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Primo giorno

Post n°142 pubblicato il 03 Marzo 2007 da myk_dee

So che un discorso non può cominciare con "allora" ma me ne frego, quindi...
Allora, proverò a raccontarvi brevemente l'esperienza americana. Da dove cominciare? Beh, dal principio direi.
Giovedì 22 febbraio la sveglia suona alle 8.30, mi alzo, un po' intontito per il fatto di aver dormito poco, mi lavo, mi vesto. Controllo se nello zaino ci sono tutte le cose necessarie per il viaggio: giornale, documenti, portafogli, passaporto, fotocamera. Ok, si parte. Prendo la valigia lasciata fuori in corridoio, la carico in macchina e via con il babbo in aeroporto Marco Polo, Tessera. Ore 9.45 arriva anche la mia compagna del viaggio, saluto il babbo che ci augura buon viaggio e ci incamminiamo verso il check-in. C'è molta gente in fila, perciò dobbiamo aspettare pazientemente il nostro turno. Per fortuna ci si sbriga più in fretta di quello che avevamo pensato all'inizio. Un tizio, prima del check-in, con la spilla della TSA (la società che gestisce la sicurezza negli Stati Uniti) ci ferma e chiede passaporti, biglietto elettronico dell'aereo e fa' domande del tipo: «andate negli Stati Uniti per lavoro, studio o vacanza?», «quanti bagagli a mano avete?», «lo avete preparato voi?», «da questo momento in poi non accettate niente da nessuno», conclude. Quindi facciamo il check-in, salutiamo le nostre valigie e ci incamminiamo con andatura abbastanza spedita (l'imbarco è previsto per le 10.20 e sono le 10.15 e dobbiamo ancora passare il controllo) per effettuare il solito controllo di sicurezza. Passato con esito positivo il controllo, ancora una volta vogliono controllare il passaporto e finalmente si aprono le porte del Boeing 767 che ci porterà oltre l'Oceano Atlantico. Ore 11.15, puntuale come un orologio svizzero, l'aereo decolla e sui monitor compare il disegno della traiettoria da seguire, il tempo trascorso, le miglia percorse, la velocità, il tempo e le miglia rimanenti. La durata prevista è di circa otto ore e mezza, volo diretto senza scali.
Le ore a bordo scorrono veloci, tra un film e uno spuntino servito dal personale Delta Airlines. Ore 13.50, ora locale, atterriamo al John F. Kennedy di New York. Durante l'atterraggio, dall'alto, intravediamo l'inconfondibile skyline di Manhattan, che però scompare subito non appena tocchiamo terra. Il cielo è nuvoloso, e fa' piuttosto freddo. C'è ancora della neve per terra, residua della nevicata della settimana prima. Scendiamo dall'aeromobile e ci incodiamo una nuova volta per passare il controllo del visto da parte delle autorità USA. Più di un'ora di fila per farsi fare un timbro nel passaporto, prenderci le impronte digitali e farci una foto. Siamo nella loro nazione, dobbiamo stare alle loro regole. Finalmente, recuperiamo i nostri bagagli e usciamo dall'aeroporto dove un tipo ci propone di portarci all'albergo per una cifra irrisoria. Io, ovviamente, so che è lì apposta per fregarci ma la mia compagna di viaggio ci casca e acconsente all'accompagnamento. Beh, vada come vada, basta che porti all'albergo. Quindi eccoci in questa macchina nera che viaggiamo su una delle infinite highways. Il guidatore fa' anche da Cicerone: «vedete, quello è il parco dove hanno girato Men In Black», dice indicando una struttura non ben definita al di là di alcuni alberi. Finalmente ricompare alla nostra vista Manhattan: il colpo d'occhio è spaventoso. Altissimi grattacieli, quasi non gli si vede la punta perché seminascosta dalle nuvole, che si ergono maestosi in riva al mare (che poi è la foce di un fiume). Arrivati in albergo scopriamo con sorpresa della mia compagna [di viaggio] (ma non mia) che la cifra irrisoria è di soli 110 dollari. Scendiamo dall'auto, piove, fa freddo e ho appena speso 60 dollari quando ne bastavano 2 della metro. Questa vacanza non comincia nel migliore dei modi. Andiamo nella hall del hotel: la camera c'è e dopo alcune formalità, ci danno due chiavi magnetiche con cui aprire la porta della stanza. Stanza numero 444 al quarto piano. E' piccola ma accogliente e pulita, stesso dicasi per il bagno. Benissimo, sono le quattro del pomeriggio, ora locale, dieci minuti per prendere il necessario e via sulla strada. Ha smesso di piovere e si è aperto uno spiraglio dove filtra, fredda, la luce del sole.
Ancora non ci credo: diavolo, sono negli Stati Uniti! A New York City! Lo capisco dalle insegne dei negozi, dai cartelloni pubblicitari, dai cartelli stradali, dalle auto, dalle persone: sì, sono a New York. E' una sensazione strana, perché sono partito da casa alle 9 di mattina e adesso sono le 4 del pomerggio e sono a seimila chilometri di distanza. In realtà è come se fossero le dieci di sera. Ma sono le 4. E non mi importa: non ho sonno, non sono stanco, mi sento bene, l'aria fresca del pomeriggio americano mi dà una spinta in più. Devo vedere, devo fare, devo guardare, sentire, toccare, respirare, annusare, provare.

In foto: le Alpi viste dall'aereo.

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