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Perfidie di Stefano Torossi

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Post n°332 pubblicato il 24 Maggio 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

    25 maggio 2015

    TRADUTTORI



A parte il gusto discutibile, non si può negare a questa vetrinetta entomologica un suo tono irrispettosamente divertente (osservare con attenzione l'esemplare spillato al centro).

E' uno dei giochetti (arte?) che abbiamo visto esposti alla mostra "I Belgi, barbari e poeti" inaugurata il 14 maggio al MACRO. Ridere, i giochetti fanno ridere, o magari solo sorridere. Stupire, stupiscono (ci sono scheletri che ballano il tango, quarti di bue appesi, inquietanti teste di gufi impagliate). Insomma, se uno non va proprio a cercare l'appagamento estetico, si può accontentare. (Fra le piacevolezze offerte, c'erano all'ingresso due ragazze della Ferrero che porgevano, anche a chi come noi è entrato, uscito, rientrato e riuscito più volte spinto dalla gola, deliziosi cioccolatini).

Poi però, più che sorridere, abbiamo sghignazzato delle didascalie scritte in grande sui muri, in un italiano da peracottari.  Ci corre l'obbligo civile e morale di denunciare i responsabili, traduttori, presumiamo, dal francese. Ecco i nomi, ripresi dal catalogo: Nicole Gesché-Koning e Lorenzo Van Elsen. Complimenti! Se il MACRO si fosse rivolto a un qualsiasi italiano di passaggio a Via Nizza, l'operazione sarebbe riuscita meglio.


"Art" in francese è maschile. "Arte" in italiano, invece no. Lo sanno un po' tutti. Tranne, evidentemente, i Sigg. Gesché-Koning e Van Elsen.




Qui viene fuori la grandeur: "Noi non ci facciamo parlare dietro da nessuno. Nella parola "disagio" basterebbe una sola "g"? E noi ce ne mettiamo due, crepi l'avarizia e vive la France!"



Di fronte a questo ermetico "se tant'è". Siamo rimasti senza parole.

Certo che, per essere una mostra ufficiale, ospitata in un grande museo italiano, un bel quattro meno meno per le prodezze linguistiche se lo meritano.


Il povero Carravagio

Tanto per rimanere in argomento, qualche giorno fa, fendendo eroicamente le transumanze turistiche, spinti dal desiderio di rifarci gli occhi, ci siamo intrufolati nella chiesa di San Luigi dei Francesi che ospita in una cappella defilata uno dei cicli più famosi di Michelangelo Merisi, la Conversione di Matteo.

Sono tre capolavori da cui la chiesa trae giusto orgoglio, tanto che per illuminare il buio vano che li ospita (senza elettricità sono praticamente invisibili), e per trarne anche la giusta mercede, fa pagare un euro per pochi secondi.


Per l'acculturamento dei visitatori hanno piazzato nei pressi tre grandi pannelli (in inglese, francese, italiano) che spiegano la struttura, il significato e la simbologia delle opere.

Purtroppo le traduzioni nella nostra lingua sono anonime, altrimenti sapremmo chi ringraziare per queste perle; tante che a infilarle ci verrebbe fuori un bel girocollo.

Ecco il primo pannello, con il nome del famoso artista scritto in una grafia che possiamo senz'altro definire fantasiosa.


E, nel secondo pannello, il futuro santo che esita a presentarsi con l'altra mano, il dubbio che il personnaggio sia bene quello di Matteo, e la scena che si svolge nell'instante, eh!?


Nel terzo, poi, abbiamo addirittura un nuovo elemento: la finestra a crociata a forma di croce.


Dalla gran folla che ci stava intorno, facile calcolare che ogni giorno questi capolavori letterari finiscono sotto gli occhi di qualche migliaio di persone. Una bella figura davvero.




La biscia striscia. Alla Dante Alighieri, 20 maggio ore 18. Presentazione, nella magnifica Galleria del Primaticcio, di "L'ospedale della lingua italiana - Dove le parole usurpate dalle omologhe americane trovano cura e conforto", libretto di Roberto Nobile.

Nobile iniziativa, scherziamo sul cognome dell'autore, e un testo anche divertente; però si tratta di un altro (il milionesimo?) tentativo di demonizzare l'uso di parole straniere nella nostra lingua.

E' inutile brontolare. La lingua non è una mummia e per rimanere viva (sia quella in bocca, sia quella sulla tastiera, o, per i più stagionati, nel pennino) deve continuare a guizzare come una biscia. Lo ha sempre fatto. E guizzando, inevitabilmente molla la pelle vecchia e mostra quella nuova che, se poi le rimane addosso, vuol dire che è abbastanza elastica e confortevole da durare.

Muffa rimpiangere le vecchie espressioni, snob e sciocco ridere di quelle nuove.

Comunque per fortuna la biscia striscia senza dar retta ai lamenti di nessun saccentone.



                                         

 

 
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