Creato da votattilio2008 il 28/03/2008

A.T.T.I.L.I.O.

Attivisti Territoriali Terribilmente Incazzati Lievemente Inconsapevoli a Oltranza

 

 

Note dal ritiro: due o tre cose che vorrei sapere da chi si candida alla guida del Pd del Lazio

Post n°271 pubblicato il 23 Novembre 2011 da votattilio2008

Nel sottoscala l'umidità continua e la tastiera nuova che mi ha datto peggiora la situazione. Microsoft è quasi peggio di Minzolini, altera la realtà.

Noto, comunque con disappunto, che il dibattito sul Pd del Lazio non decolla. Da una parte chi dice che è impeganto a salvare il Pd del Lazio, dall'altra chi lancia appelli all'unità non si capisce bene su cosa e per fare cosa.

Personalmente resto dell'opinione espressa ieri. Il tema è la natura stessa del Pd, il fallimento della ragione storica che ha portato alla sua nascita. E le conseguenze drammatiche di questo fallimento nel campo della sinistra italiana.

Detto questo però non scappo e provo a cimentarmi con alcune questioni di merito, su cui mi piacerebbe conoscere il parere dei due aspiranti segretari, i molto onorevoli Gasbarra e Bachelet.

 

Il Lazio bene comune

Come accenavo nella precedente nota, trovo che quella dei beni comuni sia una chiave di analisi di società più che un tema specifico. Per questo mi piacerebbe conoscere cosa pensano i due molto onorevoli su alcuni temi specifici.

Trasporti: Le varie società pubbliche che gestiscono il trasporto sono alla bancarotta. Cosa facciamo, cosa diciamo? Privatizziamo, rifinanziamo a fondo perduto come accade di solito salvo accorgersi che non serve a nulla? Nel primo caso dobbiamo capire che un eventuale privato ci vorrebbe guadagnare dal servizio e quindi, automaticamente sarebbero a rischio le tratte più periferiche, che generano meno introiti, sono meno frequentate, ma costituiscono spesso l'unico mezzo di collegamento per migliaia di cittadini. Nel secondo caso bisogna quanto meno trovare i fondi. E mi sembra complicato. Io credo che bisognerebbe garantire intanto il servizio pubblico, altro che privati. Studiando, intanto, una nuova struttura societaria che riunifichi le varie società che esistono sul territorio. Con le giunte di centro sinistra abbiamo assistito ad una moltiplicazione delle società, abbiamo spezzato gestione della rete da quella del patrimonio, moltiplicato poltrone e poltroncine senza risolvere alcunché. Questo è il punto da cui partire. Forse creare una sola holding regionale che gestisca nel complesso il tarsporto su gomma, le metropolitane e le ferrovie concesse sarebbe non la soluzione di tutti i mali, ma almeno l'inizio della soluzione. In secondo luogo: studiare una differenziazione delle vetture a seconda delle tratte. CHe senso ha usare i pulmann più grandi in tutte le situazioni? Entrando nel dettaglio si potrebbe pensare anche di unificare, ove già non succede, la figura dell'autista con quella del bigliettaio per combattere l'evasione.

Urbanistica: è il tema più scottante dell'ultimo anno, in cui il Pd si è opposto, almeno a parole, al piano casa Ciocchetti-Polverini. Senza mai avanzare una proposta alternativa. Io credo che dobbiamo capovolgere l'ottica usata negli ultimi decenni. Il territorio è il nostro bene comune per definizione. E l'uso del territorio va pianificato con attenzione. Costruire, cementificare è un danno per tutti, in primo luogo per chi andrà ad abitare in città senza senso, senza anima, senza "vissuto". Servirebbe una legge nazionale sull'uso dei suoli, ma anche a livello regionale si può fare molto, stabilendo norme più chiare e stringenti, più semplici, ma proprio per questo automaticamente più restrittive. Tolleranza zero per l'abusivismo che non è più quello di necessità, ma essenzialmente speculativo. Obbligo di elevato grado di autosufficienza energetica per le nuove costruzioni, rispetto assoluto per le norme di salguardia idrogeologica, delle coste e dei fiumi.

Sanità: ripensare davvero il sistema sanitario, andando a chiudere gli ospedali inutili, quelli di paese, creando policlicini di livello per macroarea, potenziare la medicina di base, creando una rete assistenziale h24. Riequilibrare la sanità romana, ipertrofica, con quella delle province. Rivedere il sistema degli accreditamenti, tagliando la sanità privata che non pèuò stare sullo stesso piano di quella pubblica. Incrementare il sistema di controlli sull'appriopriatezza delle prestazioni. Sono solo i titoli, ma anche in questo campo occorre una svolta copernicana, lasciando da parte le troppe timidezze della giunta Marrazzo.

Rifiuti: raccolta porta a porta obbligatoria, per legge, su tutto il territorio regionale, nell'arco di due anni. E' l'unico modo, radicale anzi brutale, per voltare pagina, dire addio alle discariche e superare l'emergenza rifiuti. Serve un ruolo forte del pubblico non solo nella raccolta, ma anche negli impianti di gassificazione - la parte redditizia del ciclo - che non possono essere lasciati al solito Manlio Cerroni. La produzione di energia attraverso i rifiuti può diventare una ricchezza per la nostra Regione. Al tempo stesso valorizzare i rivoluzionari progetti avanzati da molte università italiane per il trattamento meccanismo dell'indifferenziato.

 

Le istitituzioni bene comune

Legge elettorale regionale con collegi uninominali a doppio turno, costituziuone dell'area metropolitana di Roma, Regione come ambito naturale per lo sviluppo della Capitale.

Mi limito ai titolo, perché davvero serve un capitolo a parte per ogni argomento. Ma si tratta di temi che un partito che vuole governare e non solo vincere le elezioni non può dimenticare.

Riduzione degli sprechi: riportare a cinquanta il numero dei consiglieri regionali, garantendo una rappresentanza a tutte le Province. Taglio del cinquanta per cento dello stipendio complessivo dei consiglieri regionali, oltre 15mila euro attualmente. Riforma del sistema previdenziale dei consiglieri regionali: non più il vitalizio garantito dopo una legislatura, ma semplice versamento dei contributi previdenziali come tutti i comuni mortali. Eliminazione della liquidazione.

Taglio del cinquanta per cento degli stipendi dei dirigenti apicali della Regione. Eliminazione del concetto di auto blu personale, creando un sistema a rotazione. L'auto blu è copmunque da utilizzare solo per gli impegni istituzionali.

Area metropolitana di Roma: E' urgente, ancora più che dotare la capitale di poteri maggiori. Serve un coordinamento di area vasta per garantire al sistema Roma una dimensione competitiva dal punto di vista economico, dello sviluppo, delle conoscenze. Fare sistema attraverso la Regione che deve essere davvero organoi di programmazione e non di amministrazione. Delega alle province e ai Comuni di tutti i poteri amministrativi, dalla gestione delle strade, al turismo, all'urbanistica.

Riforma del Consiglio regionale: taglio del numero delle commissioni, da portare a 8, accorpando le competenze per materia omogenea, dotare le commissioni di potere legiferante sul modello della Camera. Taglio del personale in servizio nelle segreterie politiche, nell'ufficio di presidenza, nei gruppi politici: una riduzione del 50 per cento, effettuata potenziando al contempo i servizi istituzionali del Consiglio che devono essere autorevoli e autonomi rispetto alla politica.

 

Il Partito demcratico, una scommessa fallita

Prendiamo atto che il PD, così come è oggi, è una scommessa fallita. Lasciamo perdere la continua redazione di regolamenti, statuti, circolari. Documenti fumosi pieni di regole non sanziate, che non rispetterà mai nessuno.

Ripartire da zero: tesseramento con quota in proporzione al reddito, organismi dirigenti veri, segreterie votate dagli organismi dirigenti e non nominate. Stabilire incompatibilità chiare, poche regole ma precise, affidare ad organismi di controllo seri, se necessario esterni al partito, il potere di sanzionare eventuali irregolarità.

Costruire la federazione della Provincia di Roma, in analogia all'area metropolitana.

Stabilire un patto di consultazione a livello regionale con Sel e Idv, per costruire una vera opposizione unitaria alla giunta Polverini.

 

Come vedete ho scritto soltanto i titoli e molti atri ce ne sarebbero. C'è anche la volontà di confrontarsi, nei luoghi propri (l'assemblea e la direzione regionale)? A me sembra che troppi evitino il confronto per nascondere le proprie debolezze dietro toni esasperati che coprono il vuoto assoluto dell'elaborazione, ma sono disposto a ricredermi in ogno momento.

 
 
 

Note dal ritiro: sul Pd e la formazione dei gruppi dirigenti

Post n°270 pubblicato il 22 Novembre 2011 da votattilio2008
Foto di votattilio2008

Mentre anche nel sottoscala della Pisana è arrivato l'inverno e l'umidità ti entra nelle ossa, mi accingo a partire per un fine settimana e Londra, ben contento di avere una ragione incontestabile (il biglietto prenotato) per non partecipare all'assemblea regionale di sabato.

Però, facendo parte - ormai mio malgrado - di quella comunità politica, mi arrivano commenti, riflessioni, oltre ovviamente a pettegolezzi e retroscena vari.

Nel merito della contesa io la vedo così: una disfida fra ex Dc che davvero non mi appassiona. Non vedo cosa ci sia di nuovo in nessuna delle due candidature, Gasbarra e Bachelet. Sicuramente persone rispettabili, dirigenti autorevoli, ci mancherebbe altro. Ma i però sono molti. Intanto sono tutti e due parlamentari. Ed essendo stato fra i protagonisti di una battaglia contro la duplicazioni degli incarichi e la socrapposizione dei ruoli mi sembrerebbe contradditorio sostenere l'una o l'altra candidatura. Poi qualcuno nel corso degli anni tende a cambiare idea a seconda della propria convenienza, ma questa è un'altra storia.

 

Le candidature in campo

Le due candidature, al di là delle apparenze, mi sembrano inoltre buttate là senza un progetto politico condiviso. Una, quella di Gasbarra, nasce dai cosiddetti caminetti, l'altra si ammanta di una sorta di nepopulismo, ma poi, alla resa dei conti viene buttata nella mischia con l'unico scopo di contrastare la prima.

Per questo la vicenda mi appassiona ben poco. Mancano le condizioni per invertire quella tendenza che ha portato il Pd del Lazio ad essere sempre più un partito di notabili, una sorta di partito ottocentesco e non quel moderno movimento di massa che servirebbe alla nostra Regione.

 

Ma conta solo il metodo?

Né mi appassiona più di tanto l'altra disputa di questi giorni. Ovvero, in che modo lo eleggiamo questo segretario? Intanto, essendo per mia natura precursore dei dinosauri, secondo me a questo partito servirebbe un congresso. Non una di quelle robe a cui siete stati abituati negli ultimi vent'anni, in cui non si discute nulla e si vota. Ma una roba giurassica: con le tesi politiche che si confrontano, si emendano, si approvano, si eleggono i delegati e questi votano il segretario, la segretaria e la direzione. Come conclusione di un percorso politico che doti questo sgangherato partito di una "visione" sulla Regione in base alla quale articolare poi l'iniziativa politica.

In secondo luogo, perché credo sia un falso problema. Mi spiego meglio. In questo partito abbiamo sperimentato vari modelli di elezione degli organismi dirigenti. Con le primarie aperte a tutti gli elettori, con l'elezione diretta da parte degli iscritti, con l'elezione in assemblea.

Il primo caso è stato quello usato per l'elezione di Veltroni e Bersani al nazionale, nonché di Mazzoli. Fermo restano il mio giudizio positivo sull'azione che sta portando avanti Bersani, non mi sembra che il consenso che ha ricevuto dalle primarie sia sufficiente a determinare quella uinità di azione e quella incisività che gli elettori ci chiedono per poter rappresentare un'alternativa di governo credibile. Sul fallimento di Veltroni abbia già ampiamente detto. Su Mazzoli parlano i fatti.

Abbiamo eletto con il voto degli iscritti, tra gli altri, Marco Miccoli a Roma. Non mi sembra che, al di là di una pur importante ripresa organizzativa, il PD della Capitale sia riuscito in questo anno a mettere in campo gli strumenti necessari per tornare a vincere, ma soprattutto per governare davvero la città. Siamo in campagna elettorale e, al di là di qualche convegnuccio di facciata, le attenzioni di tutti sono orientate al toto candidati oppure, peggio, addirittura al totoassessori. Faccio sommessamente notare che questo errore l'abbiamo già fatto una volta e ci ritroviamo Alemanno sindaco.

Con il metodo dell'assemblea è stato eletto Roberto Morassut al regionale, dopo le dimissioni di ZIngaretti. Ci provò, difficile negarlo. Ci mise la consueta passione e intelligenza, salvo confessarsi agli intimi "stremato dalla continua pratica del compromesso su tutto".

 

La funzione della sinistra

Da questa frase bisogna ripartire. Può funzionare un partito chiuso a compartimenti stagni, dove gli eletti hanno il potere di decidere in perfetta solitudine i cardini della loro azione nelle istituzioni? Può funzionare un partito dove esisti soiltanto se sei simpatico ai mass media, a loro volta sempre a caccia del fenomeno da sbattere in prima pagina, del rottamatore di turno?

Può funzionare un partito senz'anima, scollegato dal suo popolo, che non ha radici nella società che non siano quelle della spartizione correntizia e senza qualità di qualsiasi strapuntino a disposizione?

Ecco questo è il punto. Io credo che sia inutile stare a arrovellarsi il cervello su statuti e regolamenti che tanto poi nessuno rispetterà, se non si rifonda la ragion stessa della presenza di un partito di sinistra nella società italiana di oggi.

A me appassiona molto la discussione sui "beni comuni". Credo che sia una delle chiavi più avanzate di analisi che oggi possiamo usare. A me piacerebbe discutere su come si forma un gruppo dirigente, non su come va eletto. Su come si legittima, sulla forza e sull'autorevolezza che non derivano da forme di elezione più o meno drogate, ma dal lavoro e dall'elaborazione.

Ecco, perdonate la rozzezza del ragionamento, ma non voglio annoiarvi ulteriormente. A me di questo piacerebbe discutere. Di come si gestiscono i beni comuni, di come, in un paese in crisi, si dà spazio all'innovazione. Di come un partito può mettere radici in quella che viene chiamata la società liquida. Di quali funzioni ha la sinistra oggi. Di come, in definitiva, la politica torna ad essere uno strumento utile ai cittadini e non utile soltanto a se stessa. E detto questo torno in silenzio nel sottoscala. Buona assemblea a tutti.

 
 
 

Note dal ritiro: a proposito delle elezioni nel Lazio

Sono due giorni, qua negli scantinati della Pisana dove continua il mio ritiro spirituale, che si odono fragorosi e colpi. L’aria è lacerata da deflagrazioni improvvise, il silenzio dei campi è rotto da boati assordanti. E noi negletti dell’ufficio stampa ci siamo lungamente interrogati sulla natura dei suddetti colpi. Non è uno dei cantieri infiniti che assillano il Consiglio regionale, non sono tuoni, visto che il cielo è sereno. Da buoni giornalisti alla fine abbiamo scoperto l’origine e la natura dei botti: sono le cazzate che il capogruppo del Pd, Esterino Montino, spara dal suo ufficio ai piani alti.

Ora il solerte ufficio stampa dirà che ho il dente avvelenato con l’ex bracciante di Maccarese ora agrario di Capalbio. Bah. Sicuramente penso, e non da oggi, che quando uno è nato il 6 aprile del 1948, arrivato al 2010 potrebbe pensare di andare in pensione, anche dorata peraltro, invece di ricandidarsi alla regionali. Soprattutto se ha ricoperto tutti gli incarichi possibili.

Come penso, e anche qui non da oggi, che sarebbe bene discutere le scelte di un partito negli organismi dirigenti e non sulle pagine dei giornali. Per questo avevo scelto di non commentare i risultati elettorali nel Lazio, pensando che, prima o poi, qualcuno avrebbe pensato di riunire la direzione regionale. In teoria, poi, dovrei anche far parte della segreteria fantasma. Ero stato perfino zitto malgrado il delirio di chi gridava alla vittoria. “Beh, lo fanno per dovere d’ufficio - ho pensato – e sicuramente chi ricopre l’incarico di coordinatore del comitato regionale ha a disposizione la potente macchina del Pd e quindi avrà più elementi di me per valutare”. Resta da capire cosa coordini se non si riunisce la segreteria o quello che è.

Poi hanno cominciato lo stratega di Maccarese-Capalbio e lo stesso coordinatore a sparare cazzate a palle incatenate. D’Ausilio ha concluso in tarda serata: “Nel corso di una riunione tra i segretari del Pd di Frosinone e Latina e il commissario del Pd Lazio, Vannino Chiti, si è stabilito che la decisione sui ballottaggi a Sora, Cassino e Terracina sarà presa localmente, valutando caso per caso. Tale valutazione sarà improntata alla verifica delle condizioni politiche locali, dei programmi e dei candidati sindaci”.

Eccolo là. “Si valuta caso per caso”. Come dire, nessuna strategia, almeno Montino ne avanzava una – suicida – quella di “disarticolare il Pdl sostenendo i candidati della Polverini”.

E allora mi sono detto: forse, ma dico forse, sarà il caso di andarseli a guardare questi dati, senza cedere alla tentazione di un augusto componente della segreteria romana del Pd che, ligio al suo ruolo, ci comunica: “Analisi del voto: abbiamo vinto”.

Dunque: vinciamo più comuni della tornata scorsa. Vero, indubbiamente. Però, però. Soprattutto Comuni sotto i 15mila abitanti dove il voto non ha, di solito, molto di politico. Ballottaggi: Genzano, Mentana, Pomezia, innanzitutto.  E che ballottaggi: a Genzano fra due esponenti del Pd. Con il paradosso che, in una città dove il centrosinistra esprime il 64 per cento dei consensi, a scegliere saranno gli elettori del centro destra. A Pomezia il sindaco uscente porta a casa uno striminzito 38 per cento. Avrà governato male? Sarà stato sbagliato rompere con un pezzo di sinistra per accogliere quattro consiglieri comunali ex Forza Italia? A Mentana, definita laboratorio politico per l’accordo con l’Udc, il candidato sindaco Altiero Lodi (Udc appunto) arriva secondo con il 31 per cento. Che sommato al 17 per cento ottenuto dalla candidata dell’altro pezzo del Pd fa quasi la maggioranza assoluta: saranno sommabili questi voti? Speriamo. Non tocchiamo palla a Marino, Colleferro, perdiamo Valmontone, centro nevralgico e forte attrattore di investimenti. Vinciamo bene a Ciampino, dove ci sono state le primarie vere e dove il candidato era assessore nella giunta uscente. Quando ci si chiede come formare la classe dirigente… Sempre a proposito di classe dirigente: a Olevano il potentissimo europarlamentare Guido Milana perde per tre voti contro un candidato ex diesse. Non è che a forza di ricandidare sempre gli stessi l’elettorato si stufa?

Rieti: perdiamo Fara Sabina. Roccaforte rossa della Sabina. Latina: l’incolore Claudio Moscardelli si ferma al 35.51 per cento. Poco sopra al disastroso risultato delle regionali dell’anno scorso quando la Bonino arrivò al 33. Terracina: il nostro candidato arriva quarto. Non c’è bisogno di ulteriori commenti. Cassino: altro laboratorio per l’accordo con l’Udc, arriviamo terzi, al ballottaggio vanno il Pdl (con sindaco uscente cacciato dalla sua maggioranza) e il candidato della sinistra più un pezzo del Pd. Sora, lasciamo perdere per carità di patria, basta dire che anche in questo caso siamo quarti. Però il segretario del Pd di Cassino è soddisfatto. Beato lui. La verità è ch in Provincia di Frosinone il centrosinistra non esiste. Altro che meridionalizzazione, qua siamo nella Sicilia peggiore.

Certo i ballottaggi possono raddrizzare la situazione, per questo avevo deciso di stare in silenzio. Possiamo confermare Pomezia e strappare Mentana alla destra.

Un dato però non potrà essere cancellato, il risultato del Pd. Vado a macchia di leopardo, raffrontando il risultato con le Regionali. Lo so, è improprio, ma vi assicuro che il confronto con le politiche sarebbe peggiore. E comunque, anche alle regionali c’erano le liste civiche. Genzano: passiamo dal 42 per cento al 21. Mentana, dal 24 al 14. Marino, dal 28 al 12. Pomezia, dal 23 al 16. Colleferro, dal 24 all’11. Cassino dal 13 al 4 per cento. Sora, dal 14 al 2.5.

E tutto questo avviene in una situazione in cui il Pdl, in molte zone, sta peggio di noi. A Morlupo avevano tre liste, contro una nostra. Ebbene siamo riusciti a perdere. A Cassino due. Altrettante a Sora e Terracina: vanno al ballottaggio fra di loro.

Dice il fine stratega Montino: beh, vista la situazione sosteniamo la Polverini e i suoi candidati, così mettiamo in difficoltà il Pdl. E magari facciamo entrare in fibrillazione la stessa maggioranza in Regione.

Ora, prima di entrare nel merito, io continuo a sostenere che una decisione del genere andrebbe presa negli organismi dirigenti di un partito e non negli uffici del capogruppo. Che saranno anche ricchi di fini consiglieri, ma non sono il partito. Fa notare l’ufficio stampa del gruppo Pd alla Pisana: “Questi stanno qui perche prendono i voti, non sono nominati come in parlamento”. Ora, premesso che mi piacerebbe sempre sapere quanto hanno speso “questi” in campagna elettorale, faccio notare che le liste dello scorso anno furono costruite a posta per farli eleggere senza troppi disturbi. E faccio anche notare timidamente che con “questi” abbiamo perso il Lazio. Poi, visto che il metro è questo, fra quattro anni, invece, di stare ordinatamente al mio posto chiederò di essere candidato. Voglio misurarmi con le preferenze. Magari supero le dieci prese dai portaborse messi lì a riempire le liste.

Che fare oggi.

C’è un’esigenza immediata, quella dei ballottaggi. Ecco, io credo che la posizione di Montino ci danneggi, non solo a livello locale, ma a livello nazionale. L’unico dato certo di queste elezioni è che vinciamo quando siamo chiari. Quando, come diceva Fassino, le priorità sono: coalizione unita e il miglior candidato possibile. Dunque che si doveva fare? Intanto partire dall’unità del centro-sinistra (Pd-Idv-Sel), cercare di ampliare la coalizione ove possibile. E poi scegliere caso per caso il candidato più forte, con equilibrio ma senza egoismi di partito. Possibilmente con le primarie, perché, e questo l’hanno capito in pochi, non solo si attiva uno strumento di partecipazione che il nostro elettorato ritiene essenziale, ma si fa già un bel pezzo di campagna elettorale. Mentre il centro-destra discute di chi debba essere il suo candidato, noi siamo già nelle piazze, sui giornali. Come dire, ci portiamo avanti con il lavoro. E di un bel pezzo.

Nel Lazio, salvo poche eccezioni, non abbiamo fatto questo. Hanno prevalso alleanza spurie, spaccature all’interno del Pd e nella coalizione. Hanno prevalso gli interessi di “questi che stanno qui perche prendono i voti, non sono nominati come in parlamento” rispetto a una strategia complessiva.  

Si può rimediare, vincendo i ballottaggi. E si vincono mandando un messaggio semplice e chiaro: dove ci siamo si votano i nostri candidati, con accordi con le altre forze di centrosinistra. Sosteniamo i candidati delle altre forze di centro sinistra  dove non ci siamo. Dove il ballottaggio è fra due candidati del centro destra, invitiamo gli elettori ad andarsene al mare. Niente tattichette, niente inciuci, niente dalemate su scala locale.

Sostenere la Polverini, sostiene Montino. Ora, prendendo come presupposto che sia in buona fede e non siano vere le voci su presunti inciuci con la governatrice per le nomine nelle società regionali, ora, dicevo, occorre partire da un presupposto, che forse lo stratega non ha ben chiaro: la Polverini governa il Lazio con il centro-destra e noi siamo all’opposizione. La Polverini è quella del piano casa trasformato in piano speculazione, è quella della legge Tarzia sui Consultori. E’ quella che ha tagliato gli ospedali su misura delle cliniche private. E’ quella che ha bloccato i fondi sulla formazione. E’ quella a cui dovremmo opporci con tutti i mezzi concessi alla minoranza. Dovremmo appunto. Il condizionale è quantomeno doveroso.

Non c’è una Polverini buona, quella che candida i suoi  a Terracina e Sora, e una cattiva, quella che ha paralizzato la Regione. E non dimentichiamo e i due candidati a Terracina e Sora sono due ex consiglieri regionali, fatti fuori da Tar che ha giustamente riportato a 70 il numero dei componenti dell’assemblea legislativa dopo, tra l’altro, un ricorso del Pd. Due ex consiglieri regionali a cui la presidente vuole assicurare un contentino per tenerli legati a sé.

Questa tattichetta del dalema de noantri, ci danneggia. Danneggia i nostri candidati al ballottaggio, che per vincere hanno bisogno di un quadro chiaro e di una strategia definita. E ci danneggia non solo nel Lazio, visto che è finita sui quotidiani nazionali.

Che fare dopo.

La questione vera è che serve un partito. Al quale tutti, dai consiglieri eletti a quelli che non campano con la politica ma dedicano il loro tempo al partito per passione, possano portare un contributo. E in cui il contributo di ognuno venga valutato per quello che è  e non per la persona da cui proviene. Chiedo troppo? Pare di sì. Non voglio entrare nel dibattito primarie sì, primarie no per eleggere il segretario regionale. Faccio notare però che, fino ad oggi, lo strumento ha mostrato forti limiti. Se è essenziale per i candidati alle cariche monocratiche, infatti, per quanto riguarda gli organismi di partito nutro forti dubbi. A meno che, come nel caso del segretario nazionale non coincida con il nostro candidato premieri.

Due, essenzialmente i motivi. Il primo: non aiutano una nuova generazione ad emergere. Un candidato che deve confrontarsi con gli elettori deve essere necessariamente conosciuto dai mass media. Deve essere attraente mediaticamente. Il secondo: la contemporanea presenza di liste per eleggere l’assemblea mette il segretario eletto nelle mani delle correnti. Né la situazione migliorerebbe se alle liste bloccate sostituissimo le preferenze, perché allora avremmo assemblee composte soltanto da consiglieri comunali e di municipio. Gli unici avere davvero il controllo del territorio e dunque delle preferenze. Trasformeremmo, insomma, le primarie in una sorta di elezione comunale anticipata.

Ci serve contarci ancora? Ci serve l’ennesima corsa alle tessere finta come le monete da tre euro?

La condizione migliore, per un partito inesistente come il Pd del Lazio, sarebbe una sorta di tregua fra i capobastone, l’elezione di una sorta di segretario di garanzia, che mettesse a lavorare accanto a lui i giovani più capaci, facendoli conoscere sul territorio, esaltando le competenze, le capacità.

E’ possibile tutto ciò? Non credo. Troppe le lacerazioni, troppo invocati questi giovani e questo nuovo. La verità è che nel Pd i giovani sono più omologati e omologanti dei vecchi. Costretti a chinare la testa da un meccanismo correntizio che premia la fedeltà, non mi stancherò mai di dirlo.

La soluzione peggiore sarebbe sicuramente l’ennesimo inciucetto che porterebbe a un segretario di facciata. Non credo che tutto questo faccia bene al Pd, né tanto meno a chi, forse, dovrebbe occuparsi di più del partito se ha l’ambizione di concorrere a traguardi importanti. A cominciare da Nicola Zingaretti, promesso sindaco di Roma. Caro Nicola, non basta governare bene la Provincia. Comincia a sporcarti un po’ le mani nel partito, a Roma, come nel Lazio.

 

Note a margine.

Qualcuno dirà: il solito Cardulli che usa un linguaggio sguaiato, esagera, si incazza invece di ragionare. Beh, premesso che me ne torno subito nel mio ritiro spirituale: vi rispondo anticipatamente: quando ce vo’, ce vo’. Mi dà fastidio persino il vostro paludato e incomprensibile linguaggio.

Siamo (uso il plurale perché non credo di essere il solo) stanchi, molto stanchi di apprendere le notizie dai giornali, di leggere di inciuci o presunti tali, a Roma come in Regione. Vogliamo un partito vero, non più o meno di sinistra, ma un partito che sappia dare risposte al disorientamento del nostro elettorato. Che sappia rappresentare un argine alla frana che sta investendo non solo la destra di Berlusconi ma il nostro Paese nel suo complesso. Vogliamo ricominciare a pensare all’interesse comune e non alle preferenze. Cordiali saluti e buon ballottaggio a tutti i nostri candidati.

 
 
 

Due o tre cose sulla Regione e sul PD del Lazio

Post n°267 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da votattilio2008
 

Da alcune settimane ho deciso di chiudermi in un profondo ritiro spirituale, in seguito alla nomina del gruppo dirigente romano. La verità è che mi sono stancato di fare il grillo parlante in un partito in cui non solo nessuno ti dà retta, ma in cui le persone libere vengono emarginate e messe forzatamente a tacere.

Ma quello che sta succedendo in questi giorni alla Regione mi spinge ad avviare una profonda riflessione sul ruolo del Pd e della sinistra in generale in questo squassato Paese.

 

Io sono convinto da sempre che noi perdiamo - non solo ma innanzitutto - perché non offriamo un’alternativa credibile alla destra. Alternativa morale, innanzitutto. Quando governiamo non siamo davvero alternativi alla destra nel metodo e nel merito. Non si avverte quella discontinuità che, in passato, aveva caratterizzato le giunte di centro sinistra. Di esempi se ne potrebbero fare  a iosa. Critichiamo consulenze, assunzioni facili, concorsi truccati, invasione della politica in Enti, Spa e Asl. Ma poi ci comportiamo esattamente allo stesso modo. Forse lo facciamo in misura minore, ma il ragionamento non è quantitativo.

Critichiamo una democrazia ormai basata sul censo, dove tutti hanno diritto di voto, ma dove soltanto che è in grado di spendere centinaia di migliaia di euro può ambire a una carica pubblica. Leggiamo comunicati che invitano alla sobrietà, organizziamo pensosi convegni. Ma arrivati al dunque i nostri candidati mettono in campo risorse ben oltre i limiti previsti dalla legge. Basta andare a parlare con qualche tipografo romano per sapere quanto hanno speso i consiglieri regionali eletti nel centro sinistra nell’ultima campagna elettorale. Di più: applichiamo lo stesso metodo anche ai nostri congressi e alle primarie. Pacchetti di migliaia di tessere comprati grazie a risorse di cui non si conosce la provenienza. Campagne pubblicitarie che vanno, anche in questo caso, ben oltre il limite previsto dal nostro Statuto.

 

Il classico “siete tutti uguali”, purtroppo, non è più soltanto uno slogan qualunquistico, ma si basa su elementi di solida realtà. Né ci si può appellare, lo ribadisco, a un generico “la destra anche in queste cose è peggio di noi”. Non lo si può fare per quella che amo definire la differenza genetica del nostro elettorato. Io ero e resto convinto che in questo Paese, accanto a una parte molto vasta della popolazione abituata alle raccomandazioni, ai sotterfugi, alle piccole italiche furbizie, ci sia un’area che, al contrario, è sempre più insofferente verso tutto questo. E’ quella parte che rifugge il berlusconismo dell’elogio dell’evasione, che vede come il fumo negli occhi il devastante teatrino che affligge da anni la politica italiana.

Ecco io sono convinto che per questa parte di Italia noi non rappresentiamo un’alternativa. E l’ho verificato con mano, nelle scorse settimane ai banchetti per la raccolta di firme contro Berlusconi. Ho percepito molto chiaramente la grande indignazione ma, allo stesso tempo, la grande sfiducia nei nostri confronti, la richiesta di non limitarci a una raccolta di firme, di andare oltre. Non rappresentando un'alternativa sono tanti quelli che a votare non ci vanno proprio più. Negli anni '80, in presenza di percentuali molto alte di votanti, la sinistra alle elezioni aveva quasi  il 50 per cento dei consensi. E si trattava, volendo usare un termine in voga ai giorni nostri, di una sinistra ben più radicale. Oggi arriviamo a stento al 40 per cento sommandoci anche Di Pietro, sulla cui collocazione politica nel campo del centro sinistra permettetemi di continuare a nutrire alcuni fondati dubbi.

 

Ma veniamo al punto. Io credo che l’opposizione del PD alla Regione, del gruppo consiliare e del partito, non possa limitarsi a fermi ma generici no, a ferme ma generiche denunce di un presunto malgoverno della Polverini che, in realtà, si muove più o meno nel solco della giunta Marrazzo. Basta pensare alla Sanità: abbiamo o no il coraggio di dire che non abbiamo governato bene, pur fra mille difficoltà la sanità del Lazio?

 

Dobbiamo avere una proposta alternativa e metterla in pratica dove e quando possiamo. A partire dalla questione morale.

Io credo che sia immorale la situazione che troviamo nel consiglio regionale del Lazio. Settanta consiglieri più la presidente Polverini, che occupano, udite udite, 83 incarichi, fra ufficio di presidenza, presidenti e vice nelle commissioni, presidenti dei ben sedici gruppi consiliari.

Ecco dal mio partito mi aspetto non solo una generica denuncia di questa situazione, ma comportamenti differenti e soprattutto coerenti.

Mi aspetto che non vengano assunti (con contratto a termine) nel gruppo parenti o affini. Mi aspetto che non vengano nominati componenti della segreteria nazionale del mio partito nei Cda delle società per azioni della Regione Lazio.

Mi aspetto una battaglia per ridurre il numero delle commissioni. E non bastano le dichiarazioni di principio del capogruppo Montino che si giustifica dicendo “noi siamo in minoranza”. Nel consiglio regionale ci sono sedici commissioni permanenti. Uno sproposito. E a dicembre il mio partito, insieme a Sinistra ecologia e libertà, ha votato a favore dell’istituzione di quattro nuove commissioni, chiamate speciali. E non solo: due di quelle quattro commissioni – quella sul federalismo e quella sulla lotta alla criminalità – sono presiedute da due esponenti dell’opposizione: Marco Di Stefano (Pd) e Filiberto Zaratti (Sel).

Una voce critica del Pd, la sola, è stata quella di Enzo Foschi che non si è presentato all’insediamento della commissione a cui era stato assegnato, quella sui giochi olimpici del 2020, in polemica contro il nome del presidente indicato dalla maggioranza, quel Romolo Del Balzo accusato di truffa contro lo Stato, fino a ieri presidente della commissione Lavori Pubblici. Carica dalla quale di è dimesso soltanto dopo aver avuto la nuova presidenza.

Foschi, forse memore dell’aver presieduto per un annetto la Commissione per Roma Capitale nella scorsa legislatura senza riunirla mai, deve aver pensato che una figuraccia basta. Adesso mi aspetto che si dimetta da vicepresidente, visto che è stato eletto malgrado la sua assenza.

Ora tutti, nella maggioranza si affannano a dire che le commissioni non sono sprechi ma strumenti di lavoro per i consiglieri. Io vorrei limitarmi a ricordare che un presidente di commissione guadagna 891 euro al mese in più e che un vicepresidente ne guadagna 596.

Non vorrei cadere nella retorica populista dicendo che ci sono centinaia di migliaia di persone che a 800 euro al mese ci arrivano a stento. Mi limito ad osservare che si tratta di commissioni che non hanno alcun potere se non quello di svolgere audizioni. Ovvero di dare spazio ad associazioni, comitati eccetera, di farli parlare, denunciare, proporre. Possono fare studi, ricerche.

Tutte parole a cui nessuno darà mai alcun seguito. La verità è che troppo commissioni rallentano e complicano il lavoro. Il fatto che due sole leggi (a parte assestamento di bilancio e finanziaria) siano state approvate in quasi un anno di giunta Polverini la dice lunga sull'efficienza del consiglio regionale. PEr la cronaca una di queste due leggi è quella che modifica la data dei saldi.

 

Il punto è che possiamo e dobbiamo dare un segno di qualità differente. E credo che possiamo farlo da subito, anche dall’opposizione.

Vorrei invitare il gruppo PD a presentare due proposte di legge, semplici semplici.

La prima per una riforma in senso uninominale del sistema elettorale. Prevedendo per legge, l’obbligo di svolgere primarie per la scelta dei candidati. E prevedendo soprattutto un limite di spesa per la campagna elettorale. Deve essere una previsione rigida e cogente: deve essere prevista la decadenza dalla carica per chi viola la norma.

La seconda deve prevedere l’esclusione da tutti gli incarichi in società, enti, agenzie, di chi ha ricoperto incarichi elettivi negli ultimi cinque anni. Si tratta di una norma di pulizia morale per impedire l’invasione delle società e delle agenzie regionali da parte di non eletti alle elezioni. Io sono convinto che le società regionali non possano essere utilizzate come refugium peccatorum per risolvere i problemi di equilibrio interno dei partiti.

 

Ultimo aspetto e chiudo davvero: il Pd regionale che fine ha fatto? Ho partecipato, ovviamente in veste di uditore, all’ultima direzione regionale nella quale il commissario Vannino Chiti ha detto che sarebbe andata da Bersani per proporgli di andare alle primarie quanto prima. Dell’esito di questo incontro non si è saputo più nulla.

Personalmente, per quanto può contare, non ritengo saggio avviare subito il percorso congressuale. Ci troviamo in una fase politica troppo delicata per poterci impelagare in mesi e mesi di tesseramento selvaggio, congressi dei circoli, liste e via dicendo.

Credo però che non possa essere lasciato il PD del Lazio nella situazione attuale, con un Commissario e un responsabile del comitato regionale. Responsabile tra l’altro non si sa bene di cosa non esistendo il comitato regionale. Credo ci debba essere un’assunzione di responsabilità collettiva:

1) una convocazione dell’assemblea e della direzione in cui si approvi il rinvio del congresso per un periodo di tempo determinato, preciso e già fissato (ad esempio ottobre 2011);

2) l’elezione di un comitato ristretto, chiamatela segreteria, comitato politico come vi pare, che diriga il partito in vista delle elezioni amministrative e di eventuali elezioni politiche: non dico che debba rappresentare competenze e merito - finiamola di prenderci in giro da soli - ma che almeno sia pluralista.

Dette queste poche cose, torno al mio ritiro spirituale dal quale siete pregati di non distogliermi.

 
 
 

E adesso facciamo il Pd

Post n°266 pubblicato il 24 Ottobre 2010 da mik154

 
 
 

Nomina assessore X Municipio: le decisioni carbonare del Pd

Post n°265 pubblicato il 15 Ottobre 2010 da votattilio2008

Dichiarazione congiunta di Flavia Leuci e Marco Ciarafoni, della direzione regionale del Pd
 
“Così è, se vi pare: occorre scomodare Pirandello per commentare la decisione carbonara assunta dai vertici del Pd del X municipio, in accordo con quelli romani, che hanno chiesto ed ottenuto la nomina di Piero Latino ad Assessore ai lavori pubblici del Municipio presieduto da Sandro Medici.  
Una scelta effettuata per soddisfare le solite e deleterie bramosie correntizie e che confligge con la necessità, in un partito normale, di garantire una partecipazione larga e democratica sulle scelte da fare, per di più con una nomina che è estranea al territorio del municipio stesso.  La decisione presa è molto grave e non è una buona premessa per un partito che si appresta nella nostra città a  svolgere il suo congresso.
L’unità del partito democratico, tanto evocata quanto sbandierata, ha bisogno di ben altri atteggiamenti perché divenga prassi di lavoro alla quale tutti richiamarci. A meno che non serva per chiedere il silenzio di chi ha opinioni diverse e liberamente le manifesta.

 
 
 

Pd Roma, fra il dire e il fare...

Post n°264 pubblicato il 14 Ottobre 2010 da votattilio2008
 

Ho riflettuto molto se scrivere o meno di questa vicenda, primo perché mi riguarda direttamente, almeno in parte, secondo perché forse servivano altre prese di posizione, più autorevoli, che al momento tardano ad arrivare.

Alla fine ho deciso di spiegare come la vedo, perché credo sia emblematica rispetto alla situazione del nostro partito, ma anche perché credo che il PD abbia bisogno di persone che pensano e dicono quello che pensano pubblicamente, senza paura. Sarò vecchio ma credo che un dirigente di partito abbia questo dovere. E invece nel PD regna un clima di ipocrisia generalizzata, di tatticismi esasperati, di “meglio che mi faccio gli affari miei”. In tutte le are, componenti, cantucci vari, senza distinzione. Questo è il frutto più velenoso dell’organizzazione correntizia: il fatto che non discute più liberamente, ma si sente cosa dice il proprio capobastone e poi ci si allinea. Ma un partito che premia la mediocrità e l’ipocrisia, il “sissignore”, non va da nessuna parte.

 

La vicenda che vorrei provare a raccontarvi è quella della nomina di Piero Latino, come assessore ai Lavori pubblici del X Municipio.

Inizio facendo gli auguri a una persona che continuo a ritenere uno dei dirigenti più capaci del Pd del Lazio, tanto che ho sostenuto lealmente la sua candidatura come segretario. Auguri non formali: come sempre sarò pronto a dare il mio contributo in termini di impegno e di idee per aiutarlo, se lo riterrà opportuno, in un lavoro che non sarà facile.

 

Detto questo, però, devo dire, con la massima onestà che di questa nomina non ho condiviso né il metodo né il merito.

Come è andata: venerdì scorso il capogruppo del PD in Campidoglio ha incontrato il presidente del X Municipio. E qui le versioni divergono. Secondo Latino gli ha chiesto una sorta di “placet preventivo”, per non aprire una discussione inutile all’interno del PD. Di questo, a quanto mi risulta, era stato preventivamente informato, Marco Miccoli, coordinatore della campagna elettorale del PD di Roma, poi diventato di fatto coordinatore del partito. Secondo Medici, invece, la comunicazione è stata del tipo: “Questa è la scelta fatta dal PD”.

Racconta Latino che, subito dopo il via libera preventivo del presidente, ha chiesto al coordinatore del PD del X Municipio, Giulio Bugarini, di organizzare una riunione del partito del X Municipio per verificare il consenso su questa opzione. Detto fatto. Lo stesso Bugarini, sabato mattina di buon ora ha telefonato ad alcuni dei coordinatori dei circoli. Racconta Valter Avellini (Capannelle): “Mi ha comunicato semplicemente che il PD aveva scelto e il nome indicato a Medici era quello di Piero Latino”. Altro che discussione in una sede di partito. Peraltro difficilmente individuabile, da noi abbiamo il coordinatore, che però si è sempre rifutato di procedere all'elezione del coordinamento. Hai visto mai che qualcuno disturbasse le grandi manovre!

Lunedì, l’area Marino del X Municipio, con la presenza di Maurizio Veloccia, che vorrei ringraziare, aveva già da tempo fissato un incontro con Miccoli, proprio per parlare di questa vicenda. Le dimissioni di un assessore di cui non si sapevano – e ancora non si sanno - le cause.

Malgrado il fastidio per la piega che avevano preso gli eventi, siamo comunque andati all’incontro. Presenti anche Flavia Leuci, consigliere provinciale, Arianna Vannozzi, coordinatrice del circolo di Anagnina.

Miccoli ci ha spiegato che quella postazione, istituzionale non di partito, era stata assegnata in un accordo romano, nel 2008, all’area D’Alema. E che questo equilibrio non si poteva toccare. Almeno fino al prossimo congresso. La suddetta area aveva indicato Latino, scelta su cui lui auspicava un’ampia condivisione di tutto il partito. Latino doveva essere, insomma. E' espressione del PD del territorio? No, abita dall'altra parte di Roma. Particolari competenze nella materia? Boh? In più, essendo consigliere di amministrazione di una grande società pubblica, la Cotral, si apre una delicata questione di conflitti di interesse, oltre che di cumulo di cariche (Latino fa parte anche del coordinamento politico del PD di Roma). Tutto questo conta? No, l'area D'Alema, aveva deciso.

Ieri pomeriggio la nomina ufficiale da parte di Medici, che ha dimostrato di abdicare con grande docilità al volere dei capi di un pezzo di una parte dell’area Bersani. Quando pare a lui i poteri del presidente non contano. In passato quando tutto il partito, all’epoca i Ds, gli indicò un assessore molto scomodo per lui, dimostrò di avere un grado di “autonomia” molto maggiore.

Ma non era di questo che volevo parlare.

Quello che mi preme mettere in evidenza è la siderale distanza fra quello che viene detto e quello che poi il PD mette in pratica nel suo agire quotidiano.

Ieri sera, così per curiosità, sono andato ad assistere alla direzione romana. Ho sentito una dottissima relazione di Mario Ciarla che evidenziava la necessità di dare maggiori poteri ai coordinamenti municipali, compreso quello, fondamentale, di dire l’ultima parole sulle liste del livello amministrativo corrispondete. Autonomia finanziarie, regole chiare, ecc. ecc.

Stessa tesi che ci ha esposto Miccoli in quell’incontro. E negli interventi, anche di esponenti del X Municipio ho percepito la solita insopportabile retorica: più poteri ai circoli, più voce agli iscritti, coinvolgimenti di militanti ed elettori nelle nostre scelte.

Fra il dire e il fare c’è in mezzo un oceano in tempesta.

Non faccio parte della direzione e quindi non sono potuto intervenire. Ma alcune considerazioni vorrei farle comunque. Se c’è la volontà di fare quello che tanti, troppi, dicono non basta scriverlo in un regolamento. Bisogna metterlo in pratica, dando alle persone che credono davvero a questa linea di azione gli strumenti per battere chi, invece, si compiace della calda sicurezza dei caminetti che garantiscono comode rendite di posizione.

Vicende come quella che ho raccontato e che – non ho dubbi – si ripetono con le stesse agghiaccianti modalità in tutta Roma, al contrario, non fanno altro che rafforzare la catena di comando correntizia, proprio quella catena che, solo a parole, si vorrebbe spezzare.

Dico di più: vicende come questa rafforzano quel senso di estraneità, di non far parte più dello stesso partito che angoscia molti iscritti e militanti. Quando ti comunicano una scelta presa chissà dove, allora, vuol dire che non ci si considera iscritti allo stesso partito.

Quello che succede in X Municipio dalla fondazione del PD a oggi è esemplare: un’area, anzi un blocco di potere che nei congressi rappresenta circa il 55 – 60 per cento del partito, si arroga il diritto di decidere su tutto e su tutti, si prende a forza il 100 per cento del PD, di tutti gli incarichi compresi quelli istituzionali. Merito, valorizzazione delle risorse del territorio, competenze. Che tutto vada a farsi fottere, bisogna essere fedeli alla linea.

E gli esclusi, per loro volontà e per rigido rifiuto di questo modello di partito, devono anche stare zitti. Qualsiasi dissenso, sia pur flebile come il mio, viene tacciato come sfascismo, attentato all’unità del partito. Quando abbiamo denunciato il tesseramento finto, gli iscritti trasportati con i pullman a votare, le persone che non sapevano neanche di essere scritte che si aggiravano con aria stordita nei circoli, quando abbiamo denunciato tutto questo ci hanno risposto che era tutto regolare. Quando abbiamo sbattuto i pugni ci hanno detto che non era educato. Quando siamo stati costretti a “fare i matti” ci hanno detto che eravamo offensivi. E invece dicevamo semplicemente pane al pane, vino al vino, delinquente al delinquente.

Io credo che bisogna non solo parlare, ma gridare. E gridare in questo caso vuol dire ricominciare dalle idee, confrontarsi su quelle liberamente e senza rete. E solo in seguito abbinare a quelle idee le persone più adatte a rappresentarle. Abbiamo bisogno di idee e di dirigenti liberi e autorevoli che le rappresentino. E soprattutto abbiamo bisogno di iscritti che, questa volta, non si facciano prendere in giro dai discorsi belli che si fanno quando si va a parlare nei circoli, dai lustrini mostrati nelle Feste de L’Unità, ma che vadano a guardare la polvere nascosta accuratamente sotto gli zerbini.

Io credo, ne sono convinto che ci siano dirigenti validi in tutte le mozioni. E sono fermamente convinto del fatto che si debba andare oltre le appartenenze, oltre le  divisioni delle primarie del 2009, quelle di Bersani segretario, scomponendo e riaggregando le forze sane del PD intorno a un progetto. Questa è la condizione di base per poter tornare a parlare al nostro popolo: costruire un gruppo dirigente solidale, aperto e plurale.

Non è facile perché la catena correntizia è forte. E’ forte del potere di ricatto che ti dà il posto di lavoro assegnato in quell’azienda pubblica al segretario del circolo. E’ forte perché a chi è fuori da quella logica viene tagliata l’erba sotto i piedi, giorno dopo giorno, con costanza e pervicacia.

Ma si può battere, perché quel Pd autoreferenziale che abbiamo conosciuto, ormai non basta più neanche a mantenere semplicemente questa macchina generatrice di finto consenso. Questo PD, quello delle mafie locali, dei capobastone, ormai ha le ore contate. E se non spazziamo via questo perverso sistema di consorterie, saranno gli elettori a farlo, costretti – da noi, dalla nostra ignavia – a fare di tutta l’erba un fascio.

Vale ancora la pena di farla questa battaglia? Io credo proprio di sì.

 
 
 

Figli di un giornalismo minore

Post n°263 pubblicato il 04 Dicembre 2009 da votattilio2008
 


La seconda premessa è che stamani, aprendo il mio conto on-line mi sono trovato un bel -2.236, a fronte di assicurazione della moto da pagare, mutuo di casa che scade, regali da fare, bollette ecc ecc.

La terza premessa è che questa situazione è dovuta essenzialmente al fatto che essendo figli di un giornalismo minore, abbiamo un contratto minore. Non le cifre astronomiche degli addetti stampa del presidente della giunta, quattordici persone fra cui quello che prende di meno credo arrivi intorno ai 70.000 euri l’anno, lordi. Non le cifre meno astronomiche degli addetti stampa dei gruppi politici, 2.200 euro netti al mese, tredicesima e “redazionale” come da contratto giornalistico. Non le cifre ancora meno astronomiche degli addetti stampa degli assessori, che non ci dovrebbero essere ma hanno comunque un contratto migliore del nostro, compreso il pagamento della Casagit, la importantissima cassa autonoma di previdenza dei giornalisti che ti rimborsa dal ticket sui farmaci al cambio di sesso. A te, moglie, figli, compagni di vita, anche dello stesso sesso.
Ma essendo gli unici, noi del secondo sottoscala a destra, ad avere vinto un concorso (sei raccomandato! Direte voi. Magari sì, ma neanche tanto) non solo abitiamo appunto nel sottoscala del consiglio regionale, ammassati in nove in una stanza quando gli impiegati della stessa “area” (nella fantastica terminologia burocratica regionale noi non siamo l’ufficio stampa ma l’area informazione) godono di una stanza privata, ma abbiamo anche un misero contratto da aiuto addetto stampa, livello D1 che, straordinari esclusi, arriva a stento a 1.500 euri al mese, senza Casagit. Poi svolgiamo mansioni ben superiori, in un qualsiasi giornale saremmo almeno capiservizio, ma all’amministrazione non interessa. “Fateci causa”, ci disse un autorevole dirigente apicale del consiglio regionale.

Ma sono tanti, direte voi. Vabbeh, metteteci che vostra moglie (ottima grafica) da anni lavora a gratis perché quando c’è da stampare qualcosa per il partito la chiamano, ma quando c’è da guadagnare qualcosa si perdono misteriosamente il suo numero di telefono. Metteteci 3.600 euri di mutuo ogni sei mesi. Metteteci un figlio, la playstation, il nintendo, metteteci che i pantaloni si rompono e i piedi che crescono malgrado tutto. Ed ecco il conto in banca. Metteteci anche che, essendo giornalista professionista dal 1995 uno si aspetterebbe forse di guadagnare qualcosa di più.

La quarta premessa è che stamani un autorevole consigliere del Lazio è caduto dalle nuvole quando ho provato a spiegargli che non si possono assumere dirigenti, sistemare gente che dovrebbe tornare alla sua amministrazione di provenienza e fregarsene di persone che rivendicano soltanto diritti e non favori, con la scusa che “essendo il consiglio regionale sciolto non si può fare niente”. Di legale, aggiungo io.

La quinta premessa è che mi sono rotto di stare in un partito dove i cretini fanno carriera perché “portano i voti” (e ci fanno perdere le elezioni) e quelli bravi (sono presuntuoso mi ritengo una delle poche persone che capiscono di politica nel Pd del Lazio) vengono usati, strizzati e poi puntualmente umiliati.

Sì, ma a noi che ce ne frega? Direte voi. Niente, era solo per spiegarvi il senso di questa nuova opera “letteraria” che mi accingo a scrivere (Enzo e Federica, questa volta prometto di finirla). Un libretto a puntate che pubblicherò su internet con cadenza assolutamente irregolare, dal titolo, appunto, “Figli di un giornalismo minore”. E’ la storia di un ragazzino che si iscrive alla Fgci a 14 anni, comincia a fare questo mestieraccio a 18, continua con un viaggio nel giornalismo di provincia e finisce con gli anni di Pisanopoli.

Sì, ma a noi che ce ne frega? Ribadirete voi. Niente, siete sempre padroni di leggere altrove, è il bello di internet.

Piano dell'opera

Premessa

Capitolo 1
La Fgci di Roma

Capitolo 2
La svolta di Occhetto

Capitolo 3
Gli anni di Paese Sera

Capitolo 4
Da Roma Circoscrizione al Giornale di Ostia

Capitolo 5
Fra Tiburno e le forze armate

Capitolo 6
Avventure

Capitolo 7
Arrivo a Pisanopoli

Capitolo 8
Un segretario di nome Meta

Capitolo 9
E venne Marrazzo

Capitolo 10
Dal gruppo all’ufficio stampa

Capitolo 11
Un partito nuovo che puzza di marcio

 
 
 

Perché dico: finalmente le primarie

Post n°262 pubblicato il 01 Ottobre 2009 da votattilio2008
 

1) Cuius regio, eius religio

Questa espressione latina sintetizza, di fatto, il concetto di religione di stato. Ebbe grande rilevanza ai tempi della riforma protestante: vuol dire in sintesi che il popolo doveva avere la stessa religione del signore locale. E che c’entra con il Pd, il congresso e via dicendo? C’entra perché siamo un partito organizzato in questo modo. E lo dico senza dare un giudizio di merito, di valore. E’ un dato di fatto. E questo succede sia nei circoli veri che in quelli finti. Il posizionamento di questo o quell’esponente che all’interno di un circolo viene ritenuto autorevole condiziona il comportamento di una parte considerevole degli iscritti. Si tratta di quegli esponenti capaci di produrre consenso.

Questa non è la degenerazione, è la regola nel Pd. Le persone che sono state convinte dai dibattiti congressuali si contano sulla punta delle dita. Abbiamo perso il gusto e la capacità di confrontarci pubblicamente. Questa è la mia esperienza, limitata a pochi circoli. Ma non credo che sia così differente in generale. Certo, ci sono circoli più “condizionati” e circoli più “liberi”, ma si tratta soltanto di gradi differenti del medesimo fenomeno.

La conseguenza è che ormai i congressi, si tratta di una tendenza che viene da lontano, non sono altro che scontri fra eserciti organizzati. E non vince chi è più convincente ma chi ha l’esercito meglio organizzato. Sono semplici fenomeni di conta.In questo periodo, tutto questo, è andato verso la degenerazione del modello basato sul consenso personale. Lo abbiamo visto in Calabria, a Napoli, e anche a Roma. Quello a cui ho assistito personalmente a Osteria del Curato e che mi hanno raccontato tanti compagni attendibili in varie zone di Roma, è vergognoso.

E chi vota omaggiando il capobastone locale non è una persona libera. E’ un servo. Vi potrete scandalizzare per la durezza del tema, ma, come si dice, nun me ne po’ frega’ di meno. I benpensanti che fanno i giornalisti seguendo solo le conferenze stampa dei big farebbero bene a immergersi nella “fanga” come la chiama Zoro, che in questo caso assume le caratteristiche ben più inquietanti dell’escremento umano rispetto a quelle del semplice fango.

Ieri 13 persone volevano votare pur non risultando iscritte in quel circolo (si tratta del 5 per cento del totale dei votanti, non di bazzecole). Uno di questi mi ha fatto vedere la tessera e risultava iscritto a Dragona, Ostia. Una ventina di chilometri più in là. Non sapeva neanche dove fosse, Dragona. E dire che, a termini di regolamento, avrebbe dovuto andare al circolo a iscriversi. Ho visto un dipendente dell’ufficio tecnico del X Municipio premurarsi di controllare chi avesse votato. Ho visto il coordinatore del circolo andare a verificare di persona come stessero votando alcuni iscritti. Ho visto un anziano signore che non riusciva a camminare, a parlare, non era in condizione davvero di esprimere liberamente il proprio voto. L’hanno portato a braccia nella stanza dove si votava e hanno fatto la croce sulle schede al suo posto.

Ho visto un circolo fra i più piccoli d'Italia (cinque sezioni elettorali) in cui gli iscritti sono diventati 362 e all'ultimo giorno prima del congresso ne sono stati aggiunti altri 90 arrivando addirittura a 453. Hanno spedito qua tutta la monnezza avanzata a Roma, è evidente.Ho visto troppe cose che mi fanno vergognare di essere iscritto a questo partito. Mi fermo qui non senza aver detto che autorevoli consiglieri regionali presenti, autorevoli giornalisti rai altrettanto presenti, non hanno sentito la stessa vergogna. Mi vergogno un po’ anche per loro.Io non credo che questa sia la regola, questa è la degenerazione di un sistema di gestione del potere. Un sistema che a me non sta bene.

2) Il respiro delle primarie

Perché abbiamo deciso di far eleggere il nostro segretario con le primarie? Perché era l’unico modo di scardinare questo sistema. Penati, persona stimabilissima, coordinatore della mozione Bersani, ieri ha detto, in sostanza che Dario Franceschini si dovrebbe dimettere. Perché i due terzi degli iscritti al partito di cui è segretario non l’hanno votato. E’ un ragionamento che merita attenzione, si badi bene e che non trovo giusto liquidare con semplici battute. Perché prefigura una conclusione che la mozione Bersani, con grande sagacia sta cercando di introdurre nel dibattito già da tempo.

Più o meno suona così: visto che uno dei tre sfidanti ha raggiunto la maggioranza assoluta del voto fra gli iscritti, a che servono le primarie? E se i risultati fossero diversi da quelli dei congressi si tradurrebbero in una umiliazione degli iscritti.E’ un ragionamento insidioso perché tende a svuotare di significato le primarie stesse e a far diminuire la partecipazione. Se si diffondesse questo messaggio, infatti, gli elettori potrebbero dire: ma se hanno già deciso che c’andiamo a fare il 25 ottobre?Io credo che questo tentativo sia pericoloso, ma sia arginabile per due ordini di motivi.Il primo: gli iscritti sapevano benissimo che non votavano il segretario, ma selezionavano i candidati che poi sarebbero stati votati dagli elettori tutti.

Questo sta scritto nello statuto del Pd, votato da tutti, Bersani e Penati compresi. Non altro.Il secondo: se il risultato delle primarie fosse radicalmente diverso da quello dei congressi, come è del tutto legittimo, di chi sarebbe il problema? Degli elettori che non c’hanno capito nulla o di un sistema di gestione del consenso che è andato in crisi?Mi spiego meglio: io sono convinto che il Pd, i Ds prima, abbia perso il tradizionale rapporto con il suo popolo. Un tempo parlavamo solo a un pezzo di società, quando eravamo il Pci avevamo un blocco sociale di riferimento, ben definito. E c’era un’identità forte fra partito e blocco sociale. Perché il partito era presente nelle scuole, nelle fabbriche. Per cui le indicazioni date dal partito, ad esempio sulle preferenze alle elezioni, erano legge.

Qualcuno dei più anziani si ricorderà il significato della parola “bloccato” riferito alle elezioni. Chi era bloccato, cioè sostenuto in un certo numero di sezione di partito era sicuro al 95 per cento dell’elezione. E quando questo non succedeva, non era di certo causale, ma era sintomo di lotta politica.Poi, l’evoluzione della società ecc. ecc., non a rifare tutta la storia, ha portato ad avere un partito che ha basato sempre più il consenso sulla catena di comando delle correnti. Un sistema di gestione del consenso basato sul favore, sulla clientela, sull’occupazione sistematica di tutte le poltrone, poltroncine, strapuntini. Un sistema che dalle aule parlamentari si dirama nei consigli regionali, poi arriva nei comuni, nei municipi, nei consigli di amministrazione delle società dipendenti dalla pubblica amministrazione, si rafforzano con i posti di lavoro assegnati ai clienti, con i favori fatti ai fedeli. Altro che diritti, in Italia le cose le ottieni solo per favore.

Ma si tratta di un sistema, questo è quello che già Enrico Berlinguer e Aldo Moro avevano intuito negli anni ’70, che non è assolutamente sintomo di forza della politica. Tutt’altro. E’ il sintomo più evidente di una crisi profonda dei partiti che non sono più i blocchi ideologici di una volta, e che non riescono più ad orientare il consenso con la proposta, con le idee.

E’ un sistema debole perché genera preferenze per questo o quel candidato ma non genera voti.Quando potrà incidere sulle primarie e quanto incideranno, invece, tutti quelli che contestano questo sistema. Io credo sia questa la domanda a cui avremo una risposta il 25 ottobre.

Se, come spero, i risultati delle primarie saranno differenti, anche magari non in maniera radicale, da quelli dei congressi, questo non vorrà dire mettere in discussione il voto degli iscritti, ma, al contrario, vorrà dire che il nostro partito e quel sistema di gestione del consenso, è sempre più distaccato dalla società italiana che ha voglia di contare, di dire la propria, non accetta più di essere parte di un castelletto feudale, quel castelletto che ci sta portando al disastro.

Per questo dico: le primarie, finalmente.

 
 
 

Vogliamo il confronto fra i candidati

Post n°261 pubblicato il 09 Settembre 2009 da votattilio2008
 

 
 
 

Confrontarsi fa male, Berlusconi docet

Post n°260 pubblicato il 09 Settembre 2009 da votattilio2008
 
Foto di votattilio2008

Franceschini prima e Bersani poi hanno rfiutato il confronto chiesto a gran voce da Ignazio Marino. E' una tecnica consolidata. Chi sta davanti, o meglio, chi è convinto di essere in testa, cerca di schiacciare chi sta sta dietro.E in questo congresso del PD è chiaro che gli apparati stanno tutti dalla parte di Franceschini e Bersani. Cosa del tutto legittima, per carità. Del resto non sono davvero uno che parla con disprezzo degli apparati. Sono essenziale per un partito. Gente che fatica e, molto spesso, fa un lavoro grigio, chi si prende la ribalta sono i big.Del resto anche i giornali, o almeno la maggior parte di loro, sembra aver già deciso che il confronto è a due. Marino, per loro, è marginale, inutile nascondersi la verità.Dobbiamo avere la forza di dire le cose come stanno. Il tentativo è di non farci raggiungere il fatidico 5 per cento nei congressi del Pd, perché allora i due "pesi massimi" avrebbe campo libero.Se lo possono scordare.Noi ci saremo alle primarie. Ce lo dicono i dibattiti pieni, in tutta Italia. Ce lo dicono persino i primi dati che arrivano dai congressi del PD, che danno Marino sotto il 4 per cento. Tutti posti, però, dove pensavamo di non prendere neanche un voto.Rifiutare il confronto serve a questo: a nascondere le proprie debolezze da un lato, ed evitare di dare a chi rincorre la chanche di metterle in evidenza. Di fare domande imbarazzanti. Di parlare a tutto il popolo del Pd.Del resto è lo stesso schema usato da Berlusconi nel 2001 e nel 2008. Quando i sondaggi lo davano davanti rifiutò il confronto con Rutelli prima e con Veltroni poi. Al contrario i confronti ci furono con Prodi, perché in quel caso tutti gli analisti davano per certa una vittoria del centrosinistra.Si potrebbe dire che accusare Berlusconi di violare una delle regole base della democrazia e poi fare lo stesso non è un grande biglietto da visita per Bersani e Franceschini.Lasciamo perdere, lasciamoli cuocere nel loro brodo sempre più autoreferenziale.Dobbiamo avere la forza di parlare al Paese, a tutto il popolo del Pd.E se saremo capaci di farlo, un pezzo alla volta, come le formiche, riusciremo a dare una bella sorpresa a chi crede che tutto sia già deciso.Cari compagni (scusate ma non riesco e non voglio perdere il vizio) al lavoro e alla lotta. Con il nostro stile chiaro e diretto. Senza strillare, ma senza mai rinunciare a dire le cose come stanno

 
 
 

Marino: rifiuto confronto, sabotaggio della democrazia

Post n°259 pubblicato il 09 Settembre 2009 da votattilio2008
Foto di votattilio2008

 "Sono molto arrabbiato, preoccupato. Vedo aprirsi uno scenario che e' il contrario di quello che ho in mente quando penso al futuro del Pd". E' questo il commento di Ignazio Marino alla proposta di organizzare un dibattito tra i candidati alla segreteria dopo l'11 ottobre."Il rifiuto da parte di Bersani e Franceschini di partecipare ad un confronto alla pari, di fronte agli elettori, non e' altro che il sabotaggio della democrazia interna e un insulto nei confronti dei nostri iscritti. In ogni piazza d'Italia dove vado -continua Marino- incontro migliaia di persone, gli stessi organizzatori ne sono stupiti e le cronache dei giornali regionali riportano fedelmente l'interessesuscitato dalla mozione Marino. Sono gli stessi iscritti che chiedono il confronto. La stampa nazionale, invece, pare non accorgersi della novita' della nostra presenza al congresso, quasi ci fosse unacongiura del silenzio"."Io mi batto per la democrazia sempre, dentro e fuori il partito, per questo mi pare che l'unico modo per dare ai nostri iscritti, ai molti che sono ancora indecisi, la possibilita' di capire quali siano le molte e sostanziali differenze tra le tre proposte sia quello di un confronto a tre. Il partito non puo' essere democratico solo di nome, deve esserlo nei fatti e mi pare ci sia molta strada da fare in questa direzione. Anche in Francia dove il congresso del Partito Socialista era aperto solo agli iscritti, la campagnacongressuale si e' svolta sostanzialmente attraverso il confronto diretto tra i candidati alla segreteria", conclude Marino.

 
 
 

Reddito minimo: le domande vanno presentate a settembre

Post n°258 pubblicato il 07 Agosto 2009 da votattilio2008

"Dal 1 al 30 settembre si potranno presentare le richieste per ottenere il reddito minimo garantito. I moduli da compilare si potranno trovare negli 800 uffici postali della Regione, nei 60 Comuni capofila di Distretto Socio Sanitario e nei 20 Municipi del Comune di Roma. Anche le Province potranno distribuirli tramite i Centri per l'Impiego e le altre strutture accreditate". E' quanto ha dichiarato, in una nota, l'assessore al Lavoro, Pari opportunità e Politiche giovanili della regione Lazio Alessandra Tibaldi."Le domande - ha continuato - potranno essere consegnate presso i Comuni capofila e i Municipi, oppure essere inviate mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Una volta raccolte tutte le domande pervenute le Province stileranno le graduatorie degli aventi diritto, secondo i criteri stabiliti dalla Regione. Contiamo che i beneficiari del reddito minimo possano ricevere il primo assegno a novembre". "Con Poste Italiane abbiamo sottoscritto un accordo - ha detto ancora Tibaldi - per l'utilizzo degli uffici postali, presenti in modo capillare sul territorio compreso i piccoli comuni, per distribuire i moduli e la guida per la compilazione, ritirare le domande inoltrate ai comuni capofila e ai municipi romani, effettuare la prima lettura elettronica dei moduli e successivamente trasmetterli alle Province. Infine, dopo la compilazione delle graduatorie dei beneficiari da parte delle Province, gli uffici postali provvederanno anche ad erogare l'assegno del Reddito Minimo Garantito. A giorni saranno disponibili sul sito www.portalavoro.regione.lazio.it il facsimile del modulo di presentazione delle domande e la guida alla compilazione"."Procede così a tappe forzate - ha concluso Tibaldi - il percorso della legge sul Reddito Minimo Garantito che riguarda, nella sua prima fase sperimentale, donne e uomini di età compresa tra i 30 e i 44 anni e con un reddito personale imponibile non superiore a 8.000 euro nell'anno precedente. Con questo strumento e con gli interventi di politiche attive per il lavoro la Regione ha voluto dare una risposta concreta ai bisogni delle fasce più deboli del mercato del lavoro, particolarmente colpite in questo periodo di crisi economica".

 
 
 

Due propostine operative per la mozione Marino

Post n°257 pubblicato il 03 Agosto 2009 da votattilio2008

1)      Il partito orizzontale.

L’idea di partito come si è sviluppata nel corso del ‘900, prevedeva una forte verticalità della struttura. La stessa concezione del classico “attivo” di sezione era di per sé fortemente improntata al verticismo: introduzione del segretario di sezione, dibattito, conclusioni del funzionario inviato dalla federazione. Indiscutibili e definitive.

Questa idea funzionava in una società che non aveva gli strumenti di comunicazione di cui disponiamo oggi, non aveva la complessità che oggi tutti viviamo. Era improntata sullo schema “lavoro-famiglia-chiesa”. Per cui anche gli organismi sociali che si sono sviluppati erano incasellati in quello schema. Sindacati, partiti, organizzazioni parallele della chiesa, tutti i cosiddetti corpi intermedi rispondono a questa trilogia che comincia a crollare negli anni ’70, vive una profonda crisi dai ’90 in poi. E adesso viene completamente travolta nella cosiddetta società della comunicazione. Da qui la crisi del partito verticale e di massa e il passaggio al “partito del leader”, una risposta di destra che abbiamo provato di tanto in tanto a scimmiottare. Con scarsissimi risultati a dire il vero.

 

Perdonate l’analisi sociologica da bar, ma non mi voglio dilungare troppo.

 

Serve una risposta di sinistra e mi trovo d’accordo con quello che Enzo Puro definisce il “partito open source”, un modello di partito, cioè, in cui i livelli di direzione e la circolazione di idee e di proposte assume direzioni diverse da quella classica “vertice-base”. A me piace definirlo partito orizzontale, ma il concetto è molto simile. Si tratta di un partito dove il vertice non è più il terminale assoluto, ma dove la base, nel nostro caso i circoli, creano modalità di comunicazione e di organizzazione assolutamente orizzontali. Lo abbiamo fatto, molto a fatica, nel Pd, quando abbiamo creato siti, gruppi su fb, che hanno permesso lo scambio di informazioni, di opinioni, di documenti, in modalità assolutamente autogestita. A Roma questo è successo anche per l’assoluta latitanza del livello federale del Pd. Quello che dovrebbe essere il tramite fra vertici nazionali e circoli ha clamorosamente fallito il suo compito. E il vuoto in politica tende sempre ad essere riempito.

Si tratta di un fenomeno assolutamente caotico, che si scontra contro l’unica forma di organizzazione vera esistente: quella delle correnti. Eppure si tratta anche dell’unico vero antidoto a questa. Nel senso che soltanto creando dei luoghi in cui ci si ritrova al di là della famiglia di appartenenza, si riesce ad unire quello che, apparentemente, tenderebbe a restare separato.

 

Ora si tratta di dare sistematicità e legittimità a questa organizzazione orizzontale. Si potrebbe pensare intanto a una sorta di “portale dei circoli”, ma anche questa è una forma embrionale: servono luoghi e sedi stabili, non la semplice assemblea dei segretari dei circoli che, al massimo, diventa luogo per mettersi sotto le luci dei riflettori e non luogo di elaborazione collettiva.

 

2)      Le liste del “passo indietro”

A ottobre avremo le primarie. Anche questa volta su collegi molto grandi, con liste bloccate. Sempre meglio delle preferenze che le trasformerebbero in una competizione selvaggia fra consiglieri municipali, ma anche molto lontano dall’idea di democrazia che ho. Trattandosi di fenomeno, molto mediatico, infatti, tutte le mozioni tenderanno a mettere ai primi posti delle liste personaggi altrettanto mediatici. Lo hanno già fatto Franceschini, Bersani e, in misura minore, anche Marino, nella partita dei segretari regionali. Ci fosse un candidato che è cresciuto in questi anni sul territorio, che magari ha fatto il responsabile dell’organizzazione in federazione. Tutti deputati, consiglieri, addirittura vertici istituzionali come sindaci o presidenti di Provincia.

Premesso che non chiederò di essere candidato, e così mettiamo preventivamente a tacere le malilingue...

La mia proposta è semplice: almeno per quanto riguarda le liste alle primarie, i “soliti noti” facciano un passo indietro. Mettiamo nei primi posti delle liste, a tutti i livelli, persone che siano espressione del territorio, di quelli che danno il fritto giorno dopo giorno, ma non se li incula mai nessuno. I deputati, i consiglieri regionali, provinciali, comunali, municipali, possono anche stare, per una volta nelle posizioni di lista immediatamente successive. Possono aiutare nuove leve, non tanto in senso anagrafico quanto in senso mentale, a emergere, a essere protagonisti, a vivere – per davvero – il Partito Democratico. In questa maniera, facendo un passo indietro, forse il passo in avanti lo farebbe il Pd.

 
 
 

Incontro con Ignazio Marino al Circolo degli artisti

Post n°256 pubblicato il 27 Luglio 2009 da votattilio2008

 
 
 
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I lettori più avvertiti l'hanno già capito da tempo, ma quelli che rivestono cariche pubbliche, si sa, tendono ad avere più difficoltà: questo non è un blog del Partito democratico o di un suo circolo, ma uno spazio libero che ospita gli sproloqui di un pericoloso criminale:  Michele Cardulli, 40 anni, giornalista, militante del Pd, libero sproloquiatore, nonché teppista della parola.
Tal figuro, ed esclusivamente lui, è responsabile politicamente e penalme
nte del contenuto dei suo scritti. Per prenderlo a testate, lo potete incontrare nei corridoio del consiglio regionale, oppure al circolo Pd di Capannelle


 

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