E gli uccelli continuano a criticare

Seduto sul cofano di una macchina parcheggiata all’ombra, succhio svogliatamente un ghiacciolo all’amarena.
Sarà il freddo intenso sulla lingua, sarà l’umidità della calura estiva che penetra attraverso i miei fori, sarà che mi risulta facile l’autismo dissociativo, fatto è che mi separo dal corpo e volo alto.

La brezza nei capelli e lo sguardo critico degli uccelli che mi corrono a fianco me lo indica.

Raggi di luce attraversano il cosmo, provo a inseguirli nel vuoto consapevole che la gravità dei corpi distorce tutto, compreso il mio umore che ora volge al peggio.
Ricordi affollano quello che prima era un vuoto rassicurante.
Volti, storie, abbracci e offese mi girano intorno a trecentosessanta gradi. Faccio l’amore e subisco pugni in faccia, mi allatto da mia madre e guido nel traffico come un pazzo. Giudico, perdo, bacio, trafiggo….

“Ahò, che voi pure un cuscino?”

Uomo. Camicina a righe troppo attillata che mostra pancia e tette da climaterio ben avviato, pantaloncini jeans sbiaditi, sandali marrone consumato.
Mi guarda con una faccia appesa come aspettasse qualcosa da me. Cerco di metterlo bene a fuoco per capire a che razza appartiene.
Il mio corpo in automatico scende dal cofano con grazia ed eleganza, noto che la mano che sostiene lo zeppo del ghiacciolo è rossa e appiccicosa.
Senza proferire parola, mi giro e incamminandomi nel viale sotto i platani fingendo un’evidente zoppia alla gamba destra , cerco nella compassione l’arma di fuga più efficace.

Cinquecento metri dopo sciacquo la mano sotto una fontanella e bagno il viso ravviando i capelli. Mi affaccio dal parapetto e osservo il fiume ex biondo che scorre borbottando come un vecchio che la sa lunga.

Due straniere settebellezze mi sfiorano sorridendo come si fa con un bambino con gli occhi spalancati. Non immaginano forse il lupo nascosto che crede di non perdere il vizio.

In fondo è bello restare ancora un po’ su questa terra, ma non comprerò più ghiaccioli all’amarena.