Creato da myk_dee il 19/05/2005

WestSide

Life on the WestSide. The Best Side.

 

 

« III LeggeQuesta poi! »

Ciao MykDee!

Post n°21 pubblicato il 19 Luglio 2005 da myk_dee

“Ciao MykDee” mi salutava lei.
“Ciao” rispondevo io, non riuscendo a pronunciare il suo nome di fronte a lei.
“Come stai?” mi chiedeva con quegli occhi azzurri.
“Abbastanza bene” rispondevo ogni volta, abbassando lo sguardo “E tu? Tu, come stai?” chiedevo cercando di scappare con la mente.
“Bene grazie” rispondeva. Ogni volta.
“Sai, tu sei la ragazza più bella che abbia mai visto e incontrato. I tuoi occhi sono come perle che mi fanno perdere la testa non appena ti guardo. Il tuo profumo lo sento nell’aria ogni volta che penso a te, e mi inonda l’anima di pace e serenità. I tuoi capelli biondi che delicatamente ti pettini ogni volta che ti sembra di essere in disordine, sono come quelle spighe che crescono rigogliose nelle campagne attorno a casa mia. E tra quelle spighe con te io vorrei rotolarmici, e sussurrarti dolci parole, e accarezzarti il viso con le gote rosse, e guardarti dritto negli occhi, e finalmente non mi perderei perché le tue mani e la tua voce mi guideranno. Perché tra quelle spighe è facile perdersi ma se tu sarai con me allora no, no che non smarrirò la via. Non mi perderò e non ci perderemo se tu sarai al mio fianco. Se io sarò al tuo fianco. Ti prometto questo: non lascerò che ti perda, anche con quel poco che so, non permetterò a niente e a nessuno di dividerci, nessuna distanza tra noi sarà abbastanza grande da poterci separare. E magari una sera d’estate passeggiando tra le strade deserte della città, ci siederemo su quella panchina di fronte alla fontana. Guardando il cielo rosso divenire prima viola, poi lentamente sfumare in un blu scuro e vedremo apparire le prime stelle. E poi verrà la sera, e le finestre che danno sulla piazza piano piano cominceranno a chiudersi, lasciando questo mondo a noi. E noi saremo lì quando calerà la notte e le stelle brilleranno alte nel cielo d’estate. E pur non sapendone molto ti mostrerò il Cigno, ti dirò che quella stella in realtà sono due, una rossa e una blu. Una vecchia e una giovane. Ciascuna con delle caratteristiche che la rendono unica e che magari da sole non sono poi sto granché. Ma ecco che quando stanno assieme tutto sembra più bello, in armonia, sembra che assieme quelle due stelle siano fatte per orbitare l’una accanto all’altra. E quella sera ci sarà anche la Luna. Ma non piena, sarà una Luna crescente diciamo tre quarti di Luna. Allora quando saremo rimasti solo io e te, le stelle e la Luna te lo dirò. Ti dirò che non riesco ad immaginarmi senza di te. Dirò che sei la prima cosa a cui penso non appena la mattina apro gli occhi svegliandomi, e questo pensiero mi dà la forza di alzarmi e venire scuola. E finalmente vederti lì, fra le tue amiche. E tu mi saluti, ma io non riesco a guardarti negli occhi perché mi tremerebbero le parole se lo facessi. Così tu pensi che non me ne importa niente di te. E invece non appena suona la campanella dell’una e un quarto e ci si saluta per recarci a casa, io penso a te. E penso che sarà dura arrivare a casa e dover aspettare fino a domani per rivederti. E la sera prima di addormentarmi sei tu l’ultimo pensiero, sei tu che saluto dentro di me, augurandoti una buona notte. Ti dirò che se accetterai di stare con me, non ti lascerò mai, te lo prometto. Dirò forse che il tuo nome mi sembra il più bello e il suono che ne viene fuori quando lo si pronuncia è meraviglioso, è qualcosa di unico. Allora ti spiegherò perché in tre anni ho pronunciato il tuo nome solo poche volte: non volevo che perdesse di significato. Non volevo che lo sentissero gli altri. Perché gli altri non sentono quella melodia. Gli altri non sentono quello che sento io. Gli altri non meritano di pronunciare il tuo nome. Io non sono come gli altri che ti guardano solo il fondoschiena e trascurano il resto. Io ti voglio bene davvero. Forse, seduto su quella panchina, avrei potuto dirti qualcosa di più, avrei potuto parlarti ancora per ore ed ore, ma adesso non c’è più tempo: è suonata la campanella, la senti? Dobbiamo andare a lezione.”

Giugno 1998

Commenti al Post:
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 01:52 via WEB
bravo, belle parole. se avessi un cuore ti direi che la musica adatta per tutto questo sarebbe blackout dei muse, ma dato che nel petto devo avere una pila a combustibile e basta, ti dico che mi rileggo il tutto con la musichina del tetris (si', proprio quella del game-boy, melodia B, ta-taratarata'-tattatattata'taratata'...). semper fidelis.
 
myk_dee
myk_dee il 20/07/05 alle 09:40 via WEB
si può scaricare la canzoncina del tetris? così ci faccio una base e ci costruisco sopra un bel rap. yo yo yo.
 
 
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 15:21 via WEB
certo che si puo'. cmq si dice ''comprare su internet'' e non ''scaricare''. scaricare e' illegale lo sappiamo tutti, vero ragazzi?
 
isotropico
isotropico il 20/07/05 alle 12:57 via WEB
"...non riesco a guardarti negli occhi perché mi tremerebbero le parole se lo facessi": mi spiace proprio, ma un giorno ti ruberò questa frase, e tu non me ne vorrai, lo so già.
 
melafarei
melafarei il 20/07/05 alle 14:48 via WEB
caro shaggy, in arte BIGhead, in arte caprone, in arte tirapacchi, in arte chiazzoman, in arte TestaMento, innanztitutto la canzoncina del tetris fa ta-tararà-tararà-tararà-tararà-tarararararaaaaa......ta-tararà-tararà-tararà-tararà-tararà-ta-ta-ta-ta...e così via. per favore non renderti ridicolo anche qui. e cerca di togliere la z dal cognome di un tuo compagno dall'indirizzo email.
 
 
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 15:22 via WEB
c'eri anche te quando ho messo la doppia zeta. e poi sai che ti voglio (pronuncia: vòghlio) bene.
 
 
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 15:23 via WEB
quella che fai te e' la melodia A. io dicevo la B.
 
isotropico
isotropico il 20/07/05 alle 15:39 via WEB
geppo_stam è ormai diventato il troll dei nostri blog, ma noi gli vòghliamo bene lo stesso. NB - Blackout ha qualche parentela col primo tempo del secondo concerto in do minore per pianoforte e orchestra di S.Rachmaninov.
 
 
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 15:46 via WEB
sono quattro accordi messi li' con un po' di sentimento. ricordano circa il 75% della musica occidentale. A f# D E
 
   
isotropico
isotropico il 20/07/05 alle 18:36 via WEB
Guarda te: ho preso dieci all'esame di Teoria e Solfeggio per farmi dire da geppo_stam che quella canzone ha il giro del barbiere. Gli accordi son sempre quelli (in realtà quelli di Blackout sono rivoltati): è l'atmosfera, "il sentimento" come dici tu: e ti pare poco, nella musica d'oggi?
 
     
geppo_stam
geppo_stam il 20/07/05 alle 20:33 via WEB
musica d'oggi. ti ci vedo ai tempi del charleston (capelli cotonati, tette a punta) accostato al tuo grammofono, orecchio teso e aria sorniona a dire: "mi aggrada proprio questa melodia inusitatamente squisita nei suoi aspetti armonici".
 
     
isotropico
isotropico il 20/07/05 alle 20:46 via WEB
Oggi la tua immaginazione è piuttosto profusa verso gli anni '50, non so perché. Forse qualche forma di complesso edipico non risolta? (Non fare battute sul "non risolta", tanto le so già tutte.)
 
myk_dee
myk_dee il 20/07/05 alle 21:28 via WEB
essenzialmente sono taccoro con tutti voi, miei eroi.
 
isotropico
isotropico il 29/07/05 alle 02:45 via WEB
Son qui che sto studiando quel cazzo di esame di merda, come si chiama? Ah sì, già, calcolo numerico. Domattina alle dieci e mezza devo essere in ufficio dal prof. per farmi sottomettere ad un'interrogazione su argomenti che conosco poco o punto. E sai cosa mi è venuto in mente? Che quasi quasi non ci vado. No. Resto a casa. Oppure vado a Padova ma solo per farmi una passeggiata, tanto per dire che c'ero. Andrò a mangiare alla San Francesco, perché è un po' che non ci vado, e lì le porzioni sono sempre abbondanti: e in questi giorni ho molta fame. L'ultima volta che ci sono andato ho avanzata metà roba: non è stata colpa mia, suppongo, ma nemmeno di nessun altro. Ci siamo scattati delle foto che ricorderanno un momento che non avrò molto piacere a ricordare, quando avrò modo di vederle. Perché sono abbastanza sicuro che un giorno le rivedrò: a settembre, tipo, o ad ottobre. A volte mi domando come bisogna guardare il se stesso che si era un tempo. C'è una specie di specchio deformante che ti mostra una persona che tu non sei: e forse addirittura che non sei mai stato. Non lo so, su questo non sono ancora in grado di darmi delle spiegazioni esaurienti. Il mio occhio in questo momento cade su un orribile algoritmo per interpolare una funzione multinomialmente in base a dei nodi equispaziati in un semicerchio: e ho il rigetto per tutto questo. Aveva ragione chi mi diceva: "Ma su, dai, devi muoverti, devi fare qualcosa, devi darti da fare"; e io dicevo di sì ma non mi sono mai dato veramente da fare: ho trascurato tutto, ho lasciato tutto in disordine nel tentativo di mettere in ordine altre cose. Se ti invitassi a casa mia e tu vedessi un atrio disordinato, potrei giustificarmi dicendoti che il salotto o la camera da letto invece sono puliti ed in ordine? Io non vorrei che la mia vita fosse diversa, perché ormai a questa in tutti questi anni mi ci sono abituato: però ammiro tanto - amo, forse - le persone per cui è tutto semplice pur senza sapere. Forse per loro è tutto semplice PROPRIO perché sanno poche cose: quelle strettamente sufficienti, diciamo. Hai presente quando per un esame impari troppe cose (da quanto non mi succede!) e l'eccesso di informazioni ti mette in confusione? Ecco, è un po' la stessa cosa: sapere troppe cose della vita non è detto sia sempre un bene. Ci sono persone che a vederle non gli daresti neanche cinquanta lire, però aprono bocca e dicono LA VERITA'. Quella verità che tu cerchi dappertutto e non trovi mai: eccola, è lì, nelle quattro parole semplici di una persona che sa poche cose, che ha letti pochi libri, ha visti pochi films, ha ascoltate poche canzoni; una persona semplice, poco istruita, poco dotata: e che però, per qualche motivo, conosce la vita meglio di te. E non è una questione di cultura, per l'appunto: ma soprattutto di esperienze vissute. Forse, ogni istante che medito su qualcosa lo perdo, perché in quell'istante avrei potuto conoscere un altro pezzettino di vita. Ma cazzo, com'è che si conosce la vita? Io non ne sono mica capace, non so tu. Vivo delle esperienze, ne ho vissute tante in passato e le ho tesaurizzate: eppure non ho mai l'impressione di poter dire di aver vissuto qualcosa per davvero. Se non in casi decisamente rari e preziosi. Forse perché quando vivo certe cose in realtà non le vivo, ma le assimilo: e solo dopo, a posnel frattempo vengono deformate dal tempo, dalla lontananza, dal fatto che sono cambiato, anche magari soltanto di poco. Come eMule: prima alloca tutto lo spazio che gli serve, e solo dopo lo riempie, pian piano, un po' alla volta. Io credo che potrei essere felice pur con questa mia vita: potrei esser felice della mia vita se potessi condividerla con qualcuno che sappia aprir bocca e dire quattro parole stupide che però per me siano la verità. Quante volte mi capita di non riuscire a venire a capo di un problema, di una questione: a non saper scegliere, a non saper capire cosa è giusto e cosa non lo è; ecco, io sogno una persona che mi sappia dire che le cose stanno così e cosà, zac zac, e tutto è risolto. La moglie di Blake era analfabeta, tu questo lo sapevi? Cazzo, ci avrà pur trovato qualcosa Blake in lei! Forse, tu dici, era una strafiga: no, io penso di no; se conosco Blake posso dire che a lui non è che importassero tanto queste cose. Secondo me Blake si è innamorato della sua semplicità pura e cristiana (in senso generalizzato), dell'innocenza e dello splendore che riusciva a trasmettere: un sorriso con dentro la vita. Io vorrò dei figli, in futuro, da una donna così. E non è la favola di Cenerentola, di quella che è bella dentro: no, non c'entra un cazzo, questo credo tu possa capirlo. E pensa, inoltre, a Chopin e George Sand: il diavolo e l'acquasanta, diresti! Eppure guarda cos'ha creato quell'amore! Stiamo ancora commuovendoci, a distanza di più di centocinquant'anni, per certe musiche che ne sono uscite. Ecco, vedi, alla fine è successo che ho parlato tanto, ho divagato, come è sempre mia abitudine. L'altra sera una ragazza mi ha detto: "Tu non ti stanchi mai di parlare di te stesso, andresti avanti fino a mattina". Tu che mi conosci sai quanto poco io sia vanesio: però lei aveva ragione. Ecco, vedi, questa è una verità su di me detta in due parole, e a me piace, e mi piace chi me lo ha detto. Io so dire verità su di me solo in tante, troppe e pesanti parole. Forse ultimamente parlo tanto di me perché mi sto restaurando, forse per insoddisfazione, chi lo sa: forse in questo momento sto solo scrivendo per poi guardare l'orologio e pensare che è troppo tardi e che domani non potrò andare all'esame di calcolo numerico: forse tutto questo è vero, non lo so, ma di una cosa sono certo: CHE LE PAROLE NON BASTANO. Io le amo, sono i mattoni della mia esistenza: però non sono imprescindibili. Io potrei rinunciare a tutto quello che ho scritto, a tutto quello che sciverò, per ottenere la felicità di tutta la mia vita. Potrei arrivare a farlo, sì. E poi vedi, tu in questo post hai scritte delle cose davvero belle (verso la fine cadi un po' di tono, ma vabbè, avevi quindici anni), ma purtroppo rimarranno confinate nel campo della letteratura: pensa infatti, anche per un secondo solo, a cosa sarebbe successo se tu gliele avessi dette sul serio quelle parole: supponi che tu abbia avuto il coraggio per dirgliele. Cosa sarebbe successo? Probabilmente lei non le avrebbe capite, le avrebbe ritenute pesanti e inopportune, le avrebbe usate come uno schermo per dividerti e allontanarti da lei; oppure le avrebbe accettate commossa, con le lacrime agli occhi, ti avrebbe chiesto abbracci e baci: avresti sentito il suo seno poggiarsi sul tuo petto, entrambi scossi dai respiri troppo affannosi. Ti avrebbe detto che ti vuole davvero bene, che porterà sempre dentro quelle parole bellissime e non ti dimenticherà mai. Bene, tutto questo è davvero bello, ti avrebbe reso sicuramente felice. Ma poi? Me lo sai dire poi cosa sarebbe successo? Per un attimo avreste vissuta una pagina di romanzo, una cosa davvero perfetta, con la luna e il Cigno e le spighe che frusciano alla brezza da est: ma poi sareste ricaduti nella vita reale, con le sue esigenze, i suoi impegni, i suoi bisogni. Tu non avresti saputo darle altro che un bene smisurato e delle parole bellissime: ma con questo, me lo spieghi tu se lo sai, con questo CHE CAZZO CI AVRESTE POTUTO COSTRUIRE? La vita insieme, le cose fatte, il sapere tutto l'uno dell'altra, l'aver percorso migliaia di chilometri assieme: con questo puoi costruire qualcosa. Qualcosa per la vita, intendo. Probabilmente lei in capo a qualche giorno ti avrebbe dimenticato, avrebbe continuato a ripeterti quanto tiene a te: ma avrebbe proseguito per la sua via, per la sua strada, perché non può certo fermarsi ad aspettare te che ancora stai guardando la luna e il Cigno. Lei deve andare avanti nella sua vita, questo tu lo capisci: anche perché a te lei piace proprio per questo: perché conosce la vita, perché te la sa spiegare in trenta parole anche se tu hai divorate centinaia di libri e hai una gran cultura e conosci decine di discografie. E non ha fatica a proseguire il suo cammino; non ha dolore. Alla fine, proprio come dici tu, bisogna "tornare a lezione", alla vita di tutti i giorni: quella che lei sa vivere e tu no. Tu sai solo rielaborarla a posteriori, farne letteratura, magari Arte, magari altri libri che altri futuri ragazzini tristi e soli divoreranno per produrre a loro volta altra letteratura in una catena che è parallela con quella dell'andare a lavoro, del fare la spesa, dell'aggiustare il rubinetto che perde: perché alla fine sono queste le cose della vita, non quelle. E anche se tu l'avessi trombata fino a farla camminare come una cavallina storna, anche se avesse dette proprio a te le parole più belle che abbia mai dette a qualcuno nella sua vita, lei comunque non apparterrebbe a te, perché ci sarà sempre qualcuno con cui avrà vissuti dei momenti veri. I momenti che ha vissuto con te saranno stati molto più belli, molto migliori, sicuramente: proprio da pagina di romanzo. E allora scrivi un romanzo, no, già che ci sei! Che cazzo stai aspettando, un biglietto d'invito? Sei in grado solamente di creare bellezza con le tue parole: cosa stai lì allora a cercare l'amore di una ragazza con i capelli biondi come le spighe di grano davanti a casa tua? Rintanati nella tua camera, accendi il computer, incomincia a battere quei cazzo di tasti e mi raccomando che questa volta venga un capolavoro, sai? Perché altro non sai fare, altro non ti è concesso fare nella vita. Dacci dentro, sei bravo, lo so, ce la puoi fare: scrivi la storia di un cucchiaino, la storia di una valigia, la storia di una penna; racconta per intero la vita di Anita, parola per parola, da quando incontra suo nonno nel cortile di casa fino a quando non tornerà alla vecchia cascina vuota per mantenere una promessa fatta vent'anni prima; e poi descrivi la passeggiata di Eugenio al cimitero e l'incontro col piccolo Pierino. Hai fatto? Bene, bravo. Sei un campione. La gente ti acclama, gli editori si sbracciano per pubblicarti. Hai ottenuto qualcosa? Hai ottenuto solo quello che l'essere te stesso ti ha fatto meritare, nient'altro. Non hai vissuta la vita, la vita non è tua. La vita è ancora nei capelli, negli occhi, nelle mani di lei, a cui tanto tempo fa hai detto che era ora di andare a lezione, e che ora starà facendo i conti sulle bollette da pagare, il raffreddore del piccolino, il babbo che sta male, quell'ulcera non lo lascia mai in pace... e tu lì, coi tuoi libri, con la tua letteratura, con le tue pagine rilegate: bell'affare, davvero: allora penserai a quanto bello sarebbe star dietro al raffreddore di quello scavezzacollo, ai piccoli problemi di ogni giorno, che solo a viverli davvero ti renderebbero felice, perché lei sarebbe lì, con te, qualsiasi cosa accada. Ma questo sarebbe solo il sogno di uno stupido sognatore, il volo dell'ennesimo Pindaro che si alza ai cieli solo perché non ha una terra dove stare, dove camminare: altra letteratura da aggiungere al mucchio, altro tempo passato a parlare davanti allo specchio bugiardo della tastiera del computer, negando per l'ennesima volta, come se ce ne fosse ancora bisogno, il concetto stesso che tu stai vivendo davvero la vita. Bene, credo di aver detto tutto. Domattina passeggerò per Padova, come mi si conviene: continuare a camminare avanti e indietro, avanti e indietro, dentro a quelle mura così alte e spesse. Oggi pomeriggio, tornando da Abano, sulla cima di un cavalcavia ho visto la cupola del Duomo in lontananza: e mi sono emozionato, come un marinaio che rivede il molo del porto della sua terra. Molti chilometri dopo, uscito dall'autostrada a Dolo-Mirano, ho visto in lontananza il campanile di Mira, che come ben sai è il mio paese: magrolino, insipido, marroncino: ho pensato "Ma guarda, il campanile di Mira", ma non l'ho sentito più mio di quanto avessi potuto sentir mio, che so, il volante della macchina, perché la uso ogni giorno. E' così che vanno queste cose. E' il destino, se vuoi: è un bel concetto, quello di destino. Domani sera, poi, mi troverò con Seba, sempre a Padova, per festeggiare il mio esame: e non saprò proprio cosa dirgli quando mi domanderà come aarà andato l'esame. Un giorno non molto lontano mi pentirò di non averlo fatto: e allora saranno rogne. E non perché sono nella merda con gli esami, no: ma perché ripenserò a chi mi spronava e aveva la verità in bocca mentre lo diceva, e io non facendo quell'esame non ho fatto un male a me, ma a quella verità. Ora mando una mail al prof., gli spiego che domattina urgenze improrogabili mi impediranno di poter presentarmi al suo esame, e lo saluterò cordialmente, come si conviene ad una persona civile ed educata. Eppure io in tutto questo tempo non ho fatto altro che badare a me stesso, a stringermi tra le mie braccia: e il resto è volato via, portato altrove dalle ali del tempo. Forse un giorno ripenserò a tutto questo baccano, e riderò: e penserò che in realtà tutta questa tristezza non è mai esistita, è stato tutto un brutto sogno, un incedente di percorso. Sotto il profumo delle primule è impossibile credere che la primavera non abbia tardato ad arrivare. E forse, sai, forse dopo tutto questo lungo discorso ho capito che la felicità non è qualcosa che riguarda il presente ("sto bene"): ma solo il passato e il futuro. Sapere che non c'è niente tra se stessi e il raggiungimento della propria felicità: questa è la felicità; ricordare la felicità passata e non desiderarla, non invidiarla: questa è la felicità. Quella vera, cazzo: quella che mette a tacere i tuoni, quella che fa finire l'inchiostro della tua penna, ché tanto non c'è più niente da scrivere, perché a cosa serve scrivere quando si è già felici?
 
 
isotropico
isotropico il 29/07/05 alle 05:03 via WEB
E' stato un attimo di scoramento a provocare il delirio febbrile che hai appena letto, che pare molto simile - ma non è - a una lieve ricaduta. L'ho scritto molto di getto (in un'oretta, circa) quindi è pieno di errori di battitura e di sintassi. Ma come dice Virgilio a Dante: "Non ti curar di lor, ma passa oltre". Ecco, anch'io passo oltre. Anzi, me ne vado proprio a letto. L'Oriente oltre la mia finestra dice ch'è quasi mattino. Sto scrivendo in piedi, chino sul computer, con l'accappatoio addosso e i capelli tutti bagnati che mi cadono sugli occhi. Dalla porta del bagno esce un poco del vapore della doccia appena fatta. Un gallo ha appena cantato, con rabbia e potenza. L'aria trattiene il respiro, prima che l'alba rabbrividisca. E' la cosa più bella dell'estate.
 
myk_dee
myk_dee il 04/08/05 alle 11:59 via WEB
Tsk! Ma guarda te! Mi distraggo per cinque giorni, e trovo un commento che riempirebbe non so quante pagine! Beh, mi trovo completamente d'accordo su quanto hai detto, anche se forse un po' troppo pessimistico e oscuro, per via della tristezza che caratterizza questi tuoi giorni. Io però penso una cosa: ormai vivo la vita come viene, con le sue giornate di pioggia, con l'afa che non ti fa respirare, con il sole, con la luna e il Cigno. Perché ho capito una cosa: non si può vivere aspettando che accada qualcosa. Mi spiego: un tempo io facevo così, vivevo in stand-by, se si può dire, aspettando, sperando, che da un momento all'altro sarebbe accaduto qualcosa, avrei incontrato una persona che avrebbe dato una svolta alla mia vita. E in effetti, anche se vivere così è totalmente sbagliato, una persona è arrivata. E sono stati giorni molto belli, perchè abbiamo condiviso molto, abbiamo passato molte cose, molte piccole cose: non le spighe, non la Luna né il Cigno, né qualsiasi altra cosa che faccia parte della "letteratura", se così si può dire. Abbiamo condiviso quelle piccole cose di cui hai parlato tu, un'influenza, la nonna malata, la macchina che si rompe e ci lascia in mezzo alla strada e ci tocca tornare a casa in treno, e mille altre cose che adesso non mi vengono nemmeno in mente. E tutto questo credo di averlo vissuto, perchè lo porto dentro e certe cose quando mi rivengono in mente, mi fanno sorridere, altre invece mi fanno tuttora star male, sebbene sia passato molto tempo. Questo io penso: vivere la vita per me significa condividere le esperienze con qualcuno, come dici tu, ma significa anche che quando più avanti ti ricorderai di certe parole, certi sguardi, certi sentimenti, allora ti emozionerai, magari qualche lacrima ti scenderà dal viso, e forse sarà una lacrima che nel momento che hai vissuto nemmeno l'hai versata. Ma ecco che se hai vissuto davvero, quel momento saprà emozionarti quasi come quando l'hai vissuto, se non di più. Il fatto di "assimilare" episodi secondo me non ha senso: voglio dire, tu quando ripensi ai momenti passati con S. o con F. o con qualsiasi altra persona, provi qualcosa o no? Perchè se il passato ti resta indifferente, allora sì che non l'hai vissuto! Ma, da quanto si legge nel tuo blog, e da quanto posso dire conoscendoti anche se poco, credo che tu abbia vissuto ogni momento, se poi riesci a scriverne pagine su pagine. Non mi vorrai mica dire che di tutto questo non ti è rimasto niente! Da quanto scrivi, credo di capire che tu ti nasconda dietro alla letteratura, alle cose che hai scritte, alle parole che hai dette. Secondo me non è vero. Certo, hai scritto molto, dei momenti che hai passato, delle persone che hanno contato nella tua vita, ma non penso che sia stato tutto vano. Hai semplicemente scritto ciò che provavi, non è necessario scrivere un romanzo di tutto questo. Perché ognuno avrebbe molte cose da dire su se stesso, sui brutti/bei momenti che ha passato, e se ognuno ne facesse un libro, allora sai che confusione in libreria! Milioni di libri, quasi tutti uguali: dico quasi tutti uguali perché in effetti a chiunque che abbia un minimo di sentimenti ha provato, almeno in parte, lo sconforto di un amore distante (sia fisicamente che non), la tristezza di certi giorni nei quali sembra che la vita ce l'abbia su con te, eccetera. Adesso debbo andare, ma tornerò oggi pomeriggio, anche perché da una rapida scorsa al tuo blog, credo che dovrò aggiornarmi, dalla quantità di roba che hai scritta.
 
isotropico
isotropico il 04/08/05 alle 15:01 via WEB
Dico una cosa molto velocemente intanto che aspetto il prosieguo della tua risposta. Certo che i bei momenti vissuti (come quelli brutti) mi sono rimasti, e mi rimarranno a vita! E sarebbe scemo dire che sono stati vani. Quando parlo di "assimilare" intendo renderli veri nel mio pensiero a posteriori: e questa cosa è evidentemente connessa con l'atto di scriverne (e farne letteratura, se vuoi, anche se questo è secondario), che è indice che proprio del fatto che non sono andati perduti. Non mi pento di ciò che ho fatto, né rimpiango ciò che non ho fatto. Da certe cose che scrivo (mi riferisco in particolare al mio ultimo post) forse si potrebbe pensare che io passo la vita ad aspettare che arrivi il momento, la donna, la felicità. Beh, non è vero: io queste cose LE SOGNO, non le aspetto. Ho imparato che bisogna sognare, per quanto il sogno sia irrealizzabile. Sognare è il motore della vita, ed è un bene farlo fintanto che sei consapevole che stai solo sognando e non stai ASPETTANDO, che quello non è il tuo obiettivo ma il tuo ideale. Allora sogno di una felicità, di una donna, di un momento: e però non li aspetto. Vivo le cose che mi succedono, prendendole semplicemente per quelle che sono (come scrivevo appunto nel mio ultimo post): verrà un giorno in cui tutto avrà un senso, ma non me ne curo, e fino ad allora me le godo così come vengono. Sono molto più sereno di quanto traspaia da quel lungo commento che ti ho lasciato qualche giorno fa. Ciao.
 
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