Codice Rosso un anno dopo, più prevenzione e più Stato

codice rosso

Prato – È passato un anno dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (25 luglio 2019) della legge n.69 meglio nota come Codice Rosso. Un insieme di norme redatte con l’obiettivo da parte del legislatore di porre un freno in Italia al triste fenomeno del femminicidio. Dall’inasprimento della pena,all’introduzione di nuovi quattro reati il Codice Rosso è stato una risposta dello Stato al comune sentire della popolazione italiana che da tempo chiedeva mezzi di contrasto idonei alla violenza di genere. Ne parliamo con due esperti del diritto entrambi  in prima linea contro la violenza sulle donne  il Giudice del Tribunale di Roma Valerio de Gioia e l’avvocato Adalgisa Ranucci componente della Commissione Famiglia dell’Ordine degli Avvocati di Roma Sez. Violenza di Genere e Illeciti Endofamiliari.

“Oggi siamo in grado di fare un bilancio che era stato già fatto a fine anno dal Ministro della Giustizia a pochi mesi dall’entrata in vigore del Codice Rosso e dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi”, dice  il giudice de Gioia.
“Quest’ultimo aveva espresso proprio sulla base dei numeri dei femminicidi un parere negativo. Perché se era vero che il dato non era aumentato, lo si doveva leggere all’interno di un calo generalizzato degli omicidi ma non dei femminicidi che purtroppo non si era arrestato”.
Sul bilancio della funzionalità del Codice Rosso il Giudice de Gioia nell’ambito dell’attività che egli stesso svolge,  ha affermato che  “non ci sono stati i risultati sperati, perché laddove il Codice Rosso ha incrementato un regime sanzionatorio con l’inasprimento della pena e l’introduzione di nuovi reati, è vero anche che l’efficacia della prevenzione che ci si aspettava non è arrivata”.
“Ci sarebbero dei margini di miglioramento riguardo al Codice Rosso che potrebbero essere individuati nella fase di prevenzione – ha aggiunto – la persona offesa infatti deve essere ascoltata entro tre giorni dal Pubblico Ministero ma sarebbe auspicabile che l’accesso avvenisse a seconda della gravità del reato (non si può mettere sullo stesso piano una coltellata all’addome con un taglietto al dito!)perché altrimenti si rischia di ingolfare le Procure, come purtroppo avviene e che poi, in quanto prassi non vietata, queste stesse deleghino alla Polizia Giudiziaria”.
Inoltre, de Gioia fa notare che,-sempre in questa prima fase, per le persone che hanno il coraggio di denunciare sarebbe importante l’introduzione dell’incidente probatorio che eviterebbe di rivivere momenti drammatici alla vittima nel  processo che avviene purtroppo a distanza di anni, innescando  la “vittimizzazione secondaria” che è  causa, in molte udienze, di ritrattazione da parte delle persone offese.
Alla domanda se sono previste modifiche del Codice Rosso, de Gioia risponde che ci saranno, ma non sul regime sanzionatorio perché “l’esperienza insegna che anche negli Stati in cui è prevista la pena di morte il numero dei reati è sempre alto”. Inoltre chi vuole violentare o picchiare per far valere l’autorità che pensa di poter esercitate sulla sua vittima, “non si pone il problema se rischia pochi o molti anni di carcere. La violenza sulle donne parte da una diseducazione di base che va combattuta per cui sono convinto che se domani in Italia si introducesse la pena di morte per i femminicidi il numero delle donne uccise non calerebbe. E dunque mi auguro interventi culturali ma anche da parte dello Stato che non può lasciare in balia di se stessa la vittima; anzi nella delicatissima fase iniziale che parte con la denuncia è lo Stato che deve dare garanzie assicurando anche modalità di sostentamento economico come avviene nelle separazioni. Infatti oggi è previsto che nel caso di un provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il giudice può assegnare al soggetto allontanato l’obbligo di mantenimento. Questa scelta va potenziata  perché è una importante tutela economica per la donna. Che molto spesso si tiene in casa il maltrattante perché almeno assicura a lei e ai figli un sostentamento”.
Infine, all’osservazione che durante il lockdown non c’erano stati maltrattamenti familiari a giudicare dalle poche denunce, il giudice Valerio de Gioia ha spiegato: “Non è vero che le donne non hanno subito violenze familiari, perché se è vero che poche sono state le denunce, tantissime invece le segnalazioni. Si era sparsa anche la voce che non si poteva uscire di casa per denunciare.Invece sono aumentati in maniera esponenziali in quei mesi i casi di violenza assistita e di percezione che hanno riguardato i figli minori che in casa hanno visto perché in presenza o sentito i genitori litigare”.
In conclusione il giudice Valerio de Gioia ha  poi invitato tutte le donne a non sottovalutare i primi segnali di pericolo che possono arrivare anche in maniera semplice come ad esempio i messaggi sul cellulare. Perché anche un whatsapp puó essere la spia di un segnale di una mente disturbata, capace trasformarsi in breve tempo in stalking.
A tal proposito, il giudice ha ricordato il caso di una giovane romana uccisa dal suo ex, la cui mamma depose  al processo testimoniando circa le minacce ricevute dalla figlia sul cellulare e da lei non considerate pericolose.
Sulla stessa lunghezza d’onda del giudice de Gioia le dichiarazioni dell’avvocato Adalgisa Ranucci che registra un bilancio ancora in negativo delle vittime di violenza dall’entrata in vigore della legge n.69 . “È pur sempre un primo mattoncino – spiega l’avvocato  -su cui però è necessario costruire affinché si giunga ad una reale e concreta tutela delle donne vittime di violenza. La vera novità del Codice  Rosso è stata l’introduzione  di nuove figure di reato che prima non trovavano una disciplina specifica nel nostro ordinamento ma ciononostante è una legge che non è sufficiente a garantire l’incolumità delle vittime. Purtroppo non sono stati previsti tempi celeri di definizione dei processi aumentando il rischio per la donna di vedersi esposta a conseguenze anche più gravi”.
Sempre secondo Ranucci, l’intervento del legislatore dovrebbe volgersi verso un sistema di prevenzione alla violenza attraverso l’educazione alla parità di genere nelle famiglie e nelle scuole sin dalla primaria.
“E’ necessario stanziare fondi per mettere in sicurezza le vittéme nonché dare loro sostegno affinché denuncino facendo emergere questo fenomeno, ancora in larga parte dei casi, sommerso – conclude Ranucci – è fondamentale mettere in campo interventi mirati per allontanare i violenti dalle vittime e dai loro figli, sostenendo le donne in un percorso di autonomia: bisogna ridare dignità alle donne ma soprattutto far sentire la vicinanza alle stesse da parte ti tutti gli operatori che entrano in contatto con la vittima che devono avere una formazione specifica per poter dare un effettivo e dovuto supporto. Auspico ulteriori modifiche al codice rosso e parallelamente anche in un rafforzamento degli ordini di protezione in sede civile di cui agli artt. 342 bis c.c. e seguenti”.
Avvocato Adalgisa Ranucci esperto in diritto di famiglia - codice rosso
Avvocato Adalgisa Ranucci esperto in diritto di famiglia – codice rosso

Fonte: Stampa Toscana

 

NOTAIO MASSIMO D’AMBROSIO, IL CELEBRE NOTAIO PIÙ CLICCATO DEL WEB!


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L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO – Avvocato Adalgisa Ranucci

L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO – Avvocato Adalgisa Ranucci

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L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

Alcuni esempi di soggetti per i quali è possibile richiedere la nomina di un amministratore di sostegno:

  • soggetti disabili
  • alcolisti
  • tossico-dipendenti
  • soggetti colpiti da ictus cerebrale
  • anziani
  • soggetti affetti da handicap
  • sordomuti e ciechi
  • ammalati di Alzheimer

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L’ amministratore di sostegno viene nominato dal Giudice Tutelare e ha il compito di affrontare problemi concreti come acquistare, vendere, affittare un appartamento, investire somme di denaro, riscuotere pensioni, apertura di conto corrente, presentare domande di invalidità etc.

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Le persone che possono richiedere la nomina di un amministratore di sostegno al Giudice sono:

  • il beneficiario (cioè la persona interessata)
  • i familiari entro il 4° grado
  • gli affini entro il 2° grado
  • il Pubblico Ministero
  • il Tutore o Curatore
  • i responsabili dei servizi sanitari e sociali

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L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

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ESISTE UN RIMEDIO A STRESS, ANSIA, ASPETTATIVE DISATTESE, TEMPI LUNGHI DELLA GIUSTIZIA, COSTI ELEVATI DEI PROCEDIMENTI IN AMBITO DI DIRITTO DI FAMIGLIA NEI PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE, DIVORZIO, MODIFICA DELLE CONDIZIONI NONCHÈ DI AFFIDAMENTO, COLLOCAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI? L’AVVOCATO ADALGISA RANUCCI RISPONDE SEMPLICEMENTE SI, GRAZIE ALLA PRATICA COLLABORATIVA

Pratica Collaborativa

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La fine di una relazione a livello emotivo e psicologico, qualunque sia la causa e di chiunque sia la colpa, molto spesso va ad incidere in modo rilevante sulla salute delle parti coinvolte nel conflitto procurando stress, crisi di ansia, insicurezza, destabilizzazione emotiva.

Ormai sempre più persone vorrebbero vedere tutelati i propri diritti e soprattutto quelli dei propri figli al di fuori dalle aule di Tribunale, potendo in ogni caso disporre del significativo apporto di figure professionali che diversamente, in un procedimento di separazione consensuale o in un procedimento di negoziazione assistita, non troverebbero ingresso.

Quante volte riceviamo i nostri clienti in studio che ci riferiscono: “no avvocato non voglio assolutamente coinvolgere i miei figli e portarli in tribunale” “no avvocato non è giusto che mio figlio sia coinvolto nel conflitto tra me e mio marito e sia sentito da un giudice o da un consulente tecnico d’ufficio”.

Tutto questo può essere evitato? Si, grazie alla “Pratica Collaborativa”.

La Pratica Collaborativa non è altro che un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti, in particolare in ambito di diritto di famiglia, nato negli Stati Uniti negli anni 90 e ormai conosciuto e praticato anche in Italia e in molti altri Paesi dell’Unione Europea.

La finalità della pratica collaborativa è quella di trovare “soluzioni su misura” per ogni famiglia o per ogni coppia e di ridurre lo stress connesso al procedimento che conduce alla fine della relazione anche già solo per quel che concerne l’aspetto squisitamente legato al rito.

È un percorso, infatti, che permette di affrontare, fuori dalle aule di Tribunale, tutti gli aspetti legati alla crisi familiare, con il supporto di professionisti altamente qualificati.

Una delle peculiarità che differenzia la pratica collaborativa da un ordinario procedimento di separazione consensuale o di negoziazione assistita consiste nel fatto che oltre alle parti e ai due legali possono intervenire al “tavolo collaborativo”, in un’ottica di gioco di squadra, quindi di fiducia e trasparenza, altri professionisti quali: un facilitatore della comunicazione, nel caso di scarsa propensione all’ascolto reciproco tra le parti coinvolte nel conflitto; un esperto finanziario, nel caso di divisione di patrimoni o per dirimere contrasti inerenti ad aspetti fiscali e societari; uno psicologo che possa sostenere ed accompagnare le parti nel percorso separativo che, con il consenso dei genitori, può anche ascoltare i figli minori.

La pratica collaborativa rappresenta quindi una valida alternativa al procedimento giudiziale o consensuale di separazione, divorzio, modifica delle condizioni di separazione e divorzio, procedimenti di affidamento, collocamento e mantenimento di figli minori che, con gli elevati costi e dispendio di tempo ed energia, nella maggior parte dei casi, non offre soluzioni capaci di risolvere in modo efficace i problemi delle persone.

La pratica collaborativa è un percorso che permette di raggiungere, in modo celere rispetto ai procedimenti tradizionali e con costi pari o inferiori ad un procedimento giudiziale, una soluzione efficace e duratura nel tempo perché frutto di una contrattazione consapevole che vede le parti come protagoniste in una ottica di pacifico bilanciamento degli interessi e delle aspettative di ciascuna di esse, tenendo sempre presente l’interesse dei figli coinvolti nella crisi familiare.

Per poter accedere a tale tipo di procedura bisogna scegliere un avvocato formato alla pratica collaborativa.

Tra le varie associazioni, consultando il sito dell’Istituto Italiano di Collaborative Law IICL di cui è socio anche l’avvocato Adalgisa Ranucci, vi è l’elenco di tutti i professionisti collaborativi.

Il consiglio? Perché non provare!

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MIGLIORE AVVOCATO MATRIMONIALISTA, COME SCEGLIERLO – CE LO DICE L’AVVOCATO ADALGISA RANUCCI

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Molte volte ci si stupisce della difficoltà nella scelta del migliore avvocato matrimonialista, quello più adatto a risolvere il proprio caso.

Mentre nel campo medico è indubbio che se un soggetto lamenta dolori alle articolazioni va dall’ortopedico e non dal cardiologo, stessa facilità di decisione non si rinviene nel settore giuridico.

Così come i medici anche molti avvocati si occupano solo di alcune branche del diritto.

Ci sono avvocati che si occupano ad esempio solo di diritto di famiglia ed altri, invece, che si occupano in generale di diritto. Chiaro risulta che il cliente deve innanzitutto individuare il settore in cui ha bisogno di ricevere assistenza.

Se un cliente, quindi, ha problemi legati alla sfera familiare e deve chiedere una separazione o un divorzio o vuole che vengano disciplinate le modalità di affidamento, mantenimento e collocamento del figlio sarà utile che si rivolga ad un avvocato matrimonialista.

L’avvocato Adalgisa Ranucci fondatore dello Studio Legale A|R a Roma si occupa di diritto di famiglia, dei minori e della persona con un approccio prima facie conciliativo, volto a verificare la possibilità di trovare soluzioni stragiudiziali che sono quelle più durature nel tempo, a costi sicuramente più contenuti e che le parti assumono concordemente.

Molto spesso, però, la conflittualità è elevata e, quindi, trovare soluzioni condivise diventa difficile e si è costretti a ricorrere alle aule giudiziarie per trovare tutela.

Ed è proprio in caso di elevata conflittualità che il migliore avvocato matrimonialista deve cercare di far comprendere al proprio cliente che nelle cause in ambito familiare non ci sono né vincitori, né vinti. In una materia così delicata, il professionista esperto in diritto di famiglia deve valutare il prioritario interesse dei minori coinvolti nel conflitto e di conseguenza non deve sostenere ad ogni costo le richieste del cliente, bensì deve far comprendere e condividere con quest’ultimo soluzioni utili e fattibili senza fare “promesse” o “dare garanzie” che poi non troverebbero spazio e assenso nelle aule giudiziarie.

Per fare ciò il migliore avvocato matrimonialista deve essere un perfetto conoscitore dei più recenti orientamenti giurisprudenziali sia di merito che di legittimità, delle prassi e delle linee guida dei Tribunali, deve essere rispettoso della funzione del collega avversario e del magistrato e deve, ove necessario, avvalersi di una rete di professionisti specializzati in altri settori, quali un commercialista per le questioni finanziarie, uno psicologo per un sostegno alla genitorialità, un notaio per le divisioni patrimoniali etc., al fine di dare tutela a 360 gradi al proprio assistito.

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