Note a margine
A volte di vince, a volte si perde ma la lotta è sempre impari
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«Io non sono quello che tu vuoi,
io sono quello di cui tu hai bisogno»
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« Ci han concesso solo una... | Negra? Non si vede? ...... » |
Orfani bianchi, un prezzo drammatico da pagare per le donne che si prendono cura dei nostri cari
Post n°712 pubblicato il 08 Aprile 2019 da Web_London
"La separazione dalla madre è troppo dolorosa, così i bambini decidono di togliersi la vita. ... Si svegliano una mattina. E le loro mamme non ci sono più. Partite. La maggior parte verso l'Italia. A fare le badanti, a prendersi cura dei nostri vecchi e dei nostri figli. Mentre i loro vecchi e i loro figli restano da soli, in Romania, Moldavia, Ucraina, Polonia o Russia. Non esiste alcuna statistica, né il governo romeno si occupa del fenomeno (basti pensare che in Romania un ministero per i Romeni nel mondo esiste pure, ma non ha neanche un'anagrafe degli emigrati e ora ha chiesto alla Chiesa ortodossa di aiutarlo nel censimento). È il mercato dell'assistenza familiare che le cerca. Secondo Unicef, il numero dei minori lasciati a casa in Romania sarebbe pari al 7% della popolazione romena tra gli 0 e i 18 anni. Più della metà (52%) vive nelle zone rurali, dove è più frequente che siano le madri a partire, contrariamente alle grandi città dove più spesso è il padre ad allontanarsi; e più della metà ha meno di dieci anni. La separazione dalla madre è troppo dolorosa, così i bambini decidono di togliersi la vita Solo in Italia i romeni sono più di un milione (di cui oltre la metà donne), circa quattro milioni in tutta Europa. Silvia è una di loro, stabilitasi nel nostro Paese, a Milano, undici anni fa per curare suo figlio. Finché una sera del 2010 in tv vede una documentario, Home Alone, a Romanian Tragedy, che racconta la storia di tre bambini suicidi in Romania dopo la partenza delle madri per l'Italia. Tre bambini che un giorno, dopo la scuola, si sono impiccati. «Non basta il telefono per restare in contatto con le mamme», spiega Silvia, «serve il contatto audiovisivo, per vedere come crescono i propri figli, soprattutto quando le donne non riescono a tornare a casa almeno una volta all'anno. Ma spesso in Romania anche se una scuola possiede un computer connesso alla Rete, i bambini non possono usarlo perché manca il personale di sorveglianza. Nelle zone rurali un computer non è un giocattolo che costa poco. Il mio sogno è dare un portatile a ognuno di questi bambini di modo che possano parlare con le loro mamme». Certo, «non è come essere a casa con il proprio figlio e dargli il bacio della buona notte. Però ci si può confidare, fare i compiti insieme, ci si può guardare negli occhi. E non lo dimentichi, vai a dormire con quell'immagine». Cosa che fa bene ai figli, ma anche alle mamme. «Perché se stanno bene le mamme, stanno bene anche i figli». Molto dipende da come le mamme vanno via. «Se spieghi a tuo figlio dove vai e per quanto tempo, è come andare dal dentista: il medico ti dice che il dente ti farà male per un certo periodo di tempo, ma c'è una fine. Diverso è quando si parte mentre il bambino dorme perché la mamma di solito per non far male al proprio figlio non glielo dice. Magari glielo dice il giorno dopo la nonna: "La mamma è dovuta partire e fra poco torna"». In Romania, se va bene, restano i padri, i vicini di casa, le altre donne della famiglia, che si occupano della cura dei figli. Se va male, i bambini finiscono negli istituti per minori. «I genitori», spiega Silvia, «nella maggior parte dei casi vanno via senza avvisare le autorità, non lasciando la tutela legale dei bambini a nessuno. Le procedure sono lunghe e chi prende in affido un minore deve avere determinate caratteristiche, sottoporsi a un test psicologico, per questo si evita di farlo. Tante, poi, non dicono che sono venute in Italia a fare le badanti perché si vergognano. Magari in Romania sono ingegneri, insegnanti, hanno una preparazione universitaria. Così partono e basta. Ma se un bambino viene aggredito o se fa uso di alcol e droga, allora interviene l'autorità pubblica e finisce in un istituto. Di recente è stata approvata una legge che multa i genitori che vanno via senza avvisare le autorità, ma l'effetto è che la gente si nasconde di più. Partono senza dire niente neanche ai vicini di casa». Nel 2005 due psichiatri ucraini, Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych, hanno coniato un nome, "sindrome italiana", per identificare la depressione diffusa tra tante donne badanti tornate in patria dall'Italia. Madri poco più che ventenni, piombate senza filtri in case sconosciute a curare anziani malati, spesso in condizioni di isolamento, che al ritorno nel proprio Paese poi fanno fatica a reinserirsi in famiglia, a parlare con i figli per i quali magari si sono trasformate in asettici bancomat dispensatori di soldi e regali. Le donne continueranno a partire, «e vengono giudicate male dalla comunità in cui vivono e dalle autorità», dice Silvia Dumitrache. Per i bambini che restano, «la parte dolorosa non è tanto il distacco, quanto l'attesa che non finisce mai. E poi c'è la mancanza di comunicazione, il non poter immaginare cosa fa la mamma nell'altro Paese. Ti senti abbandonato. Per questo i bambini si tolgono la vita. Pochi si accorgono del loro disagio, perché in Romania, soprattutto nelle zone rurali, la figura dell'assistente sociale è assente». La situazione è ancora più grave in Moldavia: qui il numero dei suicidi tra i preadolescenti è altissimo, e il governo ha avviato una campagna di informazione e sostegno per le emigrate e le loro famiglie. Cosa che in Romania ancora non esiste. «Manca la prevenzione, ma anche il supporto delle famiglie a distanza», spiega Silvia. «Sia lo Stato di partenza sia lo Stato di arrivo sono colpevoli di questo disagio. È un fenomeno sottovalutato a livello europeo». E non è un caso che il progetto "La mamma ti vuole bene", messo in piedi da Silvia con i pochi mezzi a disposizione, non riesca a rompere il muro di gomma dei palazzi romani e a trovare fonti di finanziamento per essere diffuso tra le badanti italiane. «L'Italia è l'unico Paese al mondo con oltre 1,5 milioni di badanti», dice, «ma non ha una politica adeguata. Dal 2008 non è cresciuta la spesa dello Stato nella cura degli anziani, è cresciuta solo la spesa delle famiglie». Molte delle badanti «quando arrivano non conoscono l'italiano e vivono situazioni di disagio, con l'aggiunta della sofferenza dovuta al distacco dalle proprie famiglie e dai propri figli», spiega Silvia. Nel 2011 la giunta comunale di Milano aveva approvato un progetto pilota per uno sportello di accoglienza, ma senza finanziamenti. Ora sta per nascere uno "sportello donna" nella Cascina Cuccagna della città per due ore alla settimana, ma anche qui non ci sono finanziamenti. «Serve un progetto governativo di accoglienza e informazione per affrontare in modo serio questo problema, il volontariato da solo non basta». Un esempio: «Vogliamo far emergere il lavoro nero? Insegniamo a queste donne a usare un conto bancario senza maneggiare solo contanti». Il sito che Silvia aveva creato per fare informazione tra le immigrate straniere, famigliaonline.it, è fermo ad aprile 2013. Motivo: mancano i soldi per pagare qualcuno che curi la parte informatica. «Vorrei che diventasse una piattaforma di comunicazione tra la diaspora romena e la Romania», ripete più volte. Ma la vita delle donne straniere che curano i nostri anziani, per il momento, resta confinata nelle case di chi le ospita. Le vedi nei parchi delle nostre città di domenica pomeriggio, quando hanno qualche ora di riposo. O in attesa nelle stazioni dei pullman cariche di scatole e valigie. Le poche che riescono a tornare per pochi giorni nei loro Paesi hanno le borse piene di giochi, qualcuna carica sul pullman anche qualche bicicletta. Ma di loro, dei loro figli e delle loro famiglie, soprattutto da quando Paesi come la Romania sono entrati in Europa, non si occupa nessuno. Né lo Stato di partenza, per il quale sono il miglior contribuente: «I soldi che queste donne spediscono ogni mese alle loro famiglie vengono usati senza che però loro facciano spendere niente allo Stato, e non pesano neanche sul tasso di disoccupazione». Fonte: https://www.linkiesta.it
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