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Perfidie di Stefano Torossi

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« TraslochiRumori da fuori »

Si scopron le tombe...

Post n°285 pubblicato il 07 Luglio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    7 luglio 2014

     SI SCOPRON LE TOMBE...

 

Il bar

28 giugno, nel giardino, spazio fresco di alberi sotto la modernissima facciata del Maxxi. L'occasione: il concerto del gruppo Cabaret Contemporain, a chiusura del Festival Suona Francese.

E' cominciata la nostra stagione preferita. Nei fine settimana la massa degli sconsiderati emigra verso destinazioni extraurbane affollate e trafficate e ci lascia la città vuota. Per noi snob (o forse semplicemente single senza bambini e famiglia) che rimaniamo, si aprono le porte di un paradiso tranquillo che dura almeno due giorni.

Il giardino, dicevamo, con comode sedie e tavolini è rinfrescato da un piacevole ponentino, e i suonatori sono abbastanza lontani da permetterci di ignorarli senza sensi di colpa, mentre chiacchieriamo con gli amici. I tavoli appartengono al bar annesso al museo. Cosa manca per farci felici? Quello che nessuna ristorazione museale mette mai nel menu: la buona cucina.

Il buffet espone una triste distesa: arrosto cartonato, insalata moscia, melanzane livide. Il tutto al prezzo ridicolo di dieci euro, birra compresa. Siamo convinti che chiunque sarebbe disposto a pagare il doppio per accontentare lo stomaco, mentre allo spirito provvede l'arte.

Perché quelli del ramo non ci pensano? Eppure non è difficile: più qualità, più affari.


Si scopron le tombe...

Lunedì 30 al Teatro Argentina "Prologo d'amore e arte per l'Italia Europea", in apertura del semestre italiano. Titolo pomposo per un evento striminzito, poco professionale e inutile. Con qualcosa di buono, certo, ma si direbbe per puro caso.

La scaletta: davanti al Presidente della Repubblica e al Sindaco di Roma fioccano in apertura i soliti saluti istituzionali. Fra gli altri, il direttore del teatro, Calbi, fa un distinguo spagnolesco, dando a Napolitano dell'illustrissimo, e solo dell'illustre a Marino (accolto, quest'ultimo da un paio di sonorissimi fischi).

Poi si entra decisamente in filodrammatica. Le sorelle componenti il coro femminile "Le Querce del Tasso" straziano i Fratelli d'Italia, complice un pianista dagli accordi fantasiosi (tutti in piedi), per passare all'inno alla gioia dalla Nona di Beethoven, stessa pappa, con fisarmonicista aggiunta, Olimpia Greco (ancora tutti in piedi: è l'inno europeo).

Segue l'ingiustificabile, e inspiegabile monologo di un'attrice improvvisata, la signora Livia Pomodoro, di professione Presidente del Tribunale di Milano (pericoloso cambiare mestiere, anche solo per una sera), che, figurando di essere Melina Mercouri, finge di incontrare la Merkel e le spara una confusa pappardella politica di durata esiziale, il cui finale supera ogni decenza. Infatti, prima di salutarsi, Melina, per bocca della Pomodoro, svela alla Merkel la magica pozione del successo: un bicchiere di buona volontà, tre tazze di pazienza, due coppe di amore per l'Europa, e così via sbrodolando in perfetto stile Baci Perugina.

E questo accade davanti a una platea non di ragazzine romantiche ma di adulti seriosi, fra cui c'è il Presidente della Repubblica. Come responsabile del testo il programma denuncia il Dott. Alberto Meomartini (secondo noi passibile di arresto), Direttore e Presidente di varie importanti società, ma, come autore, giustamente e ci auguriamo ancora per molto tempo, ignorato dalla critica.

Maddalena Crippa, che pure, vista la connivenza con Peter Stein non dovrebbe mancare di indicazioni, recita, inspiegabilmente accovacciata sul palco come una ranocchia, "All'Italia" di Leopardi. La sapevamo brava; non stasera.

Poi tocca a Lorenzo Lavia, figlio del più noto Gabriele, che legge il Manifesto per l'Europa di Garibaldi, senza un'espressione, senza mai alzare gli occhi dal foglio, ma gesticolando nello stesso burattinesco modo di un altro figlio, Alberto Angela, del più noto Piero.

Insomma, una sfilata di niente e soprattutto totale assenza di regia. Abbiamo, come in altre simili occasioni istituzional-spettacolari, la sensazione che, una volta ordinato dall'alto il nome della star, tutto il contorno venga lasciato alla scelta fra le parentele o le amicizie di qualche segretaria di poca esperienza e scarno discernimento.

Finalmente entra il Grande Attore (qualche mala lingua potrebbe dire che lo è per eredità, essendo tutti gli altri passati a miglior vita). Albertazzi, ultranovantenne seduttore del palcoscenico, solo, appoggiato con civetteria a un bastone del quale si vede che non ha nessun bisogno, ma che brandisce ora come una spada, ora come una bacchetta magica, recita, sotto un unico riflettore e con il suo lieve accento toscano che ci sta benissimo, un canto dell'Inferno, quello di Ulisse.

Padrone assoluto della voce, del palco e del pubblico. Che ne è incantato.

Un altro momento (un po' particolare e di sicuro involontario) ce lo offre, uscendo per qualche istante dall'avello, Valentina Cortese: foulard in testa, palandrana bianca con strascico, pause e birignao d'epoca. Si tratta di un brano, dannunziano nel senso peggiore del termine, di Testori: "L'Amore", impresentabile, insopportabile e interminabile, commentato da un violoncellista che alterna con uguale indifferenza le suite di Bach e il cigno di Saint-Saens.

Datata, certo; Valentina è comunque un monumento a cui molto si perdona. Tanto, ormai, non cambia più.

Ritorna Albertazzi che, seduto su un capitello, rivive un lungo brano dalle Memorie di Adriano. Recitazione più naturalistica, racconta la mortale passione dell'imperatore per Antinoo.

Standing ovation e trionfale conclusione di una serata cominciata moscia. Sarebbe bello.

Invece no; riappare Olimpia Greco, che ci manda a casa con la Nona, già ascoltata all'inizio, ma stavolta in una versione per fisarmonica sola.

Da immaginare, ma se possibile non sperimentare.

Non ci resta che stendere il proverbiale velo pietoso.



                                         

 

 
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