Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
 

 

Post N° 741

Post n°741 pubblicato il 31 Maggio 2008 da corsaramora
Foto di corsaramora

RICOMINCIO DA TE:

       Massimo gramellini

Sparlate pure di tutti gli altri ministri, ma non toccatemi Brunetta, il mio preferito. Quest’uomo, al cui confronto don Chisciotte era un pragmatico, si è messo in testa di far funzionare lo Stato. E mica in Danimarca o in Lapponia. In Italia. Non è commovente? Fra i tanti ex barbari del governo che camminano per le stanze del potere con le pattine sotto le scarpe, Brunetta «Taglia & Affetta» è l’unico ad aver conservato l’impeto delle origini. Irascibile peggio di Paperino, il kamikaze del liberismo si muove fra i riti di Palazzo con la leggerezza di un lottatore di sumo scaraventato in una coreografia del Lago dei Cigni. Non che non si sforzi di fare il diplomatico. Ieri ha addirittura convocato i sindacalisti, una categoria che gli procura attacchi d’asma e sfoghi sulla pelle curabili solo dopo lunghe ore di meditazione davanti alla foto della Thatcher che addenta le cosce di un minatore gallese.

«L’amministrazione dello Stato è una palla al piede», ha esordito con la consueta cautela. L’incanto è durato un quarto d’ora, poi il delegato della Cgil ha abbandonato il tavolo (le cronache non precisano se era inseguito dai cani), protestando perché il ministro aveva invitato un solo rappresentante per ogni sigla. Ne voleva di più, quell'ingordo, senza pensare all'effetto devastante che una cucciolata di sindacalisti sbraitanti avrebbe provocato sul sistema nervoso di Brunetta, già scosso dagli sfottò che Fiorello riserva ogni giorno alla sua statura da gnomo. Ma non è un colpo basso, nel 2008, fare ancora battute sull’altezza? Lo perdoni, Brunetta. E richiami indietro i cani.

 
 
 

Post N° 740

Post n°740 pubblicato il 23 Maggio 2008 da corsaramora
Foto di corsaramora

 
 
 

Post N° 738

Post n°738 pubblicato il 06 Gennaio 2008 da corsaramora

BUON 2008 E BEN TROVATI

 
 
 

Post N° 737

Post n°737 pubblicato il 30 Agosto 2007 da corsaramora
Foto di corsaramora

Un giudizio saggio». Così Paolo Villaggio, l’inventore di Fantozzi, l’emblema dello stress per i soprusi in ufficio, commenta la sentenza di ieri sul mobbing.

 
 
 

Post N° 733

Post n°733 pubblicato il 12 Aprile 2007 da corsaramora

L'ultima passione dei media europei riguarda il bullismo, specialmente quello diffuso in forma di filmati su YouTube. Cosa terribile e degradante, dice il segretario inglese dell'istruzione, in piena sintonia con il primo ministro uscente Tony Blair. Il segretario dunque invita i siti a eliminare tali contenuti, prima che siano visibili al mondo. Fioroni acconsente e applaude. La cosa è tecnicamente quasi impossibile, perché non esistono sistemi automatici per farlo; è possibile solo intervenire a posteriori, rimuovendo i filmati sconvenienti. Ovviamente quei file, spesso insopportabili per idiozia, sono il segno di altro assai malato e non sarà il nasconderli sotto il tappeto a ridurre le violenze nella scuola e nelle strade. Forse i ministri inglesi e nostrani potrebbero chiedersi quale peso i loro governi stiano assegnando all'istruzione pubblica, quali politiche giovani abbiano per i giovani. I quali, appunto, si trovano in una curiosa situazione: da un lato esaltati come il futuro delle nazioni; dall'altro iperprotetti dalle famiglie e anche dallo stato. Ma al fondo la società adulta continua a vederli come una minaccia, non sapendo più leggerne le parole e i segni. Che poi è quanto avviene nei confronti delle tecnologie e dell'internet: esaltate come frontiera della nuova economia della conoscenza, ma al fondo temutissime perché spostano confini ed equilibri, sottraendo potere a chi ne ha persino troppo, e dando la parola, anche quella oscena e violenta, a chi non l'ha mai avuta. Non è la rete a rendere malata la società, ma è la società che riversa i suoi umori peggiori nella rete. Ma anche i migliori: provate a cliccare http://youtube.com/watch?v=I-NRriHlLUk. Non spaventatevi per i caratteri strani, trattasi solo di «Give Peace A Chance», John Lennon, Berkeley, 1969. C'è del bello in rete, una memoria che sa di futuro.
il manifesto

 
 
 

Post N° 732

Post n°732 pubblicato il 11 Aprile 2007 da corsaramora
Foto di corsaramora

Assenza forzata.....spero abbiate trascorso una buona pasqua..........un saluto a tutti coloro che sono passati di qui.......

 bentrovati.....

Sorridi sempre anche se è un sorriso triste..perchè più triste di un sorriso triste, c'e solo la tristezza di non sapere sorridere.
 jim Morrison.......
 
 
 

Post N° 731

Post n°731 pubblicato il 11 Gennaio 2007 da corsaramora
Foto di corsaramora

Guantanamo
Il corteo delle tute arancioni a Parigi.

 
 
 

Post N° 729

Post n°729 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da corsaramora

auguriamoci che questo 2007

 sia                   

 DAVVERO

                        UN ANNO

                         MIGLIORE

                    PER TUTTI

 
 
 

Post N° 728

Post n°728 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

CI SAREBBE voluto più coraggio a risparmiargli la vita che a spegnerla, ma la banalità della vendetta è stata ancora una volta più forte dell'intelligenza della politica. La scontata sentenza di morte contro Saddam Hussein al-Majid al-Takriti, prodotta apparentemente da quella parodia di Norimberga che è stato il suo processo e forse già eseguita, è stata scritta tre anni or sono, al momento della sua estrazione dalla tana di topo dove si era nascosto e niente avrebbe potuto più cambiarla.

L'aveva firmata, in quel dicembre del 2003, George Bush, il Presidente della nazione occupante, quando aveva dichiarato alla BBC subito dopo la cattura che soltanto "la pena ultima (la morte)" sarebbe stato il giusto castigo per questo "disgustoso tiranno".

Caso chiuso e Capodanno con il patibolo. Non sono serviti tribunali internazionali, giuristi e giudici di peso e di altre nazioni, come fu appunto a Norimberga. La sentenza era già stata depositata a priori. Tutto il resto, il processo con giudici destituiti e cambiati a piacere dall'immaginario governo di Bagdad, le procedure seguite un tanto a spanna verso il finale già scritto secondo le leggi scritte ancora dal Rais, la sentenza, l'appello farsa che ha richiesto ben 15 minuti di delibere, l'esecuzione, sono pantomime organizzate per dare una parvenza di legittimità giudiziaria alla vendetta finale del vincitore contro il vinto, soprattutto contro l'uomo che aveva "tentato di uccidere il mio papà".

Nella guerra insieme globale e privata che da quasi sedici anni, dalla Tempesta nel Deserto, vede in campo Stati Uniti e Iraq ma senza che mai l'Iraq abbia aggredito gli Stati Uniti, alla fine il clan texano dei Bush ha saldato il conto con il clan sunnita dei Takriti. E il figlio potrà finalmente esibire la testa del nemico al padre.


Nell'entusiasmo voglioso con il quale Bush ha seguito il processo e ha accolto la sentenza, "una pietra miliare" l'ha chiamata, e "una svolta", l'ennesima, nel sentiero di sangue verso la stabilizzazione dell'Iraq (sulla "democrazia" esportata in Mesopotamia oggi si preferisce sorvolare) c'è molto più della oggettiva, dura risolutezza giustizialista con la quale Winston Churchill, nel vertice di Teheran con Stalin e Roosevelt, invocò l'esecuzione sommaria di Hitler, nel caso fosse stato catturato vivo come sarebbe accaduto con Mussolini, contro il parere degli Alleati.

La personalizzazione dei conflitti, che è sempre la forma preferita negli Stati Uniti per definire le guerre e per "venderle" meglio a un'opinione pubblica refrattaria alle astrazioni, aveva chiaramente assunto, in questo duello a distanza fra i Bush e Saddam, un carattere predominante, se non ossessivo. Anche per questo, di fronte alle ultime ore dell'agonia di un tiranno oggettivamente disgustoso, anche se non più ripugnante di altri che sono morti o moriranno nel loro letto riveriti e finanziati, l'America di "main street", delle vie di tutti i giorni, sembra assai meno agitata dell'America della politica e delle elite intellettuali.

In una nazione che sta riesaminando le procedure, ma non la sostanza morale, della forca, non può essere l'impiccagione di un personaggio descritto da un decennio come la incarnazione dell'anti Cristo, come colui che possedeva sterminati arsenali da scatenare contro le città americane ed era stato complice dei massacratori delle Torri, a muovere e commuovere la gente in questa fine anno segnata ancora da notizie di morte e di lutti.

Le contorsioni morali appartengono tutte alla intelligentsija, agli "opinionator", esclusi naturalmente i "boia chi molla" sempre e comunque favorevoli alla violenza risanatrice, dunque felicemente assolti dai dubbi che scuotono i non fanatici.

"Se esiste la pena capitale chi può essere più qualificato di Saddam a riceverla?" si chiede riflessivo il direttore di New Republic, un periodico considerato di sinistra, il professore di Harvard Marty Peretz, che critica Romano Prodi e l'Europa per la nostra opposizione al patibolo. "Non è questione di colpevolezza, che è fuori discussione - lo contraddice il New York Times - ma di una opportunità perduta per creare uno spartiacque morale tra il passato che lui rappresenta e il futuro che si vorrebbe creare".

Invece, l'uccisione per procura del grande assassino di stato decisa dal grottesco remake di Norimberga, lascerà indifferente quell'opinione pubblica americana che si prepara a digerire la "mini escalation" che Bush le proporrà al ritorno dalla fuga natalizia nel Texas e ben difficilmente quella forca potrà essere una svolta in un Iraq che da tempo si suicida in un bagno di sangue settario che con il rais deposto e ridicolizzato ha più nulla che fare.

Un Saddam umiliato dal coraggio civile e dalla lungimiranza di vincitori davvero forti e non soltanto forzuti, cioè da quei sentimenti che lui aveva ignorato nel suo regno del terrore e della, appunto, vendetta, sarebbe stato un segnale forse sconvolgente, nell'universo dei clan e delle sette arabe dominate da quella "legge del taglione" alla quale ora anche il Grande Liberatore venuto da Occidente si è golosamente adeguato.

La sua morte sarà perciò un atto banale, scontato, inutile, superato nel momento stesso in cui accade, un altro cadavere sopra quella montagna di morti che si alza ogni giorno nel caos fra il Tigri e l'Eufrate, come una nuova Torre di Babele. Il clan dei Texani avrà la vendetta che cercava dal 1991 e ora si guarda con inutile sgomento non alle possibili rappresaglie, in un luogo dove immaginare peggioramenti è arduo, ma alla ulteriore dimostrazione di miopia e di ottusità di questa presidenza americana quasi finita costituzionalmente e morta politicamente, ma ancora incapace di uscire da una ostinazione che scambia per "strategeria", come disse George Bush in uno dei suoi celebri lapsus.

"E' affare che riguarda il popolo iracheno" ha avuto l'improntitudine di dire il portavoce di Bush a Crawford, mentre si contavano le ore dell'agonia del condannato sempre rimasto per tre anni saldamente incatenato in un campo militare americano, e mai affidato alle autorità irachene se non al momento dell'impiccagione, a riprova della fiducia che Washington nutre verso il governo e il sistema giudiziario locali.

George W. Bush ha avuto la "pietra miliare" che ha comperato con la vita di 2.992 soldati uccisi, 42 mila feriti e 600 miliardi di dollari, ma anche questa somiglia tristemente soltanto a un'altra pietra tombale.

(30 dicembre 2006)
 la repubblica

 
 
 

Post N° 726

Post n°726 pubblicato il 17 Dicembre 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Soli pochi giorni e sarà Natale. Sembra che pochi se ne siano accorti. Forse sarà per questo clima ancora caldo, fuori stagione, sarà per i pensieri che ognuno tiene per la testa, sarà che i soldi non bastano mai, ma sono in molti a lamentarsi: «Ci voleva pure Natale!». Sarà per tutto questo che quest’anno sembra che Natale non arrivi con tutti i sentimenti. Se poi ne vogliamo proprio discutere, forse avranno ragione gli inglesi che è meglio toglierlo da mezzo ’sto Natale e farlo diventare, che ne so, una festa infrasettimanale, una ferie di stagione senza troppe pretese, senza tutte ’ste preparazioni, ’sti pranzi, ’ste abbuffate, farebbe bene alla salute, non aumenterebbe il colesterolo, eviteremmo problemi al portafoglio e altre guerre di religione. E faremmo un piacere perfino al direttore scolastico di Bolzano, che non dovrebbe affrontare l’annoso problema relativo ai cori dei bambini, ai canti e a varie strenne. Sarebbe meglio? Chissà. Fatto sta che c’è sempre qualcuno che fa di tutto per mandarci all’aria quel poco di sentimento che ci è rimasto, che dice casa anche quando la casa è mezza sgarrupata. Il sogno fa parte della vita e eliminare i sogni è come sgarrupare l’esistenza, renderla vecchia e senza futuro. La differenza che c’è tra un vecchio e un giovane non è l’età, anche se l’età conta, sono i sogni e le speranze. È vero che da noi si dice che chi di speranza vive, disperato muore, ma non è così per chi crede che nella notte fatata, nel Santo Natale, un bimbo porti la speranza per donarla a tutti coloro che l’aspettano. Napoli tra qualche giorno si sveglierà e si augurerà Buon Natale, o perché a Natale bisogna farlo per forza, perché la tradizione lo impone, o perché vuole davvero augurarsi speranza. Mentre progressivamente, per gli annosi problemi di questa città, va affievolendosi il sogno di futuro e la speranza di poter trasformare questa nostra terra in terra di bene, per Napoli il regalo più grande, il dono più gradito, potrebbe essere proprio il desiderio di volercela fare, tutti insieme, con coraggio e nuovo vigore

Natale, giorno in cui un bambino speciale nasce per noi, potrebbe diventare il giorno del riscatto. Potremmo riscoprire il bambino dentro di noi e riguadagnare il sogno perduto di vedere la nostra terra colorata di tinte luminose. Potremmo ricominciare a sperare che i nostri ragazzi abbiano voglia di sperare ancora e di credere che l’ottimismo non sacrifica la lotta, ma la rinvigorisce e sprona a combattere per il migliore dei risultati possibili. Ce la possiamo fare: «Adda passà ’a nuttata». Anzi, sta già passando se uno solo di noi si sta già preparando a fare festa, senza dimenticare chi non riesce più a fare festa. Sta per schiarare giorno se uno solo di noi sta già cominciando a prendersi la responsabilità di spronare, spingere, sgridare chi, fermo ad un mortale disfattismo, sta facendo morire noi e la nostra terra. Quanno nascette Ninno a Betlemme, era notte e pareva miezzojuorno. Pure allora passò la notte, l’oscurità fu vinta dalla luce di un nuovo giorno. Adda passà ’a nuttata e la nottata passa tutte le volte che la speranza vince e fa nuove le cose, benché travagliate, perché cariche di novità e giovinezza. I guai di Napoli li conosciamo tutti, ma piangerci addosso non serve, non aiuta a far schiarare il nuovo giorno. Adda passà ’a nuttata e passerà se mille fiaccole di nuova luce faranno strada a chi ancora è troppo prigioniero della notte. Passerà se chi ha responsabilità di governo e potere nelle istituzioni uscirà dalla mortale condizione di chi, spegnendo le luci, non sogna più di accenderle coraggiosamente sempre e comunque. Passerà la nottata se io, tu, noi avremo tutti sempre in tasca un fiammifero pronto per riaccendere quello che altri continuano a spegnere. Natale è alle porte, un bambino sta per nascere e offrire il suo sorriso al nostro lutto. Afferrarlo ci conviene. Buon Natale

il mattino

 
 
 

Post N° 724

Post n°724 pubblicato il 12 Dicembre 2006 da corsaramora

Welby può 'staccare la spina'
"Ma sul ripristino delle cure decide il medico"

Esplicite erano state le parole di Welby: "Uno Stato che non ha pietà di me, che non sa ascoltare la mia voce, sarà meno capace di ascoltare la tua". 'Decidere' è anche il monito dell'associazione Luca Coscioni, capofila nella battaglia a fianco del copresidente Welby per il 'diritto a una morte dignitosa

 
 
 

Post N° 722

Post n°722 pubblicato il 07 Dicembre 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

Parole femmine, pensieri maschi

MINAimmagineC’è chi abbassa sensibilmente la media. «Tu mi dirai...», mi dice abitualmente un amico che ama molto parlare, alla fine di un discorso che prevederebbe un intervento da parte mia che, invece, rimango muta. «Mi dirai...» e va avanti con supposizioni circa la mia posizione sull’argomento in questione che, di solito, non si avvicinano neppure lontanamente a quella che è la mia opinione. Lo ammetto, c’è un perverso divertimento in questo mio atteggiamento. No, non c’entra la pigrizia. Quando c’è da parlare, parlo. Ecco, magari non a caso, non comunque, non per obbligo, non per circostanza, non per falsi convenevoli.

E invece il solito studio di cui non si sentiva la necessità, e cioè il libro «The Female Brain» della neuropsichiatra Louann Brizendine, ci dice che le donne parlano tre volte tanto rispetto alla media maschile. Trattasi di 20 mila parole al giorno contro 7 mila. E adesso che lo sappiamo, possiamo andare a letto più contenti, no? Ma non è tutto. La signorina ci riserva altre perle. Ad esempio, la chiacchiera provoca nelle donne una sensazione di piacere simile a quella prodotta dall’eroina. Inoltre il testosterone, che determina la fisiologia del cervello del feto maschio, sarebbe responsabile della silenziosità dei maschi, che però si rifanno con un pensiero ostinato e insistente al sesso, argomento a cui la mente maschile si rivolge, udite udite, ogni cinquanta secondi. Ma chi avrà intervistato? Qualcuno in cattività, come carcerati, pastori in transumanza o seminaristi, I presume. O magari è vero e forse le donne ci pensano addirittura di più. Boh, va’ a capire.

Mi piacerebbe sapere, si fa per dire, come la signorina abbia scelto il campione di individui a cui rivolgere la sua attenzione e come abbia fatto i conteggi delle parole femmine e dei pensieri maschi. Qualche giorno fa leggevo di un altro studio che attribuisce alla figura paterna la massima responsabilità nella ricchezza linguistica del bambino. E allora, che si mettano d’accordo gli studiosi del nulla. Ai fini dello sviluppo della parola vale di più il testosterone o un padre che parla forbito? Una madre amorevole o una stanza per bimbi dipinta di blu? L’allattamento al seno o una maestra tremenda che ti corregge anche le vocali aperte o chiuse? Contano o no le differenze individuali e le influenze culturali? Meglio leggere Dante o ascoltare Di Pietro che parla in tv? Comunque, per risolvere i miei dubbi, non vedo l’ora che questo libro venga pubblicato anche in Italia. Appena esce, corro in libreria a non comprarlo

 
 
 

Post N° 720

Post n°720 pubblicato il 24 Ottobre 2006 da corsaramora

Gomorra
sotto al Vesuvio

 
Roberto Saviano                     immagine
Il ritmo del noir, il coraggio della testimonianza e la documentazione del ricercatore universitario. Così in tre mesi 'Gomorra' (Mondadori) ha già venduto 60 mila copie grazie soprattutto al tam tam dei lettori. Nella sua opera d'esordio Roberto Saviano, 27 anni, ha raccontato in prima persona la criminalità campana. Sono messi a nudo i meccanismi che hanno portato i clan a creare un sistema industriale dove si producono abiti per i divi di Hollywood e a monopolizzare i commerci con la Cina. E c'è la vita nelle strade di Secondigliano: i quindicenni con il giubbotto antiproiettile, i sicari che muoiono per pochi euro, i broker laureati che fanno sparire i rifiuti pericolosi di mezzo mondo.

 
 
 

Post N° 719

Post n°719 pubblicato il 26 Settembre 2006 da corsaramora
Foto di corsaramora

                                        

Piergiorgio Welby, co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni
scrive al Capo dello Stato Napolitano: "Serve un confronto serio"

"Signor presidente, voglio l'eutanasia"
Video appello di un malato terminale

UN letto, un respiratore artificiale, un computer appoggiato sul comodino. Poi lui, immobile, lo sguardo fermo nella telecamera che lo riprende in un primo piano implacabile, senza via di scampo. Come la malattia - la distrofia muscolare - che lo tiene lì, prigioniero, ormai da mesi, di un corpo che "non è più mio, squadernato davanti ai medici, assistenti, parenti". Piergiorgio Welby, co-presidente dell'Associazione radicale Luca Coscioni, ha scelto di mettersi a nudo, di mostrare la propria condizione di malato terminale, per ottenere l'eutanasia. Il video è un appello-testimonianza inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

La non-vita scrutata dall'obiettivo della video camera scorre semplicemente e dolorosamente reale. Ancora di più perché la voce fuoricampo è quella di Piergiorgio, ma metallicamente alterata dal computer. Welby - che prima della malattia immaginiamo omone grande e grosso, con un tatuaggio sull'avambraccio, dalla zazzera scura e prorompente almeno quanto la vitalità che scaturisce dalle sue parole - non può più parlare autonomamente, non può più muoversi, non può più leggere o scrivere come faceva fino a due mesi fa anche grazie a internet. Attaccato a un respiratore artificiale, trascorre le giornate vegetando, in attesa di morire per potersi liberare da questo inumano calvario.

Racconta: "La giornata inizia con l'allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare".


Dettagli medici e tecnici che scandiscono un'esistenza negata in cui la persona lascia il posto al malato e la dignità diventa difficile da coltivare, anche persino da ricordare. "Io amo la vita, presidente - dice la voce metallica mentre due spilli castani perforano il video -. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso e morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche".

L'autanasia, spiega Piergiorgio dal suo sudario, è un modo per sottrarre chi è come lui - non solo lui - a questo oltraggio estremo, a questa barbarie. "Se fossi svizzero, belga o olandese" avrei questa opportunità, dice, ma sono italiano e quindi "il mio sogno, la mia volontà, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l' eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità".

Un diritto, quello di vivere che, se si è malati terminali, si traduce in accanimento, in artificio. Una mostruosità. Piergiorgio cita Benedetto XVI: "Occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale". Ebbene, replica ancora la voce metallica, "che cosa c' è di 'naturale' in una sala di rianimazione? Che cosa c' è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c' è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l' aria nei polmoni? Che cosa c' è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l' ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente 'biologica', io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico".

Piergiorgio Welby lo sa che il presidente Napolitano non può essere l'artefice di un pronunciamento sull'eutanasia, nè di una soluzione politica che deve scaturire, piuttosto, dal dibattito parlamentare. "Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le vcolontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto".

Spiega ancora la voce di Piergiorgio: "Una legge sull' eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L' associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato Nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l' impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. L' opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare". Piergiorgio Welby chiede innanzitutto attenzione verso chi soffre e vuole una soluzione perchè, conclude citando l'uomo di fede Jacques Pohier, "l'eutanasia non è morte dignitosa, ma morte opportuna".

L'appello non può lasciare indifferenti. Il primo a rispondere è il deputato dei Verdi Tommaso Pellegrino che, da cattolico, non vuole lasciar cadere nel vuoto le parole di Welby: "E' giusto sollecitare un dibattito parlamentare su un tema così delicato. Ciò che serve è un confronto sereno tra laici e cattolici, al riparo dai condizionamenti ideologici".

 
 
 

Post N° 718

Post n°718 pubblicato il 26 Settembre 2006 da corsaramora

                      

Dio non è una giusta causa
M. Ca.
Chi pubblica libri e riviste «con l'unica e primaria finalità di affermare la dottrina e il credo cattolico» non è esentato dal rispettare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Pensavamo che dei buoni cristiani avessero una ragione in più per rispettarlo. E invece c'è voluta una sentenza della Cassazione per far riassumere un lavoratore asmatico, licenziato dalle Edizioni Paoline per «inidoneità fisica». Anche se i libri parlano di Dio, della Madonna, dei Santi e del Papa, la tipografia che li stampa fattura un miliardo e mezzo di vecchie lire. E' un'impresa «caratterizzata dalla ricerca del profitto». Quindi, poche ciance: per licenziare serve una giusta causa, afferma la Suprema corte, e una malattia non lo è. Di questi tempi, Dio è nominato invano ai quattro angoli della terra. Spiace che le Paoline seguano la moda.
 

il manifesto

 
 
 
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