Perchè il tempo passa, anche se non vorrei…

Tutto quello che è secco cade, cosa che riguarda le piante ma ancora di più il culo delle secche, per l’appunto.

La scienza non aiuta. Ogni tanto scovo qualche notizia sorprendente sul corpo umano tipo che gli occhi non crescono durante la vita, gli occhi che ho adesso sono grandi come il primo giorno, diversamente il resto del corpo tende a rimpicciolire, con un’unica eccezione. La parte del corpo che continua a crescere è il NASO”.

Vorrei un giorno, quando sarà… provare a non tingermi più e lasciarmi i capelli grigi. Mi sono informata, si chiama gray transition.
In assenza di colpi di sole o decolorazioni ci vuole circa un anno e mezzo per concludere la transizione. Ci metterei meno a diventare uomo, che gli uomini invecchiano meglio e magari non gli si allunga solo il naso!

Rispetto a quanto preventivava mia nonna, praticante di terrorismo psicologico, per me invecchiare è comunque un ottimo risultato…

Non mettere quegli affari nelle orecchie (il walkman), diventerai sorda. Abbassa il volume della tv, diventerai sorda (e due). Non guardare la televisione così vicino, diventerai cieca (ma, mi avvicino perché non sento un cazzo visto che mi hai fatto abbassare). Stai dritta con la schiena, diventerai gobba.

Le menomazioni acustico-visive-scheletriche proiettate nel futuro si aggiungevano alle nefaste previsioni nella contingenza: non fare il bagno dopo mangiato o muori, non salire in piedi sull’altalena o muori, non togliere la canottiera o muori, non bere roba fredda o muori (ubriacati pure ma a temperatura ambiente).
Però poi andavamo in montagna con la A-112 di zia Marisa e tre cugini li infilavano nel bagagliaio, che manco fossimo stati cuccioli di bulldog francesi importati illegalmente dalla Romania. Ma tanto dentro l’auto si fumava pure, a vetri chiusi perché poi entra la corrente e muori!

La forma dell’amore…

Considera che per essere amore deve stare nel palmo di una mano, così da soppesarlo anche quando stai facendo altro, tipo cucinando. Oppure mentre scrivi o lavori perché l’amore non può essere d’impiccio e nemmeno una distrazione, anzi serve per rassicurarti, come un amuleto a un’interrogazione.
Quindi va da sé che sia più o meno grande, da tenerlo nel pugno ma senza stringere troppo. Poi è auspicabile non sia perfettamente sferico altrimenti rotola via, la superficie meglio se liscia e compatta. Non si deve scheggiare, né surriscaldare, non si scioglie al sole e non fa nessun rumore, non scricchiola…

Non venendo da un altro pianeta è un amore di questo mondo, terreno, serve a curare il raffreddore se lo tieni nella tasca d’inverno, ad allontanare gli incubi delle notti.

L’amore non te lo rubano perché non ha mercato e non si sa mai quanto vale, però è facile smarrirlo, per dimenticanza e distrazione. Lo appoggi mentre ti strucchi, mentre ti fai la barba e non lo ritrovi. Una volta perduto non c’è negozio o boutique per prenderne uno uguale, non esiste un amore di cortesia, una soluzione di passaggio, te lo giri per le mani per convincerti che sia lo stesso, anzi meglio, ma la verità è che una sostituzione non ha mai la giusta dimensione.

L’amore ha la forma di un nocciolo, è il nocciolo duro di ogni cosa. È qualcosa che resta quando è estinta la fame, che pensi sia la fine del frutto e invece lo metti nella terra o nel cotone ed è l’inizio di tutto.

Cinque frasi motivazionali che mi hanno rotto le palle…

Ti diranno di non splendere e tu splendi invece…
Lo so, è Pasolini, lo so suona bene, non so però se a Pasolini piacerebbe essere citato in un qaulsiasi meme del cavolo… Non mi convince la retorica che ne è nata intorno, questo antagonismo tra te, l’incompreso dal potenziale infinito, e gli altri, questi Loro, una congiura di cattivoni, neri, sporchi, brutti, con la faccia dell’odiata prof di lettere delle superiori.
Loro ti limitano, ti tarpano le ali, ti impediscono di esprimerti.
Per spiegare come mi immagino la dinamica tra lo Splendente e gli Spegnenti favorisco un estratto di un dialogo plausibile:
– “Ciao, t’abbiamo visto sai, non ti azzardare a splendere eh!”
– “Come no? Ero giusto qui addobbato con tutte le mie lucine Ikea…”
– “Mi spiace, abbiamo già acceso la lavatrice e il forno elettrico, se ti ci metti anche tu il sistema va in sovraccarico e salta l’interruttore generale”
– “Ma guarda che quest’estate, con tutti i condizionatori accesi una volta ho splenduto, cioè ho splesso, no… come cazzo è il participio passato di splendere?”
– “Splendere è difettivo, vedi che facevamo bene a darti 3 di tema alle superiori, non esiste il participio passato di splendere, quindi spegniti subito”
– “Un piccolo cero alla Madonna posso accenderlo almeno?”
– “Sì, nel tuo caso ci sembra molto appropriato”

La vita inizia dove finisce la tua comfort zone…
Ho sentito citare questa benedetta comfort zone ovunque, al lavoro, in tv, dal panettiere, dalla parrucchiera: esci dalla tua comfort zone, fatti la frangetta. Di solito nei discorsi motivazionali la comfort zone è descritta come un divano comodo, una trappola infernale, il buco nero del successo.
Che cosa vi avranno mai fatto i divani mi domando? C’entra lo sfracellamento di palle delle promozioni poltrone e sofà? So di dire una cosa impopolare ma il conforto per me è l’obiettivo, è il successo, trovare un amore dove stai comodo, un lavoro dove stai comodo, un gruppo di amici dove stai comodo, una frangetta dove stai comoda, mi pare bellissimo.
Eh ma è immobilismo, mi dite, eh ma ho capito, vi rispondo. Però siamo un paese con 2 milioni e mezzo di persone affette da ansia, sono l’unica a leggere una correlazione con la continua frenesia di sfide nuove e il panico di non raggiungere i risultati sperati?
Il vero problema è gestire i momenti di nulla, perché la vita è fatta di un buon numero di momenti di nulla, dove non accade niente e non perché non lo fai accadere, ma perché è così che funziona l’alternanza.
Per protesta voglio essere l’artigiana della qualità della mia zona di conforto, anzi non voglio una zona, voglio un quartiere, voglio un conforto che fa provincia.

Se vuoi qualcosa vai e prenditela…
Sottotitolo se sei triste è colpa tua, vuol dire che non vuoi abbastanza la felicità.
Mai sentita così pirla come quando mi sono resa conto di aver desiderato qualcosa di totalmente fuori dalla mia portata. Non accetto l’idea della felicità come se fosse davvero un obiettivo, una destinazione dove arrivare, prendere posto e basta.
Che angoscia i motivatori che ti dicono di essere il supereroe di te stesso, il giardiniere della tua aiuola lavorativa, l’idraulico dei tuoi condotti emotivi, il carpentiere della tua determinazione ferrea. Secondo i life coach dovremmo avere un livello di occupazione interiore da fare invidia ai giapponesi.

Godi delle piccole cose…
Ci ho provato a godere delle piccole cose. Tipo l’ultima volta che ho volato c’era il tunnel per salire sull’aereo, mi piace sempre quando non c’è la navetta da aspettare. Quindi bello il tunnel diretto. Ho avuto un orgasmo? No, ragazzi, perché poi il mio vicino puzzava come un kebab lasciato al sole per sei mesi e quindi puff, tutta la piccola cosa gaudente portata via dalla grande puzza.
Io sono più della scuola per una parete grande ci vuole un pennello grande. Col piccolo piacere mi ci solletico il retro cranio. Non sarò mai il genere di donna che tuffa le mani nella cesta dei legumi con un gorgoglio di gioia, è una cosa che puoi fare solo a Parigi e solo se sei Amélie.
Dalle mie parti non esistono le ceste dei legumi e se esistessero sono quasi certa che qualcuno le userebbe come posacenere.

Fai della tua vita un capolavoro…
Ed è un attimo che il capolavoro sia la merda di artista del mio vicino di casa…

Le donne dei film…

Le donne dei film hanno sempre un’amica bruttarella. L’amica più bruttarella delle donne dei film nel mondo reale sarebbe considerata una gnocca da paura. Però nel film ha i capelli raccolti e quindi niente, è bruttarella.

Le donne dei film si riposano, la sera, mettendosi i calzettoni e le maglie calde (ma le gambe sempre nude) e si accoccolano alla finestra, le ginocchia al petto, le mani a fiore strette intorno a una tazza di tisana.
Io se mi siedo così, mi gelo il culo con gli spifferi.

Le donne dei film la mattina indossano la camicia di lui, quella della sera prima e preparano una colazione a base di ribes, mirtilli, cioccolata e uniposca indelebili e non si sporcano mai.

Le brave giovani donne dei film hanno sempre una mamma ex sessantottina figlia dei fiori promiscua e mignotta.
A lei va sempre tutta la mia stima.

Le donne dei film, quando è la volta buona, non hanno mai il ciclo.

Le donne dei film si riprendono dalla delusione amorosa di inizio film entro la metà del primo tempo. Noi donne di qua dallo schermo dopo una delusione ci facciamo interminabili film, la completa saga del Signore degli Anelli di film.

Le donne dei film lasciano sull’altare gente come Patrick Dempsey, Kevin McKidd, James Marsden, John Corbett. Per scegliere uomini ancora più fighi.
E noi riusciamo ugualmente a immedesimarci nelle donne dei film. E poi dicono che al mondo femminile non piaccia la fantascienza.

Le donne dei film dicono sempre “dammi cinque minuti” prima di fare sesso con il loro uomo, consentendogli simpatiche gag nella camera da letto. In quei cinque minuti in cui lei si eclissa in bagno, lui rincoglionisce peggio di un San Bernardo in un monolocale, rompendo lampade, annusandosi le ascelle e i genitali, regredendo al livello bertuccia impazzita. Io con uno così manco una partita a briscola.

Le donne dei film non reggono nemmeno lo sciroppo per la tosse, al primo sorso di birra si trasformano in Keith Richard, biascicano, si attaccano alle gambe dei tavoli, poi stramazzano e russano. La mattina dopo, come in Memento, hanno dimenticato tutto e si sincerano di non averla data via al primo che passa. Il primo che passa è come minimo Ryan Gosling.
Che comunque io mi preoccuperei di non avergliela data, non del contrario.

Le donne dei film, dopo essersi sincerate di non averla data a Gosling (fiù meno male, pant pant, sai che disastro, da andare proprio in sbattimento), la mattina appena sveglie, dopo il coma etilico, comunque Gosling se lo limonano duro. Senza nemmeno due gargarismi con lo sciroppo per la tosse.

Le donne dei film amano dire che “gli uomini passano, ma le amiche sono per sempre”. Non si spiega come mai le donne dei film abbiano tante amiche con cui comunque parlano sempre e solo (mi si perdoni la schiettezza) di cazzi.

5 tenere minchiate che ci diciamo tra donne quando soffriamo per amore…

Voglio un uomo forte che mi protegga. Ma manco vivessimo in una favela di Rio de Janeiro, cos’è questa fissazione dell’uomo bodyguard? Da cosa ci dovrebbe proteggere poi? Dai radicali liberi? Dai raggi UV? Dalle paure e dalle ipocondrie? L’avrò sicuramente detto anche io, una delle tante assurdità da chiacchiere e vino rosso…
gli uomini non sono forse fatti della stessa sostanza di cui sono fatte le donne, ovvero fragilità, ansie, slanci, dubbi e qualche certezza?

Gli uomini sono tutti uguali. Adesso, onestamente, se così fosse, se fossero davvero tutti uguali, sarei un’ottusa eterna ripetente della stessa materia. Non so chi ci faccia più bella figura. Ho conosciuto uomini così diversi da avere in comune giusto il pollice opponibile. Le dinamiche, quelle si assomigliano.
Simile sono le potenzialità del sentimento nuevo che ti tiene alta la vita, tutti vogliamo il riflettore dell’amore, ce lo litighiamo.
La conosci bene la fatidica volta in cui sei in coppia, camminate uno accanto all’altra, e incrociate questi due che si stanno baciando, con slancio, profondamente, un bacio che è un richiamo. E ti domandati dove hai perso i baci profondi ed esibizionisti? Ti sembra di meritarli ancora e allora vai a cercarli. Ci siamo passati tutti, uomini e donne, dall’inizio della fine e poi dalla fine che non sembra essere preludio di nessun inizio.

Le coincidenze. I fatti dicono lascia perdere, le parole dicono lascia perdere, le foto dicono lascia perdere, la sua faccia dice lascia perdere, tutto dice di lasciare perdere, il tempo, la distanza, il malumore e le promesse disattese. Il silenzio dice di lasciare perdere, il silenzio amiche è ottimo consigliere… epperò ascoltiamo i fatti, i pensieri, le parole, le opere e le omissioni? NOOO, noi ascoltiamo l’universo che comunica con noi attraverso coincidenze, canzoni, incontri casuali, numerologie e congiunture astrali. Solo che siamo pessime ventriloque dell’universo e gli facciamo dire un po’ il cazzo che ci pare. Su questo cadono anche le migliori.
Comunque, non c’entra molto, ma ho capito che i desideri hanno a che fare con la caduta. Cadono le stelle, cadi anche tu per realizzarti, almeno a me è sempre capitato così. Non bisogna affezionarsi troppo ai propri desideri e non trovare troppo divertente cadere.

Io lo conosco, gliel’ho letto negli occhi. Ricordatemelo la prossima volta, se lo dirò, che non sono un’iridologa. Usate queste parole precise: ma, amica mia, gli hai anche trovato il fegato ingrossato? L’intestino affaticato? Ecco.
Fatemi sentire scema qualche volta, quando sparo certe minchiate, è un segno di affetto.

Mai più. Che uno ci crede pure dopo aver sofferto, che mai più. L’amore è così: sembra impossibile finché non succede, finché qualcuno non ti alza da terra e ti bacia alla stazione!

Io che basto a me stessa…

C’è una gran confusione dentro, molti dei miei pensieri sono cianfrusaglie, solo che non so da dove iniziare a sistemare.
Lo faccio di notte, che tanto non dormo. Ne prendo uno, più che un pensiero compiuto è un fastidio che provo, un’incomprensione con un uomo, roba passata, posso trasformarla in qualcosa di diverso? Restituirla no, perché sicuro lui ne ha una uguale. Riciclarla? La do ai poveri di spirito.
Ho una piccola pila di ragioni che mi sono presa, mi sembrava di averne un gran bisogno… ma della ragione, alla lunga, non te ne fai davvero niente, anche perché è sempre un modello double face, la rigiri e diventa un torto.
Mi ritrovo spesso a fare queste considerazioni, al bastare a me stessa e la mia superficialità. Perché la verità è che sto lasciando posto a un sacco di ciarpame mentale, ho tanti ninnoli quando scarseggiano i mobili.
Domandarsi continuamente a cosa stai pensando e come ti senti di fatto è una richiesta costante di piccole arguzie e poche idee. I risentimenti, per esempio, tutti fronzoli accessori.
Anche le notizie che appoggio lì e non butto… perché non uso questo tempo per, chessò, delle nozioni: com’è fatto un circuito elettrico, dove sta esattamente Benevento sulla cartina, la tavola periodica, il numero preciso di deputati e senatori… Scema io!
Scemo non è chi non riesce a farsi entrare le cose in testa, quando è evidente che è scemo chi non riesce a farle uscire certe cose dalla testa.
Fai pulizia, da brava, sposta le scatole di giustificazioni e di autoassoluzioni e datti da fare che c’è una mente da razionalizzare.

Cose con cui sono scesa a patti…

Sono venuta a patti col fatto che farcela necessariamente da sole, se non è una conquista di libertà, non serve a nessuno. Farcela da sole il più delle volte, significa solo una cosa: che siamo sole.
Sono scesa a patti con il mio corpo, che oggi mi sembra appartenermi in ogni fibra. Con gli anni perderò in tonicità, indubbiamente, ma guadagnerò in comicità. E non c’è niente che liberi di più la carne di una risata.
Sono scesa a patti con la felicità degli altri che è diversa dalla mia e va rispettata esattamente come il dolore.
Non riesco ancora a scendere a patti con l’ombra, il retropensiero che spezza la gioia, e anche se brindo con il migliore champagne mi pare che il cristallo del bicchiere sia incrinato. L’incrinatura non l’ho ancora trovata, ma ci sto lavorando.
Sono scesa a patti con il fatto che, per qualcuno, lo stronzo, l’insensibile, quello che ha sbagliato per convenienza, il superficiale, l’egoista, il narcisista… possa essere io.
Sono scesa a patti con le cose che finiscono, l’amore che finisce.
Sono scesa a patti con la consapevolezza che mi venga più facile amare un uomo in assenza che in presenza, ho cercato spesso il sospiro più che il respiro.
Sto  cambiando.
Ho voglia di scendere a patti con la carne e le ossa dell’altro, con l’invadenza e con la condivisione degli spazi, è meno poetico, ma magari dopo tanta poesia è tempo di darsi al saggio.

Scendere a patti è faticoso ma necessario, sempre e solo se si scende per poi salire un gradino più in alto verso la nostra idea di felicità.

Voglie settembrine…

E improvvisa mi prende ciclica la voglia di avere delle piante, un bel pezzo di giardino con piante e piccoli fiori colorati e api. E improvvisa mi prende ciclica anche questa, la voglia di rimodernare casa, di comprare tanti specchi grandi come brufoli da appendere su una parete con carta da parati, stampe e fotografie, un vaso a forma di testa di Frida Kahlo, piante basculanti al soffitto. E improvvisa mi prende la voglia di una maschera di bellezza, di un balsamo anticrespo. Sono i preparativi della felicità.
Poi non arrivava, non è detto, ma essere preda di quegli entusiasmi propiziatori sicuramente mi salva e mi ha salvata tante volte dal teatro della tristezza.
Immaginarmi compratrice di tulipani la domenica mattina, lettrice scalza di romanzi in riva al fiume tra libellule ronzanti, sbocconcellatrice di croissant con ginocchio destro al petto e piede avvinghiato a bordo sedia davanti a pc portatile sul tavolino del bar, donna che si fa il bagno nella vasca e immerge la testa per annegare i pensieri cupi e schiarirsi le idee. Madre che cucina con i bimbi ridendo delle nuvole di farina e che nelle giornate di pioggia propone giochi creativi con gli scarti della differenziata.
Era dare una possibilità a un’altra me, giusto un esercizio, che poi tanto mai potrei immergere la testa nella vasca da bagno, ho una vasca troppo piccola, se immergo la testa devo tirare fuori i piedi, è probabile che muoia per embolia. Ma pure i tulipani, ti pare che si possano spendere trenta euro per un mazzo di fiori? Cosa sono Csaba della Zorza?
E la mamma creativa, figuriamoci!
Io una che posta il flipper funzionante fatto di tubi di carta da culo e di tappi di bottiglia di bevande bio. NAAAAA
Seguo però un sacco di account di questo genere, chissà poi perchè!!?