Creato da torossis il 08/08/2010
Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Maggio 2014

Fàmolo strano, ancora, bene, presto

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

    26 maggio 2014

   FAMOLO STRANO, ANCORA, BENE, PRESTO


Fàmolo strano. Venerdì 16. Serata finalisti, tutti giovanissimi, del 36° Premio di musica contemporanea Valentino Bucchi. Teatro Studio del Parco della Musica. Tonino Battista, direttore, con gli ottimi solisti dell'Ensemble di Musica Contemporanea: tre archi, due fiati, un percussionista e un pianoforte preparato.

E' chiaro che uno non va a un concerto del genere per farsi piacere il programma. Ci va per sentire quello che hanno da dire, anzi da suonare, anzi, meglio ancora, qual è l'impostazione che intendono seguire i giovani compositori contemporanei.

A serata conclusa ci viene da dichiarare che secondo noi questa impostazione si può riassumere con un: "Fàmolo strano".

Strappi, soffi, botti, stridori, e così via, con ogni strumento che fa cose sicuramente non previste dal suo inventore. Da qualche anno questa non è più una novità. Il fatto è che, in queste particolari manifestazioni, le emozioni dovrebbero essere nuove, toste, scandalose, perfino irritanti; invece ci sono sembrate solo mosce.

Sappiamo tutti che la musica contemporanea è sperimentazione, da cui è normale aspettarsi che nasca la rivoluzione madre del nuovo. Ecco, di questo tipo di gravidanza, venerdì sera non abbiamo notato alcun sintomo.

Certo, per esprimere un giudizio ci vorrebbe un secondo o anche un terzo ascolto, e siccome non abbiamo questa possibilità, forse dovremmo prudentemente sospenderlo, questo giudizio.

  Quello che invece, secondo noi, bisogna fare subito è avvertire la LPP (Lega per la Protezione dei Pianoforti), perché siamo convinti che preparare un pianoforte per questo tipo di esecuzioni (puntine da disegno sui martelletti, stracci e altri oggetti all'interno della cassa, ferraglia fra le corde, e giù colpi con corpi contundenti vari) non faccia un gran che bene a strumenti da concerto, che non sono proprio pianole da saloon.


Fàmolo ancora. Il Jazz Club Alexanderplatz ha trent'anni. Invece quasi tutti gli invitati alla festa, compresi noi, parecchi di più. Il compleanno, con torta e inevitabile "Happy birthday" in vari arrangiamenti è stato celebrato la sera di domenica 18.

Come in molti locali dove si fa jazz, lo spazio è precario, la respirazione faticosa, la luce scarsa, ma l'atmosfera, ah, quella è magica. E la nozione del tempo, relativa.

Fanciulli ultrasettantenni hanno inforcato i loro strumenti e caracollato senza perdere l'equilibrio su ritmi assai brillanti, o fluttuato morbidi sulle onde di vecchi standard, accompagnati da colleghi più giovani che li guardavano come sacre reliquie di un eroico passato.

I sopravvissuti, ancora abbastanza numerosi, c'erano quasi tutti, e ci siamo divertiti.

Festeggiamolo ancora, questo compleanno, come minimo per un altro trentennio.


Fàmolo bene. 19 maggio, al Teatro Studio, concerto di Giovanni Tommaso con il suo Consonant Quartet: contrabbasso, pianoforte, sax e batteria.

Jazz modernissimo: tutte composizioni sue. Anche qui non mancano le sperimentazioni sui suoni (interessante gioco coi colpi di lingua dell'ottimo sax Cigalini, e abbondanti escursioni nel magico mondo degli armonici). Abbiamo ricevuto forti e gradite dosi di swing, insieme a seduzioni melodiche, come nel brano "Orizzonte" in cui il tema si libra pizzicato, senz'arco, senza il prevedibile assolo funambolico, e soprattutto senza cadere nella tentazione di scimmiottare il violoncello, ma suonato normalmente come se il contrabbasso fosse uno strumento normale (e alcuni di noi sanno che non lo è).

Saggiamente il programma chiude con un brano divertente (non c'è niente di male a ridere a un concerto jazz). Molti lo sanno già, ma noi vogliamo sottolinearlo: Tommaso è uno dei pochi jazzisti nostrani che, oltre a suonare benissimo e a comporre ancora meglio, sa presentare i pezzi con un pizzico di garbo e un filo di humour, chiacchierando quel tanto che basta a introdurre e spiegare, ma senza cadere nel tecnico, e soprattutto senza fare l'impegnato, imbronciato e incompreso profeta della musica nuova.


Fàmolo presto. Giovedì 22 a Palazzo Incontro. L'assessore alla cultura del Lazio, Lidia Ravera presenta l'iniziativa "Voltapagina" per la promozione della lettura, del libro e dell'editoria nelle scuole. L'assessore, che ha il dono della parola, introduce l'idea cominciando ovviamente dalle istruzioni pratiche, ma proseguendo, e qui viene il meglio, con alcune perspicaci e pertinenti osservazioni: "La famiglia che ha una biblioteca in casa è salva". "Se i genitori sono non leggenti, è solo attraverso i figli che li possiamo salvare". Ai ragazzi: "Metti su un foglio, o anche sul tablet o sull'iphone, i tuoi pensieri e falli circolare". E infine "Chi legge è un cittadino a pieno diritto, chi non legge è solo un suddito".

Ma, dopo gli ultimi anni persi a non fare niente, bisogna non sprecare altro tempo: bisogna fare presto.


                                             



 

 
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Granitica certezza

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    19 maggio 2014

   GRANITICA CERTEZZA

 

    Johann Sebastian Bach. La nostra granitica certezza. Da sempre. La musica di Bach la puoi frullare, tostare, tritare, sempre commestibile rimane. Dalla toccata e fuga per organo trasferita all'orchestra in Fantasia di Disney, alle versioni jazzate di Jacques Lussier, Swingle Singers, Uri Caine, alla sigla di Piero Angela; è sempre lui, il monumento che si mantiene immacolato nella sua equilibrata perfezione, come il Marcaurelio, anche coperto da cacche di piccione.

Traumatica scoperta venerdì 9 maggio al Goethe Institut, dove ci siamo recati, spinti dalla temeraria audacia di voler confermare ancora una volta questa nostra certezza. La colpa è tutta di uno sconsiderato, a nome Denis Patkovic, giovane di origine slava, fra l'altro titolare della cattedra dello strumento di cui stiamo per parlare, al conservatorio di Tokio.

Tagliamo corto con la suspense. Il giovanotto aveva in mente di somministrarci le Variazioni Goldberg, e lo ha fatto eseguendole lui stesso alla fisarmonica.

Nulla di scandaloso, naturalmente. Dopo aver dichiarato che Bach resiste a tutto, sarebbe stato da bacchettoni contestare un "Bach all'accordeon", no?

No, sarebbe stato da saggi. Perché è proprio in questa occasione che il granito della nostra certezza si è screpolato. Come si sa le Variazioni Goldberg sono quasi tutte in tre quarti, un tempo che, sul cembalo di Bach, o magari con Glenn Gould al pianoforte, o ancora su un grand'organo può trasmettere la più sublime delle raffinatezze o l'imponente maestà di una cattedrale, ma che (per esempio nella prima variazione) alla fisarmonica diventa il zum-pa-pa di una mazurka da festa sull'aia.

Proprio perché il suono di questo strumento, non c'è niente da fare, è associato alla balera popolare. E ancora peggio accade con l'esposizione del tema iniziale da cui derivano le variazioni. Con tutta la sua pensosa sobrietà, suonato dalla fisarmonica si trasforma nel sottofondo di un bivacco di alpini sul Monte Grappa.

Forse siamo davvero bacchettoni, ma non abbiamo resistito e ce ne siamo andati. Con tante scuse agli amici fisarmonicisti.


Venti polari. Quelli che soffiavano mercoledì 14 (maggio, mica dicembre) verso le diciannove, mentre il sole tramontava dietro minacciosi nuvoloni. Insieme ad altri quattro stravolti sedevamo sulle gelide gradinate della cavea del Parco della Musica in attesa di un'annunciata performance propedeutica alla mostra di Francesco Fonassi.

Dopo il consueto ritardo romanesco (minimo mezz'ora), dagli altoparlanti piazzati ai fianchi dei suddetti stravolti è cominciato a uscire un rombo profondo come di motori, con ogni tanto qualche impennata del volume. Dieci minuti di questo pretenzioso nulla, mentre la tormenta infuriava, sono stati abbastanza per convincerci a puntare verso il bar e il terapeutico Negroni.

"Il lavoro di Fonassi si focalizza sulle dinamiche dell'ascolto e sui meccanismi della percezione uditiva, testandone limiti e potenzialità in termini intersoggettivi." Questo brano della presentazione, scritto in squisita prosa artistichese, vuol dire, per i semplicioni come noi e forse anche voi, che il suono parte alto o basso dall'altoparlante e arriva all'orecchio di uno che lo sente troppo forte o di un altro che lo sente troppo piano. Niente di più.

Gli altri, intellettuali duri e puri (c'erano anche alcuni anziani, probabilmente professori, accompagnati da graziose, pigolanti studentesse) congelati sul marmo. Voto zero alla performance. Ci siamo spostati allo Spazio Arte dove proseguiva la mostra vera e propria, e dobbiamo confermare il giudizio. Si trattava della proiezione di un filmato, commentato dalla stessa musica di prima, girato con grande, monotona ripetizione di inquadrature, tagli, luci, (probabilmente in altra sede gabellata per audace nonconformismo) dentro una cava di marmo. Movimenti della camera verticali-orizzontali-diagonali seguendo le fessure della pietra, o rotatori sui segni della sega circolare. Mah.

Il Parco della Musica è uno straordinario luogo di aggregazione; e anche quelle volte che non succede niente di speciale, ci permette di trovarci in mezzo a facce di artisti, serie, buffe, forse supponenti, ma di sicuro meno inquietanti e minacciose di quelle che si incontrano a un raduno di tifosi, o fra la folla dei ragazzotti ubriachi di Campo de' Fiori. 

E poi, a portata di mano, anzi di bar, c'è sempre il già citato Negroni.



PS. Fighetta Salsiccia. Il Cavalier Serpente vuole fare le sue più sincere congratulazioni alla donna barbuta che ha vinto l'Eurovision Song Contest. Non tanto per la canzone, un pezzo commerciale niente male, quanto per lo spirito con cui ha scelto il proprio nome d'arte, bisex e multinazionale: Conchita Wurst.

In Sudamerica "concha" vuol dire conchiglia, ma anche vulva, e il suo diminutivo conchita, oltre che per Concettina, sta per fighetta. In tedesco "wurst" significa salsiccia (anche salame, tanto per non farci mancare niente), come dovrebbero sapere tutti quelli a cui piacciono gli insaccati. I riferimenti ci sembrano trasparenti.

Conchita Wurst, ovvero Fighetta Salsiccia. Geniale.



                                          


 

 
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Il Quadrilatero delle Urine

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

  12 maggio 2014

      IL QUADRILATERO DELLE URINE


Dalle parti dei Caraibi hanno il Triangolo delle Bermude. Noi, qui a Roma, abbiamo il Quadrilatero delle Urine.

In mezzo a un mediocre e degradato quartiere di edilizia intensiva fine ottocento, dalle parti della stazione Termini, c'è Piazza Manfredo Fanti, e in mezzo a questa piazza è sopravvissuto un ritaglio di dignità architettonica: l'Acquario Comunale, oggi Casa delle Architetture.

E' un bell'edificio circolare in stile eclettico fine '800, al centro di un quadrilatero delimitato da un muretto con cancellata che racchiude un giardino. Che è ornato da scarsi resti delle mura serviane, mezze sprofondate in una fossa inaccessibile e da alcuni vasconi di legno in cui stentano a sopravvivere piantine di pomodoro, melanzane, salvia, prezzemolo e altri tentativi di riprodurre un orticello (con funzioni didattiche per gli scolari del vicinato?)

Tutto intorno, in compenso, svettano parecchi enormi, magnifici alberi secolari. Stessa età dell'edificio e dei quattro o cinque vecchietti, in giacca gialla con su scritto Roma Capitale, occupati a svolgere un precario sevizio d'ordine anti extracomunitari.

Sulle panchine si ammucchia una folla di cinesi, i colonizzatori del quartiere, occupati a chiacchierare e soprattutto a sputare per terra. Pare che neanche Mao sia riuscito a far perdere questa brutta abitudine ai suoi connazionali.

Fin qui siamo nella normale descrizione turistico-folklorica. Impensabile sperare di parcheggiare davanti all'unico ingresso, quindi un periplo a piedi, anche parziale, del muretto esterno con la sua cancellata è obbligato. A questo punto si entra nell'horror.

Tutto il perimetro del nostro quadrilatero è marcato da bottiglie rotte, stracci abbandonati e soprattutto un alone di stratificazioni ammoniacali, con i conseguenti caratteristici miasmi. Soffocanti. Notti e notti che devono aver visto un intenso traffico, forse di ubriachi, o magari di semplici poveracci privi di impianti igienici che da qualche parte dovevano farla. E l'hanno fatta, in tanti, proprio su quel muretto. Metro dopo metro, non trascurando angoli e lampioni. E nessuno pulisce da anni, questo è certo.

Noi, naso tappato e passo baldanzoso, martedì 6 maggio entriamo nel magnifica salone rotondo che riempie la circonferenza dell'edificio. E' uno spazio molto particolare. Una superba altissima cupola e tutto intorno due gallerie sovrapposte di grande effetto scenografico. Insomma, una specie di Panteon ottocentesco, certo meno monumentale ma quasi altrettanto impressionante.

Qui è allestita la mostra "Futuro anteriore" (forse dal titolo dovremmo immaginare che è quello che ci aspetta domani, o al massimo dopodomani?). Opere di Roberto Fallani. Come da foto: corpi parzialmente eviscerati, teste attaccate a filamenti semiputrefatti, e altre simili piacevolezze plasmate in materiali indefinibili ma affascinanti, travolte da una grande, malata inquietudine. Il tutto sottolineato acusticamente da una pulsazione incessante che riempie lo spazio cavernoso dell'Acquario con un micidiale rombo a bassissima frequenza.

Bisogna ammetterlo, la mostra fa un certo effetto. Di sicuro, non rasserenante, come non lo è la situazione all'esterno; ma almeno questa è arte, e nell'arte c'è sempre consolazione dalla realtà.

Poi, per fortuna (perché anche il corpo, oltre allo spirito, ha le sue esigenze) abbiamo trovato ulteriore conforto nell'offerta di uno squisito vino bianco, il cui aroma e la cui freschezza ci hanno somministrato un graditissimo antidoto al macabro, ma, ripetiamo, affascinante disfacimento delle anatomie dell'artista.



PS. La mamma italiana perdona. Leggiamo che la mamma di Ciro Esposito dichiara: "Io nel mio cuore ho già perdonato". Un branco di delinquenti le ha quasi (ancora non sappiamo se del tutto o in parte) ammazzato il figlio per stupide questioni di pallone, e lei li perdona?

Ecco la ricetta sicura per deresponsabilizzarci tutti e non farci  crescere mai. Il perdono è un perfido distillato cattolico, e ancora di più italiano, che annulla la indispensabile certezza della pena. Anzi, ne rafforza l'incertezza.

E quindi a che serve comportarsi correttamente? Esempio minimo ma quotidiano: sì, qui c'è lo spazio handicappati, ma proviamoci lo stesso a parcheggiare, magari il vigile non passa, o se passa ha altro da pensare. E se arriva il titolare dello spazio? Beh, si arrangerà, qualche altro posto lo trova di sicuro. Se poi scatta la contravvenzione, c'è sempre la speranza del perdono (amnistia, dimenticanza delle autorità, errore di consegna...) e così via, dalla multa all'omicidio d'onore. O di sport.  



                                          

 

 
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Sconcerto al concerto

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  5 maggio 2014

   SCONCERTO AL CONCERTO

 

Dopo i fasti imperiali della settimana scorsa (Natale di Roma, Panteon, SPQR, ecc.), questa settimana dobbiamo volare più basso e accontentarci.


Espaces Acoustiques. 29 aprile, Teatro Studio, Parco della Musica. Non ci era mai capitato che la parte non spettacolare di uno spettacolo fosse più spettacolare dello spettacolo.

Riceviamo un invito alla serata in omaggio di Pierre Jodlowski e Laurent Durupt nel festival "Suona Francese". Naturalmente andiamo. I due performano all'elettronica e alle percussioni, accompagnati da alcuni solisti della PMCE (l'eccellente Parco della Musica Contemporary Ensemble). Vengono eseguite "opere visivo-acustiche di autori francesi contemporanei, in grado di costruire delle gabbie percettive sonore all'interno dello spazio scenico, spesso complementari allo spazio bidimensionale dello schermo". Questi i paroloni del programma di sala, per dire che mentre quelli suonano c'è una proiezione.

Il primo brano è di una lunghezza sadica (35 minuti), con fragorose e ripetitive percussioni in scena mentre sullo schermo si avvicendano immagini a bassa risoluzione, e a bassissimo gusto: traffico automobilistico notturno, raccolta di frutti, distillazioni di sidro e mani di contadini che accarezzano mucche, molte mucche. Baggianate ad alta presunzione pseudointellettuale.

Secondo brano. E qui viene il bello. Il flautista Manuel Zurria dà di piglio ai suoi strumenti e a forza di soffiare e sbuffare (come il lupo cattivo dei tre porcellini) provoca un cortocircuito, e tutto si spegne: luci, proiezione e microfoni. Il brano in esecuzione era talmente incasinato che nessuno del pubblico fa le mostre di accorgersi dell'incidente. Nessuno dal palco dice niente, nessun tecnico appare, e così, piano piano comincia lo sconcerto al concerto.

E' stato molto divertente. Bisbigli in sala. Risatine. Frusciare di piedi. E poi, prima per iniziativa di qualche singolo coraggioso, poi come un fiume esondato, la gente ha cominciato a sgattaiolare verso le uscite abbandonando con consapevole viltà la sala. Che in pochi minuti è rimasta mezza vuota. Ma questo molto umano intermezzo ha creato un'atmosfera di cordialità fra i sopravvissuti. Tutta l'insofferenza per la musica (o la sua latitanza) è scomparsa, e l'evento è diventato una specie di riunione di amici. Anche perché, forse consapevolmente, o forse per l'imbarazzo, fino alla fine nessuno ha pensato a fare un annuncio, a riaccendere le luci in sala, a creare qualche diversivo. Niente, ma proprio per questo divertente.

Purtroppo il guasto è durato poco, e poi il programma è andato avanti con "Time & Money" di Meyer, a cui dobbiamo riconoscere una certa abilità nel costruire qualcosa che non avesse addosso solo lo straccio malconcio di una casualità volutamente irritante, ma una struttura riconoscibile anche se non necessariamente apprezzabile. Anche qui, proiezione di un insensato video in cui un certo numero di persone in mutande facevano movimenti non in sincrono con la musica né in linea con una qualsivoglia ipotesi di racconto.

Ci sarebbe piaciuto uscirne scandalizzati, irritati, magari anche offesi, e non solo annoiati, com'è purtroppo successo. Abbiamo voluto rimanere fino alla fine per vedere dove gli autori andavano a parare.

Da nessuna parte, è stata la conclusione in finale di serata.

                           

 

PS. Sarebbe meglio che non facessero uso della parola. Più volte in passato siamo arrivati a questa conclusione, a proposito di colleghi dello spettacolo.

Ecco, dopo il caso (tre Sanremi fa) del senile (6 gennaio 1938) cantante-predicatore, di cui non è necessario fare il nome, siamo costretti a ripeterci quest'anno in occasione del concerto del primo maggio.

Si tratta di un altro cantante, entrato nella storia della musica principalmente per le ascelle, improvvisatosi commentatore politico, un po' meno anziano (10 febbraio 1962) ma sempre troppo per fare il rocker maledetto in canottiera (a meno di essere Mick Jagger, e non è certo il suo caso).

Cari solisti (e qui è d'obbligo aggiungere anche il sublime Allevi) e cantanti, aprite bocca solo per ficcarci dentro uno strumento, oppure per emettere note.

Per parlare, è meglio lasciar fare a uno pratico.


                                        




 

 
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