La terra trema di nuovo

Ieri la terra ha tremato per l’ennesima volta. Due forti scosse hanno colpito il Centro Italia, avvertite distintamente a Roma. Io ero in un palazzo pubblico romano in quei momenti, oltretutto sotto un grosso lampadario di cristallo che ha continuato ad oscillare dopo le scosse per almeno dieci minuti.

Mentre iniziavano a trapelare le prime notizie, si parlava di crolli in zone poco abitate, ma si spera che almeno questa volta non vi siano vittime. In tutti questi anni ce ne sono state già fin troppe.

Il terremoto suscita inevitabilmente in me ricordi di infanzia poco piacevoli. Una data difficile da dimenticare, il 5 maggio 1990, di mattina a Potenza. Ero a casa con mio fratello, la scuola era chiusa in quanto seggio elettorale, i nostri genitori erano a lavoro. I mobili della cucina cominciarono a muoversi, io non riuscivo a capire cosa stesse accadendo, mentre mio fratello urlava e mi trascinava verso la porta d’ingresso. Una volta che tutto sembrava finito, uscimmo in strada ad abbracciare i nostri genitori che stavano tornando. La gente era smarrita, erano passati dieci anni dal terrificante sisma dell’Irpinia, chi pensava più a quella terribile insidia che arriva dalle viscere della terra per colpa di una stupida faglia.

Quando la terra inizia a tremare, la sensazione è sempre la stessa: un vuoto allo stomaco, il battito accelerato, la voglia di scappare via e rifugiarsi, dove non si sa. E la paura di perdere tutto in un solo istante, soprattutto le persone care.

Poi, quando accade di notte il terrore è amplificato. Ricordo il sisma dell’Aquila nel 2009, pure avvertito a Roma, che pareva non finire mai. Mi sembra di sentire ancora adesso le sirene degli antifurti delle automobili che di colpo iniziarono a suonare.

Ora sono a casa e non riesco a dormire. A peggiorare la situazione una pioggia incessante. Mi auguro che nelle zone maggiormente colpite il tempo non sia così inclemente, anche perché immagino che la gente non abbia intenzione di tornare nelle proprie case. Almeno non questa notte.

Terremoto sismografo

Music box – Notturno

“C’è tempo domani, per tutte queste idee

Per chi parte o rimane seguendo le maree

Io adesso ho bisogno di bagnarmi il viso

Nell’umido autunno che scende all’improvviso

C’è tempo domani per la velocità

Di questa esistenza che sogni più non ha adesso

Vorrei solamente credere a un istante

In un treno notturno che scavalchi il blu

Di questa mia notte irraggiungibile

Che porti pensieri invisibile

Esattamente come, io non so più, però dovunque fossi tu

E può essere lieve la malinconia

È come la pioggia che cade in questa via, lo sai

Lo sai non ricordo quanti anni avrai

Avrai gli anni di allora e cambiare non potrai ancora”

Mia Martini, come non ricordare la sua voce, la sua sofferenza, la sua capacità di trasmettere emozioni?

Vittima della stupidità altrui, per anni venne ostracizzata dalla scena musicale italiana fino a costringerla ad un temporaneo ritiro nel 1983. Lei stessa raccontò che la sua vita era diventata impossibile e tutte le porte le si chiudevano in faccia perché la gente aveva paura di lei e si rifiutava di partecipare a manifestazioni che prevedessero la sua presenza.

Queste sciocche e assurde superstizioni si accompagnarono a profonde delusioni da parte di persone di cui si fidava. Fu, infatti, tradita anche dal suo “amico” Gianni Boncompagni che in qualche modo contribuì a diffondere queste dicerie.

Fortunatamente, nel 1989 riuscì a tornare al successo con la partecipazione al Festival di Sanremo in cui interpretò una delle canzoni più belle di sempre “Almeno tu nell’universo”.

martini

Nell’album che fu inciso subito dopo il Festival, “Martini Mia…” è contenuto il meraviglioso struggente brano che voglio presentare oggi, “Notturno”. Il testo parla di una donna che di notte ricorda un amore finito. Tutte le idee, i pensieri, la velocità di una vita frenetica senza sogni possono essere rinviati a domani, adesso vorrebbe soltanto che un treno arrivasse a scavalcare quella “notte irraggiungibile” portandola da chi è talmente lontano nel tempo e nello spazio da sembrare sempre giovane, come se avesse gli stessi anni di allora e non potesse mai cambiare, almeno nella  mente di lei.

La morte di Mimì nel 1995 è ancora avvolta dal mistero: c’è chi ha parlato di suicidio, anche se questa tesi è stata smentita dai familiari, e chi, invece, di abuso di farmaci e stupefacenti, legato anche alla malattia di cui soffriva in quel periodo. La sorella Loredana non ha escluso un coinvolgimento del padre, accusato di violenze verso moglie e figlie.

Una storia triste quella di Mia Martini che non può, comunque, mettere in ombra il suo talento e le interpretazioni che ci ha lasciato in eredità. Una storia che, purtroppo, rischia di ripetersi, considerato che questi ostracismi nel mondo della musica non sono rari e hanno colpito anche altri artisti. Basta pensare ad una brava e giovane interprete come Arisa che di recente si è sfogata sui social dichiarando “Non mi faranno fare la stessa fine di Mimì”. Qualcosa su cui riflettere.

Quando i fan diventano fanatici

Proprio ieri abbiamo parlato in Community dell’allegria e del bisogno di intrattenersi anche con film, libri, programmi divertenti e spensierati. Ammetto, quindi, senza problemi, che spesso guardo il programma condotto da Carlo Conti in cui i protagonisti si dilettano nell’imitazione di cantanti famosi. Si tratta di un format ben sperimentato nel corso degli anni, anche se in diverse versioni (mi vengono in mente alcuni show condotti da Mike Bongiorno e Gigi Sabani) e il mio interesse per questi programmi nasce soprattutto dalla mia grande passione per la musica.

Tra i protagonisti di quest’anno, vi sono alcune vecchie volpi dello spettacolo e dell’intrattenimento, come Manlio Dovì e Tullio Solenghi, oltre a bravi cantanti e attori, impegnati anche nel musical.

E, infine, il giullare, colui che viene scelto per destare simpatia pur se non molto capace, ovvero Enrico Papi.

Ieri, il simpatico Papi ha avuto l’onere di imitare nientemeno che Justin Bieber, il ragazzetto canterino idolo delle giovanissime, che sciorina in continuazione motivetti leggeri e orecchiabili e si muove sul palco mandando baci a chiunque e ammiccando di continuo, quasi avesse un tic incontrollabile. Da questa mia descrizione si dovrebbe già iniziare a capire che non ho una grande simpatia per questo cantante, ma, ovviamente, non è finita qui.

Justin

L’imitazione di Papi, anche se un po’ scadente, è stata comunque simpatica, anche perché mettersi nei panni di un ragazzino non può che destare ilarità. Purtroppo, però, le fan di Justin, dotate evidentemente di scarso senso dell’umorismo, hanno iniziato ad insultare Enrico sui social definendolo vergognoso e indecente. Un attacco congiunto verso un’innocua e scanzonata imitazione.

Mi stupisco sempre di come le Belieber abbiano la memoria corta sul loro idolo. Mentre loro si dannano per difenderlo a spada tratta e combattere qualsiasi cosa possa turbare il suo bel sorrisino, lui spende in stravizi e trasgressioni i soldi che periodicamente loro gli elargiscono tra dischi e concerti. Certo, non è l’unico cantante trasgressivo e viziato sulla scena musicale, è in bella compagnia, ma in più lui non ha alcun rispetto dei fan. Butta via i loro regali definendoli schifosi, evita in qualsiasi modo il contatto, non vuole nemmeno che le ragazze urlino un po’ ai suoi concerti.

E di certo, senza fan, altro che party lussuosi e donne ai suoi piedi, come minimo andrebbe a pulire i gabinetti o a servire ai tavoli (lavori assolutamente dignitosi, intendiamoci) e non avrebbe alcuno spazio nella musica.

Quello che più mi intristisce è il rapporto morboso che si crea attorno a questi personaggi. Volti carini e motivi intriganti, uniti ad un’attenta gestione del look, permettono di conquistare orde di ragazzine urlanti, che, talmente coinvolte, giurano amore e dedizione ad ogni nuova star, purché abbia i requisiti di cui sopra. La nuova star si sente, quindi, in dovere di condurre un’esistenza sopra le righe perché così ha ancora più fascino (il retaggio del bello e dannato) e le fan continuano a cascarci. E ovviamente guai se qualcuno offende il loro idolo.

Comunque, dopo pochi anni, si ricomincia con un nuovo arrivato. Magari, quello che arriverà dopo sarà un pelino più simpatico, me lo auguro per le povere fan!

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Aforismi – L’allegria è una cosa seria

Per me, un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra e bella, sì, bella. Ci sono già abbastanza cose noiose nella vita senza che ci si metta a fabbricarne altre. So bene che è difficile far ammettere che un dipinto possa appartenere alla grandissima pittura pur rimanendo allegro. La gente che ride non viene mai presa sul serio”. (Pierre-Auguste Renoir)

Il grande pittore francese Renoir, maestro indiscusso della corrente pittorica dell’Impressionismo, aveva davvero ragione quando diceva che la gente che ride non viene mai presa sul serio.

Se ci pensiamo bene, in molti settori (dall’arte alla musica, al cinema, al teatro e alla letteratura) prevale quello stereotipo un po’ schizzinoso, che tende a far coincidere la qualità con la serietà, come se non fosse possibile diffondere cultura con il divertimento.

Ricordo che una sera in televisione la programmazione prevedeva contemporaneamente un film sul problema dell’immigrazione ed una trasmissione molto trash (immagino sia chiaro a quale trasmissione mi riferisco); su Facebook una ragazza, in forza di quello stereotipo di cui sopra, commentò dicendo che quella sera erano state poste a confronto le due facce dell’Italia. Francamente, credo che tra queste due presunte facce in realtà vi siano tante sfumature che contemplano anche la possibilità di fare intrattenimento in maniera intelligente e costruttiva.

In proposito, Italo Calvino diceva che il divertire è una funzione sociale: “penso sempre al lettore che si deve sorbire tutte queste pagine, bisogna che si diverta, bisogna che abbia anche una gratificazione; questa è la mia morale: uno ha comprato il libro, ha pagato dei soldi, ci investe del suo tempo, si deve divertire. Non sono solo io a pensarla così, ad esempio anche uno scrittore molto attento ai contenuti come Bertolt Brecht diceva che la prima funzione sociale di un’opera teatrale era il divertimento. Io penso che il divertimento sia una cosa seria”.

Ma torniamo al nostro Renoir e ai suoi quadri allegri che, a suo dire, dovevano far venire voglia di entrarci dentro, essendo pieni di colore e luce vibrante. Tra i suoi dipinti più famosi, il Bal au Moulin de la Galette, realizzato nel 1876 e conservato nel Museo d’Orsay di Parigi. Un vero capolavoro che ritrae un momento della vita parigina in un’atmosfera di felicità e abbandono, nello spensierato contesto della Belle Époque.

Il luogo ritratto è il Moulin de la Galette, un locale allestito in un vecchio mulino, sulla collina di Montmartre, il quartiere degli artisti. Pare che il pittore frequentò tale locale per parecchio tempo al fine di rendere in maniera autentica nel dipinto la sfrenata gioia, la dinamicità delle figure danzanti e la folla vivace, in un’atmosfera quasi surreale. Perché l’allegria è una cosa seria e va studiata a fondo.

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Il panino della discordia

Può un panino creare tanta discordia tra “miti” prelati? Evidentemente sì, considerato che pochi giorni fa è scoppiata una polemica per l’apertura di un nuovo McDonald’s nel rione romano di Borgo Pio vicino San Pietro.

La protesta non coinvolge solo i residenti e i commercianti della zona, preoccupati che l’apertura del fast food possa stravolgere il tradizionale quartiere romano. Anche numerosi cardinali hanno manifestato la loro profonda indignazione, convinti che il McDonald’s possa turbare la tranquillità e la sacralità di quel luogo.

Particolarmente animata è l’arringa del Cardinal Sgreccia che parla di scelta discutibile, in contrasto con le “tradizioni architettoniche e urbanistiche” di una piazza che si affaccia sul Colonnato di San Pietro. Secondo il Cardinale, poi, il ristorante andrebbe a proporre cibi non in linea con le tradizioni culinarie romane e pericolosi per la salute dei consumatori. Al posto di questa mega paninoteca sarebbe stato preferibile utilizzare quegli spazi per attività in favore dei bisognosi.MC San Pietro

Francamente, a mio avviso l’estrema e accorata protesta dei porporati fa acqua da tutte le parti.

Anzitutto, il locale concesso in affitto alla catena americana fa parte di uno stabile di proprietà del Vaticano e gestito dall’APSA (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica). Questo locale, precedentemente occupato da una banca, è rimasto sfitto per molto tempo, considerato che nessuna attività commerciale era in grado di pagare l’elevatissimo canone richiesto. Se i porporati ritenevano davvero che tale spazio dovesse essere utilizzato per attività in favore dei bisognosi, perché lo hanno lasciato vuoto per molti anni e non si sono mobilitati per tempo presso l’APSA? Questa protesta tardiva assomiglia molto ad un tentativo di lavarsi la coscienza: prima nessuno voleva assumersi la responsabilità di non introitare più il canone, preferendo lasciare il locale sfitto e ora si scaricano tutte le colpe sul demonio americano.

Poi, bisogna sottolineare il fatto che sicuramente i prodotti della McDonald’s non sono in linea con la fantastica ed ineguagliabile tradizione culinaria romana, anche perché stiamo parlando di cibo americano. Tuttavia, la Capitale è piena di ristoranti di questo genere, che sfornano cibi “pagani” e “malsani” ad ogni ora del giorno e della notte. Soltanto, nel mio quartiere ce ne sono due, anche se devo ammettere di non avere mai avvertito tutti i disagi di cui si lamentano gli abitanti di Borgo Pio. In ogni caso, non si può non notare che i religiosi si preoccupano del cibo ingurgitato da residenti e turisti con pericolo per la propria incolumità fisica, solo nel momento in cui ciò avviene nei pressi dei loro costosi e lussuosi attici. Di sicuro, finché la catena americana apre fast food in periferia, le loro sensibili narici non corrono alcun pericolo.

Infine, a completare il simpatico quadretto, ecco l’ultima informazione, una vera ciliegina: i cardinali in protesta sono soprattutto coloro che abitano nello stabile e sono stati costretti dall’APSA a sborsare quattrini per ristrutturare il locale poi ceduto al colosso americano. E quando bisogna aprire i cordoni della borsa, si diventa molto nervosi.

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Ordinarie disavventure ferroviarie

Mi è capitato più di una volta di parlare delle mie disavventure ferroviarie. E fortunatamente non sono un pendolare, per cui negli ultimi anni i miei viaggi in treno sono stati abbastanza limitati.

In ogni caso, andiamo con ordine. Per un paio di mesi, il treno diretto Roma – Potenza era stato sospeso per lavori sulla rete ferroviaria. Ho realizzato, quindi, le trasferte estive verso la mia città di origine tramite i pullman di una ormai “collaudata” società di trasporti lucana.

Venerdì scorso, invece, essendo, ormai, terminata l’interruzione del servizio, ho pensato bene di prendere nuovamente il treno.

I ricordi di passati viaggi della speranza, in balia di treni sperduti nelle campagne laziali che macinavano ritardi su ritardi, avrebbero dovuto farmi desistere dall’intraprendere quell’avventura, o avrebbero dovuto indurmi a stare almeno un po’ in ansia. E, invece, ecco che la memoria in certe occasioni si fa molto corta o tende ad edulcorare il passato. Nella mia mente, infatti, il treno è rappresentato sempre come un mezzo molto più comodo del pullman.

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E così sono salito sul mio vagone e mi sono accomodato al mio posto con molta tranquillità e la sottile speranza di arrivare a casa in orario. Ma la mia speranza è stata ben presto annientata.

All’approssimarsi dell’orario di partenza, una vocina registrata annuncia un ritardo di venti minuti che poi diventa di mezz’ora, che, infine, si trasforma in una notizia allarmante e quasi inaspettata: bisogna lasciare il treno che non potrà partire a causa di un guasto e dirigersi ad un altro mezzo fermo ad un vicino binario. Da quel momento in poi, per circa mezz’ora siamo passati da un binario all’altro in balia di controllori impazziti che continuavano a dirottarci verso altri treni facendoci rasentare l’isteria. Finalmente a bordo del treno giusto, siamo partiti con settanta minuti di ritardo, mentre l’ennesima vocina registrata ci annunciava che quello, in realtà, non era il treno giusto. Per fortuna, come chiarito subito dal capotreno prima che la sommossa popolare avesse inizio, era la vocina ad essere sbagliata.

Il viaggio di ritorno, per la “legge della compensazione”, invece, è andato bene, oltretutto con un biglietto super scontato in prima classe. Ma questi sono eventi rari.

Qualcuno mi ha, giustamente, fatto notare che i disagi ferroviari sono un elemento che unisce l’intero territorio italiano. Di sicuro, non vi è molta attenzione per le tratte locali, così come il Sud è spesso abbandonato a se stesso. Scarsa manutenzione della rete e dei mezzi di locomozione rendono il viaggio un’impresa. Oltre ad una colossale incapacità organizzativa.

In effetti, il treno che ho preso venerdì era già in stazione parecchio tempo prima dell’inizio del viaggio, per cui avrebbero potuto accorgersi per tempo del guasto e cambiare mezzo senza causare ritardi. Ma, forse, sto chiedendo troppo!

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Un autunno senza castagne?

Le castagne sono indiscutibilmente il simbolo dell’autunno, un vero e proprio dono della Natura, considerato che tale frutto nasce spontaneamente senza particolari interventi dell’uomo. Si tratta, quindi, di un alimento sano, per la cui coltivazione non vengono utilizzate sostanze chimiche.

Vi sono numerosi scritti che attestano che la castagna era conosciuta in Grecia sin dall’antichità. Ippocrate, ad esempio, parlava di “noci piatte” esaltandone il valore nutritivo e lassativo, una volta giunte a maturazione. Invece, Teofrasto, nella sua “Storia delle Piante”, parlava di “ghianda di Giove”, segnalando la presenza di castagni nelle isole di Eubea e di Creta. Le castagne erano conosciute anche nell’Antica Roma, menzionate, tra gli altri, da Virgilio e Plinio il Vecchio.

castagne

Per secoli la castagna è stata la maggiore, se non proprio l’unica fonte di sostentamento per migliaia di famiglie. Attualmente, non è più considerata, ovviamente, un cibo per poveri, ma è divenuta la protagonista di feste e sagre, nonché l’ingrediente prezioso di numerose prelibate ricette.

Infatti, a partire dalla farina di castagne – ottenuta secondo la tradizione macinando il frutto mediante macine di pietra – si possono preparare torte di cioccolato, frittelle, polenta e il famoso castagnaccio.

Io amo in maniera particolare la marmellata di castagne (anche se spesso mi devo accontentare di quella industriale), dal gusto non eccessivamente dolce e ideale da spalmare sul pane o sulle fette biscottate la mattina a colazione. Una vera goduria!

confettura-di-castagne

La castagna è considerata anche un portafortuna, per il suo aspetto doppiamente corazzato. Infatti, lo scudo fornito dal guscio coriaceo che circonda il seme si unisce alla protezione delle spine del riccio. Ricordo, in proposito, che qualche anno fa una vicina di casa, una signora molto simpatica e affettuosa, mi regalò una castagna trovata per caso, che tenni con me come portafortuna per diverso tempo.

Tuttavia, questi ultimi anni non sono particolarmente fortunati per questo prezioso dono della Natura. Ho letto pochi giorni fa una notizia abbastanza allarmante secondo cui un parassita cinese, il cinepide, avrebbe rovinato numerose piante, riducendo di molto il raccolto, che, secondo le previsioni di Coldiretti, sarà nel 2016 inferiore ai 20 milioni di chili dello scorso anno. Ciò, anche a causa della siccità e con la necessità di ricorrere alle importazioni dall’estero (Spagna, Portogallo e Albania).

A quanto pare, questo parassita sta infestando da anni i castagneti italiani, un po’ come la Xylella fastidiosa sta annientando gli ulivi del Salento. Il parassita è giunto dal Sol Levante attraverso gli innesti di castagno importati da Giappone e Cina per rendere più resistenti i castagni nostrani ad un’altra malattia, ovvero il cancro corticale. Quando la cura è peggiore del male.

Nel nostro Paese il mostriciattolo ha avuto mano libera, in assenza di nemici naturali che lo fermassero. Nel 2014, sembrava che la lotta al cinipide fosse a buon punto, mediante un progetto coordinato dalla Regione Piemonte, che ha consentito di riprodurre un insetto in grado di attaccare il parassita, una vespa pure originaria della Cina. A quanto pare, però, la guerra contro il cinipide non è stata ancora vinta. Mi auguro vi siano sviluppi positivi.

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Music box – Il concerto dei Coldplay

“Quando cerchi di fare del tuo meglio ma non ci riesci

Quando ottieni ciò che vuoi ma non ciò di cui hai bisogno

Quando sei così stanco ma non riesci a dormire

Bloccato in retromarcia

E le lacrime scorrono sul tuo viso

Quando perdi qualcosa che non puoi sostituire

Quando ami qualcuno ,ma tutto va sprecato

Potrebbe andare peggio?

Le luci ti guideranno a casa, e infiammeranno le tue ossa

E io proverò a consolarti”.

Coldplay – Fix you

Ammetto che i Coldplay si collocano tranquillamente tra i miei gruppi musicali preferiti. I loro brani sono molto intensi, spesso struggenti, ma a volte anche pieni di energia e ritmo. Poi, cantati dal carismatico leader Chris Martin, con il suo timbro molto particolare, acquistano un’atmosfera suggestiva, al punto che non riesco a non farmi coinvolgere ad ogni ascolto.

Negli ultimi giorni il gruppo è stato coinvolto da alcune polemiche su di un loro concerto che si terrà a Milano il prossimo luglio. La band, nell’arco di una carriera ventennale, è venuta molto poco in Italia, per cui questo concerto era particolarmente atteso dai fan più appassionati. Talmente atteso che, una volta messi in vendita i biglietti sul sito TicketOne, il tutto esaurito è arrivato dopo ben sette minuti.

Chiaramente, il sospetto è che qualcuno ne abbia fatto incetta per rivenderli ad un prezzo esorbitante: infatti, il costo di un biglietto attualmente si aggira sui 200-300 euro, fino ad arrivare, in alcuni casi, al migliaio di euro. Una cifra talmente esagerata da provocare l’ironia dei fan che progettano di ascoltare il concerto dal parcheggio.

coldplay

Ovviamente, non ci penso nemmeno a cercare di acquistare un biglietto per il concerto, per cui mi accontento di guardare i loro video su Youtube.

Difficile scegliere un brano da inserire in questa mia rubrica, me ne vengono in mente tanti: Viva la Vida, The Scientist, A Sky Full of Stars.

Alla fine ho scelto Fix You, il secondo estratto dal terzo album in studio X&Y e pubblicato il 5 settembre 2005. Il brano, scritto da Chris Martin, è il tentativo di un uomo di aiutare una persona sofferente, che ha perso qualcuno che amava e che ha la sensazione che tutto vada a rotoli. Non da la certezza di riuscire a guarire le ferite, ma proverà a consolare e a star vicino a quella persona.

Qualcuno ha ipotizzato che la canzone sia stata scritta per l’ex moglie Gwyneth Paltrow dopo la scomparsa del padre di lei. Gwyneth, infatti, scoppiò a piangere durante un concerto dopo aver ascoltato proprio questa canzone.

Aforismi – L’invasione dei social media

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli” (Umberto Eco)

Umberto Eco, il famoso scrittore e semiologo scomparso da pochi mesi, non era certamente una persona che le mandava a dire. Il suo pensiero sui social media è per certi aspetti condivisibile, anche se non va interpretato come “un’arrogante manifestazione di cultura elitaria“, come qualcuno ha detto.

In proposito, io sono convinto che ognuno di noi abbia il diritto di esprimere la propria opinione, purché ciò avvenga con cognizione di causa, ovvero parlando di argomenti noti, sui quali vi sia qualcosa di sensato da dire e, soprattutto, con toni educati e pacati. E non vi è nulla di male se i social media ci consentono di diffondere tale opinione con immediatezza e rapidità.

I social possono essere molto utili anche per favorire la diffusione di informazioni su argomenti di attualità e cultura. Infatti, molte testate giornalistiche hanno una propria pagina Facebook che consente di condividere i principali articoli del giorno. Numerose sono, poi, le pagine dedicate ad argomenti di filosofia, letteratura, scienza.

Io stesso ho creato su Facebook un gruppo per condividere con gli amici recensioni di libri, citazioni, articoli di letteratura, in una sorta di “biblioteca virtuale“.

La rete offre una marea di informazioni, per cui ciò che conta è sapersi orientare, individuare fonti attendibili e scegliere ciò che più si adatta alla nostra personalità, senza per questo rinunciare ai libri di carta, ma magari trovando spunti per leggerne di nuovi.

In fondo, tutto ciò che ho appena descritto trova spazio anche nei nostri blog.

Umberto Eco

Poi, però, arrivano gli imbecilli di cui parla Eco, che possono tranquillamente essere suddivisi in varie categorie. Anzitutto, ci sono i troll, che non sono solo gli abitanti demoniaci dei boschi della tradizione scandinava, ma anche utenti spesso anonimi che si inseriscono nell’ambito di discussioni on line con messaggi provocatori e fuori contesto, al solo scopo di creare irritazione (abbastanza diffusi anche nella Community di Libero).

Quindi, ritroviamo i “leoni da tastiera”, generalmente non anonimi, che esprimono la propria opinione in maniera offensiva, riempiendo di insulti chiunque non incontri il loro gradimento. Leoni che, tuttavia, nella vita reale sono solo pecorelle. Infine, vi sono i fake e tutti coloro che amano diffondere bufale e false notizie, magari dietro profili taroccati.

La realtà virtuale è talmente vasta che non è possibile tenerla sotto controllo, per cui è quasi impossibile non imbattersi in informazioni poco attendibili o in utenti truffaldini. Ed Umberto Eco aveva proprio questo in mente quando pronunciò quella frase.

Sappiamo, però, che i pericoli del Web vanno ben oltre una notizia taroccata. Spesso alcuni utenti vi si affacciano ingenuamente confidando nella buona fede altrui e si ritrovano invischiati in situazioni sgradevoli e umilianti. La storia di Tiziana Cantone dovrebbe insegnare qualcosa.

Non si tratta solo di video diffusi a propria insaputa. I malfattori di Internet cercano di soggiogare i soggetti un po’ più deboli, inducendoli in una condizione di sudditanza psicologica. Mi capita spesso, girando per la Community, di leggere di persone che si sono ritrovate in balia di personaggi infami che li hanno costretti in una specie di “schiavitù virtuale”, che può essere molto pericolosa, specialmente se l’obiettivo è estorcere denaro o prestazioni sessuali.

Allora, occorre fare attenzione alle notizie poco attendibili, ma anche ai soggetti poco affidabili.

PC schiavo

Le abitudini che ci portano all’infelicità

L’infelicità è un fattore con cui capita spesso di avere a che fare, nel tentativo, a volte vano, di renderla inoffensiva. Una malattia, un evento spiacevole e doloroso o, semplicemente, la sensazione che la nostra vita non giri per il verso giusto, tutto questo contribuisce ad abbatterci e a rendere la nostra esistenza poco serena.

Secondo un recente articolo dell’Huffpost, che cita alcune ricerche universitarie americane, felicità ed infelicità sono collegate solo in parte alle condizioni di vita. In pratica, le persone più ricche non sono tanto più felici. Certamente, se gli studi universitari si fossero limitati a questo risultato, i soldi pubblici sarebbero stati impiegati in maniera discutibile. Avremmo potuto risparmiare i fondi semplicemente richiamando i tradizionali proverbi che ci dicono che i soldi non danno la felicità (anche se rendono più sopportabile la miseria).

Ma, a quanto pare gli studi hanno fatto un passo avanti, affermando che ciò che determina la felicità è il controllo della stessa, considerato che la felicità è l’effetto delle abitudini e delle visioni che gli individui hanno della propria vita. Vengono, quindi, individuate tutte quelle abitudini che ci portano all’infelicità: perdere tempo ad inseguire cose materiali, isolarsi rimanendo a casa, assumere un atteggiamento vittimista, essere pessimisti e lamentarsi, ingigantire i problemi o nasconderli, paragonarsi eccessivamente agli altri, aspettare che succeda qualcosa senza far nulla per migliorare la propria vita.

infelicità

Diciamo subito che questi risultati, più che il frutto di una ricerca, assomigliano molto ai consigli di una zia o di una nonna. In ogni caso, rappresentano senza dubbio atteggiamenti che, in una sorta di circolo vizioso, amplificano la nostra situazione di infelicità.

Ho cercato, quindi, di capire se posseggo alcune di quelle abitudine appena elencate. Sicuramente, non ho più come un tempo la smania di inseguire in modo eccessivo le cose materiali e di attaccarmi ad esse in maniera morbosa. Fatta eccezione per i libri, per i quali ho una maniacale dedizione, compensata dal notevole arricchimento interiore che sono in grado di fornirmi.

Ammetto, invece, che quando mi trovo in una situazione particolarmente stressante tendo a lamentarmi, anche se ho la piena consapevolezza che le lagne non servono nulla, anzi peggiorano le cose, per cui cerco di limitarmi.

Il mio pessimismo è, piuttosto, di tipo “scaramantico”, nel senso che spesso mi vengono in mente possibili scenari negativi, con la sottile speranza che il solo fatto di averli immaginati contribuisca a non farli verificare.

É vero, i problemi a volte mi sembrano giganteschi, almeno finché non li affronto di petto e a quel punto capisco di essermi preoccupato per nulla.

La tendenza ad isolarmi, fortunatamente, non mi appartiene molto. Quando mi sento un po’ triste, ho bisogno di un contatto, anche di un semplice messaggio che contribuisce a risollevare notevolmente il mio umore. Ma ovviamente tendo ad evitare di circondarmi di persone che possano trasmettermi sensazioni negative. Piuttosto, amo il confronto con soggetti interessanti con i quali poter arricchire il mio bagaglio di informazioni.

Per quanto riguarda il tentativo di migliorare la mia vita senza aspettare che le cose succedano da sole, diciamo che ci sto lavorando.

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