Music box – Il negozio di antiquariato

Non si può cercare un negozio di antiquariato

in via del Corso,

ogni acquisto ha il suo luogo giusto

e non tutte le strade sono un percorso.

Raro è trovare una cosa speciale

nelle vetrine di una strada centrale,

per ogni cosa c’è un posto

ma quello della meraviglia

è solo un po’ più nascosto.

Il tesoro è alla fine dell’arcobaleno

e trovarlo vicino, nel proprio letto

piace molto di meno.

                                                                                                                                     Niccolò Fabi

Inauguro questa rubrica dedicata ai miei brani musicali preferiti con una splendida canzone di Niccolò Fabi, “Il negozio di antiquariato“, tratta dall’album “La cura del tempo” del 2003.

Nel brano viene citata la famosa Via del Corso, una strada romana dedicata allo shopping e alle passeggiate durante il tempo libero, piena di negozi in cui poter acquistare abbigliamento o profumi di marche famose. Di certo non oggetti rari o speciali come quelli che, invece, potremmo trovare in un negozio di antiquariato, magari in una strada più nascosta e meno affollata.

Infatti, il posto della meraviglia “è solo un po’ più nascosto“, perché se si trovasse in un posto più affollato e visibile a tutti non sarebbe più tale, non riuscirebbe più a stupirci. Le cose migliori, in grado di procurarci stupore e meraviglia, vanno, quindi, cercate lontano, senza fretta, come cercare l’ombra in un deserto. Perché, come conclude Fabi, “l’argento sai si beve ma l’oro si aspetta“.

Oggi siamo ancora in grado di meravigliarci, di rifugiarci in posti lontani per cercare qualcosa di speciale? Ci dovremmo provare ogni tanto, anche se forse  siamo troppo abituati a tutte quelle cose che abbiamo a portata di mano  e da cui non riusciamo a separarci, perché ci fanno sentire più sicuri.

Il diritto a riappropriarsi della propria vita

Una massima che tutti conosciamo molto bene è “si lavora per vivere, non si vive per lavorare“. Potrebbe apparire scontata ai più, forse, ma di fatto viene molto spesso disapplicata.

Ci lasciamo prendere dalle incombenze lavorative, prolunghiamo l’orario di ufficio oltre l’umana sopportazione, magari ci portiamo il lavoro a casa. Tutto questo, per tentare di raggiungere i nostri obiettivi, ottenere un avanzamento di carriera o semplicemente fare bella figura con il capo che conta su una squadra efficiente, più che altro per alimentare il proprio prestigio. La continua disponibilità genera maggiori aspettative con un aumento delle pressioni e dei carichi di lavoro, il classico serpente che si morde la coda.

A prescindere dalla capacità di raggiungere i nostri obiettivi, il nostro tempo libero diventa inesistente, diviene impossibile dedicarsi ai propri affetti e ai propri interessi.

Ho sempre detestato l’idea di poter essere reperibile al di fuori dell’orario di lavoro: la possibilità che qualcuno possa chiamarmi, mandarmi messaggi o e-mail anche nel fine settimana e che io debba essere costretto a rispondere mi pone in uno stato di continua angoscia, come se mi sentissi perseguitato.

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Tuttavia, poche ore fa ho letto una notizia davvero interessante, secondo cui la Francia sarebbe uno dei primi Paesi ad aver varato una legge che fissa un nuovo principio per tutti i dipendenti: staccare telefono e computer, non rendersi sempre reperibili. In pratica, la legislazione francese avrebbe sancito il “diritto alla disconnessione“, da applicare concretamente mediante accordi tra imprese e sindacati. Principio che dovrebbe essere adottato anche in Italia, sebbene tempi di approvazione del disegno di legge e criteri applicativi non mi siano noti.

La notizia mi consola, ma nello stesso tempo suscita in me alcune perplessità. Il diritto ad essere disconnessi fuori dell’orario di lavoro, anche senza norme specifiche, doveva essere il risultato di una scelta di buon senso di aziende e lavoratori. Questi, invece, sono i primi a “trasgredire“, a quanto pare.

Dunque, siamo al paradosso di uno Stato che deve stabilire per legge cosa non deve fare un lavoratore nel tempo libero. D’altronde, se noi siamo i primi a non pensare a noi stessi.

In ogni caso, mi chiedo cosa accadrà alla resa dei conti: aziende e sindacati riusciranno a trovare un accordo su come i dipendenti devono gestire il proprio tempo libero?

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I dolori della giovane Virginia

L’analisi di Michele Serra  sulle vicende romane degli ultimi giorni è abbastanza condivisibile: davvero la radicalità dei propositi aumenta il clamore di un eventuale insuccesso.

Bisogna ricordare, che l’elezione della “sindaca” Raggi è avvenuta in forza di un voto di protesta verso il vecchio regime, a seguito delle tante lamentele verso i disservizi e gli scandali dell’Amministrazione capitolina, di fronte ad un Movimento che garantiva l’assoluta rottura con il passato.

Ricordo ancora una frase che mi è capitato di ascoltare ai seggi, nel corso delle ultime elezioni: “votiamo la Raggi, non vedete quanta spazzatura c’è in giro?”. Quindi, le aspettative erano tali che dopo poche settimane ci si stupiva che la spazzatura, il leitmotiv di questa sorprendente elezione, fosse ancora al suo posto. Non a caso, circolava su Facebook una vignetta, “La Raggi non ha ancora risolto la fame nel mondo”.

Gestire una città come Roma non è certamente una passeggiata, per cui l’inesperienza, unita alla volontà di andare avanti senza cedere a compromessi, sta dando luogo ad una situazione di stallo, con le numerose dimissioni cui stiamo assistendo in questi giorni. La vignetta di Altan arriva davvero a proposito.

Raggi Altan

In questa sede, non intendo esprimere le mie opinioni sulla politica grillina, anche perché sono abbastanza variabili. Tuttavia, vorrei essere più ottimista di Michele Serra. Roma Capitale ha bisogno di una svolta, ma anche di un governo stabile che garantisca l’adozione di tutte le misure necessarie per il superamento delle tante criticità. Per questo mi auguro che Virginia ce la faccia a superare la situazione di stallo e vada avanti, consentendoci di valutarla esclusivamente in base al suo operato e ai risultati raggiunti. L’elezione del nuovo Assessore al Bilancio, figura fondamentale nella gestione del Campidoglio, potrebbe essere un buon inizio.

MIchele Serra

La vignetta di Charlie Hebdo: è giusto indignarsi?

La vignetta di Charlie Hebdo sulle vittime italiane del sisma sta suscitando inevitabili polemiche e discussioni.

Certamente, si può discutere sulla non appropriatezza, sul pessimo gusto, sull’offesa arrecata alle vittime del terremoto. Si può affermare che si tratta di una vignetta priva di senso con oggetto un argomento su cui non c’è nulla da ironizzare o si può ipotizzare che i veri destinatari siano ben altri, coloro che in qualche modo hanno causato il disastro o vi speculeranno sopra, come si può ben intuire anche dalla “vignetta rettificata”.

COMBO CHARLIE HEBDO PER SITO

Io propendo per questa ipotesi. La satira, violenta, sfacciata, crudele, raramente ha come obiettivo principale dei poveri innocenti, ma intende mancare di rispetto a chi quel rispetto non lo merita. Allora, se all’apparenza la vignetta sembra sbeffeggiare i morti, destando un giusto sconcerto iniziale, alla fine il messaggio deve arrivare forte e chiaro alle orecchie di chi dovrebbe avere il compito di agire o ha avuto responsabilità nel disastro. Questa, è ovviamente la mia opinione.

In questo dibattito, non riesco a capire, in ogni caso, perché bisogna richiamare con insistenza l’attentato terroristico di alcuni mesi fa e la solidarietà espressa allora. Continuo a leggere vignette con un messaggio molto simile: “Adesso non siete più Charlie!” e mi chiedo: l’aver manifestato la propria vicinanza alle vittime di un folle gesto sanguinario (che di certo non può essere giustificato da una vignetta irriverente), perché mai dovrebbe escludere la possibilità di criticare quanto realizzato poi dalla rivista satirica?

É inutile discutere in questo momento se il messaggio “Je suis Charlie” fosse vera solidarietà o solo un gesto compiuto per seguire la massa (spetta alla coscienza di ognuno stabilirlo).

Si può tranquillamente esprimere la propria opinione su quanto rappresentato dai vignettisti, a prescindere dal fatto che ciascuno di noi sia stato o meno Charlie, purché la critica stessa non si trasformi in odio e in tentativi censori, che ci farebbero pericolosamente assomigliare a quei soggetti che hanno armato la strage di mesi fa.

E ovviamente si può discutere, ma fino ad un certo punto e con intelligenza. In queste ore, sto notando, più che altro, un proliferare di indignazioni: accanto all’indignazione verso la vignetta, vi è l’indignazione verso chi non è più “Je suis Charlie” o l’indignazione per l’indignazione. Ecco, magari potremmo smetterla di urlare allo scandalo e cercare di reagire smentendo nei fatti i vignettisti, costruendo case che non crollino al primo soffio di vento e adottando misure antisismiche. Ma siamo in Italia, ci riusciremo mai?

Introduzione

L’idea del titolo di questo nuovo blog trae spunto dall’omonimo bellissimo libro di Ennio Flaiano, che spero possa darmi diversi spunti di riflessione.

Il mio obiettivo è parlare di temi di attualità, commentare aforismi e citazioni che mi hanno particolarmente colpito o semplicemente esprimere le mie libere riflessioni. Ci saranno, inoltre, spazi dedicati alla musica, con una rubrica sui miei brani preferiti, e rinvii al mio primo blog “Un faro nella nebbia”, dedicato ad approfondimenti di cultura e dintorni.

Benvenuti!

Lorenzo

MONDO

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