La vergogna dei silenzi mancati

Nel momento in cui una persona, perduta ogni speranza, decide di porre fine alle proprie sofferenze, di fronte all’inoperosità delle istituzioni, esiste un unico modo di rispettare tale decisione, almeno da parte di certi soggetti abituati a blaterare invano: un dignitoso silenzio.

Invece, di fronte alla scelta di DJ Fabo di recarsi in Svizzera per porre fine ad una vita non più degna di essere considerata tale, siamo stati costretti ad assistere ad una vergogna continua da parte di questi personaggi.

Francesca Immacolata Chaouqui – coinvolta nello scandalo Vatileaks e denominata la “papessa” – si permette di affermare che DJ Fabo è un vigliacco che non ha avuto il coraggio di lottare, al contrario della sua maestra che, a letto per venti anni, diffondeva speranza. Tutto questo con la sfacciataggine di chi lancia giudizi come fossero coltellate, incapace di immedesimarsi nel dolore altrui e di comprenderne le scelte. Come se si potesse davvero lottare di fronte ad una sofferenza immane che ti priva di qualsiasi speranza.

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Mario Adinolfi – che divorziato e giocatore di poker si è attribuito il ruolo di estremo difensore della famiglia tradizionale e dei valori cristiani non si sa bene sulla base di quali meriti – arriva a sostenere che “Hitler almeno i disabili li eliminava gratis”, come se le persone sofferenti fossero semplici ingombri da buttare via. Il suo account Facebook è stato sospeso, ma solo per un mese. Un mese di silenzio e poi, viscido come sempre, tornerà a disgustarci.

Matteo Salvini – di cui ormai parlo fin troppo spesso (forse dovrei iniziare ad ignorarlo) – si commuove per la sorte di Fabo, per guadagnare ulteriori favori popolari, mentre il suo partito blocca in Parlamento il disegno di legge sul testamento biologico con ostruzionismo e oltre 3.000 emendamenti.

La vergogna senza fine continua ad accompagnarsi, invece, al silenzio di chi dovrebbe, piuttosto intervenire, ma forse è bloccato anche da coloro che parlano di misericordia, ma nei fatti non mostrano alcun rispetto per la dignità della vita.

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Alla disperata ricerca di un eroe

Negli ultimi tempi ho avuto modo di riflettere spesso sulla strana tendenza italiana a ricercare affannosamente eroi e modelli di vita in qualunque settore (anche grazie agli spunti forniti da un articolo dell’Huffington Post di qualche tempo fa, di Riccardo Brizzi – 27 dicembre 2016).

Se, come affermava Bertold Brecht, è “sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”, allora il nostro Paese può considerarsi assai sventurato. Ci sono, infatti, vari elementi che ci inducono a cercare un eroe.

La sensazione di vivere in una società priva di valori, in preda alla malvagità e alla corruzione, ci spinge a cercare persone che incarnino gli ideali che riteniamo perduti. Inoltre, la paura di cui ormai siamo circondati a causa dei continui attacchi terroristici ci induce ad individuare chi possa in qualche modo proteggerci dandoci una sensazione di sicurezza.

Questa continua ricerca dell’eroe si rivela spesso errata e fallimentare, soprattutto perché l’eccessiva idealizzazione porta ad aspettative elevate che il più delle volte rimangono disattese. E l’errore si rivela fatale quando si scambia per l’eroe perfetto e irraggiungibile colui che nella sua limitata umanità ha semplicemente compiuto il suo dovere e, magari, non è alla ricerca di gloriosi fasti.

Eroi

Pensiamo all’episodio dei due poliziotti che hanno ucciso il terrorista di Berlino (citato anche nell’articolo di cui sopra). Due ragazzi di turno si imbattono casualmente in un pericoloso terrorista senza immaginare neanche lontanamente chi sia veramente. Cercano di trattenerlo per i controlli di rito, ma finiscono per ingaggiare con lui uno scontro a fuoco in cui il terrorista rimane ucciso e uno dei due poliziotti viene ferito.

Da qui partono gli sperticati elogi verso i due agenti, che insieme ad altri svolgono quelle operazioni tutti i giorni, con la pericolosa decisione di diffondere i loro nomi e il tentativo di dar loro onore e gloria imperitura. Anche per avere qualcosa di cui essere orgogliosi nei confronti della Germania, che si ritiene in dovere di concedere un’onorificenza tanto da noi agognata.

Poi, all’improvviso, dagli altari si ripiomba nella polvere. Gli eroi non sono così perfetti come si credeva, nelle loro pagine Facebook si mostrano come razzisti e dediti all’adorazione della mussoliniana figura. Dunque, niente onori e nessuna gloria.

Certamente tali convinzioni politiche non incontrano affatto il mio gradimento, ma non posso fare a meno di pensare che, se i social non fossero esistiti o se i due ragazzi non avessero avuto una pagina Facebook visibile al pubblico, nessuno avrebbe saputo nulla di tali “ideali”. In effetti, quando abbiamo bisogno di soccorso, non chiediamo a poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri se per caso hanno tendenze razziste o fasciste, accettiamo il loro aiuto e basta e li ringraziamo per questo.

A parte ciò, credo che il tentativo di eroizzazione e personalizzazione sia stato fallimentare in sé. Piuttosto che concentrarsi sugli onori e sull’orgoglio italico con la diffusione di nomi e l’invocazione di onorificenze, si poteva semplicemente pensare ad un modo per ringraziare (materialmente) le Forze dell’Ordine nel loro complesso, sia per il lavoro svolto che per i pericoli quotidianamente affrontati. Invece, l’ostinata ricerca degli eroi ha finito per calpestare quanto di buono fatto.

Poliziotti Berlino

Tuttavia tale ricerca, nonostante i fallimenti, non conosce sosta e continua tramite i media indagando in altri settori, tra cui il pubblico impiego, con esiti ancor più disastrosi. Certamente, l’opinione pubblica è scossa dalle notizie dei cosiddetti “furbetti del cartellino”, che figurano al proprio posto di lavoro, ma poi sono in giro a fare gli affari propri con la complicità di colleghi.

Nel tentativo di convincere il popolo che non tutti i pubblici impiegati sono fannulloni, televisioni e giornali vanno alla ricerca del lavoratore modello, non semplicemente colui che fa il suo dovere tutti i giorni, ma lo stakanovista che non prende mai un giorno di ferie (come il dipendente siculo salito sul palco di Sanremo che, secondo ultime indiscrezioni, sarebbe un alto dirigente!!!) o che non si ammala mai o non fa nemmeno una pausa pranzo (come il dipendente parmense). I giornali elogiano tali “modelli” senza considerare che ferie, malattie e pausa pranzo sono diritti costituzionalmente e statutariamente garantiti, frutto di decennali lotte sindacali (gli stessi giornali che giorni prima si erano giustamente scandalizzati per l’operaio costretto a farsi addosso, non avendo nemmeno la possibilità di andare in bagno).

In questo modo, l’opinione pubblica potrebbe per assurdo convincersi che esistono solo i due estremi, i fannulloni e gli stakanovisti, ignorando tutti coloro che svolgono il proprio lavoro con dedizione, ma che, in quanto esseri umani, hanno bisogno di riposo e pause, si ammalano ogni tanto e usufruiscono, quindi, dei propri diritti. Quei diritti che i giovani precari vedono con il binocolo, ma che hanno tutte le ragioni di pretendere, senza subire i ricatti morali di chi spaccia per modelli coloro che tali non sono. Allora smettiamo di cercare gli eroi e pensiamo alle persone normali, anche se fanno meno notizia!

Furbetti

Le inutili catene di Sanremo

Il Festival di Sanremo, la manifestazione canora più longeva d’Italia, sta per avere inizio, accompagnata come sempre da strascichi infiniti di polemiche. Anzi, quest’anno in fatto di polemiche si stanno battendo tutti i record.

In particolare, a destare scandalo è il compenso che Carlo Conti percepirà per condurre il Festival per il terzo anno consecutivo. Ovviamente, sono pienamente d’accordo sul fatto che 650.000 euro (non solo per condurre le cinque serate, ma anche per tutta l’attività di direzione artistica, occorre precisarlo) rappresentano una cifra che probabilmente un operaio non riuscirebbe a guadagnare nemmeno lavorando tutta una vita. Purtroppo, comunque, le profonde disuguaglianze di reddito sono un fenomeno diffuso in tutti i settori, che non scopriamo soltanto alla vigilia di una rassegna canora. E, a dire il vero, alcuni conduttori in passato hanno percepito compensi molto più alti a fronte di un’attività meno impegnativa senza tutte queste polemiche.

Sanremo 2017

Tuttavia, in queste occasioni, ciò che mi fa innervosire davvero molto è l’indignazione sterile e senza alcuna logica, strillata ai quattro venti e finalizzata soltanto a demolire senza portare vantaggio ad alcuno. Soprattutto, quando chi solleva tale indignazione cerca soltanto di strumentalizzare la sensibilità popolare per acquisire visibilità (la famosa demagogia).

Di fronte alla notizia del ricco cachet e alle relative polemiche, quale brillante idea hanno avuto i sobillatori di popoli che imperversano sui social? Creiamo una catena e convinciamo tutti che bisogna boicottare il Festival e spegnere la televisione. Anzi, bisognerebbe proprio annullarlo e dare i soldi ai terremotati! Peccato che la geniale idea non prenda in considerazione alcuni fattori.

Il boicottaggio ha un senso quando, ad esempio, è rivolto ad aziende che danneggiano l’ambiente, utilizzano manodopera in nero, per evitare che si svolgano attività illegali.

Ma nel caso in esame, il boicottaggio che vantaggi porta? Se davvero si riuscisse a boicottare il Festival, ottenendo per assurdo il suo annullamento, tutti i proventi pubblicitari derivanti dalla manifestazione, erogati dagli sponsor, che in genere coprono le spese (incluso il cachet di Conti), sparirebbero in un soffio. Senza il Festival e senza i relativi proventi non c’è niente per nessuno, né per Conti, né tantomeno per i terremotati.

Ci sono certamente stati alcuni Festival che negli ultimi anni, specialmente per i bassi ascolti, hanno chiuso in perdita. Tuttavia, le ultime due edizioni hanno ottenuto guadagni per circa 6 milioni di euro, secondo gli ultimi dati diffusi dalla direzione di Rai1, e di questo bisogna dare atto al lavoro di Carlo Conti.

Dunque, il tanto ventilato annullamento o boicottaggio del Festival danneggia l’azienda, senza portare vantaggi a nessuno. Anzi, occorre considerare che l’appuntamento annuale attira numerosi turisti, per cui il mancato Festival recherebbe danni a tutte le attività della zona sanremese.

Che Sanremo sia un gran carrozzone, a volte noioso, che punta più sui grandi effetti speciali che sulla vera musica, è un altro discorso. E ognuno è libero di usare il telecomando a proprio piacimento e cambiare canale. Ma far leva sulla coscienza e sulla indignazione popolare con inutili e illogiche catene è solo una mancanza di rispetto verso i terremotati, che avrebbero bisogno, piuttosto, di aiuti concreti e non di un vano ciarlare.

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Salvini: “Prima gli italiani” … ma quali?

Quando mi convinco che una persona abbia ormai mostrato il peggio di sé e che non devo aspettarmi altro, se non che continui su quella scia, ecco che vengo puntualmente smentito.

Il caro Salvini, in trasferta a Bruxelles, invece che presenziare al Parlamento europeo, ha deciso di farsi fotografare con indosso una maglietta inneggiante a Trump vicino a un poster sugli Indiani d’America che “hanno subito l’immigrazione e ora vivono nelle riserve“.

Come hanno sottolineato numerosi giornalisti, Salvini farebbe meglio a non parlare di argomenti che non conosce affatto, considerato che l’accostamento tra il Presidente Trump e i Sioux è alquanto paradossale. Basta pensare alla recente polemica sull’Oleodotto Dakota Access.

Salvini Indiani

Inutile dire che il segretario leghista non si tira mai indietro e non perde occasione per strumentalizzare qualsiasi notizia o evento utile alla sua campagna contro gli immigrati. Espressione di un evidente odio razziale, più che del tentativo di risolvere un problema, da realizzarsi a colpi di ruspe, barricate ed espulsioni di massa.

In realtà, più che sulle presunte modalità di risoluzione del problema degli immigrati, vorrei soffermarmi sullo slogan “Prima gli italiani” che suscita in me alcune domande alle quali sto cercando di dare risposte. Mi chiedo, soprattutto, se il leader del Carroccio abbia davvero a cuore i problemi di tutti (e sottolineo la parola “tutti”) gli italiani.

Una prima risposta mi arriva come un fulmine ripercorrendo mentalmente quanto accaduto subito dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili, frutto, come ben sappiamo, di un ampio compromesso al ribasso tra forze politiche. Non contento dell’approvazione di una legge monca, Salvini ha invitato i sindaci leghisti a non celebrare alcuna unione civile, ripromettendosi ben presto di indire un referendum abrogativo della legge stessa. Dunque, secondo la sua opinione, i diritti del mondo LGBT non contano nulla e devono essere cancellati, in nome di non so quali principi fondamentali della nostra società che risulterebbero violati. Ne deriva, che quel “Prima gli italiani” non riguarda proprio tutti.

Allora, potrei immaginare che Salvini si preoccupi di disoccupati ed esodati, considerate le sue polemiche continue su legge Fornero e disoccupazione giovanile in crescita, ripetute quasi come un mantra in ogni talk show, anche quando si parla della deforestazione dell’Amazzonia. Poi, però, leggo che ultimamente ha messo in mobilità gli ultimi 24 dipendenti del suo partito, che non avrebbe risorse sufficienti per mantenerli. Eppure, i fondi dallo Stato arrivano puntualmente (si parla di due milioni di euro), ma sembrerebbero destinati ad una consulenza esterna per le attività social salviniane (gestione del sito e strategie comunicative). Attività che avrebbero ben potuto svolgere quei dipendenti licenziati. Dunque, la disoccupazione è davvero la sua preoccupazione principale? Ho qualche dubbio.

A questo punto, data la sua costante presenza nei luoghi colpiti recentemente dal sisma e dalla neve (o più precisamente negli studi televisivi in cui si parlava di maltempo e sisma, indossando rigorosamente doposci), potrei ritenere che abbia a cuore le sorti dei terremotati. Certo, ma anche qui qualche dubbio mi viene, considerato che pochi anni fa in un video aveva definito i napoletani “colerosi e terremotati”. Dunque, per lui “terremotato” era da considerarsi un insulto.

Su quale possa essere il destino del Sud nelle mani del capo di un partito secessionista e profondamente critico sulle questioni meridionali (“I soldi al Sud? Inutile mandarli, se li sbattono nel cesso” una sua dichiarazione di un paio di anni fa), meglio non approfondire.

Dunque, cacciati via tutti gli immigrati, questa Italia sovrana quali italiani dovrebbe rappresentare? Una risposta mi viene in mente, ma preferisco tacere.

Salvini doposci