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« L'adolescenteJabberwocky »

o dell'energia visionaria

Post n°4 pubblicato il 26 Maggio 2010 da rnbjunk

"Quasi per caso Eric Arthur Blair decise di scegliere, come nom de plume, George Orwell (dopo aver scartato H. Lewis Allwais, Kennet Miles e P.S. Burton). Quasi per caso decise d'intitolare il suo romanzo Nineteen Eighty-Four. Pare avesse preso in considerazione anche il 1980 e il 1982 e si dice che alla fine la data sia venuta fuori invertendo quella del 1948, in cui egli stese l'ultima versione del suo romanzo.
Ma per quanto casuale sia stata la scelta della data, anche il caso, una volta che ha prodotto un evento, instaura una necessità.
Il settimanale "Time" , che nel novembre del 1983 dedicò a Orwell la sua "cover story", elencava in tono allarmato la pleiade di convegni, seminari, articoli, saggi documentari televisivi che si stavano accumulando in attesa del fatidico primo gennaio.
Ora, le eccitazioni celebratorie, si sa cosa sono, e le mode non possono sottrarsi al fascino di centenari, nozze d'oro e trigesimi. Ma se tanta follia scorre intorno a questo che non sapremmo definire in termini di alcuna ricorrenza codificabile (compleanno, nascita, scadenza, appuntamento ?), questo non avviene per ragioni frivole. Il terribile libro di Orwell ha segnato il nostro tempo, gli ha fornito una immagine ossessiva, la minaccia di un millennio ormai prossimo, e dicendo "giorno verrà...." ci ha impegnati tutti nell'attesa di quel giorno, senza lasciarci la distanza psicologica necessaria per chiederci se il 1984 non si fosse già verificato da tempo.
Non è che moltissimi non avessero letto questo libro come la descrizione di un presente, e nella fattispecie come una satira - cosi infatti l'ha definita Orwell, anche se si tratta di una satira senza allegria - del regime sovietico. E anzi, non appena uscito il libro ha suscitato reazioni contrastanti, appassionate e discordi, e tutte insieme più o meno miopi. Chi lo ha visto come un provvidenziale pamphlet di appoggio alla guerra fredda, chi come un libello conservatore (dimenticando che Orwell si è definito fino alla fine come un socialista), chi - per le stesse ragioni, ma con opposto segno ideologico - ha considerato Orwell come un lacchè dell'imperialismo; e chi ha insistito sull'onestà di questo anarchico ferito dalla terribile esperienza passata come volontario nella guerra di Spagna, dove il gruppo in cui militava fu fatto fuori senza pietà dalle formazioni comuniste. Cosi questa ridda di passioni ha a lungo impedito di leggere questo libro sine ira et studio, per decidere di che cosa realmente parlasse.
Ma Orwell non era soltanto reduce dalle sue delusioni di rivoluzionario e combattente tradito, era un inglese che usciva dalla seconda guerra mondiale e dalla vittoria sul nazismo: molte delle atrocità che si celebrano in Oceania ricordano costumi e riti nazisti, si pensi alla ideologia dell'odio, al razzismo che separa i membri del partito dai prolet, ai bambini intruppati in una sorta di Hitlerjugend ed educati a spiare e denunciare i genitori, al puritanesimo della razza eletta per cui il sesso deve valere solo come strumento eugenetico...
Quello che Orwell fa non è tanto di inventare un futuro possibile ma incredibile, quanto di lavorare di collage su un passato credibilissimo perchè è già stato possibile. E di insinuare il sospetto (cosi come suggerisce che i regimi dei tre superstati in guerra continua siano sostanzialmente gli stessi) che il mostro del nostro secolo fosse la dittatura totalitaria e che, rispetto al meccanismo fatale del totalitarismo, la differenze ideologiche contassero in fondo pochissimo.
Certamente questa è stata una delle buone ragioni che hanno fatto del libro di Orwell un grido di allarme, un richiamo e una denuncia, ed è anche per questo che il libro ha affascinato decine di milioni di lettori in tutto il mondo. Ma credo che ci sia anche un'altra ragione, più profonda. Ed è che nel corso di più decenni si facesse strada giorno per giorno l'impressione che quel libro, se da un lato parlava di ciò che che era già avvenuto, dall'altro parlava di ciò che stava accadendo.
Si prenda la spia più evidente, e luminosa: la televisione. Che attraverso i nuovi mezzi di comunicazione si potesse ricevere indottrinamento, non era una novità nemmeno ai tempi di Orwell. Ciò che è nuovo e profetico non è che con la televisione noi possiamo vedere persone distanti, ma che persone distanti possano vedere noi. È l'idea del controllo a circuito chiuso, che si svilupperà nelle carceri, nelle fabbriche, nei locali pubblici, nei supermarket, nei condomini fortificati della borghesia affluente: è questa idea (alla quale noi ormai siamo abituati) che Orwell agita con energia visionaria. Orwell ci ha reso evidente ciò che Foucault ci avrebbe rivelato più tardi essere l'idea benthamiana del Panopticon, luogo repressivo in cui, chi è rinchiuso, può essere osservato senza poter osservare. Solo che Orwell suggerisce, in anticipo, qualcosa di più: la minaccia che il mondo intero si trasformi in un immenso Panopticon.
        A questo punto scopriamo la portata dell'utopia negativa di Orwell e scopriamo perchè, con quello che a molti sarà parso puro qualunquismo, egli ci ricorda che non esistono differenze tra il regime di Oceania, quello di Eurasia e quello di Estrasia. La satira di Orwell non colpisce solo il nazismo e il comunismo sovietico, ma la stessa civiltà di massa borghese.
        Infatti dove si verificherà una situazione in cui la classe dirigente sarà chiamata a un severo controllo della propria moralità in base a criteri di efficienza, mentre alla classe soggetta, i prolet, sarà lasciata ampia libertà di sregolatezza, compresa non solo la libera espressione del sesso ma addirittura il suo titillamento programmato attraverso la pornografia indistrializzata? Non sono i poveri del regime sovietico che possono vedere i film a luci rosse: sono gli emerginati dei paesi capitalisti - con la differenza, certo non marginale, che essi mangiano, vestono e bevono meglio dei prolet di Oceania.
E dove si è sviluppato il Newspeak, la Neolingua, che riduce il lessico e la sintassi per ridurre la ricchezza delle idee e dei sentimenti ? La Neolingua assomiglia sembra molto di più alla lingua dei telequiz, della pubblicità. Mi chiedo che differenza ci sia tra sfreddo, bisplusfreddo, archepensevoli panciasentire (Neolingua) e lavafreddo, ottimevole, cioccobuono o biancopiù.
       E infine Orwell ha anticipato non solo la visione del mondo in zone di influenza con alleanze mutevoli a seconda dei casi ma ha visto quello che di fatto oggi accade: che la guerra non è qualcosa che dovrà scoppiare, ma qualcosa che scoppia ogni giorno, in aree determinate, senza che nessuno pensi a soluzioni definitive, in modo che i tre grandi gruppi in contrasto possano lanciarsi avvertimenti, ricatti, inviti alla moderazione. Non è che non muoia nessuno, anzi la morte di alcuni è messa in conto, cosi che la guerra da epidemica si fa endemica. Ma al postutto ha proprio ragione il Grande Fratello, "la guerra è pace". La propaganda di Oceania una volta tanto non mente: dice una verità cosi oltreggiosa che nessuno riesce a capirla.
       Le pagine sulla tortura di Wiston Smith sono terribili, hanno una grandezza culturale, appunto, e la figura del suo persecutore ci prende alla gola, perchè anche costui abbiamo già conosciuto da qualche parte, sia pure travestito, e a questa liturgia noi abbiamo già in qualche modo partecipato, e temiamo che improvvisamente il persecutore si riveli e ci appaia al fianco, o dietro, o davanti, e ci sorrida con infinita tenerezza.
       E quando alla fine Winston, puzzolente di gin, piange guardando il volto del Grande Fratello, e sinceramente lo ama, ci chiediamo se anche noi non stiamo già amando (sotto chissà quale immagine) la nostra Necessità.
Qui non è più in gioco (soltanto) ciò che riconosciamo di solito come letteratura e identifichiamo come il bello dello scrivere. Qui è in gioco, lo ripeto, energia visionaria.
      E non tutte le visioni riguardano il futuro, o l'Aldilà"

U.Eco

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Un blog di: rnbjunk
Data di creazione: 22/05/2010
 

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