Creato da ulissix il 12/02/2011
la politica nel mezzo

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Libri faziosi

Post n°12 pubblicato il 01 Maggio 2011 da ulissix
Foto di ulissix

La faziosità ideologica dei libri di testo: vorrei dei testi che non esprimessero valutazioni di parte sulla rivoluzio­ne francese e sulla rivoluzione napoleta­na, sul Sud e sull’Unità d’Italia, sul comu­nismo e sul fascismo, sui totalitarismi e sulle persecuzioni religiose, sulla guerra civile e sul terrorismo, e via dicendo. Secondo... me le commissioni d’inchie­sta non servono a niente. Se si limitano a studiare e denunciare il fenomeno, non producono effetti, se si azzardano a cen­surare e vietare allora è peggio: i faziosi passano pure per martiri della libertà...quindi è meglio una sana e bella discussione su questi temi. Finalmente qualcuno ne parla.

 
 
 

Il nucleare sconsiderato dei finladesi.

Post n°11 pubblicato il 01 Maggio 2011 da ulissix
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Un lungo viaggio fra la foresta boreale finlandese, poi a 400 chilometri a nord di Helsinki, un'isola tutta nucleare. Olkiluoto, dove due reattori costruiti negli anni settanta verranno affiancati da uno di nuova generazione, 3+, come quelli che dovrebbero essere costruiti in Italia.
Un'opera colossale. E' il cantiere più grande nell'Europa del nord che si estende su un sito ampio come 15 campi da calcio, il reattore è dentro a un vero e proprio bunker. Protetto da uno scudo in acciaio per contenere la radioattività e da una struttura alta 70 metri e composta da una doppia parete spessa, in tutto, circa tre metri. Per costruirla hanno impiegato 320.000 metri cubi di cemento e tanto ferro quanto ce ne vorrebbe per realizzare cinque Tour Eiffel. Lo stesso tipo di corazza avvolge la sala di controllo della centrale.

Secondo i progettisti, i francesi dell'Areva, una volta in funzione la centrale nucleare di Olkiluoto sarà la più sicura e la più moderna al mondo. In effetti l'ossessione per la sicurezza si tocca con mano. Oltre alla corazza che isola il reattore, ci sono quattro sistemi di sicurezza indipendenti e ciscuno, da solo, in grado di spegnere il nucleo in caso di incidente.

Ma non basta. Se si verificasse una fusione, anche se improbabile sostengono gli ingenieri di Olkiluoto, tutto il materiale radioattivo verrebbe inglobato in un altro bunker che avvolgerebbe immediatamente il nocciolo. Evitando così il pericolo di fuga radioattiva.

In Finlandia il nucleare copre il 26% del fabbisogno energetico. Altre fonti vengono dal carbone, dalle biomasse e dall'eolico. Il petrolio è solo lo 0,6%, i finlandesi sono, insomma, indipendenti dall'oro nero.

Difficile trovare, fra la gente che abita nei pressi della centrale, ma anche fra i pescatori che pescano nello stesso mare sul quale si affaccia Olkiluoto, paura o dubbi sul nucleare. Ci convivono da oramai una quarantina di anni. Temerari!

 
 
 

Che schifo quest'Italia...

Post n°10 pubblicato il 01 Maggio 2011 da ulissix
 
Foto di ulissix

«Solo gli imbecilli non hanno dubbi.
Ne sei sicuro?
Non ho alcun dubbio!»

Il semiologo-guru della sinistra Umberto Eco dice di essere tra quelli che resistono ancora in questo generale tracollo di una coscienza culturale. La sinistra per lui è ha poche proposte positive, e quando c'è l'assenza della sinistra: tutto è possibile e tutto è più difficile. Nell'inervista al Manifesto dice: "Discutevo ieri della bizzarra proposta del colpo di stato di Asor Rosa. Il problema non è cacciare Berlusconi con un colpo di stato, contro il 75% degli italiani, al quale in fondo le cose vanno bene così."
E l'inervistatore gli chiede: il 75% non è un po troppo? Risponde:
"Non dico quelli che votano direttamente Pdl, ma quella maggioranza naturalmente berlusconiana che non vuole pagare le tasse, ha voglia di andare a 150 chilometri all’ora sulle autostrade, vuole evitare carabinieri e giudici, trova giustissimo che uno se può se la spassi con Ruby, trova naturale che un deputato vada dove meglio gli conviene. Questa è l'amoralità dominante. Berlusconi è un abile e geniale piazzista, che ha capito la sostanza e gli umori dell’attuale mercato politico."
Quindi il nemico non è più Silvio Berlusconi da Arcore o il suo elettore, il nemico è l'italiano medio. Che per definizione - secondo le logiche di Eco -, è manigoldo, puttaniere, infido, dedito alla truffa e spericolato. E - tra l'atro - è "naturalmente" così, quindi supponiamo che sia una questione di nascita... Sette italiani su dieci sono della canaglie, praticamente si salvano solo Parlato, Asor Rosa e qualche altro intellettuale radical-chic. Ma Eco è uno scienziato della società e, come tale, a ogni quesito riesce sempre a trovare una soluzione. Quatanticinque milioni di italiani sono dei balordi col vizio del berlusconismo? Ci vuole la pedagogia (ovviamente di sinistra): gli italiani sono dei bambini e quindi bisogna educarli. "Per cambiarli ci vorrebbe un'azione profonda, di persuasione ed educazione". E' sempre l'aristocratico acculturato che cammina in mezzo alle plebi schivandone il contatto. Plebi che, va da sé, sono assolutamente pidielline, orribilmente berlusconiane e pure terribilmente italiane, ohibò la massa...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 09 Marzo 2011 da ulissix
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Avete mai pensato che ci vuole un po’ di igiene mentale, lontano dai clamori di una stampa volgare che non informa, ma inquina le menti. L’alibi della libertà di stampa, definita baluardo della democrazia, è una grossolana menzogna.

I giornali, soprattutto in Italia, sono solo strumento e fonte di potere. I cittadini non sono informati, ma plagiati con campagne di stampa calunniose.

Vi è una sorta di conventicola tra direttori di giornali, che sembrano decidere insieme quali notizie pubblicare. Finiamola con la balla galattica che la stampa sia strumento di democrazia. Questo valeva nel secolo scorso, prima di Internet. E prima che il crollo morale dell’Occidente trasformasse i giornali in fonte di corruzione…e di guadagno…

Liberiamocene cercando di leggere tutti i quotidiani e ricordiamoci che le opinioni non sono verità…

 
 
 

Un comico per farci sentire italiani?

Post n°7 pubblicato il 09 Marzo 2011 da ulissix
Foto di ulissix

Roberto Benigni merita un grande “grazie!”. Certo, alcune baggianate le ha dette nella sua performance al festival di Sanremo.

Per esempio, se ho ben capito (perché affastellava argomenti con un eloquio sovraeccitato) ha detto che fu Mazzini, nel 1830, a ...inventare il Tricolore. E’ una sciocchezza.
Chissà come gli è venuta in mente: il Tricolore fu concepito da Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis, a Bologna nel 1794 (l’ho raccontato di recente su queste colonne). E fu poi ripreso – come tutti sanno – dalla Repubblica Cispadana nel 1797. Mazzini non era neanche nato.

Suggestivo è il riferimento benignesco alle origini del Tricolore dalla Divina Commedia (Purg. XXX, 30-33), ma purtroppo l’attore toscano ignora che i colori bianco, rosso e verde del vestito di Beatrice indicano le tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità e così il riferimento dantesco rimane monco.

Qualcuno poi dovrà spiegare a Bossi e alla Lega che il Tricolore nasce dallo stendardo della Lega lombarda (la croce rossa in campo bianco che proveniva dalle crociate) e che l’unità d’Italia è in gran parte un’ “impresa padana”.

Per tornare a Benigni, ci sono poi le gaffe dovute all’ingarbugliamento verbale del comico, come quando ha detto che la cultura italiana esisteva prima della nazione: una cosa senza senso, chissà perché rilanciata dai tg come una geniale idea.

In realtà intendeva dire che la nazione e la cultura italiane esistevano prima dello Stato unitario (che è sorto appunto nel 1861).

Era uno spunto bello – quello della cultura italiana che precede lo Stato – che sarebbe stato da approfondire. Peccato che l’abbia lasciato cadere.

E peccato che l’orazione civile di Benigni abbia celebrato un Risorgimento da scuola elementare di cento anni fa.

E’ stato un alluvione di retorica da piccola vedetta lombarda. Ha narrato una favoletta piena di eroi giovani e forti (che sono morti) assai lontana dalla realtà dei fatti.

Non c’è stato nemmeno il sentore delle zone d’ombra, degli errori e pure degli orrori della “conquista piemontese”.

Detto questo credo che Benigni sia stato grande e abbia fatto comunque una grande cosa.

Prima di tutto per la sua emozione e la sua commozione che ci hanno toccato il cuore e che ci hanno fatto sentire come nostro perfino un inno nazionale improbabile e per certi aspetti imbarazzante.

Il caso Benigni è emblematico. Nessuno ha riflettuto su quanto sia singolare che a un comico sia di fatto affidata l’unica vera celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia (in effetti la performance di Benigni a Sanremo era più attesa dei discorsi ufficiali del presidente Napolitano).

In realtà c’è una ragione profonda. E’ data dal fatto che, dopo il fascismo, che ridusse l’amor di patria a una macchietta comica prima e tragica poi (per il nazionalismo, il colonialismo e la catastrofe bellica), le sole due modalità che gli italiani, nel cinquantennio repubblicano, si sono concessi per essere patriottici sono state il calcio (lo stadio, dove giocava la Nazionale, è diventato l’unico posto dove sventolavamo il Tricolore) e la comicità (vedi “La grande guerra” interpretata da Gassman e Sordi, per fare un esempio).

Il registro comico ci permette infatti di dirci che siamo fieri di essere italiani (specie col mito “italiani brava gente”), ma con un sorriso rassicurante, col sottinteso cioè che non ci prendiamo troppo sul serio e nessuno si sogna più di emulare la Roma imperiale: infatti gli italiani possono essere solo “eroi involontari”, proprio come Gassman e Sordi in quel capolavoro di Monicelli.

Anche il palcoscenico della celebrazione di Benigni era emblematico: il festival di Sanremo e la Tv.

Emblematico perché (primo) Festival e Tv sono il tempio del sentimento nazional-popolare, (secondo) perché rientrano perfettamente nello stereotipo più diffuso e banale – gli italiani spaghetti e mandolino – e (terzo) perché confermano perfino lo stereotipo colto per il quale – in fin dei conti – la nostra arte e la nostra cultura ci fanno da duemila anni il cuore del mondo (del resto il Festival si vanta di essere “la musica italiana”).

C’è un’altra piccola rivoluzione memorabile compiuta da Benigni: per un cinquantennio la parola “patria” è stata un tabù per la Sinistra comunista e per la cultura ufficiale. Bastava pronunciarla per essere accusati di fascismo.

Non solo. I comunisti avevano certamente dato un grandissimo contributo alla liberazione del Paese dal nazifascismo, nella guerra partigiana, però il Pci era asservito a Stalin, a una potenza straniera minacciosa e nemica dell’Italia.

Per capire cosa significa ciò bisogna ricordare che nel momento più drammatico dello scontro fra mondo libero e Urss, attorno al 1948-1949, quando l’Armata Rossa si stava divorando mezza Europa, asservendo decine di Stati dell’Est europeo e arrivando fino a Trieste con mire fameliche e aggressive, uno come Enrico Berlinguer – il migliore di quel campo (a quel tempo leader della Fgci) – affermava che in caso di guerra i giovani non avrebbero combattuto contro l’Armata Rossa.

Fece indignare lo stesso De Gasperi che gli rispose di persona, con un suo duro discorso (il legame del Pci con l’Urss è durato a lungo: perfino i finanziamenti sovietici sono arrivati fino alla fine degli anni Settanta).

Ancora negli anni Ottanta – nella decisiva vicenda degli euromissili (che poi porterà tali cambiamenti a Mosca da provocare il crollo del comunismo) – il Pci, anziché schierarsi con la Nato per far fronte alla minaccia dei missili sovietici puntati sull’Europa, scelse un “pacifismo” che di fatto significava non difendere gli interessi nazionali e avvantaggiare l’Urss (chissà se il presidente Napolitano ricorda…).

Ciò detto che oggi si possa parlare di “patria” senza più i tabù ideologici del passato, come ha fatto Benigni, è una gran bella cosa. Che tutti insieme ci si possa riconoscere nel nostro passato e nel nostro Paese, come una sola famiglia è meraviglioso.

Tanto più in questo anniversario dei 150 anni dell’unità nazionale, nel quale il Paese sembra dilaniato dagli odi e il disprezzo reciproco quasi rende impossibile riconoscersi come un solo popolo.

Benigni si è trovato a svolgere un ruolo che non dovrebbe essere affidato a un attore, specialmente a un attore comico, ma ha trovato nella propria religiosità il modo per cantare un inno che ci ha unito e che nessuno avrebbe potuto restituire con eguale semplicità. Per qualche minuto sugli odi e sul disprezzo reciproco ha prevalso in tutti la sensazione di essere un popolo. E ha prevalso l’amore per quella cosa bellissima che si chiama Italia.

 
 
 
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