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1819, nella crisi serve il ricordo

Post n°20 pubblicato il 13 Marzo 2019 da ilrimino

Nell'antico palazzo comunale di piazza Cavour, conosciuto con il nome del conte Francesco Garampi, nonno del Cardinal Giuseppe (1725-1792), che lo disegnò "prima del 1687" (L. Tonini) per sostituire quello del 1562 crollato con il tremendo terremoto del 1672, c'è una loggia con gli elogi dei riminesi celebri. Sono sei lapidi collocate nel 1819 che ricordano sette figure illustri, di cui due ancora viventi: gli scienziati Francesco Bonsi (1722-1803) e Giovanni Antonio Battarra (1714-1789), il poeta Aurelio Bertola (1753-1798), il teologo Vincenzo Pani (del 1744 scompare nel 1826), il medico Michelangelo Rosa (1731-1812) ed i fratelli Gaetano Francesco (1753-1810) ed Angelo Battaglini (1759, defunge nel 1842).
Il ricordo del passato e dei suoi cittadini emeriti, serve per superare i momenti bui di una crisi che è politica ed economica. Nel giugno 1815 il Congresso di Vienna ha sancito la fine del sistema napoleonico. Gli "antichi nobili del governo papale ne mossero doglianze", scrive Carlo Tonini. Con il rientro di Pio VII lo Stato pontificio ritorna "nelle mani dei cardinali e soprattutto della fazione più conservatrice" dei cosiddetti "zelanti" (G. Ratti). Il nuovo per Rimini significa la processione del Venerdì Santo, le sei botteghe per macellai nella piazza malatestiana, il passeggio pubblico allungato alla Chiesa della Colonnella, la muraglia e le gradinate del Gioco del Pallone pagato dai privati, come osserva Carlo Tonini, da cui ricaviamo anche le notizie che seguono.
I marinai si sono calmati, dopo aver portato un cannone davanti al palazzo dei Consoli (l’Arengo) e minacciato di far fuoco, all’arrivo delle varie autorità, a cui hanno strappato la promessa di far diminuire i prezzi del grano e del granoturco.
Il podestà Battaglini ha ottenuto da Forlì che le milizie acquartierate a palazzo Gambalunga custodissero quello pubblico, e raccoglie da fuori città mille soldati per calmare gli animi. I marinai ("animi grossi e rudi") non abboccano: in piazza portano altri cannoni. Li frena il capitano del porto marchese Alessandro Belmonti promettendo di provvedere alle loro necessità. Non mancano gli arresti con severe condanne penali. Secondo A. Silvestro, "Belmonte è tra i principali esponenti dei democratici ma, più che dalle sue convinzioni politiche, il suo comportamento pare dettato dal desiderio di migliorare l’efficienza e la prosperità della marina pontificia e di procurare vantaggi ai marinai".
Bastano queste scene per spiegare la collocazione nel 1819 delle sei iscrizioni per i sette personaggi illustri, di cui due ancora viventi, quasi a voler dire che la Storia è non soltato quella del passato che si legge negli appositi libri, ma pure il divenire che si costruisce giorno dopo giorno, con le mani di tutti. È una mossa politica per far credere che è tornata la tranquillità nella vita cittadina.
Il 30 marzo 1815 Gioacchino Murat ha lanciato da Rimini il suo proclama: combattere per essere liberi ed indipendenti. Il 13 ottobre a Pizzo Calabro è fucilato dai borbonici. Alessandro Manzoni chiude nel cassetto la canzone "Il proclama di Rimini" con quel verso "liberi non sarem se non siam uni" che diventa un programma politico negli ideali del Risorgimento.
Antonio Montanari

Lettera al "Corriere Romagna", 12.03.2019

 
 
 
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