Prima che non torni la notte (romanzo) “Il Prologo”

ANTONIO ONORATO

PRIMA CHE NON TORNI LA NOTTE

(depositato alla SIAE marzo 2017 tutti i diritti riservati)

 

“Io e un altro. Io è l’altro”

CRISI, ROMANZO, IDENTITÀ

esser fuori ma anche dentro l’inconscio…

Carissimo Antonio,

… Certo, molti chiedono a un romanzo solo trama e destino, vicenda e caratteri, gesta, accadimenti, dialogo, emozioni distillate a perdersi: e in tutto ciò di ritrovarci attenti, affratellati come in una vecchia, sottintesa iniziazione…Col tuo libro, e questo è già il primo merito, saltano invece tutte le categorie, le aspettative, le logiche di breve periodo.

Borges diceva che noi moderni abbiamo ormai perduto la facoltà di servirci, allo stesso tempo, sia del ragionamento che del mito… Ma tu, come il nocchiero in solitaria d’una nave, alzi e cali le vele, viri, strambi, inclini il Raziocinio in fieri, facendone davvero una sorta di Mito discettante(si). Il “Cogito ergo sum” (variante: “Dubito”) diventa un inesorabile Romanzo dunque sono

… Lascia a bocca aperta, tanto per dire, tutto il prologo che assimila la compassione suprema di Buddha e l’impermanenza del cane Josh, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, e un terribile tornado in Texas…

“Quanti siamo dentro? Due sembrano certi.”

“Se un albero cade nella foresta, e nessuno lo sente, fa rumore?”

… Un libro dove ogni personaggio parla all’altro, a se stesso – ma anche a tutti noi…

Giudizi intriganti, peraltro, immedesimazioni e perfino affratellamenti psicologici, ripeto: rispecchiamenti emotivi…

…Ora non è importante tornare sulla trama – che c’è eccome, ma volutamente torna a perdersi, a far quadrare il cerchio, dunque quasi a ricominciare: conta lo stile, il piglio, la felicità inventiva d’ogni frase, la febbre – a volte – argomentativa, che ti consente di spaziare in lungo e in largo, ma soprattutto di sorvolare le praterie dell’inconscio…

Decisivi i sogni, ho scritto, appuntato ancora. Come nei film di Bergman o magari di Buñuel, la realtà continua in essi, anzi prende atto di se stessa forse solo attraverso di loro…Bello anche l’approccio, la “rappresentazione” dell’Amore – amore nudo e crudo, giammai edulcorato, zuccherato, né in senso religioso, né, meno che mai, estetizzante

… Sì, forse è davvero meglio parlare di coscienza non di anima, e ipotizzare, come certi strani scienziati illuminati, che possa essere la coscienza a modellare l’universo. Dunque ogni suo destino, o romanzo che sia…

E lasciami concludere questa lettera schietta di felicitazioni (il tuo libro è bello, strano, inopinabile eppure scorrevole, sia nell’esser fuori che nell’essere dentro!)

Ogni bene, Antonio, davvero bravo e a presto!

Credimi, tuo

(marzo 2017)

Plinio Perilli

 

PREMESSA

Fin dall’inizio di quest’opera ho provato a immedesimarmi in un lettore del tutto privo di conoscenza in filosofia, poiché, l’intento era  non solo quello di narrare una storia  ma, anche di evidenziare come alcuni concetti filosofici, agendo nel sottosuolo della nostra coscienza, hanno contribuito ad indirizzare la società occidentale, sia nel bene che nel male, verso un approccio fortemente materialistico, compromettendo l’originario rapporto dell’uomo col sacro e la nostra necessità autoctona ed irrazionale per il senso del divino. Ho evidenziato in particolare: il concetto occidentale del Nulla, “esasperato” in maniera convincente sia da Giacomo Leopardi che da Nietzsche; il problema tra Immutabile e divenire; alcuni tratti di pensiero del principio biocentrico.

Spero di essere riuscito nell’impresa di coniugare narrazione, filosofia, introspezione e poesia.

Poiché dal nulla  non nasce nulla, “devo” ringraziare il contributo di ogni lettura, dibattito e lezione che nel corso degli anni (da fervente appassionato di filosofia)  ho seguito, le quali sono state argomentate dai più autorevoli filosofi italiani, come Emanuele Severino, Umberto Galimberti, Marco Guzzi, tra l’altro poeta oltre che filosofo (la Sua conferenza su Rimbaud: “La notte infernale e la salvezza” è stata di ispirazione per il prologo di quest’opera), e molti altri.

Desidero ringraziare il professore Giovanni Rocci (con il quale ho sostenuto due brillanti esami universitari in filosofia contemporanea) che ha acceso nel sottoscritto un vivo interesse per la psicologia analitica di Jung  e per Nietzsche – il suo testo “La maschera e l’abisso” una lettura Junghiana di Nietzsche è stato per me di profonda ispirazione.

PROLOGO

Io e un altro

Capita spesso che mi svegli nel cuore della notte per un rumore fastidioso. Una goccia d’acqua  esce da un rubinetto e cadendo batte sul fondo del lavandino della cucina, la quale è distante dalla mia camera da letto.  L’ascolto. Il picchiettio è nella testa e non riprendo più sonno. Non ci riesco proprio. Mi alzo dal letto e cammino nella stanza, il rumore è ormai dentro e non  esce fuori nemmeno se mi distraggo guardando le strade semibuie dalla finestra.

C’è un’apertura di senso tra noi e le cose ed è un senso che ha bisogno inizialmente del cuore per essere colto. Certo è fastidiosa una goccia d’acqua che ti martella la testa. Gli antichi Egizi credevano che la sede del pensiero fosse il cuore, l’unico organo che non veniva rimosso in caso di mummificazione. Il cuore conteneva l’anima e il pensiero.

Guardo la rosa che ho preso per Josh. L’ho messa accanto alle sue ceneri, sul comodino, oggi sarebbe stato il suo compleanno. Fratello mio, quanto mi manchi. La rosa è screziata, e, nel linguaggio dei fiori è il segno di un amore tradito. Era l’unica bella rosa rimasta ieri sera nel chiosco del fioraio poco distante da casa mia, ed è ciò che vale. Non ci siamo mai traditi, di te sono sicuro, di me spero d’esserti stato leale. Come avresti visto questa rosa? Come io la vedo? Non è importante per la verità.

Sono strani i filosofi, si pongono certe questioni, come ad esempio: “se un albero cade nella foresta, e nessuno lo sente, fa rumore? Così si è sollevata una gran questione: esiste una verità indipendente dal nostro pensiero, oppure no? Il profumo di questa rosa chi lo sente? E i suoi colori chi li vede? I miei sensi mi dicono queste cose che immagino siano qualità che appartengono a questo fiore. Ma tali qualità esistono solo nella mia mente, se ben ci rifletto. Fin dove posso allontanarmi non saprei proprio. So fin dove vorrei avvicinarmi: da Josh, da Sara.

Tra me e il mondo esterno ci sono i miei sensi. Due realtà chiuse in sé. Quel che chiamo esterno è perché mi avverto dentro, senza possibilità d’uscire se non attraverso i sensi. Anche il mondo la penserebbe allo stesso modo se potesse. Forse può, mi piacerebbe.  Non ho più quella maledetta goccia nella testa, senti che baccano che fa il silenzio molto di più di qualunque rumore. Quanti siamo dentro? Due sembrano certi.

Se un albero cade nella foresta, e nessuno lo sente, fa rumore? Di sicuro, se ascoltassi  musica a tutto volume con le mie cuffiette, o se fossi sordo, no, non farebbe alcun rumore.

E, la faccenda diventa ancor più complicata. Cos’è il rumore qualcosa di esterno o interno a noi? Una farfalla batte le sue ali. Lo sento il suo rumore, quello prodotto dalle piccole e sottili ali? No, non riesco a sentirlo, però non ne posso negare l’esistenza. Edward Norton Lorenz nel 1972 tenne una conferenza dal titolo: “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”

Il rumore, quindi, è uno spostamento d’aria non propriamente un rumore.  Una vibrazione dell’aria prodotta da qualcosa o da qualcuno. Non si può negare di certo uno spostamento d’aria, una vibrazione, esisterebbe lo stesso anche se non ci fosse nessun essere vivente capace di udire. D’altra parte se uno spostamento d’aria produce rumore,  il rumore è solo un’interpretazione dell’essere, o meglio è l’incontro delle vibrazioni esterne con l’organo uditivo di un organismo in grado di elaborare e tradurre l’informazione in suono, ma da dentro. E lo stesso vale con i colori di questa rosa. Me lo fece intuire Sara in un sogno.

Se un albero cade in una foresta, e nessuno lo sente, fa rumore? Che importanza potrebbe avere? Di certo avrebbe importanza per l’albero e nessuno si è posto tale questione. Una foresta non potrebbe mai essere priva di un organismo che sia in grado di percepire il disagio di quell’albero. E con questa riflessione è difficile negare l’esistenza di una realtà esterna a noi.

Da bambino ascoltavo migliaia di rumori all’inizio tutti sconosciuti. Il cinguettio degli uccelli, il motore della moto di mio zio, il fiammifero sfregato sulla parte ruvida della scatola che lo conteneva, la risata di mia madre e quella di mio padre. Quanti rumori ho dovuto imparare a riconoscere? I rumori sono dentro noi. Anche il soffio del vento in inverno e quello soffice, quasi impercettibile, dei fiocchi di neve che cadono sull’asfalto in una mattina di dicembre, o il lamento notturno d’un gatto. Le nostre parole pronunciate sono simboli che sappiamo decifrare, cioè sono rumori a cui diamo un immediato significato. Forse, ci facciamo la domanda sbagliata. Cosa prova l’albero mentre cade nella foresta? Cosa cambia per lui, in lui, e per tutti gli esseri animali e vegetali che popolano la foresta? In che rapporto sono io con quell’albero,  e lui in che relazione è con me? Ci deve essere per forza un ascolto tra me e l’albero affinché si produca la realtà? Esiste una verità fuori e una dentro? E, insieme fanno una sola realtà?

Pare che il Buddha abbia detto “La forma è il vuoto e il vuoto è forma”. C’è un nesso con quel che sto elaborando ma non riesco razionalmente ad esprimerlo. Sono Io a non saperlo esprimere, ma l’altro senza dubbio è più saggio di me. Io e un altro.  Io è l‘altro scrisse Rimbaud, e la poesia non fu più stessa. Forse tornò alle origini, al mito? No. Ogni narcisistica necessità venne sepolta. Fu l’inizio di qualcosa di diverso. L’Io ascoltò il canto dell’altro per voce dell’Io e nell’ascoltarlo si lacerò irrimediabilmente. L’Io è ascoltatore, corrotto dal limite ostile della ragione, in cerca di salvezza.

L’Io deve trovare il vuoto interno per congiungersi all’altro che sia un fuori o un dentro? “È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire Io sono pensato. Scusi il gioco di parole. Io è un altro.” Scrisse sempre Rimbaud al suo insegnante. L’Io che da soggetto, da attore protagonista, si rivela una semplice comparsa, un non nulla, chi lo accetterebbe? Rimbaud lo immagina, l’io, forse lo svela, come l’oggetto che subisce il pensiero. Quale pensiero? Ma, quello sotterraneo, non le idee di Platone che rispecchiano il fuori.

Un pensiero “autoctono” che risale dall’interno e che l’Io subisce. Com’è complessa la natura in fondo. Come disbrigarsi nel suo inganno? L’Io che si pensa soggetto è inconsapevole di chi lavora alle sue spalle, insomma è altro da sé pensando d’essere se stesso e diventa veramente cosciente di sé solo quando si depotenzia rendendosi ascoltatore del proprio demone o, meglio, di demoni interni.

Sta capitandomi  la stessa cosa? Non voglio essere poeta, non desidero in me degli universali. Lotto per mantenere il controllo. Un controllo che non ci sarà mai. La mia è follia cosciente, in fondo.

La poesia cos’è. Qualcosa che i filosofi odiano. Non tutti. Nietzsche fu un poeta. Leopardi fu un filosofo. La poesia è il posto in cui l’Io non ha controllo, travolto dalla congiunzione degli opposti.

Il pensiero è superfluo in fondo. Per questo ho deciso di non avere figli. È qualcosa che non potrei mai fare: mettere al mondo un figlio. Posso accettare gli altri, non i  miei. Per me equivarrebbe ad uccidere. Non si può assecondare la natura dopo averla resa crudele. L’ho resa crudele e non sono stato l’unico; ho imparato da altri.

Se un vulcano erutta in un isola deserta, e nessuno lo sente, fa rumore? Le vibrazioni arriverebbero anche a migliaia di km di distanza e sarebbero in molti ad accorgersene. Un vulcano è differente da un albero. Ma quante stelle esplodono nell’universo e nemmeno ce ne accorgiamo? E una stella è molto differente rispetto ad  un vulcano.

Tra Io e l’altro c’è una differenza/identità. Il legno che si ritrova violino. L’Io è un altro. Questo è il vero motivo per cui non trovo una possibilità d’arrivare al dunque?

Josh aveva il potere di mettermi in contatto col dentro. Lo stesso accadeva con Sara. Con entrambi c’era un rapporto di differenza/identità. Rapportandomi con loro mi rapportavo con la mia anima, per gradi, e non sempre allo stesso modo.

Non era come lo era per Rimbaud, perché la mia autocoscienza non perdeva totalmente la propria identità, ed era anche altro da sé, non entrava in confusione, era in simbiosi. Quando accadeva, accadeva anche il senso. Coglievo una sorta di senso, che m’appagava. Non potevo dare all’altro tutto il mio Io, sarebbe stato come consegnarlo al nulla. Annientarlo.

L’amore è un sentimento irrazionale/razionale. È complesso, è una emozione colma di affettività ed ha una base razionale, ma si avverte come un bisogno. Chi ami, spontaneamente, ti conduce dentro.

Credevo di morire senza Josh. Credevo di morire senza Sara. Forse amare è anche questo. Il voler provare la propria morte quando l’altro è perso per sempre.

L’amore cristiano, per me è incomprensibile, è il mio limite. L’individuo costretto a porsi come ‘dividuo. Posso provare compassione per l’altro, con-divisione, amarlo come idea e come una sorta di identificazione con delle macchie interne a me, prive di definizione. Non posso amarlo come Josh e come Sara. Non sarebbe giusto. Sarebbe tradimento.

Un tempo anche Sara apparteneva alla massa, all’indifferenziato. Ha vissuto porzioni di vita senza che ne avessi alcuna idea. Poi, ci siamo incontrati, parlati, conosciuti e amati. È stato il progressivo avvicinarsi di ogni nostra differenza e di ogni nostra identità.

Sono sicuro, ora: non posso amare ciò che non abbia una identità perché sarebbe come amare me stesso, poiché sarei costretto a dargli la mia di identità.

È per questo che coloro che sono contro la pena di morte per lo più sono solo contrari alla loro morte. Un egoismo innato. “Io”, sono contro la pena di morte,  perché c’è differenza se guardi una mucca considerandola sacra o se la guardi come una futura bistecca. Io guardo all’altro come a qualcosa di sacro e di diverso da me.

Rimbaud cercava il cambiamento e la sua poesia era una poesia in divenire. “Se l’ottone si sveglia tromba non è affatto colpa sua.” Se qualcosa, o meglio qualcuno, consapevolmente si ritrova ad essere qualcun altro; egli diviene. E non è sua colpa.

L’Io come un dio, osserva se stesso e si fa ascoltatore di sé. Ma l’Io simile al dio greco, come Dioniso, è vittima lacerata.

Quel cervo che guardavo nel buio corridoio, i suoi occhi mi imploravano di salvarlo come fossi un dio, ma un dio greco. Un dio che muore e, poi, forse, rinascerà. Un dio diveniente.

Così nulla è perduto, se anche dio è morto.

Ho conosciuto Lara. Non so ancora cosa provo esattamente per lei. È molto bella e indubbiamente mi piace e la desidero. Mi fa male un pensiero. Per questo mi rinchiudo nella indecisione:

se riuscissi in futuro a provare amore per lei, avrò creato altra distanza tra me, Sara e Josh. Perché l’anima non può vivere eternamente di conflitti.

Non si può amare indistintamente. Poiché ciò che è anonimo, oscuro e selvaggio, una volta emerso deve pur saper rientrare.

Almeno, io so che devo amare il particolare. Sono qui per questo. Nell’abbandono in direzione del molteplice finirei per distruggere ogni intima consapevolezza, anche quella del mio amore per Sara e per Josh.

Non trovo nessun superamento in ciò. Intendo in questa concessione assoluta dell’Io all’indistinto. Vedo un semplice rigonfiarsi, un sommarsi che finirà con un doloroso strappo. Non posso accettarlo. Non sono ancora pronto ad ingoiare il rospo.

Dio e il nulla. Io e un altro. Io è l’altro. Dio è il nulla.

Questo calcolo incessante finirà per uccidermi. Se così fosse vorrebbe dire che Dio non è morto?

Se un albero cade in una foresta, e nessuno lo sente, fa rumore?

Credo di non essere pronto ad accettare la realtà così come essa si presenta.

 

Prima che non torni la notte (romanzo) “Il Prologo”ultima modifica: 2017-06-25T16:30:05+02:00da antonio1onorato