioni di tipo tempo, ma solo quelle associate alle particelle esistenti in natura. Ciò spiega perché le particelle possiedono energie a riposo specifiche, ben definite. Lungo le direzioni caratterizzate dalla velocità della luce invece non c'è tale restrizione.

Perciò è la combinazione delle onde, con la conseguente produzione di frequenze inammissibili, che produce l'improvviso arresto dell'onda fotonica e l'emissione delle due nuove onde elettroniche.

In Il tempo guida e l'effetto Compton abbiamo visto che il fotone incidente ha due fronti, uno puntante all'indietro ed un altro in avanti nel tempo. Dopo l'interazione il fotone non esiste più, ma due nuovi fronti d'onda si stanno muovendo, quelli associati alle due nuove onde elettroniche, uno verso il passato e l'altro verso il futuro. Di conseguenza il processo conserva il numero di fronti d'onda (quello associato all'onda dell'elettrone incidente non viene alterato).

Un'altra conseguenza del fatto che l'etere ammette solo frequenze specifiche è che l'ampiezza delle onde prodotte dall'interazione rimane costante. Infatti, la serie di Fourier dell'onda lungo qualsiasi direzione di moto richiede che l'ampiezza dell'onda non cambi affinché sia composta da una sola frequenza.

Questo appare piuttosto strano, perché nel mondo macroscopico, come le onde si espandono, la loro ampiezza diminuisce; è una questione di conservazione dell'energia. Tale legge non si applica qui, perché l'energia è un concetto legato al numero di onde per unità di tempo. Evidentemente le leggi ordinarie non hanno alcun significato in questa situazione e non vanno applicate. La legge imperativa da applicare qui è che lungo le direzioni di tipo tempo uscenti dal punto di emissione solo frequenze specifiche sono ammesse.

Ciò spiega perché nella meccanica classica le ampiezze delle onde elettroniche non influenzino la fisica, il che è espresso dal fatto che non appaiono nelle equazioni, mentre in meccanica quantistica esse devono essere normalizzate. Perciò, in questo scenario in cui non si parla di probabilità, le ampiezze delle onde sono grandezze fisiche immutabili.

Qual'è la forma dell'onda che si diparte dal punto di interazione? Nel sistema di riferimento in cui (E, p) = (Ee + Ef, 0), la direzione lungo la quale l'elettrone si può muovere deve essere tale che alla fine del processo le leggi di conservazione dell'energia e della quantità di moto (come pure dello spin) debbano essere soddisfatte.

Per ottenere questo risultato e far sì che tra l'energia e la quantità di moto del fotone uscente esista la relazione E = | p |  c, il fotone uscente deve avere la stessa energia di quello entrante. In altre parole, l'insieme di tutte le possibili quantità di moto, sia del fotone che dell'elettrone (si rammenti che p = pe = -pf), descrive una sfera nello spazio della quantità di moto, e le proiezioni delle quantità di moto lungo una qualsiasi direzione spaziale variano da -p | a p |.

Corrispondentemente, lungo una qualsiasi direzione spaziale la velocità dell'elettrone varia da -v a v, con v = | p | / ( mo  γ ), dove mo è la massa dell'elettrone a riposo e γ = 1 / ( 1 - v2 ). Di conseguenza, visto da questo sistema di riferimento il fronte dell'onda elettronica si propaga come la superficie di una sfera che si va espandendo.

 
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L'origine dei fulmini

Post n°14 pubblicato il 04 Giugno 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

L'origine dei fulmini

I fulmini sono fenomeni di scarica elettrica che avvengono quando si crea una forte differenza di potenziale tra nubi, tra parti di una stessa nuvola o tra una nuvola e la terra. Quando la scarica avviene tra una nuvola e la terra, la nuvola possiede carica negativa e il suolo immediatamente sottostante positiva.

Quale meccanismo dà origine ad una così gran differenza di potenziale e quale altro fenomeno produce, oltre ai fulmini?

Nei temporali vi sono delle forti correnti d'aria ascendenti calde ed umide, con velocità che possono raggiungere i cento chilometri orari (alcuni mesi fa in Australia una sportiva praticante il parapendio fu trascinata involontariamente da una tale corrente fino a diecimila metri d'altezza).

In queste correnti d'aria ascendente è coinvolta una grande potenza. Evidentemente, è questo il fenomeno che in qualche modo carica elettricamente le nuvole. Come?

Esso è lo stesso fenomeno che carica un materiale isolante quando lo si strofina. É quel fenomeno che a volte fa prendere una scossa elettrica quando si scende da un'auto. La macchina è isolata elettricamente dal suolo e muovendosi velocemente, con lo strofinio dell'aria, si carica elettricamente. Un'altra manifestazione di questo fenomeno si ha strofinando con forza una borsa di plastica contro una maglia di lana e ponendola poi sopra la testa. La carica elettrica accumulata fa rizzare i capelli. In quale modo questo fenomeno carica elettricamente le nuvole?

La distribuzione di velocità, umidità e temperatura della corrente d'aria ascendente è variabile, per cui possiamo immaginare questo flusso d'aria come tanti filetti sottili aventi velocità, umidità e temperature diverse.

Lo strofinio tra filetti contigui che si ha in conseguenza delle diverse velocità produce un trasferimento di elettroni dai filetti più caldi ed umidi a quelli più freddi. Complessivamente si ha un trasferimento di elettroni negativi dal flusso d'aria calda ascendente a quella circostante, la quale, quest'ultima, acquista una carica negativa, mentre quella che sale si carica positivamente.

A motivo di questo fatto si creano notevoli differenze di potenziale tra parti di una stessa nuvola o tra nuvole vicine, dell'ordine di parecchie decine di milioni di volt. Quando queste forti differenze di potenziale all'improvviso si scaricano, si ha la produzione di un fulmine.

Non tutte le cariche elettriche che vengono portate verso l'alto, però, producono fulmini. Che cosa avviene delle altre? Poiché a grandi altezze l'atmosfera è buona conduttrice elettrica, questo trasferimento di cariche elettriche verso l'alto si riversa su tutta l'alta atmosfera, contribuendo a mantenerla carica positivamente, mentre i fulmini che si scaricano sulla terra trasferiscono su di essa cariche negative.

Perciò i fulmini che si scaricano sulla terra ed il continuo apporto di cariche positive verso l'alto durante i temporali fanno sì che esista costantemente su tutta la terra un'elevata differenza di potenziale tra l'alta atmosfera e la superficie del suolo, dell'ordine di alcune centinaia di migliaia di volt, una differenza di potenziale per metro che però è molto inferiore di quella che produce i fulmini.

Poiché ci sono in media circa trecento temporali attivi sulla terra ad ogni ora del giorno e della notte, di conseguenza tutta l'atmosfera terrestre è costantemente percorsa da una corrente elettrica, anche se debolissima.

Riassumendo, le correnti ascensionali di aria calda e umida caricano elettricamente le nuvole e l'alta atmosfera. La scarica tra nuvole o tra nuvole e suolo avviene mediante fulmini, quella tra l'alta atmosfera ed il suolo mediante una corrente elettrica debolissima, la quale fluisce giorno e notte.

 
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Macchie solari

Post n°13 pubblicato il 28 Maggio 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Macchie solari e facole

Nel post precedente abbiamo visto come a parità di temperatura un gas estremamente rarefatto acquisti sotto forma di radiazione più energia di quanta non ne perda, il che fa sì che la sua temperatura di equilibrio debba essere notevolmente più alta del normale. Ora vediamo come tale effetto dia origine alle macchie solari.

Sotto la superficie solare vi è una superficie dove a volte dei campi magnetici intensi rilasciano improvvisamente una gran quantità di energia, producendo enormi palloni di gas molto caldi e rarefatti, tanto grandi da raggiungere dimensioni paragonabili a quelle della terra.

Le condizioni termodinamiche in tali globi di gas sono simili a quelle che si riscontrano nell'ambito della corona solare, anche se non in quella misura: temperature elevate e basse densità, condizioni ideali perché entri in funzione l'effetto Trevisan (vedi più sotto il post precedente: L'enigma della corona solare). Questo effetto agisce in maniera tale che i globi continuano a riscaldarsi, sottraendo calore ai gas più densi e freddi che li circondano, ed il processo continua finché i globi gassosi non raggiungono una temperatura tale da poter rimanere in equilibrio radiativo con i gas circostanti.

Poiché possiedono una densità molto bassa, i globi di gas salgono lentamente verso la superficie del sole. D'altra parte, a causa del raffreddamento dei gas circostanti i globi causato dal loro riscaldamento, ai gas superiori viene a mancare il normale apporto di calore dal basso, quello che permette al sole di risplendere. Di conseguenza la temperatura di una zona della superficie solare sopra i globi surriscaldati si abbassa, ed ha origine una macchia solare.

In sostanza, lo sviluppo improvviso di energia sotto la superficie del sole da parte di campi magnetici intensi produce una macchia più fredda in superficie. Ciò può sembrare un paradosso, ma in realtà non vi è contraddizione. Alla fin fine i globi gassosi raggiungono la superficie ed irradiano nello spazio tutta l'energia accumulata, producendo le cosiddette facole.

A questo punto, tenuto conto del maggior calore emesso dal sole a motivo delle facole, il bilancio energetico si aggiusta. In effetti, facole e macchia solare emettono complessivamente più radiazione del normale, e l'eccesso di radiazione corrisponde proprio all'energia rilasciata dai campi magnetici sotto la superficie del sole.



Un'ulteriore applicazione dell'effetto Trevisan si ha nel cosmo. La densità di materia nello spazio cosmico è bassissima. Là le rarissime particelle compiono in media dei lunghissimi tragitti senza subire interazioni, certamente i più lunghi riscontrabili nell'universo.

Queste particelle solitarie dello spazio cosmico sono soggette ad una radiazione costante, ma molto tenue, poiché per la maggior parte si trovano lontanissime da qualsiasi stella o galassia. Tuttavia, a motivo dei lunghi percorsi che le particelle compiono senza interagire, le temperature d'equilibrio devono essere molto alte. Quanto? É difficile dirlo, ma visto lo stato di rarefazione del gas cosmico, probabilmente esso è caratterizzato dalle temperature più alte dell'universo.

Stando così le cose, le particelle dello spazio cosmico possiedono velocità ed energie elevatissime, probabilmente quelle stesse che si riscontrano nei raggi cosmici. In tal caso i raggi cosmici non sono altro che particelle interstellari surriscaldate dalla debole radiazione cosmica.

Dove dovrebbero esistere nel cosmo le più alte temperature, o le particelle più energetiche? Naturalmente nello spazio (quasi) vuoto vicino alle galassie. Se si potessero vedere i raggi cosmici come la luce ordinaria, si dovrebbero vedere le galassie circondate da un alone di luce. Esiste un tale alone?

Sì. Di recente si è scoperto che i raggi cosmici provengono principalmente dalle regioni vicine alle galassie. Questo fatto sperimentale appoggia fortemente la conclusione esposta in questo blog, che i raggi cosmici sono originati nello spazio cosmico mediante la radiazione emessa dalle stelle

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L'enigma della corona solare

Post n°12 pubblicato il 21 Maggio 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

La corona solare è quella parte del sole, ordinariamente non visibile, che si estende per più di un milione di chilometri oltre la sua superficie. La densità del plasma che la costituisce è bassissima, circa un millesimo di miliardesimo di quella presente sulla superficie del sole. Un'altra caratteristica che rende straordinaria la corona solare è la sua temperatura, che è dell'ordine di alcuni milioni di gradi centigradi.

Un fatto ben noto, espresso pure da una legge termodinamica, è che il calore procede dalle zone più calde a quelle più fredde. Invece la corona solare, pur avviluppando una superficie molto più fredda, quella del sole, e pur essendo circondata dal freddissimo vuoto cosmico, possiede e mantiene temperature elevatissime. Per quale motivo è così calda e perché non si raffredda?

A mantenere quell'elevata temperatura deve evidentemente intervenire un meccanismo che operi in maniera non usuale, nel senso che in quell'ambiente estremo deve venire meno il normale flusso di calore da un corpo più caldo ad uno più freddo. Esiste un tale meccanismo? Se sì, come funziona?

La chiave perché un tale meccanismo funzioni dev'essere un'altra caratteristica peculiare di questo gas, la densità, la quale è così bassa che se si verificasse una tale condizione sulla terra si parlerebbe di vuoto assoluto. Che cosa avviene quando un gas è così rarefatto?

La corona riceve calore dal sole e ne perde emettendo a sua volta della radiazione. Per rimanere in equilibrio radiativo, ossia affinché la temperatura rimanga costante, vi dev'essere equilibrio fra la radiazione che la corona riceve e quella che emette.

Qui avviene un fatto peculiare. L'energia che ogni singola particella di gas riceve dal sole è indipendente dalla presenza di altre particelle nelle sue vicinanze, ossia non dipende dalla densità del gas. Un fotone può colpire una particella indipendentemente dal fatto che nelle sue vicinanze vi siano altre particelle.

D'altra parte, l'energia che una singola particella irradia dipende dalla presenza di altre particelle nelle sue vicinanze. Per quale motivo? Il fatto è che l'energia posseduta dalle particelle del plasma della corona è cinetica. Maggiore è la temperatura del gas e maggiore è l'energia cinetica media delle singole particelle.

In tali condizioni, il solo modo affinché una particella di plasma perda energia emettendo radiazione è mediante l'urto con un'altra particella. Infatti, dal proprio punto di vista ogni particella è ferma e non può irradiare a meno che non interagisca con un'altra particella, perché essendo ferma non possiede energia cinetica, ed evidentemente essa non può perdere ciò che non ha.

La situazione è diversa quando avviene un urto, o interazione, fra due particelle. Come risultato dell'urto le particelle cambiano il loro stato di moto, la loro energia cinetica media rispetto al baricentro comune diminuisce e l'eccesso di energia viene emesso sotto forma di radiazione.

A causa della bassissima densità del gas la probabilità affinché due particelle di gas interagiscano è molto bassa. Minore è la densità e minore è la probabilità che avvenga un urto tra particelle. Per questo motivo, più il gas è rarefatto e meno irradia.

Ecco perciò che affinché si abbia equilibrio radiativo la temperatura del gas deve aumentare. Infatti, al crescere della temperatura e quindi della velocità media delle particelle aumenta anche la probabilità d'urto fra le particelle e nello stesso tempo aumenta pure l'energia media irradiata in seguito a ciascuna collisione, poiché sono coinvolte energie cinetiche più elevate.

A questo punto, una domanda che uno potrebbe porsi è: Per quale motivo questo meccanismo non funziona anche sul gas rarefatto che circonda la terra, visto che col crescere dell'altitudine rispetto alla superficie del suolo la densità dell'aria diminuisce fino a raggiungere i valori dello spazio cosmico?

In effetti il gas molto tenue che si trova ad alcune centinaia di chilometri sopra la superficie della terra possiede temperature dell'ordine di alcune centinaia di gradi. E similmente le atmosfere esterne estremamente rarefatte degli altri pianeti del sistema solare hanno temperature considerevolmente più alte di quelle delle loro atmosfere sottostanti.

Ciò non significa però che un satellite che passi attraverso questo gas incandescente si surriscaldi, in quanto la sua estrema rarefazione rende quasi nullo il trasferimento di calore per contatto.

Questo fenomeno di surriscaldamento di un gas si verifica ogni volta che si parla di gas estremamente rarefatto e occupante un volume molto esteso, in modo che non ci sia scambio di calore per contatto con le pareti che lo contiene. In mancanza di un appellativo migliore, in futuro ci si riferirà ad esso come all'effetto Trevisan.


 
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Velocità della terra rispetto all'etere

Post n°11 pubblicato il 14 Maggio 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Nota: per comprendere questo post è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

In un post precedente (Lo spazio-tempo e l'etere) abbiamo visto che l'etere è uno spazio ordinario euclideo, mentre quello fisico è minkowskiano. Che cosa implica questa differenza?

Soffermiamoci dapprima sull'universo fisico. In questo spazio, dato un sistema di coordinate ortonormali la distanza dall'origine di un punto P di coordinate (t, x) è data da (per semplicità di notazione è presa in considerazione solo la coordinata spaziale nella direzione del moto):

(1): d = √| c2 2 - x2 |. t

Questa espressione è invariante in forma rispetto alle trasformazioni di Lorentz, ossia l'espressione (1) è la stessa in qualsiasi sistema di riferimento inerziale.

Una conseguenza di questo fatto è che la velocità della luce è indipendente dal sistema di riferimento. Perciò qualsiasi tentativo di determinare la velocità della terra mediante una misurazione della velocità della luce è destinata a fallire, come Michelson e Morley dimostrarono con il loro famoso esperimento.

Ora, per quanto riguarda l'etere, dato un sistema di coordinate ortonormali, la distanza di un punto P espressa in termini di esse ha questa espressione (vedi Lo spazio-tempo e l'etere):

(2): d = √( c2 2 + x2 ). t

Perciò la metrica dell'etere è quella di uno spazio ordinario euclideo e l'equazione (2) non rappresenta nient'altro che il teorema di Pitagora, dove c  e x sono i cateti e d l'ipotenusa. A differenza della (1), quest'espressione non è invariante rispetto a trasformazioni di Lorentz che coinvolgano un cambiamento di moto, ma i coefficienti della metrica dipendono dalla velocità dell'osservatore rispetto all'etere.  t

In altre parole, l'equazione (2) individua un'unica direzione temporale e, a meno di una traslazione, un unico sistema di riferimento. Definiamo fondamentale un qualsiasi sistema caratterizzato da tale direzione temporale.

Perciò l'espressione (2) non è valida se il sistema di riferimento è in moto rispetto al sistema fondamentale, perché i coefficienti della metrica sono funzioni della velocità. Di conseguenza, la conoscenza dei coefficienti della metrica consente di calcolare la velocità di un osservatore rispetto all'etere. Come?

Osservazioni che coinvolgano leggi della fisica soggette alla metrica di Minkowski cioè invarianti rispetto a trasformazioni che coinvolgano cambiamenti di velocità sono del tutto inadatte a questo scopo. Il solo modo per ricavare i coefficienti della metrica dell'etere è mediante leggi che dipendano dalla metrica dell'etere e che quindi non siano invarianti rispetto a tali trasformazioni. Esistono tali leggi?

Probabilmente l'unica candidata è la legge di gravitazione. Infatti la gravitazione non si trasmette mediante onde dell'etere, come avviene ad esempio per l'elettromagnetismo. Perciò la legge di gravitazione è la candidata più promettente per determinare la velocità della terra rispetto all'etere. In che modo?

Consideriamo un pianeta in orbita attorno al sole. Esso è soggetto a forze che dipendono dalla curvatura dell'etere, non dalle sue oscillazioni, perché nella curvatura dello spazio-tempo che dà origine alla forza di gravitazione non sono implicati né periodi né lunghezze d'onda.

Di conseguenza, le orbite dei pianeti dovrebbero differire leggermente da quelle che si avrebbero se la legge di gravitazione fosse invariante rispetto alle trasformazioni di Lorentz. La misurazione di tali piccole discrepanze nelle traiettorie dovrebbe permettere di determinare i coefficienti della metrica dell'etere e di conseguenza la velocità del sistema solare e della terra rispetto all'etere.

Si dovrebbe notare una cosa. Se la direzione di moto del sistema solare rispetto all'etere è ortogonale al piano dell'eclittica, le orbite dei pianeti non darebbero origine a notevoli discrepanze, poiché l'effetto causato dal fatto che i piani delle loro orbite non coincidano con quello dell'eclittica non dovrebbe produrre risultati facilmente rilevabili.

In ogni caso, il modo migliore di misurare il moto rispetto all'etere è di inviare due sonde nello spazio, le quali si muovano su orbite i cui piani siano mutuamente ortogonali.


 
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Etere ed inerzia

Post n°10 pubblicato il 08 Maggio 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Nota: per comprendere questo post è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

L'esistenza dell'etere è fondamentale per comprendere il fenomeno dell'inerzia. Infatti, requisito principale perché un corpo possieda inerzia è che la sua posizione nello spazio sia riferibile a qualcosa di fisico.

La negazione dell'esistenza dell'etere aveva portato Einstein a immaginare che l'inerzia fosse dovuta all'azione sulla materia delle cosiddette stelle fisse. Egli fece questo nel 1918 citando il lavoro di un fisico morto due anni prima, Ernst Mach, ed enunciando un principio che egli definì in suo onore Principio di Mach.

La comprensione dell'inerzia tramite l'etere si basa sul fatto che esso fornisce il riferimento per le posizioni dei corpi, in contrapposizione al fatto che se non esistesse alcun riferimento non avrebbe nemmeno senso parlare di moto e quindi d'inerzia.

D'altra parte, perché e in che modo l'etere influisce sul moto, così che maggiore è la massa di un corpo, minore è l'accelerazione, come mostra la seconda legge di Newton (f = m  a)?

Questo fatto si comprende ricordando che ad ogni particella è associata un'onda, la cui frequenza è tanto maggiore quanto maggiore è la sua massa. In assenza di interazione l'onda si propaga lungo la direzione temporale ortogonale al suo fronte. La direzione di moto non cambia a meno che non subisca un'interazione con un'altra onda, come descritto ad esempio nell'effetto Compton (vedi La direzione del tempo e l'effetto Compton).

La modifica di direzione prodotta dall'interazione è inversamente proporzionale alla frequenza della particella colpita, ossia, l'interazione produce esattamente l'effetto che ci si aspetta da un corpo dotato d'inerzia.

L'inerzia quindi è una manifestazione del fatto che affinché un'onda associata ad una particella elementare muti la propria direzione di moto nell'etere è necessaria un'interazione, e l'accelerazione media che ne deriva in seguito a molteplici interazioni è inversamente proporzionale alla frequenza propria della particella, ossia alla sua massa, proprio come afferma la seconda legge di Newton.

 
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Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 02 Maggio 2007 da Dave_Tiongreis
 

Lo spazio-tempo e l'etere

Nota: per comprendere questo post è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

Nei post già pubblicati abbiamo visto che assumendo le particelle elementari quali oscillazioni dell'etere porta a comprendere il motivo per cui le distanze nello spazio-tempo dipendono dal sistema di riferimento (vedi Relatività della durata del tempo), il collasso delle funzioni d'onda (vedi La direzione del tempo e l'effetto Compton) ed altri aspetti quantistici della materia. Allo stesso tempo il concetto di etere, quasi del tutto abbandonato con l'avvento della teoria della relatività riprende vigore. Come si può inserire l'etere nella fisica dello spazio-tempo e con quali conseguenze?

Una prima cosa da fare è quella di stabilire il concetto di distanza nell'etere. Tale concetto è diverso da quello che si applica nell'universo fisico, dove le distanze sono soggette alla metrica di Minkowski e le misure avvengono in termini di onde, i cui periodi e lunghezze d'onda fungono o sono proporzionali alle unità di misura (vedi in questo blog il post Relatività della durata del tempo).

Per rendere chiaro come il concetto di distanza sia diverso, visualizziamo tali unità di misura. Dato il periodo di un'onda, vediamo com'esso varia in funzione della velocità. La legge che esprime la variazione del tempo e che sta alla base della teoria della relatività è la trasformazione di Lorentz: t = t0 / ( 1 - v2 / c2 ).  Data una particella, la cui onda associata possiede periodo T0 nel sistema a riposo, la corrispondente trasformazione per il periodo è: T = T0  ( 1 - v2 / c2 ).

Chiaramente, T  t = T0  t0. Tenuto conto di questa legge di trasformazione, ad un osservatore in movimento con velocità v, per v che va da -c a c (le unità sono tali che alla velocità della luce corrispondono rette inclinate di 45° rispetto all'asse temporale), il periodo T acquista i valori riportati nel grafico che segue.

immagine

Se ci si limita ad una sola dimensione spaziale, x, la legge di trasformazione delle lunghezze d'onda è uguale a quella dei periodi. Perciò un grafico in due dimensioni che raffiguri sia i periodi che le lunghezze d'onda, con l'inclusione dei tempi negativi, ha la seguente forma.

immagine

É da notare che al tendere alla velocità della luce sia i periodi che le lunghezze d'onda tendono a zero. Ciò rispecchia il fatto che all'avvicinarsi alla velocità della luce i tempi e le distanze tendono all'infinito, mentre i prodotti periodo  tempo e lunghezza d'onda  distanza rimangono costanti.

Da questi grafici ricaviamo un fatto interessante. Mentre nell'universo fisico le distanze invarianti (distanze assolute, indipendenti dalla velocità del sistema di riferimento) sono soggette alla metrica di Minkowski, nell'etere esse sono semplicemente soggette alla metrica di Euclide, ossia alla regola di Pitagora. In altre parole, dato un punto P, siano (tf, xf) le sue coordinate riferite al sistema di riferimento fisico (minkowskiano) e (te, xe) quelle riferite all'etere. Allora tra le coordinate fisiche e quelle dell'etere esiste la seguente relazione:

tf = a(v) te  

xf = a(v) xe, 

con a(v) funzione del rapporto v = xf / tf = xe / te per i periodi e v = tf / xf = te / xe per le lunghezze d'onda, ossia

a(v= [( 1 + v2 / c2 )/| 1 - v2 / c2 |].

In termini di coordinate fisiche la distanza invariante di P dall'origine delle coordinate è data da

df = √| c2 2 - xf2 |, tf

mentre in termini di coordinate dell'etere è data da

de = √( c2 2 + xe2 ), te

ed i due valori sono uguali, cioè de = df.

Un problema non risolvibile con la metrica di Minkowski è la determinazione della velocità della terra rispetto all'etere. Una conseguenza interessante della metrica dell'etere è di non essere indipendente dalla velocità del sistema di riferimento. Tale non invarianza dovrebbe consentire l'effettuazione di misurazioni che permetterebbero di ricavare la velocità assoluta della terra.


 
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L'aspetto duale delle particelle elementari

Post n°8 pubblicato il 23 Aprile 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

L'aspetto duale delle particelle elementari

Nota: per comprendere questo post è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

Le particelle elementari manifestano due comportamenti contrastanti, a seconda dell'esperimento a cui sono soggette: corpuscolare e ondulatorio. Che cosa sono in realtà le particelle elementari, delle quali l'intero l'universo è costituito?

Vi sono innumerevoli esperimenti, come ad esempio i fenomeni di diffrazione, che mostrano che le particelle elementari possiedono proprietà ondulatorie. La stessa meccanica quantistica, originariamente chiamata meccanica ondulatoria, come pure l'effetto Compton descritto nei post precedenti fanno leva su tale caratteristica della particelle elementari.

In altre situazioni le particelle manifestano proprietà corpuscolari, specie dove sono coinvolte alte energie. Un aspetto in particolare, che mette in dubbio l'accettazione delle particelle quali semplici onde e lascia pensare che l'aspetto ondulatorio non rifletta completamente la realtà fisica è il cosiddetto collasso della funzione d'onda.

Tale collasso, o improvvisa scomparsa della funzione d'onda associata alle particelle e che contiene tutte le informazioni che la riguardano, avviene ogni qualvolta una particella è soggetta ad interazione. Allora secondo il formalismo della meccanica quantistica la vecchia funzione d'onda scompare e nel luogo dell'interazione ha origine una nuova funzione d'onda. Perciò gli studiosi sono portati a credere che essa non sia altro che un artificio matematico utile per i calcoli.

La descrizione non ordinaria dell'effetto Compton presentata due post addietro in questo blog mise in chiaro a cosa è dovuto tale collasso. Esso è dovuto al fatto che esistono onde che si propagano lungo entrambe le direzioni del tempo e che quella che torna indietro dà origine a nuove onde di segno contrario che cancellano le precedenti.

Oltre a questo, il post Relatività della durata del tempo mostra che le proprietà ondulatorie delle particelle danno la spiegazione del motivo per cui il tempo si dilata quando si cambia sistema di riferimento. Questa constatazione permette di superare anche un altro grosso ostacolo: l'accettazione dell'etere. Infatti, dall'avvento della teoria della relatività l'etere è stato pressoché accantonato per il fatto che sembra inaccettabile che un tessuto possa dilatarsi in tale misura, praticamente senza limiti.

Si è visto però che un cambiamento di riferimento non modifica effettivamente le distanze, né spaziali né temporali, e che il tessuto dell'etere non si stira. Ciò che cambia sono le unità di misura degli spazi e dei tempi, le quali sono costituite dai periodi e dalle lunghezze d'onda associati alle particelle (vedi il post Relatività della durata del tempo).

Tutto questo lascia comprendere che tutte le particelle non sono altro che onde, ossia oscillazioni dell'etere. L'accettazione di ciò porta a importanti nuove conseguenze, alcune delle quali impossibili dal punto di vista della meccanica quantistica, come il fatto che si possa ovviare alla limitazione imposta dal principio di indeterminazione (vedi il post Effetto Compton ed indeterminazione).

 
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Effetto Compton ed indeterminazione

Post n°7 pubblicato il 16 Aprile 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

Effetto Compton ed indeterminazione
Nota: per comprendere questo blog è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

Torniamo a considerare l'effetto Compton. La teoria quantistica fornisce la probabilità che il fotone incidente subisca una deflessione di un certo angolo indipendentemente dalla situazione all'intorno. Tuttavia nella teoria del tempo guida, la quale descrive l'effetto Compton in termini di onde propagantisi in entrambe le direzioni del tempo, la successiva interazione dell'elettrone avviene non appena si verificano le condizioni favorevoli.

Cosa succederebbe se l'elettrone potesse successivamente interagire solo entro un certo ambito, cioè se un esperimento fosse predisposto in maniera tale che le successive interazioni potessero avvenire solamente verso alcune specifiche direzioni? In tale caso la distribuzione di probabilità degli angoli di diffusione non rispecchierebbe più quella fornita dalla teoria quantistica, in quanto essa non tiene conto dell'asimmetria delle condizioni nella vicinanza del luogo dove avviene l'effetto Compton.

Mentre secondo la meccanica quantistica il moto di un elettrone è in una certa misura imprevedibile a causa del principio di indeterminazione, il fatto che l'elettrone si possa muovere solo verso direzioni in cui incontra condizioni favorevoli può permettere di ovviare all'incertezza imposta da tale principio.

La situazione si può paragonare a quella di una gallina che cammina beccando ora a destra ora a sinistra in maniera imprevedibile. Se però si pongono davanti a lei dei chicchi di grano, essa li seguirà e il suo percorso non sarà più completamente indeterminato. Allo stesso modo, se un elettrone può interagire solo lungo un dato cammino, allora si può disporre un esperimento in modo da limitare l'azione causata dal principio di indeterminazione.

Questo aspetto permette di verificare la bontà della teoria del tempo guida. Infatti, disponendo un esperimento in maniera tale che l'elettrone uscente abbia delle possibilità limitate di interazione si può verificare se le cose avvengono proprio in armonia con la teoria del tempo guida.

Un altro aspetto interessante di questa teoria è il fatto che dopo che è avvenuta la successiva interazione (in termini di tempo guida) l'onda retrocedente nel tempo porta nel luogo in cui sta avendo luogo l'effetto Compton tutte le informazioni riguardo ad energia, quantità di moto e spin. A questo punto le caratteristiche fisiche del fotone che uscirà sono ben determinate e ciò fa sì che le leggi di conservazione possano essere esattamente soddisfatte.

 
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Esistono onde che vanno all'indietro nel tempo? L'effetto Compton mostra che ha senso considerarle

Post n°6 pubblicato il 11 Aprile 2007 da Dave_Tiongreis
 

Effetto Compton
Nota: per comprendere questo blog è necessario leggere prima quelli già pubblicati, i quali appaiono più sotto.

L'effetto Compton descrive l'interazione tra un fotone ed un elettrone. A causa dell'interazione entrambe le traiettorie vengono deviate. Come si può comprendere questo effetto se si ammette che le onde possano propagarsi in entrambe le direzioni del tempo? (Per chi non lo sa, ricordo che secondo la meccanica quantistica al fotone e all'elettrone sono associate delle onde, le cui frequenze sono proporzionali alle rispettive energie, positive se si propagano verso il futuro, negative in caso contrario.)

Una differenza importante tra fotone ed elettrone consiste nel fatto che le onde fotoniche hanno due fronti d'onda (le onde elettromagnetiche ubbidiscono ad equazioni differenziali del secondo ordine, le quali ammettono un numero indefinito di fronti d'onda), mentre quelle elettroniche ne possiedono solo uno (le soluzioni alle equazioni differenziali del primo ordine di Dirac relative all'elettrone non possiedono alcun fronte d'onda), quello che apre la strada nella direzione temporale verso cui l'onda si propaga. Perciò quando vengono emesse le onde dell'elettrone non si cancellano, a differenza di quelle fotoniche che viaggiano cancellandosi e ricreandosi costantemente. In altre parole, il fotone si può grossolanamente visualizzare come una pallottola, le onde elettroniche come gradini avanzanti.

Consideriamo due onde, una fotonica ed una elettronica, entrambe in movimento verso il futuro, le quali interagiscano in un punto P1. Le onde si fondono e l'urto dà origine a due onde elettroniche, i cui fronti d'onda si propagano verso il passato e verso il futuro.

L'onda che procede verso il futuro prima o poi interagisce nuovamente in qualche punto P2, e da lì partono altre due onde elettroniche, una diretta verso il passato e l'altra verso il futuro.

Come giunge nel punto P1, l'onda che si muove a ritroso nel tempo incontra la discontinuità causata dall'interazione precedente ed interagisce. Ha quindi luogo un processo fisico simile al precedente, in quanto vengono emessi un fotone e due onde elettroniche, e la discontinuità viene eliminata.

Dal punto di vista temporale questo processo non è altro che l'inverso del processo precedente, perché mentre nel primo caso sono giunte dal passato un'onda fotonica ed una elettronica e ne sono uscite due onde elettroniche lasciando una discontinuità, nel secondo caso giungono dal futuro un'onda fotonica ed una elettronica e ne escono due onde elettroniche mentre la discontinuità viene eliminata. Ovviamente, con il rovesciamento della direzione del tempo il fotone che viene emesso verso il futuro appare come se provenisse dal futuro, mentre la discontinuità eliminata appare come se fosse creata, e quindi il secondo processo è del tutto simile al primo.

Ora il bello è che le nuove onde elettroniche sono esattamente uguali a quelle emesse nel primo caso, a parte il segno (nota che il segno dell'onda non ha niente a che vedere con i segni dell'energia e della quantità di moto dell'elettrone e che onde di segno opposto rappresentano la stessa particella), ma il segno opposto fa sì che le nuove onde cancellino le vecchie.

A questo punto il vecchio elettrone in P1, con le onde ad esso associate, non esiste più, ma ne è già sorto un altro più avanti nel tempo, in P2, nel luogo dove ha avuto luogo la successiva interazione. Classicamente l'elettrone si è mosso da P1 a P2.

In termini di tempo guida (vedi più sotto i blog già pubblicati) le due interazioni in P1 avvengono in tempi diversi, ma in termini di tempo coordinata i due processi sono contemporanei e tutto appare come se il fotone entrante e quello uscente fossero un unico fotone, il quale abbia subito una semplice deviazione.

 
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Può il tempo scorrere per brevi istanti all'indietro? Sembra proprio di sì

Post n°5 pubblicato il 02 Aprile 2007 da Dave_Tiongreis
 

 

La direzione di scorrimento del tempo

Hai mai visto un orologio girare all'indietro? Penso di no, a meno che non sia stato costruito con le lancette giranti in senso antiorario da un costruttore giocherellone.

Tuttavia è un fatto che le leggi della fisica funzionano altrettanto bene in entrambe le direzioni temporali. É possibile che in qualche situazione il tempo scorra limitatamente all'indietro e se sì, con quali conseguenze?

Sicuramente, a livello macroscopico il tempo scorre in una sola direzione: è un'esperienza quotidiana che chiunque può attestare. Lo stesso non si può dire dei fenomeni che avvengono a livello microscopico, anche se si hanno delle leggi valide (parlo della meccanica quantistica) che spiegano bene il decorrere degli avvenimenti in una sola direzione.

Perché dico “anche se”? Perché nella meccanica quantistica, “anche se” se ne conosce abbastanza bene il formalismo matematico, tuttavia si è ben lontani dal capire “perché” manifesti certe caratteristiche peculiari come l'indeterminazione o il fatto che in certi esperimenti “sembra” che dei segnali si propaghino più velocemente della luce (vedi l'esperimento EPR in cui Aspect confutò l'ipotesi di Einstein, Podolski, Rosen).

Infatti, è famosa la seguente frase pronunciata da Bohr, uno dei fondatori della meccanica quantistica: “Se qualcuno afferma di avere compreso la meccanica quantistica, allora significa che non ha capito proprio niente”.

Soffermiamoci sui segnali che apparentemente si propagano più velocemente della luce. Non si ottiene un uguale risultato immaginando che si propaghino almeno parzialmente all'indietro nel tempo? Infatti, se un segnale si propaga un po' all'indietro e un po' in avanti nel tempo, lungo direzioni spazio-temporali differenti, il risultato è che può sembrare che si propaghi più velocemente della luce.

Ecco perciò un esempio di propagazione di un segnale all'indietro nel tempo, esempio dimostrato dall'esperimento di Aspect. Ma ci sono anche un altro aspetti che mostrano che a livello microscopico i segnali, o onde, devono propagarsi anche all'indietro nel tempo.

Ad esempio, consideriamo un fotone che venga deflesso dall'interazione con un elettrone (effetto Compton). Al momento dell'interazione il principio di indeterminazione afferma che la velocità e la direzione in cui si muoverà l'elettrone dopo l'urto sono entro certi limiti indeterminati.

Tuttavia dopo l'urto i bilanci - sia energetico, che di quantità di moto, che di spin - devono perfettamente soddisfatti, altrimenti le leggi di conservazione perderebbero di significato. Come può il fotone che esce dall'interazione possedere i corretti valori di energia, quantità di moto e spin se al momento dell'interazione la situazione è incerta? Evidentemente solo tramite l'informazione provveduta da segnali provenienti dal futuro.

Vuoi approfondire questo argomento? Leggi i tre seguenti capitoli: La direzione del tempo e il tempo guida, Il processo Compton e Ulteriori conseguenze della teoria del tempo guida che si trovano nel sito http://digilander.libero.it/Dave_Tiongreis .

 
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Lo spazio-tempo e il destino

Post n°4 pubblicato il 28 Marzo 2007 da Dave_Tiongreis
 

Nel descrivere i percorsi delle particelle si usano di solito dei grafici come quello raffigurato qui sotto.

 immagine

Dalla figura si comprende che al tempo t1 la particella si trova in x1 e al tempo t2 essa si è trasferita alla locazione x2. In realtà il grafico descrive un filo, il quale occupa le posizioni indicate dalla curva che va da (t1, x1) a (t2, x2).

Lo stesso ragionamento vale anche per il moto di particelle nello spazio-tempo quadridimensionale. Non è questione di descrizione. In uno spazio a quattro dimensioni — tre spaziali ed una temporale — non possono avvenire movimenti, perché in ogni punto dello spazio-tempo o c'è qualcosa oppure non c'è niente.

Che cosa ne conseguirebbe se le cose stessero effettivamente così?

Se stessero così le cose, allora l'io che ieri stava godendo o soffrendo è ancora lì nell'appropriata posizione dello spazio-tempo, e continua a godere oppure soffrire, mentre l'io che domani mediterà su queste cose si trova già nel proprio spazio-tempo e sta riflettendo.

Da ciò comprendiamo che ciò che avverrà in futuro non si può cambiare, perché tutto il futuro esiste già nel tempo appropriato. Ogni cosa è già scritta, predestinata, cristallizzata. Perciò restiamo in panciolle perché non possiamo cambiare nulla del nostro futuro.

Da questo modo di vedere le cose discende anche che, non potendo cambiare, l'universo deve essere sempre esistito, immutabile, dall'infinito passato all'infinito futuro, oppure deve essere stato creato tutto in una volta e tutto in perfetta armonia con le leggi della fisica.

Evidentemente tutte le conseguenze sopra descritte sono assurde. Qual'è la soluzione di questo problema?

Il solo modo di evitare tali assurdità è di ammettere che esista dimensione temporale aggiuntiva, una dimensione che diriga l'evolversi dei fenomeni fisici, la quale però non entri direttamente nelle equazioni della fisica.

Questo argomento con le sue implicazione sono trattati più estesamente in “http://digilander.libero.it/Dave_Tiongreis” al capitolo 16: La direzione del tempo e il tempo guida e nei due capitoli successivi.

 
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Relatività della durata del tempo

Post n°1 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da Dave_Tiongreis
 

Relatività della durata del tempo

La relatività afferma che in certe condizioni i tempi si allungano e gli spazi si accorciano. Perché avviene questo?

Uno scienziato dirà che ciò dipende dal punto di vista dell'osservatore o dal sistema di riferimento e che è conseguenza del fatto che la velocità della luce è sempre la stessa.

In effetti, di per sé la luce non influenza i tempi, ma è a sua volta 'vittima' dello stesso fenomeno. Quale?

Consideriamo la dilatazione del tempo. Per uno stesso intervallo di tempo c'è chi misura dieci tic, chi ne misura quindici. Come mai? “É un effetto relativistico difficile da spiegare”, dicono i fisici. É vero, ma io aggiungo questo.

Il numero di tic dipende dall'orologio, non è vero? Se un orologio va più veloce, per uno stesso intervallo di tempo esso fornisce un numero superiore di tic. In altre parole il numero di tic dipende dall'unità di misura, cioè dalla lunghezza di tempo presa come standard per un tic. Allora ci si può chiedere: quando i tempi si allungano, non è che a cambiare è l'unità di misura e non il tempo effettivo?

Ebbene, è proprio così. Ciò che cambia è solo l'unità di misura. Ora spiegherò la cosa con parole semplici. (Per la trattazione matematica dell'argomento, leggi Il significato della dilatazione del tempo che si trova in http://fisica-semplice-10.blogspot.com).

Com'è che cambia l'unità di misura? Tutta la fisica a livello di particelle elementari è caratterizzata da onde, il cui numero è in relazione con l'energia delle particelle e con il tempo. Maggiore è l'energia di una particella e maggiore è il numero di onde ad essa associate.

Ora il fatto importante e innegabile è che l'energia cambia con la stessa legge del tempo e che anche il numero di onde cambia con la stessa legge. Come si allunga l'uno, così si allungano anche gli altri.

Ma il numero di onde dipende dalla lunghezza del periodo, cioè dal tempo necessario ad una singola onda per completare un ciclo. Se il periodo si accorcia, deve aumentare il numero di onde affinché esso rappresenti la stessa durata temporale. Di conseguenza si allunga anche il tempo.

Poiché tutti i periodi si accorciano nella stessa misura, così tutti i numeri di onde delle diverse particelle associati ad uno stesso intervallo di tempo aumentano nella stessa misura e di conseguenza anche tutti gli orologi — compresi quelli biologici — forniscono tempi allungati.

Quello che noi 'percepiamo' come durata di un intervallo di tempo in realtà non riflette altro che il numero di onde che gli corrispondono.

Perciò, ad allungarsi non sono i tempi effettivi, ma il fatto che, come si accorciano i periodi, aumentano anche tutti i numeri di onde di tutte le particelle elementari di cui è costituita tutta la materia.

 
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