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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Agosto 2014

Teste tagliate

Post n°293 pubblicato il 31 Agosto 2014 da torossis

 

IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

1 settembre 2014

TESTE TAGLIATE

       

L'orribile faccenda del giornalista decapitato e filmato perché tutto il mondo vedesse la sua testa tagliata. Una manifestazione di barbarie che ci scuote, non solo per la macelleria dell'atto, ma per la sua motivazione politico-religiosa. Eppure...


Un video di duemila anni fa.

Da qualche giorno al Foro di Traiano è a disposizione dei passanti un'ottima idea: hanno montato su cavalletti una striscia di tela fotografica su cui sono riportati in grandezza naturale tutti i duecento metri della spirale scolpita che sale intorno alla Colonna Traiana dalla base fino alla cima.

Un video di marmo di duemila anni fa che documenta le guerre daciche vinte dall'esercito romano guidato da Traiano. Il quale riportò a casa, oltre alla gloria, un bottino di parecchie tonnellate di oro o argento con cui si tolse la soddisfazione di farsi confezionare, a spese dei Daci sconfitti, il più lussuoso di tutti i fori imperiali.

E' una descrizione splendidamente viva e realistica di uomini rappresentati contro sfondi stranamente privi di prospettiva e di proporzioni reali. Ora è in bianco e nero, ma quando fu fatta era in brillante technicolor per seguire meglio le fasi del racconto e distinguere i nemici dai soldati romani.

Naturalmente, essendo un documento realizzato dai vincitori per essere mostrato al popolo come testimonianza della loro stessa grandezza, i soldati romani, giovani, sbarbati ed eleganti, e il loro imperatore fanno una bellissima figura mentre massacrano donne, vecchi e bambini e incendiano i villaggi dei barbari da civilizzare, raffigurati invece come selvaggi irsuti e seminudi.

E c'è un'immagine che ritorna prepotente parecchie volte nel racconto. E' proprio quella che oggi tanto ci impressiona: la testa tagliata del nemico.

Una delle prime inquadrature del film (naturalmente vogliamo dire una dalle prime scene del racconto scolpito) ci mostra due soldati romani che presentano ai loro comandanti le teste barbute e scarmigliate di due daci (mozzate, naturalmente). Un po' più avanti altre due teste le vediamo infilate su pali davanti alle mura dell'accampamento. E poi, ancora i soldati offrono all'imperatore, tenendole per i capelli, altre teste di nemici.

Il racconto di marmo, che copre un periodo di alcuni anni all'inizio del secondo secolo d. C., continua con altri orrori, fino al gran finale della sconfitta e del suicidio del re Decebalo. Al quale, anche se già morto, tagliano comunque la testa e la mano destra per presentarle su un bel vassoio d'argento a Traiano (quest'ultima scena è quasi illeggibile a causa della corrosione del marmo, ma c'è, ed è comunque ricordata nelle cronache del tempo).

Dunque anche nella Roma di venti secoli fa questo simpatico rito di documentare la vittoria del più forte giustificata dall'ideologia su misura, con l'esibizione di qualche brandello del nemico (che non sapeva di esserlo finché non lo decideva l'aggressore) era pienamente accettato.

A proposito di civiltà romana, noi siamo stupiti dalla grandiosa perfezione architettonica di un edificio come il Colosseo, ma dobbiamo ricordarci che era il luogo dove tutta la popolazione dell'urbe, come di tante altre città in cui esisteva un anfiteatro, si radunava per vedere ammazzare. Animali da altri animali, animali da uomini, uomini da animali, uomini da altri uomini.

Il programma della festa era sempre lo stesso: tutti insieme appassionatamente per assistere allo spettacolo della morte violenta.

Mentre nello stesso momento poeti come Virgilio e Ovidio, grandi avvocati come Cicerone, architetti come Apollodoro scrivevano poemi immortali, compilavano leggi valide ancora oggi, e costruivano il Panteon.

Orribile faccenda, questa capacità umana di mescolare il peggio e il meglio.



PS. Facciamo un salto in avanti e arriviamo alla cronaca di Roma moderna. Anche qui una testa tagliata: quella di una badante, rincorsa, pugnalata e poi decapitata da un pazzo che quando sono arrivati i poliziotti, coperto di sangue e brandendo una mannaia ha tentato di assalirli e si è fatto ammazzare con un colpo di pistola.

Non è la decapitazione che ci stupisce, stavolta. E' la dichiarazione, pubblicata sui giornali, della sorella (sta a vedere che oltre alla tipica mamma italiana, adesso abbiamo anche la tipica sorella), la quale dichiara (testuale): "Gli hanno sparato al cuore. Perché? Era un ragazzo dolce e premuroso. Lui aveva solo un coltello in mano, mentre i poliziotti avevano le pistole".

In terra lì vicino c'era da una parte il corpo, dall'altra la testa della vittima, ma lui era un ragazzo dolce e premuroso. Mah!



                                          

 

 
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La palude di Augusto

Post n°292 pubblicato il 24 Agosto 2014 da torossis

 

 IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   25 agosto 2014

  LA PALUDE DI AUGUSTO


La palude di Augusto

Eccola nella foto, scattata alle 16 di martedì scorso, bimillennario di Augusto, l'imperatore, morto appunto il 19 agosto di duemila anni fa. Potrebbe sembrare un acquitrino tropicale, abitato da coccodrilli e anaconda. Invece no. E' lo scavo che circonda il Mausoleo di Augusto, allagato, secondo la versione ufficiale, dalla improvvida rottura di un tubo dell'Acea, proprio alla vigilia dei festeggiamenti.

Siamo nel centro del Centro Storico di Roma. A guardarla così sembra una situazione primordiale: un angolo di jungla dove non ha mai messo piede l'uomo bianco, e non il risultato di un guasto urbano e passeggero. Roba da National Geographic. Coccodrilli non ne abbiamo avvistati, ma siamo certi di aver sentito un coro di rane, e di sicuro c'era un sacco di bellissime libellule.

Roma, che lui, come ci teneva a dire, aveva trovata di mattoni e lasciata di marmo, aveva deciso di celebrarlo con due eventi: la proiezione laser della decorazione ricreata nei suoi presunti colori originali sui frammenti superstiti dell'Ara Pacis e l'apertura ai visitatori del suo mausoleo.

Ma, com'è come non è, nella notte si è rotto quel famoso tubo, e si è allagato tutto. Sghignazzare sul fatto che una città con millenni di storia e milioni di visitatori non è neanche capace di accorgersene e ripararlo, questo tubo (l'unico intervento possibile, dicono, è aspettare che il terreno riassorba l'acqua), soprattutto in occasione di una strombazzata ricorrenza, sarebbe troppo facile.

E' il meraviglioso andazzo alla romana che è un po' l'abitudine, appunto bimillennaria, della capitale. Recentemente aggravatosi a causa del risparmio forzato (che sarebbe la spending review) sugli investimenti nell'unica attività redditizia per la città e la nazione (che sarebbe la cultura).  

L'altro evento, serale, ha avuto invece un grande successo. File chilometriche (foto) per entrare all'Ara Pacis e vedere questa proiezione, effettivamente efficace e suggestiva. Prezzo, 11 euro.

Solo che, essendo il museo dell'Ara Pacis tutto di vetro e fortemente illuminato dentro, ed essendo notte fuori, non c'era nessun bisogno di fare la fila, perché dall'esterno si vedeva tutto benissimo. Come hanno scoperto alcuni smaliziati concittadini, fra cui noi, ma non le migliaia in coda. Tanto meglio per le casse di Marino.


Lo sgombero alla romana

Che non è un piatto tipico di pesce, ma la ridicola esibizione paramilitare a cui abbiamo assistito qualche giorno fa, quando il Comune ha deciso (giustamente) di riportare l'occupazione di Piazza Navona da parte dei bar e ristoranti ivi proliferanti a dimensioni accettabili.

Certo, il risultato è buono. Le sedie e i tavoli occupano adesso solo i marciapiedi, e tutto il resto è per i pedoni; sembra più grande ed è certamente più dignitoso.

Ma bisognava essere sul campo durante l'operazione.

Polizia e vigili dappertutto, camionette, moto; mancavano i mezzi anfibi e avremmo rifatto lo Sbarco di Anzio (1944).

In un paese normale sarebbero bastate due guardie di città, armate al massimo di un fischietto e di un regolamento preciso.

Il talento di sembrare dei pulcinella qualunque cosa si fa.

                                                                

Cultura (appunto)

La Repubblica, qualche tempo fa, pag. IV, cronaca di Roma. Scavi in via Due Macelli. Secondo il cronista stanno emergendo i ruderi del tempio di Menenio Agrippa.

Il quale, come tutti dovrebbero sapere, è un personaggio leggendario, vissuto mezzo millennio prima e diventato popolare come presunto autore del famoso apologo.

E' come se si annunciasse con gran clamore la scoperta del santuario di Pippus, Plutus et Paperinus, la triade degli dei capitolini.

In realtà pare si tratti delle terme di Marco Vipsanio Agrippa (lui, sì, esistito all'epoca giusta), il cui nome si legge anche in cima al Panteon.                                                                

                                                                   

Capanna.

Restaurato e bello, il tempio di Portunus al Foro Boario sembra nuovo.

In fondo, basta osservarne la struttura e dentro c'è ancora la capanna. Le colonne sono i tronchi che tenevano su il tetto di paglia a due spioventi per far scorrere la pioggia, diventato di tegole ma senza cambiare forma. E il rettangolo della pianta è sempre quello primitivo.

Cambia invece il materiale: marmo al posto del legno, tegole a sostituire la paglia. Tutto il resto è ornamento più o meno fastoso destinato al dio o al potente del momento. Propaganda e opportunità politica. Valido per il divo Augusto, come, poi, per San Gennaro.



                                        

 

 
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Voci e fatti di mezza estate

Post n°291 pubblicato il 18 Agosto 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    18 agosto 2014

      VOCI E FATTI DI MEZZA ESTATE


Anche se cotti da una tirata in auto Venezia-Roma, la sera di Ferragosto ci siamo precipitati, appena arrivati in città, alla Casa del Jazz, dove era annunciata una grande festa musicale in onore e per la salvezza dell'Alexanderplatz. Curiosità e solidarietà.


Voci:

Ci aveva addolorato a metà luglio l'annuncio delle imminenti esequie dell'Alexanderplatz, defunta per morosità. Avevamo ricevuto l'invito a versare un contributo finanziario per non farla andare sott'acqua. Ci era anche capitata sott'occhio qualche reazione scritta all'appello, da parte di colleghi, i quali, nome e cognome, raccontavano di serate non pagate, conti di alberghi e ristoranti inevasi e assegni a vuoto, imputabili alla stessa gestione che chiedeva soccorso. Vero, falso, esagerato? Boh.


Fatti:

Ci siamo presentati, come detto prima, stanchi morti, e ci siamo trovati in una festa con moltissimo pubblico, e altrettanti artisti pronti ad alternarsi sul palco sotto la pignola presentazione di Mauro Vestri (come articola bene le parole, quell'uomo! Non gli sfugge una vocale, figuriamoci una consonante. Sentirgli pronunciare un nome è come vederlo scritto in stampatello. Il problema, come abbiamo in seguito verificato, è che procede così anche nella normale conversazione, e questo, diciamo così, la ingessa un poco).

Il benvenuto ce l'ha dato un assolo del mitico, e non è un modo di dire, Gegè Munari, un metronomo umano che ha appena compiuto ottant'anni e non mostra il minimo cenno di ruggine. Suonava in gruppo con Giorgio Rosciglione e ottimi solisti. Subito seguiti dal Mauro Zazzarini Project, e infiniti altri che neanche ci ricordiamo. Ma era bello l'incalzare di tutti quelli che fremevano per esserci.

Anche testimonianze solo parlate, come quella di Lino Patruno, milanese di nascita, e poi diventato romano anche per colpa, secondo lui, o merito, sempre secondo lui, dell'Alexanderplatz.

E non solo i musicisti sul palco. Dietro l'angolo, sulle panchine, appoggiati a una colonna c'erano tutti quelli che, in attesa di salire provavano, discutevano, decidevano una scaletta, inevitabilmente destinata a sfasciarsi, proprio per il clima di festosa confusione, dove più della musica contava la presenza.

Salutati moltissimo amici, fra cui, in giro come una trottola, Eugenio Rubei, l'erede della dinastia, e ultimamente responsabile del club.

La già citata stanchezza ci ha costretti purtroppo a tagliare la corda abbastanza presto, senza sapere se l'obiettivo finanziario era stato raggiunto, ma i ragazzi all'ingresso sembravano piuttosto soddisfatti dell'incasso. Speriamo bene.


E adesso un po' di veleno, più che altro prodotto dalla perplessità. Ecco:

Mentre gironzolavamo per il parco a un certo punto ci ha colpiti un fatto, apparentemente non percepito da nessun altro. Contemporaneamente alla serata di jazz, se ne stava svolgendo un'altra.

Avvicinatici al giardinetto sul retro abbiamo cominciato a distinguere una musica che emergeva prima timidamente, poi più forte, ma mai troppo, dal sottofondo jazzistico in arrivo dal parco.

Una milonga! Stupefacente e incongruo. Ma reale. E allora, un passo dopo l'altro siamo arrivati a uno spazio e a un'atmosfera davvero particolare: poche coppie vestite, pettinate, atteggiate in un modo che non avrebbe potuto essere più diverso da quello dei jazzisti dell'altro lato, erano avvinte nel tango al suono registrato di un bandoneon.

Non c'era altro da fare che informarci. Incredibile ma vero: programmata ufficialmente e in pieno svolgimento ci è stato comunicato che stavamo assistendo a una "Lezione, cena e serata di milonga classica. Maestro il tanguero Marcelo Horacio Alvarez".

L'unico inconveniente (per noi, ma ci è parso che i ballerini non ci facessero caso) di questo universo parallelo era che mentre nell'altro il tango non penetrava, in questo il jazz invece sì, e anche prepotente, disturbando non poco l'atmosfera.

La inevitabile conclusione logica a cui siamo arrivati in questa illogica faccenda è che i due fatti erano stati decisi uno all'insaputa dell'altro.

Comunque, proprio per essere sicuri, prima di scivolare nel meritato sonno ci siamo andati a controllare in rete il calendario della Casa del Jazz. Il concerto per l'Alexanderplatz c'era, e con grande risalto, quindi impossibile ignorarlo; ma c'era anche la serata di milonga, programmata precisamente per venerdì 15 agosto alle ore 20.30 alla Casa del Jazz, Via di Porta Ardeatina 55, Roma.

Complimenti all'organizzazione.


                                       

 

 
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Ozii di Ferragosto

Post n°290 pubblicato il 09 Agosto 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   11 agosto 2014

  OZII DI FERRAGOSTO

 

Miracolo barocco.

Questo è un teatro, tutto a luce naturale. Eppure non è in esterno. E' al chiuso. Addirittura dentro una chiesa. Anzi, è proprio la chiesa barocca più teatrale di Roma. Soprattutto per la sua illuminazione: S. Andrea al Quirinale, appena riaperta dopo un restauro totale.

A parte la bellezza dei marmi, degli stucchi, delle dorature rinfrescate (via la polvere che smorzava lo scintillio), la meraviglia (si tratta di Bernini, non dimentichiamolo) è l'uso particolare della luce che viene da fuori.

In un'epoca di poche e fioche candele, trovare il modo di illuminare uno spazio come se si avesse a disposizione il parco lampade di Cinecittà è stato davvero pane per i denti di un genio. Dietro a ogni altare c'è una finestra a lunetta, invisibile da giù, che spara la luce sul soffitto stuccato e dipinto della cappella, per rifletterla sul marmo sottostante che la fa rimbalzare ancora tutto intorno. Naturalmente in cima alla grande cupola principale c'è un lanternino a vetri gialli che intercettano il sole, e lo spandono, più caldo e trionfale nell'interno.

Il capolavoro è l'altar maggiore, che ha anche lui un sistema magico di illuminazione. Sempre attraverso un lanternino, la luce (solo sole, abbiamo detto, niente di artificiale) scende fluida dalla fonte che non si vede, in alto, e da vita a un grappolo di angeli d'oro che svolazzano fra raggi e lesene. I quali, senza questa stregoneria, sarebbero solo dei pupazzi spenti appiccicati al muro. Vedere per credere.

 

Nei secoli fedele.

Nel vicino Giardino di S. Andrea, appena risistemato, c'è, inaugurato l'altro ieri, un nuovissimo monumento. "Nei secoli fedele" sta inciso sul basamento. Facile capire a chi è dedicato. E' un bronzo davvero molto imponente, perfettamente a suo agio fra le aiuole di acanto. (A parità di metallo impiegato batte in estetica, di molte lunghezze, quello orribile di Giovanni Paolo II a Termini),

L'unica sensazione inquietante è che i due intabarrati carabinieri in controluce sembrano, piuttosto che tutori della legge, due malfattori in agguato. Forse è una malignità gratuita, sulla quale il lettore avveduto sorvolerà. Eppure, l'impressione c'è. Merita una visita.


Nuovi, belli e vuoti.

Sono tre monumenti alla modernità di Roma: il Ponte della Musica, nel quartiere Flaminio, il Ponte della Scienza, all'Ostiense, e il Ponte Spizzichino, alla Garbatella; due sul Tevere, il terzo sulla ferrovia Roma Ostia. Sono le recentissime aggiunte alla città sospesa. Tutti e tre di un disegno moderno, armoniosamente leggero, che suggerisce sottovoce la robustezza del materiale e l'equilibrio delle tensioni.

Vuoti. Qualche raro viandante sui primi due, che sono pedonali, e un lontano ciclista solitario sul terzo che è un'autostrada. Ci siamo passati a metà dello stesso giorno feriale, che, come si vede dal cielo, si andava pian piano annuvolando. Come mai non li usa nessuno?



                                    

 
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Masochisti o scemi

Post n°289 pubblicato il 03 Agosto 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 4 agosto

   MASOCHISTI O SCEMI

 

Masochisti o scemi

Domenica 27, al Parco regionale dell'Appia Antica. Qualche centinaio di ettari di verde con due ingressi opposti, a chilometri di distanza. Dentro ci sono un tempio, una tomba monumentale, varie fattorie, greggi di pecore e mandrie di asinelli, boschi, acquedotti e ruderi, un fiume, una marana, rigagnoli e sentieri che si intrecciano in tutte le direzioni, e soprattutto gruppi di musicofili smarriti, di cui parleremo dopo.

Tutto comincia con un ghiotto invito a una archeoscampagnata musicale: un concerto di quello che secondo noi è il meglio che ci sia per  questo genere a Roma: il Parco della Musica Contemporary Ensemble. Suoneranno roba nuova, forte e sperimentale nel luogo più remoto e arcaico di tutta la città, il sepolcro di Annia Regilla. A separare il vecchio e il nuovo, venti secoli di storia.

Eccoli in riassunto.


Il passato:

Secondo secolo dopo Cristo, Erode Attico, un signore di smisurata ricchezza, figlio di un omonimo ancora più ricco, ma più oculato. Si dice di Erode padre che, preoccupato per i suoi troppi quattrini, scrivesse all'imperatore Nerva per avere istruzioni su cosa farne; l'imperatore rispose: "Usali". Non convinto, a una sua ulteriore richiesta Nerva rispose ancora, paziente: "Allora abusane".

Erode figlio è invece uno spendaccione che riempie il mondo antico di opere d'arte. Alla sua ricchezza si è aggiunta la dote sterminata della moglie, Annia Regilla: precisamente, fra le tante altre, la tenuta agricola dove abbiamo intenzione di recarci.

A un certo punto la ricchissima moglie muore. Ci sono forti sospetti che il colpevole sia proprio Erode, per avidità di ereditare, oppure semplice capriccio. Processato, se la cava grazie ad alte protezioni. Forse per gettare fumo negli occhi, finge un lutto esagerato: fa dipingere la sua villa tutta di nero, ristruttura la tenuta in memoria di Annia, e le fa costruire una magnifica tomba. Quella che sta per essere profanata dalla nostra Musica Contemporanea.


Il presente:

Il Parco Regionale dell'Appia Antica e il PMCE presentano: Sound Park, Contemporary Soundscape Collective al Sepolcro di Annia Regilla, dalle 18 al tramonto.

Nel programma questa interessante postilla: "Sound Park al Sepolcro di Annia Regilla è il primo irriverente atto di questa serie di eventi in cui la musica e l'arte contemporanea prendono vita in spazi che contemporanei non sono, ma che lo sono stati per molto tempo, o lo saranno per sempre".

Ottimo. Solo a Roma si può immaginare una combinazione così straordinaria.

E, sempre solo a Roma c'è da aspettarsi anche una disorganizzazione altrettanto fenomenale: neanche un foglietto inchiodato su un tronco, una scritta, una freccetta, magari una persona agli ingressi o lungo la ragnatela di sentieri a indicare al visitatore (e potenziale spettatore) come arrivarci.

I chilometri sono tanti, e mentre vaghiamo sconsolati, incontriamo gruppi di nostri simili, come noi in cerca di un segno: magari una pennellata di colore su un sasso, da itinerario alpino, o lontane sonorità trasgressive da seguire a orecchio, come moderni Pollicini.

Niente. Va bene che la musica contemporanea è una faccenda da intellettuali, anche snob, ma addirittura organizzare un concerto, e poi fare in modo di tenere lontani gli spettatori, ci pare troppo. Come abbiamo già detto, qui si tratta o di masochismo o di pura stupidità.

Dopo un'oretta, bene o male arriviamo e troviamo sul posto quei quattro gatti che ci aspettavamo. Ascoltiamo subito un bellissimo pezzo di Francesco Filidei per quattro batterie: "Silence=death", che è talmente moderno da essere perfino arcaico e sta perfettamente in stile con il magnifico sepolcro classico davanti al quale sono piazzati i musicisti.

Subito dopo (e stavolta non è colpa dell'organizzazione) comincia a piovere. Fuggi fuggi generale; così, oltre alla musica, perdiamo l'occasione di assaggiare l'appetitoso formaggio offerto insieme al vino in un simpatico stand lì vicino.

 

     

Le invasioni barbariche.

Qui siamo appena fuori le Mura Aureliane. Il riferimento è, come prima, il passato, l'antica Roma; e il presente è oggi, mercoledì 30 luglio: riunione degli Stati Generali del Jazz, un nome molto rivoluzionario, che deve ancora essere confermato dall'azione. Vedremo.

L'incontro avviene alla Casa del Jazz, o meglio sarebbe chiamarla La Tomba del Jazz, un po' per come ultimamente è trascurata dalle nostre parti questa musica, un po' per come è ridotta la magnifica villa, i magnifici prati, perfino il magnifico selciato disegnato a cubetti, dopo la barbarica invasione della Festa dell'Unità.

Arriviamo fra spazzini e insegne abbattute che promettono cocktail e sabor latino. All'incontro ci sono come sempre le schegge deviate che vanno fuori tema: c'è quello (già apparso alla prima riunione all'ex Mattatoio in mutandoni e chitarra) che chiede la tutela del flamenco insieme al jazz; l'altro che fa un inopportuno quanto ovvio necrologio del CD; e poi il tribuno che si esalta da solo e scivola nel turpiloquio.

C'è però anche qualcuno rivoluzionario, sì, ma anche saggio che approva la tanto invocata occupazione della Casa del Jazz, ma, aggiunge, purché sia fatta con le idee chiare e si riesca a far diventare il luogo un centro di eccellenza e non di concorrenza.

Alla fine esce parecchio di costruttivo e di sensato e soprattutto vede la luce un certo numero di progetti per tutelare quello che sta a cuore a tutti: il jazz, e la sua Casa che rischia di essergli scippata.

Sperando che questo non sia già irrimediabilmente successo mentre noi non stavamo attenti.



                                          

 
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