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Armi chimiche, le risposte scoraggianti di Capitaneria e Ministero: la questione finisce su un binario morto

Post n°14 pubblicato il 02 Febbraio 2012 da ischia.velenidistato
 

ARMI CHIMICHE, LE RISPOSTE SCORAGGIANTI
DI CAPITANERIA E MINISTERO: LA QUESTIONE FINISCE SU UN BINARIO MORTO


Grazie all’azione di Legambiente (si veda il post precedente 
a questo) finalmente qualche autorità si è degnata di rispondere agli interrogativi che, anche su Ischia e sul Golfo di Napoli, da un anno la Sezione Campania del Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche ha posto pubblicamente.

Purtroppo bisogna subito precisare onestamente che le risposte sono davvero scoraggianti e, da un certo punto di vista, obiettivamente conclusive: nel senso che è difficile immaginare un qualsiasi sviluppo positivo per quanto concerne la situazione locale. Mentre in altre parti d’Italia si sta procedendo ad esaminare il problema o, addirittura, si è già nella fase della bonifica, il mare campano è destinato a restare inviolato a causa della mancanza di notizie precise sulla posizione degli arsenali inabissati.

Telegrafica la risposta della Capitaneria di Porto di Napoli: “Si comunica che questa Capitaneria di Porto non è in possesso di alcun elemento oggettivo di riscontro circa l’eventuale presenza di ordigni bellici contenenti sostanze pericolose nelle acque del Golfo di Napoli e, in particolare, al largo dell’isola d’Ischia”.

L’inizio, come si vede, non è dei più incoraggianti. Ma è ancora niente rispetto a quanto viene affermato subito dopo: “Come è peraltro evidente, la Scrivente Capitaneria non ha alcuna competenza/capacità tecnica a svolgere accertamenti al riguardo”.

Quindi, “per tali motivazioni, appare del tutto corretto che codesta Associazione si sia rivolta al Ministero della Difesa, che si ritiene possa avere competenza a conoscere e trattare la problematica di cui trattasi”.

E dunque vediamo cosa il Ministero della Difesa ha risposto.

In esito a quanto rappresentato – scrive il Ministero - sono stati promossi puntuali approfondimenti presso lo Stato Maggiore della Marina dai quali è emerso che, già a partire dal 1945-46, è stata svolta dalla citata Forza Armata una intensa attività di bonifica di residuati bellici che ha interessato ampi tratti delle coste italiane. Tale attività risulta essersi concretizzata sia in operazioni a carattere sistematico che occasionale che hanno interessato anche il Golfo di Napoli negli anni immediatamente successivi alla cessazione del secondo conflitto mondiale e trova riscontro in documentazione presente presso l’Ufficio Storico della Marina”.

Le premesse della risposta, come si vede, sembrano promettenti. Ma purtroppo, subito dopo, ci si rende conto che si deraglia immediatamente: “In tale ambito, la Marina Militare ha infatti eseguito la bonifica di numerosi ordigni bellici, inclusi quelli caricati ad agenti chimici, intervenendo anche recentemente, come nel caso dell’operazione denominata ‘Baccoli ‘04’, svoltasi nel periodo dal 5 al 17 giugno 2004 nel Golfo di Napoli, in località Bocca Piccola, tra Punta Baccoli e l’isola di Capri”.

Ecco: quest’operazione, in realtà, non può avere alcuna attinenza con quanto denunciato nei documenti militari americani, da cui si evince (per tutti i ragionamenti fatti e resocontati nei post precedenti) che l’area tra la Penisola Sorrentina e Capri non è certamente quella normalmente utilizzata per la gran parte dell’inabissamento degli arsenali chimici!

Quindi il Ministero va in un certo senso a contraddire quanto detto dalla Capitaneria di Porto di Napoli, perché conferma che “secondo le norme vigenti in materia, le attività di bonifica di ordigni in mare vengono normalmente effettuate dalle competenti articolazioni della Marina Militare sulla base di segnalazioni solitamente provenienti dalle Autorità Territoriali di Governo – Prefetture”; ma purtroppo, e questa è una doccia fredda, solo “nei casi di effettivo ritrovamento di ordigni, quando vi sia pericolo per la ‘pubblica incolumità’, svolgendo attività a carattere concorsuale di ‘bonifica occasionale’, rimborsate dal Ministero dell’Interno”. Traduzione: se si trovano delle bombe, allora si può fare qualcosa, sempre che siano effettivamente pericolose e che ci siano i soldi…

Se invece si devono cercare? È tutto più complicato: “Ulteriori attività che invece investono ampi tratti di mare, come potrebbe essere nel caso di specie, possono invece rientrare in operazioni di ‘bonifica sistematica’, che presuppongono il preventivo finanziamento da parte di una specifica Amministrazione/Ente richiedente; questo, ad esempio, è il caso dell’attività in corso di svolgimento nelle acque del porto di Molfetta”.

Nel caso del Golfo di Napoli: “In tale quadro l’eventuale avvio di un’analoga bonifica sistematica dei fondali del Golfo di Napoli risulta essere condizionato dalla sussistenza dei seguenti presupposti: l’individuazione dell’effettiva area da sottoporre a bonifica (al momento non esattamente definibile con le informazioni disponibili), attraverso un’attività di ricerca/prospezione dedicata, da effettuare a cura di un’impresa privata abilitata per il caso specifico; una valutazione delle effettive capacità operative necessarie per svolgere l’attività e conseguente l’accertamento della complessiva sostenibilità tecnico-operativa del progetto, anche in termini di una verifica della disponibilità di assetti da poter impiegare (unità navali e personale), tenuto conto anche dei concomitanti impegni operativi della Marina Militare, nonché conseguente quantizzazione degli oneri derivanti; l’identificazione del soggetto responsabile del finanziamento, nonché delle relative modalità tecnico-amministrative e contrattuali, tali da assicurare alla Marina Militare il completo ristoro dei relativi oneri da sostenere”.

Ricapitolando: per trovare gli ordigni inabissati nel Golfo di Napoli ci vuole una campagna di ricerca fatta da un’impresa privata che possieda le capacità necessarie; una volta trovati, per recuperarli, bisogna valutare se sia tecnicamente possibile un’operazione del genere, e se la Marina può distaccare uomini e mezzi a tale scopo; infine, ma si direbbe soprattutto, ci vogliono i soldi, perché la Marina deve essere risarcita di ogni spesa.

Le risposte di Capitaneria e Ministero sono leggibili integralmente QUI e QUI.


CONCLUSIONI

Ce n’è abbastanza per capire che la vicenda, almeno per quanto concerne il mare di Ischia e Napoli, finisce qui. Non è realistico pensare che, specie con il deficit del settore pubblico italiano, sia locale che nazionale, si possano trovare i fondi per cercare e recuperare le armi chimiche affondate.

Peraltro manca, di fondo, anche la volontà politica di farlo: non c’è stato un solo sindaco o esponente delle istituzioni con poteri operativi, dai Comuni alla Regione, allo stesso governo, che si sia dimostrato concretamente e fattivamente desideroso di attivarsi.

Alla luce di tutto quanto sopra asserito, è da ritenersi oramai conclusa l’attività della sezione campana del Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche: è infatti di chiarezza meridiana che siamo finiti su un punto morto e che nessuna autorità vuole e può fare nulla. È pura utopia pensare che, da qualche parte, escano ingenti finanziamenti per cercare quello che sembra essere un ago in un pagliaio.
Tuttavia l’attività del Coordinamento e della sezione campana non sono state vane: abbiamo sollevato il problema e siamo arrivati ad una conclusione, anche se negativa.

 
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