Quella cosa che

Proprio quella cosa che cagiona la risolutezza nel non volersi prestare a un gesto del quale si disconosce. E continuare a rimarcare il no, senza che venga preso in considerazione determina la discussione. E ci si sente sottovalutati, proprio come se non contasse il proprio punto di vista. Trattenuto a mala pena come un disagio.

Non sono in grado di agevolare atteggiamenti che svalutano la mia capacità di voler poter scegliere di fare o meno una determinata cosa. E quando la parte opposta constata il rifiuto si indispettisce come fa un bambino capriccioso al rifiuto delle caramelle. E da un lato un pò comprendo, perché volere che certe situazioni vadano concretizzate rientra nella piena volontà di chiunque.  Tuttavia, non si può esigere di forzare la parte opposta, che di suo non intende darvi seguito.

Diventa inevitabile lo scontro.
E una delle due parti rinuncia e va via, salvaguardandosi dal cedere a una cosa nella quale non crede.

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Dire

Per ogni cosa da voler dire ne sbuca fuori un’altra che ha il compito di trattenere le altre. Si pensa che seguire l’istinto possa essere la scelta e, di solito  è quella giusta, ma bisogna essere addestrati a riconoscerlo. Ci sono volte che ci sente di far parte di una sorta di schiera di persone che della logica ne fanno il loro porta bandiera, e che non riconoscersi nella totalità delle sensazioni derivanti dalle giornate belle conduce a essere condannati alla razionalità.

Per le cose capaci di avvolgerci, come ad esempio un abbraccio, dovremmo perseguire una tale pratica che regala meravigliose sensazioni, tutte atte ad appagare i sensi e la mente. Alcuni sono memorabili per quanto mi riguarda, soprattutto quelli inaspettati che provocavano una altissima emozione unica, lontanissima da quella tipica smania della noia, poiché un abbraccio implica la virtù della leggerezza della gioia.

Un abbraccio diventa una scossa che allarma l’emozione e non corrode, ma è una compagnia salutare, da non poterne fare a meno.

A me manca.

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Quella volta che

Qualunque sia la motivazione che spinge a scrivere non sarà mai del tutto libera e assoluta, dato che si lascia  esclusa  la parte intima  il più delle volte. E si fa volutamente, sebbene spinti da qualcosa di indefinibile, ma che tuttavia diventa un modo di preservare noi dal resto del mondo.
Siamo sempre un pò critici su noi stessi, sui giudizi che ci riguardano e, tentiamo di passarci attraverso magari evitandoli per non sentirci oggetto di interesse non richiesto. Di solito le persone vedono ciò che non riescono a vedere ed esaltano il peggio, anche se non c’è o è poco e, si appropriano entrando con circospezione, a volte a gamba tesa nelle vite di coloro, che in realtà, nemmeno conoscono per dire la loro,  a prescindere.
Tuttavia, poco importa di qualunque idea ci si possa fare di chiunque, fatto è che ci provo a svestirmi un pò interiormente, ovviamente, senza una linea precisa, ma scorrazzando di qui e di li.

Dopo la fine che sopraggiunse riguardo a tutto quanto fosse stata la mia vita, mi resi irreperibile alla vita stessa. Non avevo molte persone intorno, ma quelle poche, sebbene con fatica, lasciarono che io potessi fare ed esprimere il dolore, che sembrava indefinito e, straziante e persino inutile, dato che giunse il momento nel quale sentivo il vuoto simile alla morte. Se non avverti le sensazioni è segno che sei morta, continuavo a ripetermi e, non è che mi dispiaceva poi tanto, tutt’altro, sarebbe potuto essere il giusto ritrovo per il mio ristoro interiore  e, tornarmi utile.

Dormire era il mio modo di sopravvivere. Presi l’aspettativa dal lavoro e, trascorrevo il tempo dormendo più che potevo. Giorno dopo giorno assaporavo quel vuoto interiore che sembrava alimentarmi letteralmente. Svegliarmi, poi fare la doccia, indossare la vestaglia, nutrirmi e, neanche bene e, accendere la tv senza guardare ciò che trasmettevano e, poi tornare a dormire ancora.
Durò qualche tempo sempre uguale.

Un giorno, dopo che ne erano trascorsi tanti smisi di dormire e, non fu per mia scelta, ma stranamente sentivo di essere sazia di sonno e, così qualcosa cambiò. Non di molto, a dirla tutta, ma situazioni del genere comportano modifiche seppur piccole, che rendono le cose diverse per chi le vive sempre nella stessa maniera per tanto tempo. E così divenne meno ossessivo tutto quanto, anche se, non saprei spiegare come.

Qualcuno chiese al mio medico di famiglia di vedermi, parlarmi, ma era una scusa dato che volevano assicurarsi della situazione personale che vivevo. Temevano il peggio ovviamente e, così un giorno squillò il telefono. Dissi  quasi subito al medico che stavo bene e, che non mi serviva nulla, e ringraziandolo per l’interessamento. Da parte sua ricevetti comprensione riguardo al mio stato d’animo e, disse che avrei potuto scrivere le mie giornate e gli stati d’animo che provavo, nel modo in cui li sentivo e vivevo.

Non sarebbe stato complicato, a suo dire. Dare vita ai pensieri, seppur scritti li avrebbe resi vivi nel bene e nel male, e guardarli nella loro interezza sarebbe stato un modo per affrontarli, anche soltanto guardandoli male.  Li per li la cosa mi sembrò uguale alle altre che mi proponevano, con le loro buone intenzioni di portarmi un qualche beneficio, ma lasciai correre. Poi un pomeriggio accesi il portatile, lessi la posta oramai vecchia da tempo, risposi e dopo casualmente vidi la pubblicità della home page dei blog che transitava.

L’idea nacque subito. Creai un blog e iniziai a scrivere piccole frasi. Capii dopo aver visto la curiosità suscitata che erano lette. Man mano quelle frasi diventarono sempre più numerose sino a definire e descrivere cose che, probabilmente  sarebbero rimaste nascoste al buio dentro di me. Le persone interagivano e, mi piaceva avere a che fare con le loro parole gentili e comprensive. Un giorno scrissi un post diverso dal solito, nel quale descrissi cose dure e difficili vissute, insieme a quello che sentivo compresa la rabbia, e il mio dissentire da quella cosa accaduta e,  non voluta.

Non avevo idea di quanta considerazione potessi ricevere e, soprattutto le esperienze raccontate ricevute da chi si immedesimava nella mia condizione, che iniziava a cambiare diventavano numerose. Affrontare le cose, sebbene raccontandole mi aiutava non poco e, di conseguenza io aiutavo gli altri e, tra i tanti uno di loro era particolarmente triste, ma pronto a dire parole sempre incoraggianti, nonostante tutto.

Diventammo amici di penna. E scoprii un uomo non più giovanissimo e solo, lontano dagli affetti e distante dalla sua città, che ricordava in ogni occasione e, che sperava di tornarci, magari in mia compagnia appena fossi stata in grado di avere un umore migliore capace di farmi apprezzare le bellezze di quel luogo, che lui sapeva descrivere così bene da farmi essere tanto partecipe da poterla vivere attraverso le sue parole.

Attraverso il tempo che passava parlavamo al telefono spesso. Ascoltavo le sue vicissitudini e, le sue giornate e, quelle volte che lo facevano  sentire  meno solo. Ero contenta di poter dare un qualcosa, come il mio tempo a qualcuno simile a me, nella medesima condizione. D’altro canto lui mi considerava oramai un’amica e, questo mi faceva sentire ancora un pò viva.

 

 

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Andando

Può darsi sia semplice la solitudine acquisita, e non la volevo affatto,  ma la  vivo come se non mi riguardasse affatto per non darle un senso, che non ha.

E allora prendo le emozioni a piene mani, e le guardo dritte sino in fondo, e penso che quello che procurano ti ledono le intenzioni, e le affronto come si fa quando le tenebre coprono tutto intorno.

E vago tra il buio che si fa lungo, e la luce che accorcia le ombre, e penso di rimestare tutto così che io possa allargare l’orizzonte, e camminarci dentro.

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E senti che

Si scrive, soprattutto, quando senti che muori dentro, e per una improbabile ragione senti, che vuoi accompagnare la tua morte interiore insieme alla nostalgia, che diventa inesplicabile, e allora butti giù parole e parole, che sanno dire dei contorni che racchiudono le sensazioni, che delineano fronti al di là della reale condizione, e ci naufraghi dentro, e ti accorgi che ti piace.

E le usi per dare senso alla sofferenza, che ubriaca dentro, e si trasforma come un veleno salvifico.
E poi c’è la disperazione, che conduce a un sillogismo dell’esistenza amara, caduta fuori dal tempo, e capire dell’inconvenienza di essere nata, e sottopormi poi a un vero sfogo con la mera illusione che lavi le ferite.

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Vivere

Emotivamente sono anni che vivo ai margini dell’esistenza, privandomi di lagnarmi come avrei potuto e dovuto fare, lasciando che le ore vivessero la loro essenza dentro alla instancabile malinconia che mi governa.
In concomitanza ai pensieri dal sapore amaro e, acre delle lacrime nascoste, involontariamente rivelatasi necessarie, seppur la loro natura disorientate fosse naturale.

Questo distacco voluto e perseguito ha reso lo scorrere dei giorni come se avessero intrapreso la loro natura senza destare in me alcuna voglia di modificarli.
Mi ci sono immersa dentro al mio tempo vuoto per nulla colorato, e per nulla ambito, con la convinzione sempre più marcata, che se vivere o essere mai nata non facesse differenze.

Nella vita ti ci trovi dentro per una volontà che non è tua, nessuno ti chiede il permesso di nascere, ma nasci a prescindere senza sapere perché, e senza nessun formalismo a cui attenerti, e prima o tardi oscilli tra il concetto di astrazione e quello emotivo che diventa difficilmente catalogabile, e pensi che equivale al nulla durante il tempo che scorre attraverso.

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E’ un ricordarsi di un tempo che fu

Fu una volta diversa da quelle che costantemente mi caratterizzavano dopo anni di ricerca di serenità, che tanto anelavo dopo un periodo trascorso faticosamente, insieme alla sofferenza, e alla speranza.

E dato che una volta ci credevo a quest’ultima pensavo fosse d’aiuto, invece s’è rivelata incapace di qualunque possibilità di superare un evento dolorosissimo. Lo sostengo spesso che la speranza è illusione, e non vale la pena darsi alla macchia trascurando la realtà, perché prima o tardi ci fai i conti.

Sto divagando, perché quello che mi accingo a dire ha poco a che fare con il tempo antecedente a quello di cui sopra, ma a uno che si è susseguito dove segni ben evidenti di miglioramento apparivano concreti per fare qualcosa di nuovo, e ne fu la ragione per intraprendere quel viaggio breve.

Scelsi il treno come mezzo di trasporto, e fu per dare un senso diverso al mio viaggio dato che evitare di guidare mi avrebbe fatto assaporare ogni attimo di qualunque cosa sarebbe stato. Erano tanti anni che non mettevo piede su un treno, e me lo immaginavo di ultima generazione e pulitissimo, e non come quelli di un tempo dalle linee spartane, e spesso disordinati. Tuttavia,  il treno specchiava del tutto quelli di una volta. Niente novità nel compartimento che era simile a quello del ricordo, che vederlo  riportò alla memoria persino  il medesimo odore di un tempo che era lontano.

Presi posto dopo aver sistemato il mio bagaglio con l’entusiasmo della viaggiatrice avventurosa pronta a godermi il tragitto sino a destinazione. Il vocio alimentava la curiosità per gli altri viaggiatori, che sembravano propensi a condividere chiacchiere tra il rumore forte del treno stesso, che incitava le voci a sopraffarsi tra loro. A me piace parlare, e lo faccio spontaneamente, e questo influisce a relazionarmi con gli altri facilmente.
Dapprima sorrisi e poche parole, poi tutto diventava spontaneo, e dirsi, e persino raccontarsi era molto naturale. E tra conversazioni e sorrisi giunsi a destinazione a sera inoltrata.  –

Alla  stazione mi accolse colui che non vedevo da anni, che mi aveva invitata più volte a trovarci proprio dalle sue parti. Vederlo fu come un ritorno al passato, sebbene fosse  praticamente uguale ad allora con quel suo sorriso bello, ora aveva il viso coperto dalla barba incolta brizzolata, che dava risalto i suoi occhi verdi sorridenti. Mi venne incontro appena scesi dal treno e mi strinse a sé per un tempo indefinito. Era il suo solito fare sempre affabile e scanzonato. Ricevetti una sensazione che tornava dal passato, che si trasmise come fa il sole quando lambisce la pelle.

Arrivammo nella sua casa, e appena entrati sentii l’odore dei ricordi, quelli  che non ti abbandonano, se non per il tempo vissuto lontano da quel luogo per far ritorno in quel momento.
Sistemai il mio bagaglio nella camera degli ospiti, e subito dopo tornai nel soggiorno dove si sentiva la legna che scoppiettava dentro al camino. Mi sentivo come se non fossi mai andata via da quella casa. Da ragazzina praticamente ci vivevo, non c’era giorno che non ci andassi; era la mia seconda casa, era quella del mio amico più caro che avessi ed eravamo sempre insieme.

Pomeriggi  vissuti a  studiare, a fare scherzi, a ridere,  a piangere sulla sua spalla quando la delusione per qualcosa mi arrivava addosso. E lui a consolarmi, a parlarmi e ad ascoltarmi ogni volta. Crescendo le nostre vite si separarono, e furono pianti e nostalgie mentre ero lontana, che si attutivano quando tornavo e si amplificavano quando ripartivo.
Poi mi innamorai dell’uomo che sposai e lui, il mio amico divenne un ricordo sempre custodito, ma non ci vedemmo quasi più. E ora dopo tanti anni, che sono sola lo rivedo ancora, e mi sembra di sognare e di tornare come allora quando ogni sguardo sapeva di intesa, e ogni parola generava qualcosa che ci rendeva uniti e complici.

Mi guarda e sorride, mi invita  davanti al camino acceso con un gesto della mano che batte sul divano. Mi siedo accanto a lui e parliamo di me e di lui. Delle cose vissute nelle nostre vite, e poi ancora tornammo ai tempi passati insieme accompagnate da risate fragorose, sorseggiando vino.
E soltanto quando svuotammo la bottiglia di vino mi accompagnò in camera, mi abbracciò, mi sorrise dandomi la buona notte, per avviarsi poi  nella sua camera.

E ora a letto  mi sembrava strano non trovarmi nel mio.
Tornata in quel passato pieno di infinite cose tutte vissute, e da ricordare di nuovo, vivendole.

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Paure

Non riesco a togliermi dalla mente l’idea di quanto ho vissuto ieri, sebbene oramai è più di un mese che viviamo l’attuale disastro del virus che ci schiaccia in ogni maniera, e che si combatte con forza per quanto possibile.
Non uscivo di casa da prima delle restrizioni, e ho dovuto farlo proprio ieri, mal volentieri devo ammettere, ma vivendo sola devo far fronte alle mie necessità, e così sono uscita per fare la spesa. Avevo già visto alla tivù le code di persone in attesa per entrare nei supermercati, e mi appariva frastornate, ma viverlo di persona è stato sconcertante. Non per l’attesa in sé, ma per la inusuale situazione che somigliava a una specie di auto-costrizione civilissima.  Tenere il passo alla fila molto ordinata e silenziosissima, è stato persino toccante.

Le persone corrette le ho viste ieri, li, con gli sguardi attenti, quasi sommessi in quella circostanza unica, che portava al  rischio di contagio, perché nonostante ci raccomandano di indossare la mascherina, non tutti possiamo dato che sono letteralmente introvabili, e diventa improponibile uscire di casa senza, e lo si fa se è necessario.
Tuttavia, alcuni escono per ragioni che appaiono insensate a coloro che rispettano il prossimo per un senso civile e di buon senso. Si muovono e si rincorrono per fare comunella a chiacchierare e ridere, senza preoccuparsi di tenersi a distanza di sicurezza. E dopo tornano nelle loro case senza chiedersi se insieme a loro  hanno portato il virus che non si fa alcuno scrupolo ad attaccare i loro cari. Probabilmente costoro non capiranno mai l’emergenza attuale, non capiranno la paura di chi si preoccupa e di chi si ammala, di chi purtroppo muore.

Non è facile, e ho paura e non serve specificare per cosa, in fondo abbiamo un pò tutti questa paura, e non ci sono canti e nemmeno rassicurazioni illusorie a farci tranquillizzare, perché dopo tutto stiamo vivendo una pandemia causata da un qualcosa del tutto inaspettato.

Al peggio non si è mai abituati. Il peggio arriva e travolge, e spetta a noi rimediare il salvabile stando in casa tutti quanti, aiutando coloro che senza risparmiarsi  salvano chi si ammala.
Questa immane tragedia ci cambierà o forse  siamo già dei sopravvissuti.

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Riflessioni riflesse

Per quale motivazione  si esula dal voler rivivere i giorni e i mesi, e persino gli attimi, quelli difficili e dolorosi che trafiggono come lame taglienti ogni istante che accompagna il respiro, proprio non so spiegarmelo.

Eppure sembrano bazzecole quelle giornate di sofferenza oramai estinte come lo sono le Ere geologiche, ma tuttavia presenti, perché per alcuni tratti le rivivo con un ruolo preciso da spettatrice che sfoglia pagine di  pezzi di vita vissuti.
La sensazione che rimane addosso è quella simile che si prova dopo aver guardato un film che lascia emotivamente toccati. Dopo giunge la consapevolezza di smettere di fare da protagonista di quel passato che non c’è, poiché adesso appartengo al presente, e  così quel film perde quella valenza da sempre attribuitagli, seppur continuando a guardarlo, di tanto in tanto, cerco di farlo con distacco, e a seguire spengo lo schermo e vado avanti.

Tornando alla motivazione iniziale mi trovo al punto di partenza.
Nessuna risposta sensata, e nessuna idea del perché e del come, pertanto rimane in sospeso come un respiro a metà.
Probabilmente se la tristezza giunge inaspettata una ragione deve esserci, anche se poi lascia il posto alla malinconia, che seppur meno aggressiva lascia i suoi segni prima di attenuarsi sino a sparire apparentemente, ma poi fa il suo ritorno comunque.

 

 

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Cose così

E’ strano avvertire una tenerezza improvvisa che cresce e si solleva, e si muove come un onda intrappolata nel suo stesso spazio, che arriva a strattonare le emozioni.
In mezzo ci sono molteplici avvenimenti tutti vissuti a pieno tra le pieghe del cuore carico di colpi, che hanno modulato il suo battito.
Il pensiero colmo durante giornate caratterizzate da quella presenza costante, e mai assente hanno reso così vivido il vissuto, e lo hanno arricchito e costellato di sensazioni piene ed esplosive in concomitanza ai battiti del cuore relativo a quello  che era stato, ma che era già.
Anni completati da una costante incursione che mostrava ogni suo segno con infinite sensazioni belle belle, sembrava facesse capolino come un improvviso raggio di sole durante una grigia giornata.
Non so se cose come queste possano davvero finire, e se succede credo siano soltanto un’idea che nasce dalle circostanze che conducono a dare scompiglio a tutto, e a  demolire quella magia creata anche solo con un sorriso e poi apparentemente finita.
Poi qualcosa si spezza e qualcuno si sente ferito e senza dire nulla le cose piano piano si sgretolano.
Succede pure che se ne parli, ma sempre con i guanti per evitare di dire cose che irrigidiscono mettendo a rischio la chiarificazione, e andare avanti ancora, ma con la consapevolezza interiore e nascosta che nulla è come prima e forse mai lo sarà.
Si va avanti prendendo per buono che così va anche bene, perché il bene profondo quello c’è sempre, ma non è abbastanza.
E non dirlo provoca illusioni, che trovo fasulle se venissero  denudate.

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