Elogio dell’asino… articolo troppo bello, un peccato non condividere il mio scrittore preferito.

Ho trascorso un pomeriggio, una controra assolata di aprile, in una masseria pugliese a guardarci negli occhi e a studiarci con un’asina. Si chiamava Nina, dal pelo grigio-biondino e aveva nei suoi occhi qualcosa di arcaico, di naturale e di soprannaturale, superstite di un mondo perduto. Gli asini sono stati a lungo i più assidui compagni di vita e di lavoro. Ora sono spariti, incompatibili con l’età della tecnica. Abitavano il mondo magico delle origini, durato fino alla nostra infanzia, ne portavano il peso; oggi sembrano portarne il lutto. Antichi mezzi di locomozione e di trasporto merci, antenati delle moto e delle utilitarie, dei carrelli della spesa e dei trolley.
Animale evangelico, l’asino portò sul suo dorso il Figlio di Dio, nel giorno delle Palme, e pure sua Madre. Il suo raglio, sgraziato come il suo destino, la sua schiavitù senza riscatto, la fatica infinita come l’ingratitudine nei suoi confronti.
Figurava nelle favole di Esopo e di Fedro, si faceva asino d’oro nelle Metamorfosi di Apuleio; era con Zarathustra alla festa dell’asino, lui faceva il verso e ragliava I-A, che sarebbe poi diventato l’acronimo dell’Intelligenza Artificiale. A scuola, l’alunno ottuso e ignorante era definito somaro; due orecchie d’asino crebbero a Pinocchio quando disertò la scuola. La maestra, che insegnava l’umiltà, ci chiamava asinelli quando cominciavamo una frase con Io: “Io asino primo”, diceva; quell’I-O era per lei una variante del suo raglio e una spia della nostra presunzione. Anche il prof diceva che fare lezioni a noi studenti svogliati e disinteressati era come “un lavativo in culo al ciuccio”, cioè un’impresa inutile. Disprezzando le popolazioni dure di comprendonio, Federico II così motteggiava i sudditi di una cittadina pugliese: “gens bitontina tota asinina”.
Incapace di scegliere, l’asino finiva col morire perché non sapeva se prima sfamarsi o dissetarsi. E’ il paradosso di Buridano, usato da tanti filosofi, da Aristotele a Spinoza. L’asino veniva perfino accusato di bullismo vigliacco, sferrando un calcio al leone morente. Asino espiatorio, più del capro, caricarono sulla sua groppa e sulla sua fama troppi vizi e negatività degli umani. Lo adottò come simbolo il Napoli calcio, che un tempo aveva il cavallo, nobile retaggio del Regno borbonico. Ma la squadra, cent’anni fa, andava male e allora sorse la diceria che il suo testimonial più appropriato fosse il ciucciarello di Fechella, un venditore ambulante che aveva un somaro malridotto e scorciato. Ma col tempo il ciuccio diventò portafortuna per la squadra e fu amato come mascotte.
Anni fa sull’isola di Santorini ebbi un’avventura con un asino. Per salire dal porto al borgo non c’era che un mezzo, l’asino. Asini greci, per giunta; più antichi, più cocciuti e mitici degli altri, forse più astuti, più levantini. Montai sull’asino con qualche iniziale riluttanza che il somaro avvertì. Faceva un caldo feroce, e la povera bestia non se la sentiva di salire ancora una volta lungo il tortuoso cammino. Allora decise di farmela pagare. Faceva le curve larghe, strisciando il parapetto. Quando c’era il precipizio rasentava il burrone, per istigarmi al suicidio o per spaventarmi. Quando il tornante volgeva all’interno radeva la roccia per farmi strusciare la gamba e lacerarmi la gamba e il pantalone grigio-asino. A nulla valevano i tentativi di raddrizzarlo con le briglie, gli appelli e le mazzate. Alla fine, quando smontai dal suo dorso, emise un raglio di felicità liberatoria, a cui feci eco anch’io, adeguandomi al suo linguaggio. Fu la sua lotta di classe e di liberazione contro noi odiati turisti e parassiti. La sua gioia era l’assenza momentanea di fatica. Non chiedeva piacere, solo riposo. Gli asini, di notte, sognano altre notti.
I somari sono cavalli che non ce l’hanno fatta o che non si sono montati la testa. Il mulo tentò una mediazione equa, anzi equina. L’asino ricorda Poppea che faceva il bagno nel latte d’asina e Gina Lollobrigida popputa sull’asinello in Pane amore e fantasia. Gli asini portavano sul dorso i doni della terra. Ricordano le strade fuori dal tempo, gli alberi a cui si attaccavano per interminabile tempo, i silenzi della campagna divorata dal sole e animata dal vento. Vivono nei proverbi antichi, metafore viventi della stupidità umana. Gli asini svegliano l’eros in campagna, dove chi s’imboscava era “arrapato a ciuccio”. Evocano gli déi, sono figure mitologiche a cui la scomparsa dal mondo ha donato la grazia ulteriore dell’invisibile. Portatore ignaro di una sapienza che traspare dal suo sguardo ebete ma misterioso. Il suo fiato nella mangiatoia fu il primo climatizzatore dell’umanità, riscaldò Gesù e famiglia. Fu il primo strumento tecnologico, la prima scuola guida per donne e ragazzi prima di passare al cavallo; una specie di veicolo senza targa, di bassa cilindrata, rispetto alla berlina equina. E’ stato l’animale più utile e più maltrattato, più prezioso e più vilipeso, insieme al maiale. Ridicolizzato sul piano estetico, etico e intellettuale. Quanta santa modestia in quelle orecchie lunghe e basse: auribus demissis, dicevano i latini.
Ai bambini quando andava una bevanda di traverso, le mamme dicevano per far sollevare loro la testa: vedi l’asino che vola? Per non soffocare, anche ora dovremmo alzare lo sguardo e stupirci per l’asino che vola. Gli asini volano davvero, quando non li vede nessuno. Avevano conoscenze altolocate per via del presepe e ora che sono spariti dalla terra, se ne sono andati in cielo. Perché di loro che hanno patito in silenzio e servito in umiltà, è il regno dei cieli.

Panorama, Marcello Veneziani

 

Sulla sinistra piovono Meloni.

È toccante lo spettacolo dell’esodo, la carovana di giornalisti e presentatori Rai, intellettuali e docenti costretti a lasciare le loro case, i loro uffici e le loro cattedre, sotto i bombardamenti del governo Meloni. Fuggono con carretti di fortuna dove hanno caricato le loro povere masserizie e si incamminano senza una meta, tra grida straziate, temendo imboscate e rastrellamenti delle truppe melonate. Commovente il loro arrembaggio per accaparrarsi i pacchi piovuti dal cielo, lanciati ad opera delle forze alleate, che mosse a pietà per l’esodo del popolo paleosinistrese, cercano di fornire loro soccorso sanitario e beni di prima necessità. L’ultima vittima della M. è il povero Antonio Scurati, biografo di M., inteso come Mussolini, oscurato per un suo monologo sul 25 aprile che era un eroico pistolotto antimeloniano in piena campagna elettorale. (Detto tra noi, ha fatto bene la Meloni a rendere pubblico il testo, anche per togliere ogni pretesto al martire presunto e ai suoi innumerevoli sponsor, con sciacalli a strascico. E per lasciare a ciascuno di giudicare liberamente il tono e il senso del monologo).
Come denunciano da mesi la Repubblica, l’Usigrai, l’Anpi e le ultime, rare voci di opposizione, il governo Meloni ha imposto il burqa tricolore alle donne che appaiono in video e il fez agli uomini. Chi conduce il tg o i programmi ha l’obbligo di esordire col saluto romano, battere i tacchi e mandare un deferente saluto alla Premier.
Non c’è più libertà di pensiero da quando impera la ducetta sgarbatella a Palazzo Chigi; fascista fuori e nazista dentro, minacciosi occhi mussoliniani fuori dalle orbite e turpe anima hitleriana nella sua intimità malvagia. Il regime meloniano ha preso di mira un antichissimo professore col bastone, Luciano Canfora, gli ha attribuito frasi deliranti sul ritorno del nazismo in Italia e per screditarlo dicono che addirittura si professi ancora comunista; così lo ha trascinato in ceppi in tribunale, per poi deportarlo in Ungheria.
Un altro vecchissimo reperto dell’antica Rai assiro-babilonese, Corrado Augias, è stato costretto ad abbandonare nottetempo la sua Torre di Babele perché volevano internarlo in un campo di concentramento, spacciato da Rsa e costringerlo ai lavori forzati, nonostante abbia ormai superato perfino l’età della pensione.
Amadeus è scappato dalla Rai perché gli avevano imposto di condurre i pacchi in camicia nera e gli avevano affibbiato per il prossimo Sanremo la Santanché al posto di Fiorello. Fuggito dalla Rai meloniana con la giacca laminata ma senza un euro in tasca, si accamperà presso una rete semiclandestina che gli passerà il pane e un posto letto in un dormitorio riscaldato. Analogo ricovero ha trovato Fabio Fazio, riuscito a evadere dalle segrete della Rai dove il regime meloniano l’aveva deportato, e ha chiesto asilo politico alla stessa emittente straniera, accontentandosi di una modesta paghetta da dividere per giunta con la Littizzetto e Filippa Lagerback. Dopo abbondanti dosi di olio di ricino, l’ormai smagrito Sigfrido Ranucci si è deciso a cambiare format al suo programma; anziché Report si chiamerà Resort e parlerà solo di turismo, creme abbronzanti e percorsi di salute. Bianca Berlinguer, invece, è sfuggita alle purghe meloniane e ha cercato rifugio in un’emittente comunista clandestina, fondata dal compagno Berlusconi, dove potrà continuare la lotta di famiglia contro il capitalismo. Si è dovuta arrangiare con mezzi di fortuna nella suddetta rete per trasmettere gratis i suoi programmi cancellati dall’Eiar meloniana. Stessa sorte per tanti altri sfortunati che hanno preferito fare programmi di tasca loro piuttosto che sottomettersi al Feccia club della Meloni. Così la povera Lucia Annunziata, espatriata dal penitenziario della Rai coi barconi degli scafisti pidini, ha chiesto asilo politico all’Unione europea. Correva l’anno, il programma di storia condotto da Paolo Mieli, è stato affidato allo storico revisionista Trucidide, e il suo nome promette cose truci. Marco Damilano è stato sostituito con Benito Dapredappio. Sono in tanti ormai estromessi dalla Rai e dalla cultura a vivere di espedienti ed elemosina.
Il prossimo festival di Sanremo sarà condotto direttamente da Ignazio La Russa che farà l’imitazione di Fiorello e sarà circondato da un trittico di procaci vallette patriottiche, chiamate le Trecce tricolori. Il dopofestival sarà condotto dal Cognato in versione agrofloreale e farà collegamenti con la sezione di Colle Oppio e con Salò. Saranno ammessi solo cantanti che accetteranno il nuovo corso: i Maneskin saranno ribattezzati italianamente I Maneschi, Dolcenera si chiamerà Ducenera, I Neri per caso diventeranno Neri per scelta, al posto della figlia di Mango premieranno la nipote di Manganello.
Anche le fiction subiranno drastici cambiamenti: si vocifera di una fiction omofoba dedicata a Ulisse, Penelope e i 40 froci, che insidiavano loro figlio Telemaco e verranno perciò giustiziati dai suoi genitori. Altre fiction inquietanti si annunciano contro i migranti, i rom e i vegani, confusi con i verdi.
In effetti bisogna capire lo sconcerto che regna in Rai, si trovano a vivere per la prima volta in vita loro un’esperienza inedita, senza precedenti: l’intrusione della politica nelle nomine, nei tg, nei palinsesti, con fenomeni mai conosciuti, come la lottizzazione (che fino a ieri, nell’età beata, indicava solo il gioco del lotto e delle lotterie e ora indica la turpe spartizione di potere). Erano abituati alla libertà, scorrazzavano felici a piede libero, e ora invece devono rispondere alla politica e al governo. Cose mai viste in Rai.
La Meloni, che nella precedente vita ha fatto assassinare Matteotti, ha rifondato i Battaglioni M che cantano il loro inno storico aggiornato: “Per vincere ci vogliono i Meloni/ di Mussolini armati di valor”. Dopo aver proibito alle donne di abortire, la ducetta ha costretto alla maternità coatta tutte le donne in età fertile, lesbiche incluse. Corsi gratuiti di rieducazione alla normalità e alla cristianità si annunciano per i gay, i trans e gli islamici; incentivazioni e superbonus per chi riesce a bonificare i quartieri e rispedire gli immigrati a casa loro. “La destra vuole gestire il corpo delle donne” e manda il mullah Brunovespa a prenderle porta a porta, per poi seviziarle e segregarle; così denunciano le martiri Dacia Maraini e Chiara Valerio, vittime attive e passive della caccia allo Strega.
Il tutto però è avvolto in un’atmosfera kafkiana: perché a occhio nudo sembra il contrario. Il paese non si è nemmeno accorto del cambio di regime e se la gente rimprovera qualcosa al governo Meloni è proprio il contrario, di rimangiarsi il loro passato all’opposizione e di essersi allineati a Draghi, Mattarella, Biden, von der Leyen, Zelenskij, Netanyau. E invece l’apparenza inganna, è solo uno specchietto per le allodole e per gli allocchi. Alla Schlein non l’hanno vista arrivare, al Duce non l’hanno visto tornare. Occhio al fascismo trans: il Duce si è coperto la pelata con una parrucca bionda…

 Marcello Veneziani     

Perché i giapponesi sono tra i più longevi al mondo? Il “segreto”è nei bambini .

 

Secondo uno studio pubblicato su The Lancet i bambini giapponesi risultano tra i più sani al mondo e, in prospettiva, la popolazione risulta tra le più longeve. Ecco perché

Perché i giapponesi sono tra i più longevi al mondo? Il segreto è nei bambini

 

I bambini più sani al mondo sono i giapponesi. Secondo i risultati di uno studio pubblicato su The Lancet i bambini che nascono oggi in Giappone hanno una prospettiva di salute migliore dei coetanei occidentali. Il Paese del Sol Levante è famoso per la sua alta “aspettativa di vita” grazie soprattutto ai modelli di stile di vita e alimentazione. Se si guardano i dati non è un caso che meno di un bambino su 5 sia in sovrappeso, mentre il tasso di obesità sia al 4,2%. Dati eccezionali rispetto a quelli dei Paesi europei, dove in media il 29% dei bambini tra i 7 e i 9 anni risulta essere in sovrappeso (obesità inclusa), con variazioni molto significative tra le Nazioni. L’Italia, per esempio, è quarta per prevalenza di sovrappeso e obesità infantile con tassi appena al di sotto del 40%, superata solo da Cipro, Grecia e Spagna. Ma qual è il segreto dei giapponesi?

Il valore dell’alimentazione

A partire dalla scuola elementare, ai bambini viene servito un pranzo composto da piatti molto salutari, spesso caratterizzati dalla presenza di riso e pesce, con alimenti coltivati localmente e preparati al momento in loco. Le opzioni alimentari malsane non sono disponibili. «Gli italiani cominciano già la mattina, a colazione, a mangiare molti zuccheri», ha raccontato Davide Libreri, pediatra dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Il latte c’è sempre, come se fosse un alimento fondamentale, ma il bambino non deve per forza prendere il latte al mattino». Che cosa può mangiare come alternativa? «Lo yogurt, un toast, del pane con del prosciutto, pomodori e formaggio o le uova. Bisogna cambiare l’approccio alla colazione, che può essere anche salata. Ciò che conta è che ci sia un apporto bilanciato di zuccheri e di grassi buoni».I bambini giapponesi, a pranzo, spesso consumano un piatto a base di riso, che ha un apporto glucidico un po’ più alto rispetto a quello della pasta, ma allora perché non ingrassano? «Perché non mangiano il riso, ma un po’ di riso, che a volte è raffreddato e il processo di raffreddamento migliora l’impatto sulla glicemia, perché rallenta la trasformazione degli amidi in zuccheri», ha specificato Libreri. Un’altra differenza importante riguarda le bibite: i bambini giapponesi non consumano soda e bibite gassate, ma solo acqua e tè. «Noi, invece, introduciamo tantissime bevande zuccherate. Bisognerebbe agire sull’idratazione, educando il bambino a bere acqua o infusi, ma senza zuccheri aggiunti. Inoltre, ricordiamo che il classico succo di frutta, anche se c’è scritto che è senza zuccheri aggiunti, in realtà contiene un concentrato eccessivo di fruttosio». E poi è un prodotto lavorato, non fresco, spesso arricchito di conservanti e coloranti. È meglio una spremuta? «È meglio la frutta fresca, anche con la buccia, che contiene fibre, che riducono l’assorbimento degli zuccheri e favoriscono il processo digestivo».

A scuola di educazione alimentare

I bambini giapponesi studiano educazione all’alimentazione a scuola. Gli studenti visitano le fattorie locali e apprendono nozioni su alimentazione, cucina e buone maniere. Nei plessi scolastici, non ci sono distributori automatici e i pasti delle mense sono preparati completamente da zero, non contengono prodotti congelati e sono i un motivo di orgoglio nazionale.
E, salvo restrizioni dietetiche, nella maggior parte dei distretti i bambini non possono portare il cibo a scuola finché non raggiungono le superiori. E non è tutto, sia alle elementari che alle medie, gli studenti indossano camici e berretti bianchi e partecipano, a turno, al servizio. «In Italia manca, purtroppo, il discorso di un’educazione alla nutrizione», ha continuato il pediatra Libreri, convinto che anche qui i bambini potrebbero partecipare attivamente alla mensa. È solo una questione culturale, proprio come la merenda, che non dovrebbe essere caratterizzata dalle merendine, ma da prodotti meno lavorati, come la frutta o la frutta secca, da inserire anche nei distributori.

Dare il buon esempio a tavola

I genitori giapponesi sono molto attenti al consumo dei pasti in famiglia, vissuto come un rituale. Ispirano i loro figli fin dall’infanzia a provare a gustare un’ampia varietà di cibi sani e diversi. E praticano la moderazione flessibile, quando si tratta di cibi meno salutari, che si traduce nel concedere ogni tanto un biscotto, un gelato o pizza e patatine, mantenendo le porzioni piccole e meno frequenti. E ciò vale per tutti, non solo per i bambini. «Il buon esempio a tavola deve avvenire fin dallo svezzamento», ha consigliato Libreri, sostenitore dell’auto svezzamento. Ovviamente, finché sono piccoli bisogna cercare di preparare cibi senza (o con poco) sale e utilizzare cotture semplici. Crescendo la dieta è più libera, ma è importante continuare a proporre pasti sani, possibilmente consumati tutti insieme e senza la presenza di dispositivi digitali accesi. «Ci sono genitori attentissimi fino ai 12 mesi, poi a 18/20 mesi lasciano i bambini mangiare patatine, gelato e barrette al cioccolato, ecc. Non ha molto senso, perché o credo che sia importante impartire un certo tipo di educazione, che poi si porterà nel futuro, per ridurre il rischio di obesità e ipertensione, o è inutile essere così talebani dai 6 ai 12 mesi e poi liberi tutti». Inoltre, bisogna ridurre le porzioni perché «non abbiamo bisogno di mangiare così tanto».

Favorire il movimento

Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre il 98% dei bambini giapponesi va a scuola a piedi o in bicicletta. Ciò permette ai piccoli di rispettare la raccomandazione di svolgere 60 minuti di attività fisica da moderata a intensa al giorno semplicemente camminando da e verso la scuola. «I bambini della scuola elementari dovrebbero avere più tempo di giocare al pomeriggio, mentre spesso sono sovraccaricati dai compiti. C’è tanta attenzione all’istruzione, ma poca all’attività fisica», ha precisato il pediatra. Gli studenti della primaria praticano 2 ore la settimana di motoria per l’ordinamento di 40 ore. «La cosa più importante che abbiamo è la salute e ci dedichiamo così poco? È un paradosso, parliamo di prevenzione e poi, nel luogo in cui i bambini dovrebbero imparare a gestirsi, insegniamo che il tempo che devono dedicare all’attività fisica e motoria è limitato». Via libera quindi agli sport, soprattutto quelli di squadra, che insegnano anche il rispetto delle regole, e agli stili di vita attivi, quindi fare le scale, invece di prendere l’ascensore, andare – se possibile – a scuola a piedi e far giocare i bambini al parco, invece che lasciarli casa davanti alla tv e al tablet.

Valentina Rorato__Il Corriere della Sera

LA PIETRA DELLO SCANDALO – Ecco l’antica ma sorprendente storia di questa mitica ed ancora diffusissima espressione ..

Condivido  un post di ORSOSOGNANTE su WordPress, una divertente curiosità.

 
Spesso usiamo o sentiamo l’espressione “pietra dello scandalo”, ma da cosa nasce e che significa?
Ecco la Storia
 
 
 
Nell’antica Roma, i debitori insolventi ed i falliti
dovevano subire una forte e pubblica umiliazione.

Questa pratica, con valore legale, era così chiamata:
“labonorum cessio culo nudo super lapidem”
(cessione di tutte le proprietà con sedere nudo sopra la pietra).
Essa consisteva nel fatto che, davanti al popolo,
per 3 volte
l’interessato (fallito) doveva gridare “cedo bona”,
ossia “cedo le mie proprietà”,
mentre si sedeva con violenza, e con le vesti alzate sulla pietra,
che a Roma era davanti al Campidoglio con su scolpito un leone,
mentre la folla lo scherniva.

L’origine di questa espressione, ancor oggi molto in uso,
è quindi propr
io questa esposizione al pubblico ludibrio
in forma altamente sconveniente ed alquanto ridicola.
Ciò fatto i creditori però
non potevano più rivalersi sul debitore
se non sui beni ceduti dal fallito.
Eppure l’esser costretti a questa forte… pubblica umiliazione
era in realtà un notevole miglioramento, voluto da Cesare,
rispetto alla situazione precedente che invece consentiva
ai creditori di uccidere o ridurre in schiavitù i debitori.

La situazione dei debitori prima della legge di Cesare

Questa usanza si diffuse poi in tutti i territori governati da Roma
e durò molto a lungo anche dopo la fine dell’Impero.

Da essa poi sembra che sia nata anche l’altra espressione,
anch’essa diffusissima e molto popolare, “che culo!”
in riferimento ad un grosso colpo di fortuna
dato che, dopo la pubblica e ridicola manifestazione sulla pietra,
il fallito non poteva più essere colpito in nessun modo.

 
 
 
 

Spiragli di luce in terra ma Dio resta in ombra…

 

Con la dichiarazione Dignitas infinita, Papa Bergoglio ha acceso finalmente un po’ di speranza e di fiducia nei cattolici di sempre e nella gente di comune buon senso, che si riconosce nella realtà della vita, nei suoi legami più forti e non nelle ideologie e nelle pratiche diffuse che vogliono negarla. Il documento del dicastero della dottrina della fede non cambierà certo le sorti del mondo, in balia di poteri e culture ben più potenti e prepotenti rispetto alla chiesa e al messaggio cristiano; ma segna un’apertura significativa e una solenne promessa d’impegno. C’è chi l’ha interpretata come un contentino ai conservatori ma non dobbiamo dimenticare le altre parti del documento che riprendono alcune tematiche sociali, pauperiste e green, care a Bergoglio e che hanno fatto parlare di lui come di un papa “comunista”, tutto accoglienza, migranti, dialogo con l’Islam, ecologia e socialismo.Con Dignitas infinita il Papa e la sua Chiesa hanno cercato di abbracciare la difesa della vita, della nascita, della maternità, della famiglia e della natura insieme con la difesa dell’ambiente, dei poveri, degli oppressi, dei migranti, delle donne e di coloro che soffrono. E sullo sfondo la difesa della pace e dei popoli dalla guerra e dalla volontà di supremazia. Ci sono cose che non piacciono ai conservatori e altre che non piacciono ai progressisti, ma il documento si può considerare nel complesso coerente allo spirito evangelico e cristiano, o quantomeno è un punto di equilibrio, anche se in certi passaggi appare a taluni troppo conservatore e reazionario o ad altri troppo socialista e rivoluzionario. Per altri ancora sarà un esempio gesuitico di cerchiobottismo, un’astuzia di pesi e di contrappesi per tenere insieme versanti diversi. Va riconosciuto il suo coraggio di opporsi allo spirito del tempo e ai suoi poteri dominanti, siano essi di natura economica, militare e politica, che ideologica, intellettuale o di genere  . Dobbiamo dunque rivedere il nostro giudizio su Papa Francesco? Non deve spaventare il suo socialismo, il suo anticapitalismo e alla fine nemmeno il suo terzomondismo, anche se non sono nelle vostre corde. Pur con qualche disagio e dissenso si può comprendere la sua posizione anche in seno alla fede. Ma la vera mancanza, il vero deficit nel papato di Bergoglio è un altro. Il Papa è restio ad affrontare il tema cruciale a cui è chiamato nel suo ruolo di pastore, vicario e apostolo: la scomparsa di Dio, l’eclissi della fede, l’avanzata dell’ateismo e del nichilismo, l’assenza di senso religioso che domina la nostra epoca. Il Papa risolve il cristianesimo nella difesa della vita e nell’incontro con l’umanità ma non affronta questo tema più arduo, più difficile ma necessario e indispensabile per il Massimo Rappresentante della Chiesa.  Esprimere la vocazione solidale e socialista nel mondo capitalista o la difesa della vita, della nascita e della famiglia nel mondo egoista e nichilista, non bastano se gli uomini voltano la spalle a Dio, alla fede e al senso religioso, anche solo come domanda. Ma è quella, prima ancora che la battaglia per la vita, per la pace o per la giustizia sociale, la priorità che si addice al Papa. Di riflesso e di conseguenza manca nel suo Papato la difesa della civiltà cristiana, dell’identità religiosa, del sacro, dei simboli e della sua tradizione. Come se la sua unica preoccupazione, la sua sola missione fosse di rispondere al suo tempo; e nel nome dell’oggi sacrificare, vanificare o cancellare ogni eredità del sacro e della tradizione. Un segnale di questo cedimento apparve anche nel pontificato peraltro grandioso e luminoso di Giovanni Paolo II: quando per un centinaio di volte Woytila chiese scusa al mondo degli errori e degli orrori compiuti nel passato dalla Chiesa e dai suoi pontefici. Apparve allora come un atto di umiltà, ma alla fine diventava un atto di presunzione: ritenere che il suo pontificato potesse ergersi ad arbitro supremo di una storia millenaria e che solo la Chiesa del nostro tempo, col suo papato, avesse capito, riconosciuto e reso onore alla verità. Invece ogni cosa va rapportata al suo tempo, non possiamo chiedere scusa per conto d’altri, di altre epoche, in altre situazioni, e di altri pontefici. Perché la verità è figlia di Dio e non è figlia del tempo. Non è un mistero che nel passato ci sono state pagine infami nel nome della Chiesa e della fede, ci sono stati papi pessimi e sono stati commessi abusi, violenze e corruzione, ai nostri occhi inconcepibili. Ma se è per questo, sono inconcepibili nel nostro tempo anche le pagine di santità, di martirio, di fede e di dedizione totale che rifulsero del passato. Se un papa deve abbracciare il mondo e ogni versante della fede, ogni sensibilità, deve anche abbracciare la storia da cui proviene, e caricarsela tutta sulle spalle, come una croce; perché quella storia non fu solo gloriosa ma non fu nemmeno solo infame. E’ storia di uomini, seppure ispirati da Dio; dunque imperfetti, coi loro limiti ed errori. Per ogni ingiustizia nel nome di Cristo i secoli hanno offerto storie luminose di abnegazione, di sacrificio, di dedizione; per ogni rogo di streghe e di eretici ci furono esempi fulgidi di martirio e di carità. Noi oggi siamo incapaci degli uni e degli altri, di quei crimini come di quella santità. E questo risale al motivo di fondo che prima dicevamo: la fede è fredda, quasi spenta e non dà luogo da noi né a fanatismi né a dedizioni gloriose. Mancano i santi, non ci sono gli esempi da imitare, dobbiamo accontentarci solo dei virtuosi sermoni. Per ricorrere a un’immagine, è come se della Basilica di San Pietro fosse rimasto solo il colonnato che sembra avvolgere l’umanità in un abbraccio largo e accogliente; ma fosse sparita la basilica con la cupola, dov’è il carisma e la liturgia, il sacro e il santo, la tradizione e la preghiera, la testa e il cuore della fede. Manca il senso religioso. E non può essere sostituito né dalla solidarietà umanitaria né dalla difesa della vita. E’ un grande passo avanti la difesa senza ambiguità, chiara, decisa e precisa, della vita rispetto alla morte e all’aborto, della maternità e della famiglia rispetto alle maternità surrogate e alla “pericolosissima teoria del gender”. Ma che ne è di Dio nei cieli e del senso religioso in terra?

Marcello Venaziani

La polvere del passato…

 

Ogni tanto colgo
attimi di gioia,
soavi come musica senza tempo,
leggeri,
come tenui fiori,
profumano ancora
d’amore e luce.
Dalle pieghe polverose del vissuto
emergono
un attimo appena,
riscaldando ancora
il mio cuore strappato,
prima di scomparire
soffocati dal dolore,
che lentamente sfuma,
anch’esso avviato
nello scorrere del tempo
che crea il passato.

 

Lucia Tiziana Mignosa

 

Dalle pieghe

 

La stupidità infinita dell’uomo con il denaro digitale…

 

La banca si ferma e le persone non possono pagare. Ma non basta il dover lasciare la spesa lì, continuano testardamente con card e telefoni. Cashfree brainfree

Dignità infinita, dice il Papa riguardo l’uomo. Stupidità infinita, dico io riguardo il medesimo. Per giorni sito, app, bancomat di Banca Sella sono rimasti bloccati, impedendo ai correntisti di compiere qualsivoglia operazione: per dirne una, pagare. C’è chi si è trovato alla cassa del supermercato e, senza banconote, ha dovuto lasciar lì la spesa. Un simile episodio avrebbe dovuto accendere una lampadina nella mente oscurata dei progressisti, solitamente urbani, che si vantano di non toccare contanti da anni. Quelli che al bar pagano il caffè con lo smartphone. Contactless moneyless. Avrebbe dovuto far scattare un grande movimento di lotta al denaro digitale, finalmente compreso come strumento per l’asservimento totale dell’individuo alla Tecnica e allo Stato. Un movimento benedetto dalla Chiesa, fra l’altro, perché non esiste dignità senza libertà. Ma niente. Continuano a pagare (se ci riescono) con card e con telefoni. Cashfree brainfree.

Camillo Langone___da IL FOGLIO

denaro digitale

Oggi, ennesimo compleanno di Leonardo Da Vinci, ” Giornata del made in Italy”…

 

Oggi, 15 Aprile, ricorre uno dei tanti genetliaci post mortem di Leonardo Da Vinci, essendo nato, infatti, proprio oggi nel 1452. Come grande Italiano, genio poliedrico della nostra cultura, da oggi in avanti , questo giorno sarà la “Giornata del Made in Italy”, Leonardo il suo emblema e ci sarà pure un francobollo commemorativo. Il nostro premier, la signora Meloni, ha voluto commemorare questa prima giornata del Made in Italy alla celebre fiera Vinitaly di Verona. A me piace ricordare Leonardo come l’emblema della genialità italiana, della curiosità tipica nostrana, del bello che sappiamo rendere meraviglioso con abilità manuali uniche, se è vero, che i nostri prodotti, la nostra arte, la nostra cultura tutta, per non parlare di letteratura, del nostro stesso paese, e di quella infinita fantasia che ci contraddistingue ovunque. Leonardo operò in ogni campo, pare fosse un bell’uomo secondo i canoni dell’epoca, eccentrico nel vestire , capace di farsi notare per estrosità della sua persona. Sapeva scrivere, conversare abilmente, maneggiare attrezzi di ogni genere e non ci fu arte manuale che non abbia sperimentato, parlo di idraulica, ingegneria, chimica e fisica, cercando di vincere persino la forza di gravità con le scarse nozioni di fisica del tempo. Anche se la Chiesa lo condannò si dedicò pure allo studio dell’anatomia facendo autopsie in un ‘epoca in cui era impossibile conservare i cadaveri, esponendosi al pericolo di infezioni. La scusa che adduceva per questi esperimenti era la sua curiosa voglia di approfondire particolari, utili a migliorare la pittura e la scultura. Il suo genio spaziava dalla filosofia alle favole. Amava la compagnia e si divertiva anche scherzando con gli amici ,e allo stesso tempo sedeva accanto a principi e re Europei con acume, signorilità, beneficiando di importanti commissioni, quelle meravigliose opere , per le quali il genio di Leonardo è famoso in tutto il mondo. I suoi codici sono stati visti da milioni di persone, anche se illeggibili, in quanto la sua scrittura era speculare rispetto alla nostra, i suoi disegni di progetti vari, ancora oggi vengono studiati e confrontati con diverse invenzioni dei tempi seguenti, la sua Monna Lisa forse è il ritratto di donna più visto al mondo, anche se, come raccontano certi studiosi, pare che non fosse nemmeno una donna, a dimostrazione di quanto fosse avanti nei tempi; difendeva la natura, era vegetariano, insomma il tipico uomo alla page di oggi, quello della cultura ” giusta”.

Una delle sue favole, che trovo sempre bellissime e mai fuori tempo.

I Tordi e la Civetta

– Siamo liberi! Siamo liberi! – gridarono un giorno i tordi, vedendo che l’uomo aveva catturato la civetta.
– Ora la civetta non ci fa più paura. Ora
dormiremo tranquilli. –
La civetta, infatti, era caduta in un’imboscata, e l’uomo l’aveva rinchiusa in gabbia.
– Andiamo a vedere la civetta in prigione –
dicevano i tordi volando e cantando intorno alla gabbia della loro avversaria.
Ma l’uomo aveva catturato la civetta con un altro scopo, ossia quello di prendere i tordi. Infatti, la civetta fece subito alleanza col suo vincitore il quale, dopo averla legata per una zampa, la metteva ogni giorno bene in mostra sopra un trespolo. I tordi, per vederla, si precipitavano sugli alberi vicini, dove l’uomo aveva nascosto le sue canne impaniate. E i tordi, anziché perdere la libertà come la civetta, perdevano la vita.
Questa favola è detta per tutti quelli che si rallegrano quando qualcuno, che conta più di loro e su di loro, perde la libertà. Perché il vinto, quando è importante, diventa presto alleato o strumento del vincitore, mentre tutti quelli che, prima, dipendevano da lui, cadono sotto un nuovo padrone, e insieme alla libertà perdono, spesso, anche la vita.

civetta e tordi

 

L’Europa è abortita .

L’ultimo atto a Bruxelles rivela cos’è davvero l’Unione europea: un aborto. L’Unione Europea non è mai nata, ha rifiutato di darsi un’identità, in compenso ora inserisce l’aborto tra i fondamenti etici e giuridici dell’unione. Lo fa non per un’esigenza pratica ma è una pura petizione di principio, una professione di fede e ideologia. Questa specie d’Europa vota a larga maggioranza, compresi molti cristiani e popolari, l’aborto come un suo cardine. La destra di governo tace. Proprio all’indomani del documento della Chiesa in cui si definiva l’aborto un omicidio.Sono passati trentadue anni dal trattato di Maastricht, per non parlare dei decenni precedenti della CEE, ma l’Europa non è ancora nata come soggetto politico autonomo e sovrano, con una sua unitaria politica estera e una sua forza militare, un suo governo elettivo e una sua Costituzione, che giusto vent’anni fa, nel 2004, abortì senza più rinascere. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia in un editoriale del Corriere della Sera quando sostiene che l’Europa non è un soggetto politico perché non ha un’identità, non ha il senso della propria storia. Da troppo tempo crediamo che la politica sia solo la gestione del presente, il regno dell’attualità e delle emergenze quotidiane; ma la politica priva di radici s’insecchisce, non fiorisce e tantomeno dà frutti. L’Europa ha rinunciato ad avere un ruolo autonomo e iniziative indipendenti, ma si è di nuovo raccolta sotto l’ombrello atlantico della Nato e degli Stati Uniti, evitando di assumersi la responsabilità di un ruolo strategico di equilibrio, con capacità autonoma di negoziare sul piano internazionale.
Lo vediamo in Ucraina, in Israele, a Gaza, e ovunque.
L’Europa non ha voluto capire due cose elementari che sono le premesse necessarie alla sua identità e alla sua sovranità: la prima è che il mondo è uscito da tempo sia dal bipolarismo americano-sovietico sia dal nuovo ordine mondiale a guida statunitense, con gli Usa arbitro e garante del pianeta. Il mondo oggi è diviso in aree differenti, dalla Cina all’India e alla Russia, nonché varie medie potenze che esercitano un’importante egemonia di area o mantengono una loro irriducibile autonomia, dalla Turchia all’Iran, fino al Brasile e alla Corea. Per non parlare di aree in ebollizione come il Medio Oriente, l’Africa, il sud est asiatico. Dunque, all’Europa tocca diventare maggiorenne, riprendersi le chiavi di casa e agire nel mondo confrontandosi con le altre potenze sovrane, senza delegare a nessuno.  Ma per avere un’identità devi porti sul piano internazionale non come l’emanazione periferica del Blocco Occidentale, la propaggine allineata alla politica degli Usa ma devi essere ben consapevole che la geopolitica, prima ancora che gli interessi primari dei popoli europei, ti portano a differenziare la tua posizione da quella di un Paese che ha storia, interessi e mire differenti, ed è separato da un oceano dal blocco euroasiatico e dall’Africa, mentre noi siamo attigui.
Ma dietro il tema politico e strategico carente, c’è il tema identitario, anzi la voragine, il vuoto identitario. La sua rappresentazione migliore è proprio quella simbolica, l’icona della sua bandiera: tante stelle intorno a un vuoto, un buco nero al centro. Il tema dell’identità non è solo storico, come invece ritiene lo storico Galli della Loggia, giacché investe le radici culturali, spirituali, religiose, che non sono riducibili alla sola dimensione storica, pur così importante.  Qui s’innesta il tema di fondo che attraversa la memoria storica e investe il più complesso tema della civiltà: l’Europa da tempo ha rimosso le sue matrici; e infatti negando le sue radici greco-romane e cristiane, a cui l’aveva vanamente esortata Giovanni Paolo II, la Costituzione abortì, cioè la Carta d’identità europea non fu emessa.
Ma dopo aver rimosso le sue matrici, glissato sulla sua storia recente, dalla storia delle nazioni europee al trauma dei due conflitti mondiali che l’hanno smembrata e depotenziata, l’Europa vive ora nell’orbita americana. E si sta massacrando con le sue stesse mani con l’ideologia woke, il politically correct, l’anticolonialismo e l’antirazzismo, la cancel culture e chiede scusa al mondo di esistere.  Come pensate che possa emergere un’identità europea se l’Europa rinnega la sua civiltà o arriva a considerarla come una barbarie? Se nessuno difende la memoria storica europea e la civiltà cristiana –  cattolica, protestante ed ortodossa – se dobbiamo leggere le epoche del passato solo come tempi di cui vergognarsi perché dominati da imperi, guerre, soprusi e conquiste. Se arriviamo a smantellare perfino le comunità naturali come la famiglia e nel nome dei diritti civili stabiliamo a livello di norme e di corti europee, un continuo primato dell’individualismo, dei diritti scissi dai doveri e coniugati ai desideri, il diritto alla morte, in forma di aborto ed eutanasia a spese del diritto alla vita e alla nascita; degli uteri in affitto anziché la difesa e la promozione della fertilità naturale e della natalità, cosa pensate che resti della civiltà europea e delle sue tradizioni?
La guerra che l’Europa ha ingaggiato contro se stessa non riguarda solo l’identità storica, come sostiene Galli della Loggia, ma sconfina contro la natura, la famiglia naturale, la procreazione naturale, il diritto naturale, la natura umana.  Salvo poi sventolare l’ecologismo in difesa dell’ambiente, dopo aver tradito la natura nei suoi luoghi e riferimenti più significativi.
Facile dire che il limite dell’Europa è la sua nascita intorno a un’intesa economica, l’Europa delle banche e dei mercati, l’Europa della moneta e non dei popoli. Ma siamo ridotti a quella reductio economica perché non si è fatto nulla per svegliare, rafforzare e proiettare un’identità comune europea, rifiutando il sostantivo “identità”. Così l’Europa è colata dall’alto come una vernice ed è calata come una gabbia di norme, restrizioni e direttive. Ma una vernice e una gabbia non fanno un’identità.

Marcello Veneziani

Come riusciamo ad allontanarci da amici e parenti, banalmente…

 

Pensavo che è strano il modo che hanno di volersi bene le persone. Il modo in cui si allontanano per sciocchezze, l’abilità con cui riescono a tessere fili di incomprensioni attorno a piccoli screzi. È una caratteristica che appartiene a molti rapporti, temo. Amori, famiglie, amicizie: periodi uniti e coesi, poi improvvisamente sparpagliati e lontani, incapaci di stare troppo vicini fisicamente e nei sentimenti. Pensavo a com’è più facile allontanarsi anziché chiedere scusa, riconoscere che ,quando discutiamo con le persone che amiamo, a un certo punto dovremmo fregarcene se avevamo torto o ragione. Ammettere che ne sentiamo la mancanza. Invece lasciamo che i giorni passino, e mentre ci affatichiamo a sopravvivere in una routine che ci travolge di impegni, capita che a un certo punto ci si fermi a pensare al motivo per cui ci siamo allontanati. E cosi, scopriamo, che era talmente banale quel motivo, che nemmeno ce lo ricordiamo più. Il problema è che nel frattempo, però, ci siamo abituati alla distanza, e chiedere scusa per qualcosa per cui siamo stati stupidi diventa troppo difficile.  Allora passano altri mesi. Altre cose. Passa altro silenzio. Finisce che siamo talmente ottusi nel rimanere impigliati nella nostra posizione che la distanza prevale. Prevale il distacco. La nostalgia.

Ecco, pensavo proprio questo.

Che basterebbe poco, in fondo. Basterebbe essere solo un po’ più coraggiosi, deporre l’orgoglio e fare come facevamo da bambini: chiedere alle persone di restare, anziché lasciarle andare via.

Roberto Pellico

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