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L'alcolismo si può sconfiggere...parola di Anna!

Post n°28 pubblicato il 20 Ottobre 2005 da VociDiDonne
Foto di VociDiDonne

Mi chiamo Anna, sono una cinquantenne sarda che fin dall’età che varia dai 17 ai 18 anni ho avuto una particolare e affascinante tendenza verso quel liquido micidiale che è l’alcool.

Quando iniziai con esattezza non ricordo, so solo che ero in collegio, a Frascati, dove studiavo, e la domenica le suore ci davano il vino. Ricordo che mi offrii volontaria per distribuirlo alle mie compagne, ma da brava volpe che ero dimezzavo la bottiglia, mettendo la metà da parte per bermelo in tranquillità e annacquando il resto da distribuire alle compagne.

E così ogni santa domenica di quei 4 anni trascorsi in quel di Frascati.

Ma in quel collegio si respirava una certa libertà, io andavo a scuola all’esteriore per cui potevo ogni tanto entrare in un bar e bere qualcosa di più che un semplice bicchiere di vino, mi innamorai li per la prima volta della sambuca, manco fosse un essere umano.

Nel 73 mi diplomai e feci rientro in Sardegna, dai miei.

Ero orfana di madre, l’avevo persa a 12 anni, e mio padre si era risposato con una romana con la quale i rapporti, sia miei che degli altri 4 fratelli erano alquanto tesi.

Appena ebbi l’opportunità e trovai un lavoro, me ne andai di casa, pur mantenendo rapporti diciamo civili con loro.

In Sardegna non è che hai molto da scegliere in quanto a lavoro, e mi accontentai di fare la dama di compagnia ad una vecchia ma arzilla signora. Lavoro che alla fine mi piacque infinitamente perché scoprivo delle cose in me che mi piacevano. Tra noi si instaurò un ottimo rapporto. Avevo molto tempo libero, lo impiegavo scrivendo, che da sempre è stata la mia passione, passione sempre ostacolata dai miei e soprattutto da mia matrigna che frugava nelle mie cose e bruciava quello che trovava.

Ora potevo scrivere a iosa, mi divertivo, ma in agguato c’era lui, lui il dannatissimo bicchiere ambrato che mi scivolava in gola e che mi dava una sensazione di potenza, mi faceva credere che io ero una persona importante e soprattutto mi permetteva di non vedere ciò che stavo tentando di nascondere anche a me stessa: la mia omosessualità.

Il mio bere si trasformò divenne rapidamente un‘urgenza, un bisogno da soddisfare al di sopra di tutto. La mattina alle 6,30 ero già nel bar sotto casa e iniziavo la mia giornata con un wischy, un caffè e dulcis in fundo una sambuca.

Nel giro di breve tempo diventai un alcoolista, la mia unica preoccupazione era bere, il mio stipendio finiva nei supermercati per le provviste di bevande.

Mi rendevo conto di dove stavo andando ma non sapevo (e forse neanche volevo) come uscirne fuori.

Lavoravo ancora con la signora, ma ero diventata un’altra, non ero violenta, ma distratta, piangevo ad ogni sbronza e cose del genere, ma la cosa più assurda e che continuavo a scrivere. All’epoca non esistevano ancora i computer, o almeno erano un lusso da pochi, mi ero comprata una macchina da scrivere e passavo il tempo battendo sui tasti, ubriaca riuscivo a scrivere senza fare errori, mettevo negli scritti la mia anima, infatti scrivevo per lo più poesie in cui invocavo amore e riconoscevo in quei momenti che lo invocavo da altre donne come me.

In breve, dopo aver tentato diverse volte il suicidio, dopo aver ingoiato sonniferi e super alcolici, capii che era venuto il momento di smetterla. Mi rivolsi al Telefono amico che mi indirizzò verso gli Alcoolisti Anonimi, ci andai, frequentai un po’ ma bevevo sempre.

Nel contempo mia matrigna era morta di cancro, avevo perso il lavoro e vivevo con mio padre.

Feci decine e decine di ricoveri, facevo psicoterapia ma mi innamorai della mia terapeuta per cui, senza dirle niente, non frequentai più le sedute.

Dopo l’ennesima bevuta colossale avvenuta in un momento particolare, mio padre era stato ricoverato in gravi condizioni, mi ricoverai in clinica e mio padre, rimessosi non mi fece più tornare a casa.

Mi rivolsi alle assistenti sociali che, mi fecero installare in una pensione ma che mi dissero che l’unica soluzione era entrare in una comunità.

Volevo smettere, non avevo più niente, tutto era perso, soprattutto la dignità, e il rispetto di me stessa.

Feci la vagabonda per un po’, si avevo da dormire ma non avevo da mangiare però in un modo o nell’altro trovavo sempre da bere.

Finché, esasperata non incontrai qualcuno che era stato all’Associazione Le Patriarche. mi parlò di tale associazione, nata nel 1972 in Francia, e che era presente in quasi tutto il mondo,  mi spiegò di cosa si trattava e decisi che mi piaceva per cui, nel lontano 21 Ottobre 1989 mi presentai in un centro di accoglienza nei pressi di Tolosa (Francia) e da li iniziò la mia rinascita.

Ricordo come fosse ieri l’emozione che provai nel vedere l’accoglienza che mi era stata riservata. Nessuno voleva sapere chi ero stata, ne cosa avevo fatto. Sapevano solo che avevo bisogno di aiuto e me lo offrivano incondizionato. E questo aiuto mi veniva offerto su un vassoio d’oro da ragazzi e ragazze che prima il loro obiettivo era quello di infilarsi un ago nel braccio o di fumare una canna o che altro. Persone che io prima disprezzavo perché non ammettevo certe devianze, non ammettendo neanche dentro di me che l’alcool è peggio di una qualsiasi altra droga.

Ben presto mi ritrovai a fare i conti con una terribile realtà: buona parte di questi giovani erano sieropositivi al virus dell’HIV, molti ne erano malati.

Ma avevano in loro una forza tale che mi resi conto in fretta di quanto futili fossero i miei problemi. Mi ritrovai in un mondo diverso ma quello che vedevo, le lotte che si facevano mi portavano la pace e soprattutto imparai che non bisogna mai compiangersi ci sono altri che stanno peggio di noi ma che hanno il coraggio di lottare anche se sanno che la loro vita è solo un fragile filo.

Iniziai a parlare con loro, volevo sapere, capire i motivi che li avevano portati alla loro autodistruzione. scuse come amici, volevo provare qualcosa di diverso, ma nei loro racconti tragedie ben più pesanti: violenze sessuali in famiglia e chi più ne ha più ne metta. Mi veniva la pelle d’oca nel sentirli ma io amavo e amo queste persone e nello stesso tempo mi stavano ridando fiducia in me stessa, mi stavo amando di nuovo, se mai prima mi ero amata.

Ero entrata a far perte di un’associazione in cui l’auto/aiuto era fondamentale, ci si aiutava a vicenda e a vicenda se ne veniva fuori.

I mesi volavano, i miei progressi aumentavano, intanto mi avevano dato diverse opportunità, in associazione si faceva un giornale che veniva diffuso in tutto il mondo dove eravamo presenti in ogni lingua, e sapendo che amavo quel genere di lavoro, mi mandarono nel centro dove erano le redazioni.

Che gioia……

Quando per la prima volta vidi il computer, un mac, che mi era stato assegnato lacrime di gioia e riconoscenza mi spuntarono.

Nel frattempo, avevo iniziato a parlare decentemente il francese, si lo avevo imparato a scuola, ma ora potevo praticarlo.

Alla prima riunione di redazione cui partecipai, mi diedero un piccolo articolo da tradurre dal francese all’italiano. che sensazione provai. Mi sentivo un Dio, Io Anna, ubriacona cronica, potevo far qualcosa, potevo far partecipi altri all’esternoi di un mondo ceh si voleva ignorare ma che purtroppo esisteva. MI ci misi d’impegno e.. all’uscita del numero del giornale, c’era anche il mio nome.

Quando mio padre lo ebbe fra le mani, andava in giro a dire che la sua pikkola era una giornalista che facevo il giornale…

Avevo riconquistato anche lui…. non solo me stessa.

Chiaramente la mia vita non era basata solo su questa attività, la cosa più importante restava sempre l’altro nel senso che una volta terminata la propria fase di disintossicazione, ci si occupava di un nuovo/a arrivato/a ed era la cosa che più faceva star meglio.

Anni sono passati da allora (quando entrai avevo 34 anni ora ne ho 50) molti di quei compagni non ci sono più, caduti sotto la falce dell’Aids, altri come me ne sono venuti fuori e qualcuno di loro ora lavora in questa Associazione, altri da anni hanno ripreso un posto nella società e stanno bene.

Ho imparato ad ascoltare, a mai condannare, a tendere una mano a chi è più infelice e soprattutto a capire…. e di comprensione ne manca molto in questo mondo.

Mi rendo conto che ci vuole molto coraggio, ma se nessuno da una mano a questi ragazzi, il coraggio di mollare tutto non lo troveranno mai, perciò non ignoriamo ma ascoltiamo e forse buona parte della gioventù avrà un futuro.

 

Rellas55

 
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