Creato da lavocecelata il 28/06/2007
nel confessionale delle nuvole

 

« continenti nella correntedirlo, non dirlo »

i continenti si muovono da sempre

Post n°36 pubblicato il 19 Aprile 2014 da lavocecelata

Egon mi si avvicinò. Lessi nei suoi occhi una sorta di ringraziamento. Mi porse la mano. Gliela presi, la strinsi guardandolo negli occhi e gli inviai un messaggio che avrebbe dovuto sapere d'impressioni di settembre, qualcosa tipo è stato bello ma poi viene l'inverno e tutto muore. Lui girò il capo per guardare Gabriella che guardò me ed io guardai per terra in cerca di qualche fondamentale che attenuasse il ritmo dei tamburi del sangue. Non ne trovai traccia su quel grigio marciapiede, così ci scrutammo vicendevolmente in una perfetta manifestazione di quel che s'immagina debba essere un saluto tra due persone che si sono scambiate corpi, cuori, percezioni. Per non saper che fare affondai le mani nelle tasche, lei mi si fece vicina, s'appese ai miei avambracci e mi baciò appoggiando lievemente le sue labbra alle mie. Risposi mordendole delicatamente il labbro inferiore, un rimprovero di bacio perchè era stata troppo casta nel saluto? Egon aveva caricato il loro bagaglio, gli sportelli sbattevano nel chiudersi, un ultimo sguardo indefinibile o forse era già ieri, ed anche lei si allontanò per salire sul treno. Appena il tempo d'affacciarsi al finestrino e partirono, alla fine, lei agitando una manina e lui con un colpo di tosse: era delicato di gola, Egon, doveva stare attento alla sua voce...
Rimasi in mezzo al marciapiede a guardarli scomparire. Poi sospirai, tirai fuori una gitane papier mais e riparandomi dal vento l'accesi. Prima di buttar via la cicca, loro erano già nostalgia ed io l'uomo fermo davanti ad un binario in attesa d'un treno qualsiasi per una qualsiasi direzione, un altro continente che non fosse alla deriva, stabile, sicuro, qualcosa che sapesse di radici, germogli, frutti. Tirai dritto.

Quando emergiamo alla superficie l'atmosfera della camera scarseggia d'ossigeno: un parte d'azoto e tre parti di fusa, vapore succoso di sesso, particelle goccioline di lei e di me si miscelano in un aroma dolce ed un po' selvatico. Odora d'esotico l'amore.

«Ti seguirò in capo al mondo». Non si può. Il mondo non ha capi: l'ha chiarito Colombo. Non è che sia più avida di altre, ma è giovane: si crede innamorata, senza ripugnanze, senza inibizioni.
«Sei una bestia», mi dice, «una vecchia bestia, ma non mi fai paura»,scherza, ed io le rispondo che no, non sono un orco anche se l'ho quasi divorata. In fondo è stata quasi una rivelazione. E' trascorso troppo tempo dall'ultima volta. Ma è come andare in bicicletta, una di quelle cose che una volta imparate non dimentichi più. Proprio come pedalare. Ma sei stata tu a salire in sella, rido.
Mi passa delicatamente la mano sul petto. «Mi piacerebbe che tu fossi un marinaio. Non mi piace che tu indossi degli abiti normali». Non sa che io indosso abiti normali solo per lavoro e che i marinai non vanno in giro nudi, le rispondo, anzi, «indossano molta più roba dei ragionieri.»
«Mi piacerebbe lo stesso», prosegue, «mi piacerebbe anche che tu fossi un guardiano del faro». Così non ci vedremmo più. Non sai che i guardiani dei fari sono quasi degli eremiti?«questo lo tengo per me come ricordo», appoggia la guancia sul mio petto, ce la strofina, mi strappa un pelo e tace.«Ora sei in debito con me», le dico, «e per metterci in pari dovrai rispondere ad una domanda, una di quelle strane domande tutte se», poi però taccio. Non è che muoia dalla voglia di farle questa domanda, ma ormai l'ho detto. Appoggia il gomito e si sorregge la testa con il piccolo adorabile pugno. «Allora questa domanda?», sì, sembra quasi divertita.
«Senti, se tu mi avessi conosciuto prima, se io avessi vent'anni di meno, che cosa avresti provato per me?», ecco, l'ho fatta la domanda.«Semplice», risponde,«Quello che provo ora», ed io allora insisto,«Aspetta, non volevo dire questo. Mi avresti preso sul serio?»
«Certo che ti avrei preso sul serio», mi risponde,«ma a che serve questa domanda?»
«Non essere pratica. Per favore. Non essere saggia. Immagina me come ero vent'anni fa e te come sei ora», la guardo negli occhi. Vedo il mio viso riflesso nelle sue pupille. Non si vedono le rughe.«Allora non avevo rughe», penso ad alta voce; lei mi prende una mano e se la mette sul seno, mi sa che le faccio tenerezza. Ma devo proseguire il mio sragionamento, «allora mi sembrava di avere ancora tutto davanti a me», le dico,«a volte non riuscivo a dormire pensando a quello che avrei potuto fare: sapevo che avrei potuto fare tutto..no, questo era quando avevo vent'anni. Sì..immaginami a vent'anni. E' l'età più bella ma non lo è stata per me. Mi sentivo molto infelice, quasi sempre. Mi capitava all'improvviso e senza nessuna ragione apparente, si vede che avevo qualche presentimento che non sarebbe andata molto bene. Mi avresti preso sul serio? Forse non mi avresti nemmeno sfiorato con lo sguardo, è un posto infernale il mondo, quando si è poveri. Ma ero ancora giovane, pieno d'energia e fiducia nella vita».
«Probabilmente tu non avresti preso sul serio me, forse mi avresti spezzato il cuore. Ti prendo come sei adesso», mi guarda divertita come se avessi una mezza sbornia e mi sta sorridendo convincente. Si libera dal mio abbraccio e se ne va in cucina. Anch'io lascio il grande letto azzurro come il mare e la seguo là.
Lei sorveglia la caffettiera.
«Non c'era bisogno di metterla sul gas, bastava che tu la tenessi tra le mani: bruci come il fuoco», scherzo e la cingo da dietro. Si abbandona tra le mie braccia, appoggio la mia guancia alla sua, aspiro il suo profumo ed è come se avessimo gli stessi polmoni, respiriamo lentamente e profondamente.
Il pane è fresco e bene imburrato, facciamo finta che sia davvero così, che sia un giorno di vent'anni fa, che tutto ancora sia possibile, che non si sia soltanto dei dispersi in mezzo al mare, che  questa sia una storia tra le mille, d'un continente sempre alla deriva.

 

xx

 
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