Verita assolute

 

Il famoso giurista italiano Gustavo Zagrebelsky nel suo saggio “Sulla lingua del tempo presente” parla della parola “assolutamente”: “un avverbio e un aggettivo apparentemente innocenti, da qualche tempo, condiscono i nostri discorsi e in modo così pervasivo che non ce ne accorgiamo «assolutamente» più, per l’appunto, assolutamente e assoluto. Tutto è assolutamente, tutto è assoluto. Facciamoci caso: è perfino superfluo esemplificare: tutto ciò che si fa e si dice è sotto il segno dell’assoluto. Neppure più il “sì” e il “no” si sottraggono alla dittatura dell’assoluto: «assolutamente sì», «assolutamente no».”.

Le affermazioni di Zagrebelsky sono condivisibili e facilmente riscontrabili. A questo punto, mi chiedo se l’utilizzo spropositato di “assolutamente” sia una conseguenza della tendenza generale a esprimere sempre più posizioni assolutiste su qualsiasi argomento, senza cercare in alcun modo di intravedere qualche sfumatura. Penso soprattutto al proliferare di tuttologi che credono, senza sapere nulla, di potersi pronunciare in maniera definitiva persino su complessi argomenti scientifici credendo di avere in mano la verità  assoluta. D’altronde, qualcuno ha detto che il linguaggio è specchio dell’anima.

Linguaggio

La dolce sensazione di rinnovamento

 

Settembre è ormai iniziato. Il caldo asfissiante che ha accompagnato costantemente le nostre giornate sembra ormai aver ceduto definitivamente il posto a un fresco venticello che ha finalmente smosso un’aria divenuta opprimente. La pioggia ha iniziato a bagnare questa terra ormai arida e martoriata dai continui roghi estivi.

Le giornate si accorciano sempre di più, come giustamente richiede l’alternarsi delle stagioni, stendendo un velo di malinconia su ogni cosa, accompagnandosi a quella dolce nostalgia che richiama alla mente tanti ricordi.

Questo periodo, con il lento e progressivo avvicinarsi dell’autunno, mi riporta, infatti, indietro nel tempo a quando, ragazzino o adolescente, mi preparavo mentalmente all’inizio della scuola. (continua su questo link: La fine dell’estate e l’attesa di novità )

fine estate

Il caldo, i buoni vicini e le ferie – cronaca semiseria

 

Caldo eccessivo, quasi violento e invasivo. Qualcuno potrà anche dire “è pur sempre estate, non vuoi che faccia caldo?“, sarà  anche così, ma io non ricordo di aver mai sclerato così tanto gli anni passati. C’erano giorni in cui il termometro saliva sopra i 35 gradi, c’era un’afa pazzesca, ma poi arrivava la pioggia a rinfrescare tutto. Magari, poi, ricominciava il ciclo, ma sembrava tutto più sopportabile. E, invece, a Roma non piove da mesi quest’anno. E’ il famoso cambiamento climatico di cui stiamo, via via, assaggiando gli effetti nefasti?

Vicini, cari vicini. Beati loro che se ne sono andati già in ferie. Il palazzo sembra una landa desolata. Non c’è la buona vicina di casa che ti accoglie con un sorriso o con il profumo della sua cucina. Sebbene di questi tempi di fame e voglia di cucinare ce ne sia poca.

Snoopy

Tuttavia qualcuno al piano di sopra c’è. I bravi abitanti dell’attico, quelli che amano tanto le piante, le curano con amore. E tu vicino come fai a non amare le loro piante? Devi avere anche tu tanta pazienza, un’infinita dedizione.

Bisogna ricordarsi che amare le piante vuol dire potarle. E vuoi che le foglie non cadano un po’ sul tuo terrazzino? In fondo non costa nulla raccoglierle, suvvia quante storie!

E amare le piante vuol dire anche innaffiarle. Ma cosa dico? Non “innaffiare”, ma “affogare”, ecco il termine appropriato. D’altronde, le povere creature hanno sete, con questo caldo ancor di più. E se poi, puntuale a una certa ora, arriva uno scroscio di acqua sul tuo balcone che somiglia piuttosto alla Cascata delle Marmore? Pazienza ci vuole … settembre arriverà .

Nel frattempo pure io vado in ferie. Approfitterò di alcuni giorni per rilassarmi, leggere e scrivere sul mio taccuino di appunti ciò che mi passa per la testa (e magari completare quei racconti che ho in mente da tempo). Ci si vede a fine agosto, buone vacanze!

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Il multiforme silenzio

Il silenzio, a volte se ne avverte un estremo bisogno. Rinchiudersi in una stanza, isolarsi, mettersi al riparo dal caos, dal vociare confuso, dallo strepitare esaltato di gente che urla i fatti propri al cellulare, dagli strombazzamenti quotidiani.

Un’oasi di tranquillità in cui rifugiarsi per difendersi, ma che potrebbe anche rivelarsi un’arma a doppio taglio. Accade quando certi fantasmi, certi pensieri iniziano a risvegliarsi, a riaffacciarsi dagli angoli più reconditi della propria mente. Quando si sta in silenzio nella propria stanza, si è da soli con se stessi, senza filtri, maschere, condizionamenti. Si può anche essere tanto bravi da mentire a se stessi, ma alla fine certi conti bisogna sempre farli.

Il silenzio, quanti scrittori si sono occupati di lui. Da Josè Saramago che afferma che “forse solo il silenzio esiste davvero” a Giacomo Leopardi per cui “il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell’amore (anche nei momenti dolci) dell’ira, della meraviglia, del timore”, per passare da Erich Maria Remarque, “il silenzio fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia”.

Silenzio

Nella sua essenzialità, quasi banalità, mi colpisce questa frase dello scrittore britannico Charles Caleb Colton: “quando non hai niente da dire, non dire niente”. Davvero fondamentale, il silenzio, quello opportuno di chi farebbe meglio a tacere, sui social soprattutto, invece che alimentare continue polemiche basate sul nulla e diffondere notizie false, favorendo la disinformazione.

Il concerto di Vasco Rossi e la morte di Paolo Villaggio, ultimamente, sono stati esempi eclatanti di occasioni in cui coloro che interpretano i propri gusti personali come diktat da imporre a tutti avrebbero fatto meglio a rimanere in silenzio. Ovviamente, occasioni irrimediabilmente perse.

Infine, il silenzio, quando davvero non hai più parole. Perché ricordi quel tuo vecchio compagno di scuola, un ragazzo educato con il quale ogni tanto studiavi e organizzavi lavori di gruppo; lo ricordi con piacere, anche se lo avevi perso di vista dopo la scuola, magari lo incontravi ogni tanto, semplicemente un “ciao” e un sorriso. Sapevi che poco più che ventenne aveva iniziato a lottare contro un male dal quale difficilmente si sfugge, un male che ogni volta sembrava attutito, ma poi si ripresentava più forte di prima. Non lo vedevi, ma lo accompagnavi con il pensiero e speravi per lui. Ma quando ieri ti hanno detto che ha smesso di lottare, non ti è rimasto altro che il silenzio.

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Per rabbia e per amor di polemica

Capita di provare rabbia sul posto di lavoro, di essere particolarmente stressati, di prendersela con i colleghi, specialmente se non collaborativi, di essere scontenti e nervosi nei confronti dei capi, di ricevere seccature dall’esterno. D’altronde, lo stress lavorativo non è un’invenzione recente.

Magari vi è il rischio di trascendere, di andare oltre il livello di guardia. Certo, non capiterà a tutti, poiché ognuno avrà un diverso modo di reagire, ma accade. Sicuramente, non è un bene per la nostra salute, non è bello nei confronti degli altri, con i quali vorremmo mostrarci sempre sereni, sorridenti, pacati. Ma, purtroppo, la nostra condizione di esseri umani può portarci anche a questo. E, di certo, la gogna mediatica non è la punizione migliore.

Fatte queste premesse, non ho davvero intenzione di avventurarmi nella polemica sulle frasi pronunciate da Flavio Insinna, che avrà certamente sbagliato, ma rimane per me un professionista di buon livello. Una polemica che, comunque, continua a imperversare, considerato che diversi utenti social amano introdursi con ardore e insistenza in qualunque discussione, per ambire alla laurea in Tuttologia.

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Invece, vorrei innescare una piccola polemica su programmi come Striscia la notizia o le Iene che, a volte, pur di ottenere scoop clamorosi, non esitano a svergognare chiunque, magari prendendosi rivincite personali e utilizzando mezzi poco ortodossi (chi ha spedito il fuori onda a un’azienda concorrente, come ha giustamente sottolineato Selvaggia Lucarelli?). In alcuni casi, sono state svelate alcune truffe, ma in altre situazioni, certi servizi esaltanti non solo hanno creato inutili polemiche, ma hanno procurato anche danni: mi viene in mente il servizio delle Iene sul caso Unar, un chiaro esempio di informazione distorta. Come sempre, c’è chi, pur di ottenere clamore mediatico, calpesta la dignità delle persone.

Freddure post pasquali

Ricomincio a scrivere sul mio blog dopo qualche giorno di pausa pre e post pasquale. Quest’anno le ferie pasquali sono state un po’ più corte, ma fortunatamente sono trascorse abbastanza serenamente, di sicuro in un clima familiare molto più tranquillo rispetto ai mesi precedenti e, soprattutto, rispetto al Natale.

Comunque, per certi aspetti, non è proprio una gran sfortuna che le festività pasquali non durino troppo. Considerate le varie maratone gastronomiche, durante queste feste si finisce per esagerare e, poi, una volta tornati a casa, ecco la bilancia che ci aspetta per presentare il conto, dando il suo inesorabile verdetto.

La settimana dopo Pasqua si è distinta per un improvviso ritorno del freddo, con temperature decisamente più basse rispetto alla media stagionale e pioggia mista a neve in diverse zone.

neve

Un freddo di cui stupirsi? Spesso, mi viene da pensare che Aprile si dovrebbe considerare ancor più folle di Marzo. Di sicuro non è la prima volta che il periodo pasquale si caratterizza per il maltempo, anzi a volte sembra quasi una maledizione.

Alcuni miei ricordi di infanzia sono certamente legati alla visita di Papa Giovanni Paolo II in Basilicata, visita che avrebbe dovuto tenersi intorno alla metà di aprile del 1991. Ebbene, in quei giorni venne giù talmente tanta neve da impedire l’arrivo del Santo Pontefice, la cui visita venne spostata di una settimana. Nevicate simili non ne avevamo avute per diversi anni, nemmeno a Natale.

Per tornare, invece, a un periodo più recente, ricordo che due anni fa, subito dopo Pasqua, verso la prima settimana di Aprile, mentre mi trovavo a Potenza, decisi di uscire con una mia amica. Considerata la splendida giornata, ci incamminammo verso una meta piuttosto lontana. Poi, però, ci ritrovammo, quasi improvvisamente, avvolti da una tempesta di neve e a mala pena riuscimmo a tornare a casa. Se non è folle un tempo del genere!

In questi giorni, sto leggendo sui social parecchie battute ironiche sul cambio di stagione ormai avvenuto, con alcune persone costrette a rimettere il piumone o altre che, invece, non si rassegnano e decidono di andare lo stesso in giro con vestiti leggeri pur morendo di freddo. Per fortuna, è stata una bella domenica, magari il freddo è ormai passato.

Piumone

L’anno nuovo e i vecchi propositi

Il pomeriggio del sabato trascorso a rimettere a posto gli addobbi natalizi è un modo molto efficace per archiviare mentalmente il periodo appena trascorso e l’atmosfera festiva e iniziare a pensare seriamente al nuovo anno.

I minuti che precedono lo scoccare della mezzanotte del primo gennaio sono in genere per me carichi di ansia. Quasi vorrei che quei minuti non trascorressero più, per poter rimanere ancora nel vecchio anno, come se avessi paura di quello che sta per arrivare.

Non saprei davvero dare una spiegazione a tale sensazione e mi chiedo cosa ci sia realmente da aver timore (e da festeggiare) in questo passaggio che in fondo rappresenta una semplice e convenzionale suddivisione di una sequenza temporale.

Comunque, accantonate anche questa volta tali strane sensazioni, arriva inevitabilmente il momento dei bilanci e dei buoni propositi.

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Se guardo indietro al 2016 vedo un anno segnato da tragici avvenimenti a livello mondiale (inutile elencarli, sono fin troppo noti), ma nel mio piccolo posso elencare anche fatti positivi, piccole soddisfazioni professionali, iniziative intraprese magari da ripensare, un viaggio che sognavo da tempo e che ho finalmente realizzato. Certo, anche eventi negativi a livello familiare, per fortuna risolti senza conseguenze troppo negative.

Come sarà questo nuovo anno? Nel formulare gli auguri del primo gennaio mi è venuto in mente il famoso dialogo leopardiano tra il venditore di almanacchi e il passante. Il venditore, incalzato dalle insistenti domande del potenziale acquirente, esprime il desiderio di una vita futura così come viene, senza saper nulla e senza altri patti, mentre il passante afferma che “quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce, non la vita passata, ma la futura”.

Allora, traendo spunto dal saggio venditore, si potrebbero davvero mettere da parte in questo nuovo anno gli irrealizzabili e mai mantenuti vecchi propositi e pensare al futuro così come viene. Senza rinunciare, ovviamente, ai propri sogni e desideri, ma senza nemmeno aspettarsi o augurarsi chissà quale anno scintillante, solo per non rimanere delusi.

I primi dieci giorni di questo nuovo anno ci stanno regalando eventi purtroppo molto in linea con l’anno appena trascorso, come era naturale attendersi. Per cui, meglio procedere a piccoli passi e approfittare man mano di ciò che di buono si spera possa arrivare.

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Curiosità sulla Netiquette

Netiquette è una parola che mi ronza nella testa da un po’ di giorni, il ricordo di un corso di informatica che ho avuto modo di seguire qualche anno fa. E così sono andato a ripassarne il significato. Si tratta di una parola composta da un termine inglese (network ovvero rete) e da un termine francese (étiquette ovvero buona educazione).

Dunque, la Netiquette è il cosiddetto Galateo della Rete, il complesso delle regole di comportamento volte a favorire il reciproco rispetto tra gli utenti di Internet. Sono ovviamente regole di buon senso finalizzate ad evitare atteggiamenti invasivi, irrispettosi e provocatori da parte dei “naviganti“.

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L’elenco delle regole è abbastanza lungo, comprendendo divieti ormai ben noti, tra cui inviare spam, violare la privacy degli utenti pubblicando messaggi privati, diffondere notizie false e tendenziose Alcune regole, in particolare, hanno attirato la mia curiosità:

1)Non scrivere i propri messaggi, via e-mail, sui social o nei forum, in maiuscolo o grassetto. Infatti, spesso si è portati a scrivere in maiuscolo per dare evidenza ad alcuni passaggi del proprio discorso. Tuttavia, tale modalità di scrittura viene intesa dagli altri utenti come un urlo, un tentativo di prevaricazione da parte dell’interlocutore. Dunque, su internet la forma ha molta importanza ai fini di una corretta comunicazione del proprio pensiero.

2) Non inviare e-mail prive di oggetto. In effetti, ammetto di provare un po’ di fastidio nel ricevere e-mail senza oggetto e spesso sono tentato di rispondere inserendone uno da me scelto. D’altronde, la posta di Outlook, in caso di invio di messaggi senza oggetto, chiede prima una conferma. Si tratta di una regola volta a garantire il rispetto nei confronti di chi riceve molte e-mail e proprio grazie all’oggetto riesce a valutare le priorità di lettura.

3) Non inviare e-mail ad un gran numero di persone inserendo nel campo to (in italiano A) gli indirizzi di posta. Tale regola è finalizzata a garantire il rispetto della privacy dei titolari di tali indirizzi privati, oltre che a evitare il diffondere di virus che si trasmettono via posta e che potrebbero essere legati al computer di uno dei destinatari, per cui tutti gli indirizzi inseriti nel messaggio potrebbero essere catturati dal virus.

4) Scrivere in maniera accurata i propri messaggi leggendoli almeno tre volte. Infatti, in giro per i social si leggono continuamente messaggi scritti in maniera pedestre, sgrammaticati e a volte privi di senso. Nello stesso tempo, il Galateo informatico consiglia di non accanirsi contro gli errori altrui, umiliando pubblicamente eventuali strafalcioni degli utenti. D’altronde, questi prima o poi potrebbero vendicarsi!!!

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L’idea di un Galateo informatico si fece strada già nel corso degli anni novanta quando navigare su Internet era molto più arduo e gli utenti meno esperti avevano bisogno dei consigli di coloro che erano più abili. Questi ultimi, a loro volta, si aspettavano in cambio un comportamento educato e rispettoso. La netiquette venne dunque fissata in una forma definitiva dall’ottobre 1995 con il documento RFC 1855 che contiene tutte le regole ufficialmente e universalmente riconosciute per un buon uso della rete.

Ovviamente, non si tratta di norme di legge, ma, come detto prima, di regole di buon senso. Chi non le rispetta non sarà certamente soggetto ad alcuna sanzione, ma avrà comunque la disapprovazione degli altri utenti (che difficilmente fanno sconti a qualcuno). D’altronde, si tratta di qualcosa di molto simile a quelle regole che sono alla base della civile e quotidiana convivenza (rispettare la fila, non parlare ad alta voce nei luoghi pubblici, non parcheggiare in doppia fila). Chi le segue, mostra di avere rispetto degli altri e si conquista, quindi, l’apprezzamento generale nella consapevolezza che “è sempre meglio non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te“.

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Ordinarie disavventure ferroviarie

Mi è capitato più di una volta di parlare delle mie disavventure ferroviarie. E fortunatamente non sono un pendolare, per cui negli ultimi anni i miei viaggi in treno sono stati abbastanza limitati.

In ogni caso, andiamo con ordine. Per un paio di mesi, il treno diretto Roma – Potenza era stato sospeso per lavori sulla rete ferroviaria. Ho realizzato, quindi, le trasferte estive verso la mia città di origine tramite i pullman di una ormai “collaudata” società di trasporti lucana.

Venerdì scorso, invece, essendo, ormai, terminata l’interruzione del servizio, ho pensato bene di prendere nuovamente il treno.

I ricordi di passati viaggi della speranza, in balia di treni sperduti nelle campagne laziali che macinavano ritardi su ritardi, avrebbero dovuto farmi desistere dall’intraprendere quell’avventura, o avrebbero dovuto indurmi a stare almeno un po’ in ansia. E, invece, ecco che la memoria in certe occasioni si fa molto corta o tende ad edulcorare il passato. Nella mia mente, infatti, il treno è rappresentato sempre come un mezzo molto più comodo del pullman.

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E così sono salito sul mio vagone e mi sono accomodato al mio posto con molta tranquillità e la sottile speranza di arrivare a casa in orario. Ma la mia speranza è stata ben presto annientata.

All’approssimarsi dell’orario di partenza, una vocina registrata annuncia un ritardo di venti minuti che poi diventa di mezz’ora, che, infine, si trasforma in una notizia allarmante e quasi inaspettata: bisogna lasciare il treno che non potrà partire a causa di un guasto e dirigersi ad un altro mezzo fermo ad un vicino binario. Da quel momento in poi, per circa mezz’ora siamo passati da un binario all’altro in balia di controllori impazziti che continuavano a dirottarci verso altri treni facendoci rasentare l’isteria. Finalmente a bordo del treno giusto, siamo partiti con settanta minuti di ritardo, mentre l’ennesima vocina registrata ci annunciava che quello, in realtà, non era il treno giusto. Per fortuna, come chiarito subito dal capotreno prima che la sommossa popolare avesse inizio, era la vocina ad essere sbagliata.

Il viaggio di ritorno, per la “legge della compensazione”, invece, è andato bene, oltretutto con un biglietto super scontato in prima classe. Ma questi sono eventi rari.

Qualcuno mi ha, giustamente, fatto notare che i disagi ferroviari sono un elemento che unisce l’intero territorio italiano. Di sicuro, non vi è molta attenzione per le tratte locali, così come il Sud è spesso abbandonato a se stesso. Scarsa manutenzione della rete e dei mezzi di locomozione rendono il viaggio un’impresa. Oltre ad una colossale incapacità organizzativa.

In effetti, il treno che ho preso venerdì era già in stazione parecchio tempo prima dell’inizio del viaggio, per cui avrebbero potuto accorgersi per tempo del guasto e cambiare mezzo senza causare ritardi. Ma, forse, sto chiedendo troppo!

Treno

Le abitudini che ci portano all’infelicità

L’infelicità è un fattore con cui capita spesso di avere a che fare, nel tentativo, a volte vano, di renderla inoffensiva. Una malattia, un evento spiacevole e doloroso o, semplicemente, la sensazione che la nostra vita non giri per il verso giusto, tutto questo contribuisce ad abbatterci e a rendere la nostra esistenza poco serena.

Secondo un recente articolo dell’Huffpost, che cita alcune ricerche universitarie americane, felicità ed infelicità sono collegate solo in parte alle condizioni di vita. In pratica, le persone più ricche non sono tanto più felici. Certamente, se gli studi universitari si fossero limitati a questo risultato, i soldi pubblici sarebbero stati impiegati in maniera discutibile. Avremmo potuto risparmiare i fondi semplicemente richiamando i tradizionali proverbi che ci dicono che i soldi non danno la felicità (anche se rendono più sopportabile la miseria).

Ma, a quanto pare gli studi hanno fatto un passo avanti, affermando che ciò che determina la felicità è il controllo della stessa, considerato che la felicità è l’effetto delle abitudini e delle visioni che gli individui hanno della propria vita. Vengono, quindi, individuate tutte quelle abitudini che ci portano all’infelicità: perdere tempo ad inseguire cose materiali, isolarsi rimanendo a casa, assumere un atteggiamento vittimista, essere pessimisti e lamentarsi, ingigantire i problemi o nasconderli, paragonarsi eccessivamente agli altri, aspettare che succeda qualcosa senza far nulla per migliorare la propria vita.

infelicità

Diciamo subito che questi risultati, più che il frutto di una ricerca, assomigliano molto ai consigli di una zia o di una nonna. In ogni caso, rappresentano senza dubbio atteggiamenti che, in una sorta di circolo vizioso, amplificano la nostra situazione di infelicità.

Ho cercato, quindi, di capire se posseggo alcune di quelle abitudine appena elencate. Sicuramente, non ho più come un tempo la smania di inseguire in modo eccessivo le cose materiali e di attaccarmi ad esse in maniera morbosa. Fatta eccezione per i libri, per i quali ho una maniacale dedizione, compensata dal notevole arricchimento interiore che sono in grado di fornirmi.

Ammetto, invece, che quando mi trovo in una situazione particolarmente stressante tendo a lamentarmi, anche se ho la piena consapevolezza che le lagne non servono nulla, anzi peggiorano le cose, per cui cerco di limitarmi.

Il mio pessimismo è, piuttosto, di tipo “scaramantico”, nel senso che spesso mi vengono in mente possibili scenari negativi, con la sottile speranza che il solo fatto di averli immaginati contribuisca a non farli verificare.

É vero, i problemi a volte mi sembrano giganteschi, almeno finché non li affronto di petto e a quel punto capisco di essermi preoccupato per nulla.

La tendenza ad isolarmi, fortunatamente, non mi appartiene molto. Quando mi sento un po’ triste, ho bisogno di un contatto, anche di un semplice messaggio che contribuisce a risollevare notevolmente il mio umore. Ma ovviamente tendo ad evitare di circondarmi di persone che possano trasmettermi sensazioni negative. Piuttosto, amo il confronto con soggetti interessanti con i quali poter arricchire il mio bagaglio di informazioni.

Per quanto riguarda il tentativo di migliorare la mia vita senza aspettare che le cose succedano da sole, diciamo che ci sto lavorando.

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