Chissà se…

Pomeriggio ero a lavoro e ad un certo punto è stato inevitabile non pensare a te e sorridere. Entro in camera di un paziente e mi dice “Quando arrivi tu arriva il sole. Sempre sorridente con questo viso luminoso mi rallegri la giornata”. Subito mi sei venuto in mente tu. Ho pensato a quando mi dicevi che con gli altri ero brava gentile e paziente e con te mai, con te mi incazzavo sempre se stavi male.

Chissà come stai. Chissà se mangi e che schifezze metti nel carrello. Chissà se hai comprato qualcosa di costoso e stupido e chissà quanto cavolo l’avrai pagato. Chissà se stai ancora ammollo in piscina o l’hai già svuotata, a proposito, avevi ragione tu, quella retina per i moscerini sarebbe stata davvero utile. Chissà se quando guardi il tuo cielo stellato ogni tanto mi pensi. Chissà se hai fotografato qualche altra nebulosa meravigliosa dal nome strano. Chissà Zara quante lucertole avrà trovato mentre Maya fa la preziosa. Chissà quanti film avrai scelto e guardato senza sentirti dire sempre “mmmmh no questo no”.  Chissà se dormi o se sei sveglio come me quando faccio il turno di notte.

Chissà.


 

La casa al mare

Si può non stare più bene in una casa che per tanti anni ti ha regalato bellissime emozioni? Ricordo che da ragazzina quando il primo settembre andavamo via per tornare in città mi veniva il magone in gola, non nascondo il fatto di aver anche pianto dietro i miei occhiali da sole e di aver gettato in acqua la sabbia ogni anno come buon auspicio per ritornare l’anno dopo ed ora invece sto male solo a vederla. Fosse per me rimarrebbe chiusa così  come ormai sono “chiusi” tutti quei ricordi.
Mia madre che ci aspettava per la cena sulla sedia in terrazza. Le partite a carte con lei che vinceva sempre e io che le dicevo che imbrogliava pur di non ammettere che era più brava di me. La mia prima bici col cestino rosa e le mie ginocchia sbucciate e poi la mia prima mountain bike viola con cui sentivo il vento in faccia e facevo le gare a chi arrivava prima al campetto. Il mio primo giro in motorino, il SI, e il pensiero di essere ormai grande. Le partite a calcio nonostante io odiassi il calcio ma quante risate quando non prendevo neanche una palla. Il muretto, il luogo dove noi amici ci ritrovavamo ogni giorno. I falò sulla spiaggia e il bagno di notte col costume indossato di nascosto perché mia madre non voleva (ma in fondo so che lo sapeva). La mia prima cotta per un ragazzino che ho amato alla follia (si quello era amore nonostante l’età) e la prima vera delusione che ancora adesso, se ci penso, mi si stringe il cuore. Le cicale e la paura dei gatti quando tornavo da sola di notte a casa e uno di loro mi aspettava sempre sulle scale e non si spostava neanche se sbattevo i piedi a terra. Il mio primo bacio raccontato poi al mio diario segreto giallo e bianco (ancora ce l’ho).
Potrei continuare all’infinito perché questa casa mi ha regalato un’adolescenza meravigliosa ma ora che tutto si è spento anche la sua magia è volata via.

stranaMENTE

Lo riconosci subito un attacco di panico. Paralizza. Il tuo corpo non risponde più e l’unica cosa che la tua testa riesce a fare è quella di remare contro. Contro ogni possibile logica, contro ogni verità.
Impietrita di fronte a qualcosa che neanche esiste eppure, quel qualcosa, è così prepotente da azzerare tutto.

Sulle punte

Mattina presto, ancora troppo presto per poter andare a lavoro ma troppo tardi affinchè sogni o incubi potessero riaffacciarsi nel mio inconscio. Avevo bisogno di respirare aria, quell’aria che sa di sale e così mi sono ritrovata seduta lì, sulla riva del mare con l’acqua che mi sfiorava i piedi. Dopo una notte di silenzi il suono del mare sembrava quasi cullare i miei pensieri e, forse, lo ha fatto davvero.
Come una dolce ninna nanna mi sono lasciata andare alla sensazione di leggerezza che solo il profumo e la melodia del mare sanno regalare. Leggera come quando danzavo sulle punte perché era solo la leggerezza che doveva trasparire.
“Nessuno in platea deve sapere quanto sono doloranti i tuoi piedi, nessuno deve capire di quanto sangue le tue scarpette sono fatte. È un dolore solo tuo e tuo deve rimanere, chiaro?”
La mia maestra di danza mi insegnava con rigore a soffrire in silenzio.
Leggerezza e sofferenza, due facce della stessa medaglia. Non a tutti è dato sapere quale delle due indossi in quel preciso momento della tua vita e soli in pochi saranno davvero in grado di scoprirlo nonostante tutto, nonostante te.

Un passo indietro

Sono facilmente giudicabile e attaccabile agli occhi di chiunque, lo so, lo capisco. Per come sono fatta io avrei continuato a rispondere a quel commento lasciato nella “tua casa” ma proprio perché è il tuo posto ho preferito tacere. Del resto se non hai ritenuto opportuno tu scrivere una parola in mio favore quando si è messo in dubbio il mio “cuore spento” chi altro avrebbe dovuto farlo? Io? No. Le mie parole non hanno più alcun valore adesso per cui, leggo e taccio.
Una sola cosa però voglio aggiungerla: nonostante io sia la carnefice, nonostante io meriti tutto il suo odio e qualsiasi brutto ricordo e pensiero lui avrà di me nessun altro, al di fuori di lui, può permettersi di giudicare quello che sento perché nessuno, a parte me, sa quello che provo. So quello che ho perso, so che uomo straordinario sia per cui non ho bisogno di un nick qualsiasi, spuntato dal nulla che per di più si professa sensibile al dolore altrui pronto invece a giudicare proprio quel dolore.


 

Notte di silenzi

Un’altra notte nel silenzio di questo reparto. Una notte ancora più lunga rispetto ad altre già trascorse qui, probabilmente per la stanchezza di questi giorni, sicuramente per via dei pensieri troppo pesanti. Mi rifugio nella lettura di un libro che in questo momento fa a cazzotti con i miei sentimenti ma devo, in qualche modo, far passare queste ore silenziose che mi dividono dall’alba di un nuovo giorno prima che la notte divori la mia testa facendola a pezzi.
A pezzi.
Come un puzzle che non so ricostruire.
Tesa, come le corde di quella chitarra che mia madre comprò quando da piccola mi era presa la voglia irrefrenabile di suonare.
“Ciao mare” la prima canzone che imparai. E lei che mi ascoltava soddisfatta come se avessi compiuto l’impresa della vita e invece quante delusioni poi le ho dato.
Il buio della notte mi graffia l’anima.
Sorgi sole, alla luce i pensieri fanno meno male.

Il destino

Uno strano scherzo del destino.
Ho scritto per anni e mai una volta il blog si è cancellato così, di colpo, senza alcun motivo.
L’ultimo mio post aveva il titolo “E se poi…?” Ed eccolo qui un altro mio “e se poi…”. Un sorrio beffardo sul viso.
Ci tenevo molto alle parole scritte in questi giorni. Impetuose come l’acqua gelata di una cascata. Chissà dove sono andate a finire. Chissà se sono arrivate lì dove avrei voluto.
E’ evidente che io non debba scrivere più.