Le Stanze Del Cuore

le stanze del cuore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di qualsiasi cosa era piena e traboccante la grande casa di An, oggetti preziosi come le gemme, che il tempo avrebbe scalfito senza far rumore e senza che mai potesse bastare lo spazio, come se ci fosse, per le persone che la abitavano, insieme a lei, la necessità di colmare il grande vuoto che la madre di An aveva lasciato; An, il nome mozzato, come le ali in volo di un angelo, che impreparato a volare e a planare tra gli spazi stretti dei posti ancora sconosciuti, inesplorati, perde il controllo e le spezza.

Tutto, di quella grande casa, respirava come l’ingranaggio di una perfetta macchina umana, e nessuno oggetto stava lì poggiato, casualmente, no, esisteva la sua storia, il suo viaggio, la sua ragion d’essere: oggetti contemplati dalla mente e magicamente materializzati, nel reale desiderio dell’essere posseduti, una volta lì, disposti nel loro prestabilito ordine, avrebbero persino parlato, sprigionando, a chi avesse avuto la pazienza di ascoltarli, una insolita atmosfera elettrizzante.

Quell’ insolita atmosfera non era da attribuire unicamente ai decorosi e antichi oggetti che arredavano e rendevano pregiata quella grande casa, tutto conviveva sinergicamente con lo stesso luogo in cui l’architetto aveva scelto di strutturare l’intera abitazione, in base all’orientamento solare, offrendo ogni confort a chi l’avesse poi comprata.

La casa era esposta a Sud e le sue diverse stanze disposte secondo precisi criteri per creare zone adatte alla funzionalità del vivere quotidiano strettamente connesso con l’ energia naturale del calore solare.

Le zone giorno, collocate a Sud per essere irradiate dal sole, le camere da letto nella parte Nord-Est della casa, dove il sole sarebbe arrivato a metà mattina, ma che all’alba avrebbe fatto filtrare una tenue luce per accompagnare il risveglio di ognuno con dolcezza.

An era il ritratto perfetto di sua madre e non solo nei tratti esteriori, ma in quelli più intimi.

Nonostante quell’enorme assenza, quei pochi, ma vividi ricordi li aveva alimentati ricostruiti nel suo cuore, riscritti ogni giorno, vivendo per se stessa e per sua madre cercandola e ritrovandola in quel profumo, in quel soffio di vento autunnale che ripuliva le miserie del mondo .

Come d’autunno cadono le foglie e il vento leggero le sistema, An si veste di un nuovo profumo e lo sceglie in base ai ricordi che questa stagione sprigiona nella sua mente; è l’odore della cannella, quella dolce fragranza zuccherina, che la riporta nel passato, tra la propria fanciullezza e la delicatezza degli affettuosi gesti di sua madre, teneri e liberi da ogni schema .

Era il Vento propiziatorio della rinascita, dopo ogni ferita, pensava An, rimane uno spazio aperto dove nuova luce riesce ad entrare, e allora qualche volta c’è anche lo spazio per pensare di vincere uno splendido regalo, dopo una lunga attesa fatta di battiti di cuore

a ritmo cadenzato fino a creare , secondo gli stati emotivi, splendenti sinfonie ancestrali. Erano molteplici e svariati i suoi stati d’animo e la sua mente pur controllandoli spesso si perdeva, ma dove lei si perdeva ritrovava la sua ragion d’essere, inventando un mondo diverso per proteggersi semplicemente da quello reale.

 

Quanto Odio quanto Amore

  • Cosa stai cercando di dirmi
  • avrei voluto scrivere di lui e forse non l’ho mai fatto, come se non fosse mai esistito, ma c’era eccome … anche adesso, ma non so da dove cominciare….
  • E forse questa storia, la sua storia è la tua e non vuoi accettarlo.
  • Non riesco a chiudere gli occhi e nemmeno ad aprirli, ho visto il suo dolore, ma non sono certa che lui lo conosca, a volte credo che lo abbia regalato a me, per non sentirsi solo….
  • Il tempo sta per scadere e poi dovremmo vederci tra un mese, mi sembri sconvolta… non potrò diminuire il dosaggio …ora dobbiamo salutarci altri pazienti mi aspettano stamattina…..
  • E poi decisi, decisi che non ne avrei mai più parlato, in fondo era uno sconosciuto, il mio analista, perso in infinite storie, diverse o forse tutte uguali, non lo consideravo mio amico e neanche un salvatore, sceso a tirarmi per i capelli, prima che cadessi giù negli abissi, da dove difficilmente si riesce a tornare su senza contraccolpi .
  • Certo ci saremo rivisti, ma forse non con la stessa cadenza temporale.
  • Ora c’era il mio tempo, il tempo che volevo donarmi senza dover consultare nessuno.
  • Di nessuno mi circondai se non del mio pacifico-silenzio.
  • Il silenzio è una buona cosa, non si è mai soli davvero nel silenzio, anzi , almeno per me, significa, concedersi nuovi spazi nei quali poter fare entrare una marea di pensieri, persone, ricordi, sogni, errori, sconfitte, vittorie, e poter far fluire nuova luce, riordinare ciò che ancora di irrisolto esiste e persiste in me, non solo in me.in un oceano di silenzio

. So che mi aspetti .

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Sto per chiudere gli occhi .

Ho deciso di non badare alle lancette dell’ orologio, voglio perdermi per un po’ , adesso, insieme a te che invece stai comoda a sorseggiare il nostro preferito drink, dentro me.

Sono sola, nella mia stanza , ho fatto una gran fatica nell’attimo in cui ho chiuso la porta, perché questa è l’ultima volta forse che mi allontanerò da tutto il resto per proteggermi dalle mie paure , seduta per riconoscermi , ci ho messo del tempo per capire, e ora so che tutte le volte che ho voltato le spalle l’ ho fatto per Noi.

Riesco a sentire il tuo battito di cuore , si sincronizza al mio, insieme ai battiti di vento della nostra collina, immagino di averla dipinta proprio io,  col suo grano ancora verde che ondeggia con me, sotto questo azzurro cielo, oltre quella porta chiusa:- sono ovunque, sono la mano che scrive, sono la mente che sogna, sono il silenzio delle mie parole, sono il ricordo disteso, e spicco quasi un volo dritto verso la tua vita…..

Immagino di essere arrivata verso la fine di un lungo viaggio e tu sei la mia barchetta che sta attraccando in un posto sconosciuto, ancora da scoprire ancora da conquistare.

Un giorno ti vedrò

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Un Giorno ti Vedrò

Una storia per te, che possa arrivare dritta al tuo cuore, non so per quali vie, ma so che arriverà a destinazione.

A te che hai reso fantastici quei giorni di prigione, giorni di Libertà….

Arrivederci Andy, ovunque tu sia!!!

“ La linea della Vita, come quella che trovate sul palmo della vostra mano, non è dritta, è piena di curve, di ostacoli, per la linea della nostra vita non troviamo il manuale delle istruzioni, e un giorno la linea della mia vita era diventata esattamente un’iperbole dalla folle indecifrabile funzione matematica….

Se hai voglia poi di risolvere la funzione-diceva il mio amico- cerca!!!! Cerca nella tua testa un posto tranquillo, un rifugio nel ricordo più bello della tua vita e da lì Vai!!! Vai avanti e lotta per essere libera di nuovo libera!!!”

Era una gabbia di matti, ognuno con il suo filo esistenziale spezzato, eppure nei loro occhi , la luce non si era spenta:- “la Luce della consapevolezza”-.

Loro vagavano a passo svelto, lento, di nuovo svelto, stringendo i pugni, graffiandosi i denti per non urlare.

Quale luce allora?

La Luce negli occhi di quelli consapevoli che non torneranno indietro, non guariranno mai totalmente, la luce negli occhi di quelli che un giorno hanno deciso di fare un grande salto, fuori dalla gabbia , fuori da ogni regola, fuori da ogni schema umano, perché di umano nella loro vita non è rimasto nulla da condividere…

Un coraggioso salto che li ha catapultati nuovamente in gabbia, una nuova gabbia blindata , la zona morta, la zona bianca , neutra, linda, profumata, antisettica, antiincendio, antistress, antipanico…..

Quale luce allora?

La luce negli occhi di quelli che sperano di trovare una via di fuga, e la troveranno nella cura, la cura giusta se saranno fortunati, e che non faccia sentire il loro corpo sempre pesante, flaccido, e il più delle volte così rigido da camminare come un robot.

 

Si chiamava Andy, e giuro, non scorderò mai i suoi occhi, il suo viso, il suo corpo, i suoi respiri e ogni cosa che ci girava intorno, senza che fosse per sempre.

Non so che fine abbia fatto, ma spero stia bene, spero! Spero stia meglio di come e dove io lo avevo lasciato.

Sono passati anni e, nonostante la distanza, la distanza l’una dall’altro, ho chiara, nitida l’immagine, il corto di quel pezzo di vita che, se non fosse stato per quella mia girata di testa, non avrei mai vissuto.

Il trascorrere del tempo non affievolisce i ricordi, almeno per me.

Il trascorrere del mio tempo, i ricordi li accentua, li allunga a dismisura, li salvifica, li perdona, li culla: il mio tempo è una calda coperta invernale, serve per riscaldarmi durante la notte, il mio tempo è una madre che lo rende accogliente anche nei momenti in cui non lo è stato.

Vidi Andy la prima volta al di là di una porta a vetro, mi salutava con un mezzo e spietato sorriso facendomi segno di vittoria con le sue dita (potevo distinguerlo bene quel segnale) appiccicate sulla vetrata.

La luce della mia camera presto si spense e filtrava a malapena il colore rossastro di un macabro tramonto,

pregavo che non si spegnesse, che non calasse giù il sole, eppure mi salutò, lasciandomi nel buio della notte più lunga della mia vita.

Legata alle caviglia, legata ai polsi…. Nessuna possibilità di muovermi, nessuna possibilità di chiedere aiuto, caldo, così tanto caldo da non respirare.

Non dovevo agitarmi, non dovevo piangere eppure scendevano lacrime, mi solleticavano il viso, ma non era piacevole, esse arrivavano sino alle labbra insieme al muco del mio naso e io non potevo asciugare, alleviare il dolore.

Pensavo alla morte e pensavo alla vita e per quest’ultima decisi di scegliere, così cercai di calmarmi pensando al giorno dopo , che se mai fosse arrivato dovevo essere sveglia.

 

La vetrata alla destra del mio letto regalò finalmente una bellissima vista del nuovo giorno nascente e in quegli attimi donai un’intensa preghiera al mio dio, perché sentivo di avere ancora energia nell’anima e nella mente.

La porta scricchiolò forte ed entrarono quattro infermieri, erano giovani, io più di loro.

Prima di slegarmi diedero una veloce pulita al mio viso, usarono del cotone asciutto e piano fui liberata.

Avevo bisogno di un bagno e gentilmente con voce decisa chiesi di poterlo usare.

Mi lavai subito la faccia e amai l’acqua, fresca – limpida.

Tornai in camera e loro erano lì ad aspettarmi, ma sapevo che il peggio era passato.

Gli ospedali non sono il genere di luogo per cui mettere una firma e starci una vita, ma se posso dirla tutta, ce ne sono certi che sembrano delle oasi.

Questo era blindato, toccò a me rendere accessibile, in una soleggiata mattina, il giardino, che noi pazienti scrutavamo, come se fosse la cosa più bella mai vista prima.

Le porte furono aperte dal caposala e a noi sembrava ci avesse regalato tutto un mondo da scoprire: “ Che gioia, vederli accarezzati dal sole, rilassati, in pace con loro stessi e penso anche con il mondo intero”.

Eravamo tutti nel giardino, nel nostro spazio di Luce, nel nostro spazio conquistato, dopo giorni d’aria condizionata, di luce a neon, ognuno con le sue lamentele da riportare al caposala, che se non sapevi prendere dal giusto verso ottenevi come premio la giusta dose di sedativi e se avevi magari alzato il tono della tua voce ci potevi aggiungere i bracciali da polso su un letto così bianco, che per protesta lo avresti decorato volentieri delle tue feci.

Quel piccolo giardino ci ricordava della vita, e mi riferisco agli odori, ai colori, al lieve vento che ti accarezza il viso, alla possibilità di alzare gli occhi per scorgere il cielo infinito; solo chi ha provato una volta almeno la gabbia può sentire la grazia che si nasconde dietro questi elementi, riconquistarli, perché se ci sei stato troppo tempo nella gabbia, gli elementi della vita ti possono investire con tale potenza da averne paura.

Andy si tolse la t-shirt rossa, mostrandomi un fisico asciutto e allo stesso tempo scolpito, aveva dei tatuaggi e i suoi occhi , punti dal sole, mi facevano vedere meglio il loro colore, verde acceso occhi brillanti come non ne ho visti più.

Aveva una lunga barba, così una mattina mi svegliai di lena con un solo desiderio, svegliare Andy e ripulirlo, volevo vedere bene i dettagli del suo viso.

Seduto sul bordo della vasca da bagno mi accolse sulle sue gambe e io cominciai a tagliare.

Pensavo tra me che stessi facendo la cosa più dolce ed elegante che una donna possa fare ad un uomo e io l’avevo visto fare solo nei film.

Così anche io avevo eseguito quello che per me era da considerare un vero e proprio rituale magico, un po’ come quello del nodo alla cravatta .

Andy mi chiamava bimbetta e forse aveva ragione, mi trovavo esattamente in quel limbo, tra l’essere una bimba e una donna, è una fase in cui potresti avere gli occhi bene aperti, i piedi ben piantati a terra e invece sei solo una persona inconsapevole, agendo senza preoccuparti delle conseguenze.

E una cosa di cui non mi ero assolutamente preoccupata era che presto, molto più presto di Andy avrei lasciato quel posto.

Il giorno in cui esci dalla gabbia ti senti euforico e nello stesso tempo hai una stretta in gola a dover salutare chi invece deve restare.

L’ibernazione forzata era terminata.

La gabbia si apriva e si richiudeva alle mie spalle, che voltavo, sicura di vedere, per l’ultima volta il mio amico Andy.

Ps: La Libertà non è un regalo è una conquista, una conquista delle nostre anime e delle nostre menti, così fragili e nello stesso tempo così potenti che spesso non sappiamo dominarle.

Libera è l’anima di superare le prigioni della mente

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Nel cuore tieni nascosto il meglio di te e se lui saprà trovarlo accettalo.

Il cuore poi dovrà salire in gola e ti consolerà la sua presenza, perché irradierà calore e dolcemente rinfrescherà i tuoi sensi…

Ancora sarà nelle tue mani quel mistero che senza paura imparerai a conoscere…

I tuoi spazi non saranno solo una tua prerogativa, perché a lui li aprirai fino a raggiungere la contaminazione perfetta…

Avrai il coraggio di farlo, senza chiederti per quanto tempo durerà.

Aspetterai un segno che renda possibile la visione di ciò che tutti noi vogliamo che sia solo una visione: quel posto tranquillo, dopo una giornata agitata, lo curerai nei dettagli, lo riempirai di tutto il necessario sia per lui che per te.

Cercherai di renderlo luminoso, energico, perché vi rappresenti e possa essere dimora di sereni sogni e progetti importanti, futili e possibili.

Non andare via senza lasciare traccia

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Bisogna dirsele le bugie, bisogna crearsela una via d’uscita per salvarsi dalla verità.

Il suo essere silenzioso la stava allontanando sempre più dai devastanti mormorii della restante gente di quella piccola città.

Una visita inaspettata, all’incrocio della sua vita l’ aveva profondamente segnata nell’ essere regredita o progredita a bastare per se.

Era il perfetto disegno del suo volto a regalarle milioni di discorsi, immaginava in quel disegno milioni di parole, sussurri, desideri che avrebbe voluto fossero anche i suoi.

Lo sapevano entrambi che i sogni importanti non si svelano . Loro li celavano in quel velo appena lucido che sta sugli occhi di poche persone, la presenza di quel velo dolcemente svelava ogni sforzo vanificato per essere felici.