La lotta contro l’omofobia tra pregiudizi e leggi dimenticate

Mercoledì si è celebrata la giornata mondiale contro l’omotransfobia, ricorrenza promossa dall’Unione europea nel 2004. Una giornata interamente dedicata alla sensibilizzazione, un momento importante per puntare l’attenzione contro pregiudizi e stereotipi, contro chi ancora crede che esista un “diverso” di cui aver paura o nei cui confronti sentirsi superiori, un “diverso” che si vorrebbe osteggiare in ogni modo. E il mio pensiero è rivolto, in particolare, a una piccola parola, a una semplice congiunzione, quel “ma” di chi nega per sé la condizione di omofobo, ma poi spalanca la porta verso un sconfinato mare di avversione, ignoranza, pregiudizio. Un “ma” che dovrebbe iniziare a sparire.

Giornata mondiale omofobia

Sul tema dell’omofobia, ho letto qualche tempo fa un bell’articolo scritto dal giornalista Giovanni Fontana nel suo blog “Distanti saluti”, in cui affermava che l’omofobia è una parola non corretta, che lascerebbe intendere che l’unica fonte di odio verso gli omosessuali sia la paura, mentre “il disprezzo per gli omosessuali ha molte forme: la repulsione, l’odio diretto, l’ignoranza schietta, il conformismo che ride del diverso, e in generale un approccio acritico, che non si domanda davvero che bene o male possa fare un omosessuale, ma si affida a quello che ne pensa l’ambiente che si ha attorno. E l’ambiente è spesso maschilista, banale, ferocemente canonico“. Nel post si racconta la storia, poco nota in Italia, di Graeme LeSaux, calciatore inglese oggetto di una vera e propria persecuzione da parte dei suoi compagni di squadra, convinti che fosse gay, e, subito dopo, da parte delle tifoserie. Che il ragazzo non fosse realmente gay era solo un dettaglio, tutti avevano deciso, in base ai giornali che leggeva, alla musica che ascoltata, agli amici con cui andava in vacanza, che era omosessuale e che per questo doveva diventare oggetto di continuo dileggio e disprezzo.

Sappiamo bene che episodi simili di persecuzione ve ne sono tanti in Italia e finiscono sui giornali soltanto quando la vittima oggetto di tali vessazioni decide di togliersi la vita. Per non parlare degli episodi di pestaggio (a Roma intorno alla zona del Colosseo erano molto frequenti in un certo periodo) da parte dei cosiddetti “uomini veri“, che di umano non hanno nulla.

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E, accanto a tali episodi di violenza, non possiamo dimenticare quell’omofobia strisciante propria dei moralisti e perbenisti che, nella loro intolleranza, organizzano manifestazioni incentrate sull’odio, volte a negare diritti. Ricordo ancora che l’organizzatore principale di tale manifestazione (Gandolfini), di fronte ai suicidi di giovani omosessuali, suggerì di “spingerli verso l’eterosessualità”.

La lotta contro l’omotransfobia non può quindi concludersi in una sola giornata, ma continuare giorno dopo giorno. Per questi motivi, c’è bisogno in Italia di una legge che contrasti tali fenomeni, punendoli severamente, oltre a una campagna di sensibilizzazione.

Attualmente, vi è un disegno di legge che giace in Parlamento, un testo presentato dall’Onorevole Scalfarotto del PD approvato dalla Camera dei Deputati nel settembre del 2013, poi trasmesso al Senato: la discussione in Commissione Giustizia è, tuttavia, ferma dal mese di luglio del 2014.

Il testo prevede reclusione e multe per chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sull’omofobia o transfobia, per chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi, per chi partecipa ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza basata sull’orientamento sessuale. Viene, in ogni caso, fatta salva la libertà di opinione ed espressione (tutelata, comunque, dalla Costituzione), purché non si istighi all’odio o alla violenza.

La discussione è ferma in Senato a causa dell’ostruzionismo, neanche a dirlo, dei partiti di destra (soprattutto la Lega) che temono che venga lesa la libertà di opinione, nonostante le salvaguardie stabilite dalla legge stessa. In sintesi, i politici hanno paura che, andando in giro a dire che i gay sono malati e che le unioni civili sono contro natura, qualcuno possa fargli causa. Tuttavia, non si preoccupano minimamente che tanti ragazzi possano essere picchiati o indotti al suicidio, non è quella la loro priorità.

Sappiamo bene, purtroppo, che le discussioni parlamentari somigliano sempre più a un poco edificante teatrino di manovre politiche, dettate da squallidi interessi di parte, in cui i diritti ed i sentimenti di persone vere passano in secondo piano. La speranza è che le parole pronunciate dal Presidente Mattarella possano smuovere tale situazione di stallo.

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Le torture in Cecenia e la Storia che si ripete

Spesso mi sono chiesto che cosa spinga tante persone ad assumere atteggiamenti discriminatori e intolleranti verso coloro che sono ritenuti “diversi”. Tante le risposte che mi sono venute in mente e che si adattano a varie tipologie di persone: ignoranza, ottusità, pregiudizi derivanti da condizionamenti religiosi. E tutto questo è accompagnato in diversi casi, più che dalla semplice “paura del diverso”, da una ferrea convinzione di trovarsi in una posizione di superiorità nei confronti di coloro che non rispondono a presunti canoni di perfezione, una posizione da difendere a tutti i costi contro ogni attacco esterno, contro ogni possibile contaminazione. A quel punto discriminazione e intolleranza finiscono per sfociare nell’annientamento della dignità umana.

Nel corso della Storia abbiamo avuto diversi esempi di persone convinte di tale superiorità. Nel tentativo di difendere la purezza della propria razza, non hanno esitato ad annientare chiunque venisse bollato come diverso: ebrei, zingari, omosessuali. E la Storia sembra tristemente ripetersi.

In Cecenia sono in corso da diverso tempo numerosi arresti, che hanno coinvolto centinaia di persone la cui colpa è quella di avere un orientamento sessuale non tradizionale e che, dunque, non si adattano al canone di riferimento di cui sopra.

Putin

Il portavoce del leader ceceno, Ramzan Kadyrov, smentisce tali notizie, che parlano di torture e violenze ai danni delle persone arrestate. Questo tentativo di smentita (contraddetto dalle numerose testimonianze) per assurdo, fa quasi più paura della notizia in sé, tanto è sconvolgente la naturalezza con cui il Presidente Kadyrov svela la condizione degli omosessuali in Cecenia e la diffusa omofobia: gli omosessuali in pratica non esistono in tale Paese, perché se ci fossero, i loro parenti li manderebbero via in luoghi da cui non si può far ritorno. In altre parole, devono nascondersi continuamente, perché altrimenti verrebbero esiliati oppure arrestati e torturati, come sta accadendo in questi giorni.

Può forse stupirci una situazione del genere? Il leader ceceno è noto per il suo governo dittatoriale, per la violazione dei più elementari diritti civili, per il suo esercito privato che continua a commettere assassinii, stupri, rapimenti e torture. Ha, ovviamente, l’appoggio di Putin, famoso per la sua campagna omofoba e per la legge volta a vietare qualsiasi propaganda in favore dei diritti degli omosessuali.

Organizzazioni come Amnesty International, nel frattempo, si stanno muovendo tramite appelli, nella speranza che questo ennesimo brutale attacco ai diritti umani possa essere fermato.

Intanto, in Italia c’è chi continua a sostenere Putin, considerato come un potente e lungimirante leader, e magari starà affermando in queste ore che tutto ciò che sta accadendo in Cecenia è una bufala. Perché spesso anche l’evidenza viene negata.

Proprio ieri, ricorreva l’anniversario della morte dello scrittore Primo Levi che affermava “Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?“. Parole che dovrebbero farci riflettere.

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La triste parabola dell’eroe decaduto

Il termine “eroe” riferito al noto pugile Clemente Russo forse può sembrare fuori luogo, ma di sicuro il campione olimpico originario di Marcianise, grazie ad una notevole determinazione, elogiata anche dallo scrittore Roberto Saviano, era riuscito ad emergere da una difficile realtà di degrado e a farsi strada nello sport.

Il ragazzo è stato sempre animato da una continua voglia di riscatto, che, però, può tramutarsi in una smania di successo, con scelte sbagliate, eccessi e l’inizio di una parabola discendente, almeno sotto il profilo umano.

Premetto che non amo il “Grande Fratello, sia che abbia come protagonisti perfetti sconosciuti che VIP (spesso meno noti dei primi), non per snobismo, ma perché la considero una grande gabbia in cui ognuno, invece che essere se stesso, si sente in dovere di mostrare il peggio di sé, convinto di poter così emergere tra la folla. Pur non guardando tale trasmissione, non posso fare a meno di essere bombardato di informazioni, considerato che tutti ne parlano, dalla gente comune ai critici televisivi, fino ad un regista di successo come Pupi Avati.

E allora non ho potuto fare a meno di leggere delle tristi esternazioni del pugile campano, che mi hanno fatto pensare alla parabola discendente di cui sopra. Un concentrato di affermazioni dense di omofobia e maschilismo, condite con una certa codardia. Perché come altro si può definire se non codardo, un uomo che si rivolge ad un ragazzo che non parla la lingua italiana, prendendolo in giro e utilizzando termini napoletani dal doppio significato (un po’ come “finocchio”, per intenderci)? E non è codardo un pugile, oltretutto poliziotto, che afferma che ammazzerebbe la propria moglie, in caso di tradimento?

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Il Grande Fratello, alla ricerca di ascolti, in genere non si tira indietro nell’assecondare e favorire scandali, scene di sesso e nudo, e litigi ma, almeno in questa situazione, ha condannato il comportamento di Russo mediante una immediata espulsione. Questa punizione, a prescindere dal fatto che si tratti di una montatura, doveva far passare il messaggio secondo cui un bullo che prende in giro un ragazzo più debole o un marito che minaccia di usare violenza contro la propria donna vanno puniti sempre e comunque.

Eppure, sto leggendo in questo momento che sono state prontamente fornite diverse giustificazioni. Clemente sta passando un periodo difficile, le Olimpiadi sono andate male, in quel contesto è facile lasciarsi andare, sono chiacchere da bar. Giustificazioni fornite proprio dalla moglie, la potenziale vittima, se proprio vogliamo dirla tutta. Mentre, il suo gentile consorte appare addirittura stupito dallo sconcerto provocato dalle sue parole.

A mio avviso, tutti abbiamo momenti difficili, ma non per questo dobbiamo essere giustificati se ci lasciamo andare a comportamenti violenti e offensivi o trattiamo male esseri più deboli, che siano persone o animali. E, invece, il personaggio famoso sembra quasi convinto che gli si debba perdonare tutto, senza capire che è l’esatto contrario. Un uomo di successo, grazie alla sua visibilità, dovrebbe rappresentare un esempio per gli altri, per cui non può permettersi di lanciare messaggi negativi. Soprattutto, se si tratta di uno sportivo, che dovrebbe fare della lealtà e del rispetto la propria bandiera. A maggior ragione, se lo sportivo fa parte delle Forze dell’Ordine.

Per quel che mi riguarda, l’”eroe” Clemente Russo è definitivamente decaduto, a prescindere da scuse tardive e pilotate.

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