LAZIO, ANNA FRANK NON E’ IL PRIMO SFREGIO ALLA MEMORIA

lazio anna frank

Che gli italiani abbiano la memoria corta, anzi cortissima, è cosa nota ormai da tempo – diversamente non si spiegherebbe come sia possibile che, malgrado i disastri compiuti nel passato, in Parlamento e al governo vengano eletti sempre gli stessi partiti e gli stessi personaggi. In quest’ultimo caso ciò avveniva fino a quando ai cittadini era garantito il loro diritto costituzionale di eleggere il candidato, non solo la lista. Delegando alle segreterie di partito la scelta antidemocratica e anticostituzionale di stabilire chi deve sedere in Parlamento, come accade dal 2005.

Per cui stupisce il clamore che da giorni sta suscitando la deplorevole vicenda delle figurine con l’immagine di Anna Frank, uno dei simboli della shoa, con la maglietta della Roma attaccate sulle pareti dello stadio Olimpico, domenica scorsa durante Lazio-Cagliari, da uno sparuto gruppo di ultras. E non fanno che gettare benzina sul fuoco le smentite e le minacce di querela del presidente Lotito a proposito di un audio “rubato”, pubblicato da Il Messaggero, dove distintamente si sente la sua voce affermare “famo ‘sta sceneggiata” mentre si starebbe recando alla sinagoga di Roma per deporvi una corona di fiore in onore delle vittime della shoa al fine di sedare la polemica scatenata dalle figurine.

Dovrebbe essere noto, quasi, a tutti che l’estrema frangia di tifosi laziali politicamente è legata all’estrema destra. Non a caso Gianfranco Fini, il delfino di Giorgio Almirante segretario dell’allora MSI, seppure non estremista di destra, era tifoso laziale. Così come dovrebbe essere noto a tanti che in un passato non molto lontano alcuni calciatori della Lazio si sono lasciati andare sul campo in gesti e situazioni poco attinenti allo sport ma molto alla politica.

Ci siamo forse dimenticati di quando, durante Lazio-Bari del 30 gennaio 2000, l’allora giocatore della Lazio Sinisa Mihajlovic, oggi allenatore del Torino, si recò a ringraziare la curva nord per lo striscione su cui era scritto onore alla tigre Arkan, chiaro riferimento al criminale di guerra serbo Zeljco Raznatovic, accusato di genocidio e di crimini contro l’umanità, assassinato due settimane prima, amico di Sinisa?

Ci siamo forse dimenticati dei “saluti romani” di Paolo Di Canio, giocatore simbolo della Lazio, durante un derby e un Livorno – Lazio del 2005?

Certo, Di Canio s’è poi pentito sia di quei gesti che del tatuaggio inneggiante al DUX che aveva sul bicipite che gli costò l’allontanamento da SKY come commentatore. Ma tutti questi eventi tradiscono inequivocabilmente la matrice di estrema destra della tifoseria laziale.

Pertanto perché sorprendersi per l’affissione di figurine che offendono la memoria di Anna Frank e di tutte le vittime dell’olocausto quando a tutti dovrebbe essere ben noto l’orientamento politico per lo meno degli ultras laziali?

Chi, pur condannando il gesto delle figurine, contemporaneamente biasima chi ha gettato nel Tevere la corona di fiori posta da Lotito all’ingresso della sinagoga, a mio avviso, commette un imperdonabile errore di valutazione in quanto tende a equiparare tra di loro due episodi totalmente diversi. Infatti, indipendentemente se Lotito avesse detto o no “vamo fa ‘sta sceneggiata”, come può una comunità, o, nel caso specifico, qualche suo membro, tollerare un omaggio del genere senza pensare che si tratta solo di un gesto di facciata teso a placare gli animi – e, seppure così fosse stato, comunque non ci sarebbe niente di male, anzi… – una garbata presa in giro da parte di chi, per (de)formazione culturale, odierebbe a morte gli ebrei e i “diversi” in generale al pari dei fascisti del ventennio mussoliniano?

Passando di palo in frasca, ma restando sempre in tema di offese razziste, giusto per rinfrescare la memoria a quanti l’abbiano labile, i fischi e gli insulti che accolgono il leader della Lega Salvini quando viene a “mendicare” voti al sud non sono pregiudiziali ma la naturale risposta da parte di chi da quella stessa persona è stato poco prima offeso, deriso, umiliato perché “napoletano” e “puzzolente”. Stupisce che Salvini si sbalordisca quando a Napoli o in altre città del sud lo accolgano a fischi e con lanci di uova, non facendolo parlare, costringendolo a andare via malgrado si fosse pubblicamente scusato per quegli insulti.

La realpolitik, o la diplomazia, chiamatela come vi fa più comodo, in certi casi è peggio di un cerino acceso in una santabarbara!

Anche perché, me ne accorgo solo ora, la memoria di molti italiani, contrariamente a quanto ho affermato all’inizio, non è poi tanto corta come qualcuno potrebbe pensare.

LAZIO, ANNA FRANK NON E’ IL PRIMO SFREGIO ALLA MEMORIAultima modifica: 2017-10-26T16:08:08+02:00da kayfakayfa
  1. Per errore ho cancellato il commento il cui autore, pur apprezzando l’articolo, giudicandolo migliore di tanti altri scritti sul tema, ne segnalava comunque l’incompletezza, evidenziando, a riguardo, in particolare due aspetti.
    Se il succitato autore leggesse questo commento, è invitato a riproporre il proprio. Grazie!

  2. Ho letto l’articolo, bello, migliore di altri sullo stesso tema, ma purtroppo incompleto. Perché, come quasi sempre capita quando si parla di S.S.Lazio, ci si diverte ad associare i suoi tifosi ad una sorta di neofascisti, quando posso assicurare che così non è.
    La Lazio fu la prima società sportiva italiana ad essere stata fondata (nel 1900) non da nobili, ma da persone comuni. E nel 1927 la Lazio fu l’unica società calcistica della capitale che non obbedì alla volontà fascista di confluire nella nuova A.S.Roma (voluta da Mussolini in persona), che avrebbe rappresentato l’imperialismo voluto dal regime di allora.
    Per tornare alla questione di attualità, tutti hanno gridato allo scandalo nel vedere adesivi della povera Anna Frank con la maglia della Roma. Quello che ancora non sono riuscito a capire bene è
    1) se sono gli Ebrei a sentirsi offesi nel vedere una persona della loro religione associata alla maglia della Roma, oppure
    2) se sono i tifosi della Roma a sentirsi offesi a vedere una persona ebrea che indossa la maglia dei loro beniamini.