Quell’improvviso raggio del tempo d’amore

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Charles Swann e la serata a casa della marchesa Saint-Euverte.

«Ma il concerto ricominciò e Swann si rese conto che non avrebbe potuto andarsene prima della fine del nuovo pezzo in programma. Soffriva di restare imprigionato fra quella gente, la cui stupidità e ridicolaggine lo colpiva ancor più dolorosamente perché, ignari del suo amore, incapaci, se anche l’avessero conosciuto, di prestarvi interesse e di fare altro che sorriderne come di una puerilità o deplorarlo come una follia, glielo mostravano sotto l’aspetto di una condizione soggettiva, esistente solo per lui, la cui realtà non riceveva alcuna conferma esterna; soffriva soprattutto, e al punto che persino il suono degli strumenti gli faceva venir voglia di urlare, del protrarsi del suo esilio in quel luogo dove Odette non sarebbe mai venuta, dove nessuno, niente la conosceva, dal quale lei era totalmente assente.

Ma, tutt’a un tratto, fu come se fosse entrata, e quella apparizione gli inflisse una così lacerante sofferenza che fu costretto a portarsi la mano al cuore. Il violino, infatti, era salito a note alte e lì restava come per un’attesa, un’attesa che si prolungava senza che rinunciasse a tenerle, nell’esaltazione che gli veniva dallo scorgere già l’oggetto della propria attesa che s’avvicinava, e compiendo uno sforzo disperato per cercar di resistere fino al suo arrivo, di accoglierlo prima di spirare, di far sì con tutte le sue forze che il varco rimanesse aperto ancora un attimo perché potesse passare, come chi regga il peso di una porta che altrimenti ripiomberebbe. E prima che Swann avesse il tempo di capire, di dirsi: “È la piccola frase della sonata di Vinteuil, non ascoltiamo!”, tutti i ricordi del tempo in cui Odette era innamorata di lui, i ricordi che fino a quel giorno era riuscito a custodire, invisibili, nella profondità del suo essere, ingannati da quell’improvviso raggio del tempo d’amore, supponendolo ritornato, si erano ridestati e, a volo d’uccello, erano risaliti a cantargli perdutamente, senza pietà per la sua presente sventura, i ritornelli dimenticati della felicità.

Invece di espressioni astratte come “il tempo in cui ero felice”, “il tempo in cui ero amato”, che fino allora aveva pronunciato spesso e senza troppo soffrirne, poiché il suo intelletto vi aveva racchiuso, del passato, solo certi pretesi estratti che non ne serbavano traccia, ritrovò tutto ciò che di quella felicità perduta aveva fissato per sempre la specifica e volatile essenza; rivide tutto, i petali arricciati e nevosi del crisantemo che lei gli aveva gettato nella carrozza e che lui s’era tenuto stretto contro le labbra – l’indirizzo in rilievo della Maison Dorée sul messaggio dove aveva letto: “La mia mano, mentre vi scrivo, trema così forte” – l’accostarsi delle sue sopracciglia quando gli aveva detto in tono supplichevole: “Non aspetterete troppo a chiamarmi?”; sentì l’odore del ferro del parrucchiere dal quale si faceva sistemare la pettinatura “a spazzola” mentre Loredan andava a prendere la piccola operaia, i rovesci di pioggia così frequenti in quella primavera, il gelido ritorno nella sua victoria, al chiaro di luna: tutte le maglie di abitudini mentali di impressioni stagionali, di reazioni cutanee che avevano steso sul succedersi di quelle settimane una rete uniforme nella quale il suo corpo si trovava di nuovo imprigionato. […] Ricordò, per sua sventura, la voce di Odette mentre esclamava: “Ma io potrò vedervi sempre, sono sempre libera!”, lei che adesso non lo era mai, non lo era più!, il suo interesse, la sua curiosità per la vita di lui, il suo appassionato desiderio che Swann le concedesse di penetrarvi – aspirazione che allora, invece, egli temeva come causa di fastidiosi scompigli –; quanto aveva dovuto pregarlo perché si lasciasse portare dai Verdurin; e, ai tempi in cui la lasciava venire a casa sua una volta al mese, quanto aveva dovuto decantargli, prima ch’egli si piegasse,  la dolcezza di quell’abitudine di vedersi ogni giorno che lei allora sognava, mentre a lui sembrava soltanto una piccola, noiosa calamità, e che poi lei aveva preso a detestare e aveva definitivamente interrotta,  mentre era divenuta per lui una così invincibile e dolorosa esigenza. […] E Swann vide, immobile davanti a quella felicità rivissuta, un infelice che gli fece pena perché dapprima non lo riconobbe, al punto che gli toccò abbassare gli occhi perché non si vedesse che erano pieni di lacrime. Era lui stesso».

[La citazione è tratta dalla traduzione italiana di Giovanni Raboni, M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, Milano 1983-1993, 4 volumi]

§

L’amore tra Swann e Odette non è più quello degli inizi; lei s’è fatta ambigua e sfuggente, il distacco è già stato consumato. Swann è tormentato da ansie e gelosie e a parziale consolazione si ripete:

C’è stato un tempo in cui Odette mi amava di più“.

Ma la memoria involontaria si risveglia sulle note della sonata di Vinteuil, nella “piccola frase” che era stata “come l’inno nazionale del loro amore“. La cognizione del dolore, servita.

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Le immagini:

James Tissot, Salon de M. de Goncourt

G. Caillebotte, Jeune homme à la fenêtre

“Mais le concert recommença et Swann comprit qu’il ne pourrait pas s’en aller avant la fin de ce nouveau numéro du programme. Il souffrait de rester enfermé au milieu de ces gens dont la bêtise et les ridicules le frappaient d’autant plus douloureusement qu’ignorant son amour, incapables, s’ils l’avaient connu, de s’y intéresser et de faire autre chose que d’en sourire comme d’un enfantillage ou de le déplorer comme une folie, ils le lui faisaient apparaître sous l’aspect d’un état subjectif qui n’existait que pour lui, dont rien d’extérieur ne lui affirmait la réalité ; il souffrait surtout, et au point que même le son des instruments lui donnait envie de crier, de prolonger son exil dans ce lieu où Odette ne viendrait jamais, où personne, où rien ne la connaissait, d’où elle était entièrement absente.

Mais tout à coup, ce fut comme si elle était entrée, et cette apparition fut une si déchirante souffrance qu’il dut porter la main à son coeur. C’est que le violon était monté à des notes plus hautes où il restait comme pour une attente, une attente qui se prolongeait sans qu’il cessât de les tenir, dans l’exaltation où il était d’apercevoir déjà l’objet de son attente qui s’approchait, et avec un effort désespéré pour tâcher de durer jusqu’à son arrivée, de l’accueillir avant d’expirer, de lui maintenir encore un moment de toutes ses dernières forces le chemin ouvert pour qu’il pût passer, comme on soutient une porte qui sans cela retomberait. Et avant que Swann eût eu le temps de comprendre, et de se dire : “C’est la petite phrase de la sonate de Vinteuil, n’écoutons pas !” tous ses souvenirs du temps où Odette était éprise de lui, et qu’il avait réussi jusqu’à ce jour à maintenir invisibles dans les profondeurs de son être, trompés par ce brusque rayon du temps d’amour qu’ils crurent revenu, s’étaient réveillés et, à tire-d’aile, étaient remontés lui chanter éperdument, sans pitié pour son infortune présente, les refrains oubliés du bonheur.

Au lieu des expressions abstraites “temps où j’étais heureux”, “temps où j’étais aimé”, qu’il avait souvent prononcées jusque-là et sans trop souffrir, car son intelligence n’y avait enfermé du passé que de prétendus extraits qui n’en conservaient rien, il retrouva tout ce qui de ce bonheur perdu avait fixé à jamais la spécifique et volatile essence ; il revit tout, les pétales neigeux et frisés du chrysanthème qu’elle lui avait jeté dans sa voiture, qu’il avait gardé contre ses lèvres – l’adresse en relief de la “Maison dorée” sur la lettre où il avait lu : “Ma main tremble si fort en vous écrivant” – le rapprochement de ses sourcils quand elle lui avait dit d’un air suppliant : “Ce n’est pas dans trop longtemps que vous me ferez signe ?” ; il sentit l’odeur du fer du coiffeur par lequel il se faisait relever sa “brosse” pendant que Lorédan allait chercher la petite ouvrière, les pluies d’orage qui tombèrent si souvent ce printemps-là, le retour glacial dans sa victoria, au clair de lune, toutes les mailles d’habitudes mentales, d’impressions saisonnières, de réactions cutanées, qui avaient étendu sur une suite de semaines un réseau uniforme dans lequel son corps se trouvait repris.”

Marcel Proust, A la recherche du temps perduDu côte de chez Swann

Quell’improvviso raggio del tempo d’amoreultima modifica: 2019-05-01T17:14:44+02:00da hyponoia