Dicembre 2018: David Gilmour – DAVID GILMOUR (1978)

David Gilmour

 

Data di pubblicazione: 25 maggio 1978
Registrato a: SuperBear Studios (Berre-les-Alpes)
Produttore: David Gilmour
Formazione: David Gilmour (voce, chitarre, tastiere, pianoforte), Rick Willis (basso, voce), Willie Wilson (batteria, percussioni), Mick Weaver (pianoforte), Carlena Williams, Debbie Doss, Shirley Roden (cori)

 

Lato A

 

                        Mihalis
                        There’s no way out of here
                        Cry from the street
                        So far away
 

Lato B

 

                        Short and sweet
                        Raise my rent
                        No way
                        Deafinitely
                        I can’t breathe anymore

 

Non vorrei essere un sottofondo,
vorrei che la mia musica fosse l’unica cose importante,
almeno nel tempo in cui la si ascolta
(David Gilmour)

 

Il destino di David Gilmour è stato sorprendentemente incredibile: da “rincalzo” (quando fu chiamato nel 1968 a sostituire il genio folle di Syd Barrett, che dovette lasciare i Pink Floyd in seguito ad alcuni segnali piuttosto preoccupanti di schizofrenia, che portavano non poche problematiche alla vita del gruppo) a leader (dopo la burrascosa fuoriuscita negli anni ’80 di Roger Waters, quando decise, assieme agli altri compagni di portare avanti il nome del gruppo).
Quando fu chiamato a sostituire il “diamante grezzo” Barrett, la band dovette in qualche modo adattarsi allo stile del nuovo chitarrista. In verità David Gilmour era amico d’infanzia sia di Syd Barrett che di Roger Waters, e fu proprio quest’ultimo che lo volle nel gruppo, ma era altrettanto evidente che le follie visionarie di The piper at the gates of dawn avrebbero ben presto cedere il passo ad un più canonico blues-rock (pur sempre bagnato di psichedelia, ovvio) nel successivo A sacerful of secrets, e questo proprio per la presenza di David alle chitarre. Rispetto a Syd, David era più rigoroso. La sua “genialità” non era visionaria, ma riflessiva, distensiva. Ciò non toglie però che David Gilmour sia diventato una figura di spicco e di tutto rispetto nell’economia artistica dei Pink Floyd. I suoi assoli, dilungati e splendenti, sono un vero e proprio marchio di fabbrica per dischi come Dark side of the moon, Wish you were here e The wall (tanto per citare dei nomi altisonanti). Un’intelligenza sonora come se ne possono riscontrare in giro, vero e proprio ingegnere del suono, oltre che personalità dotata dal forte carattere, David Gilmour ha saputo conquistarsi un posto del tutto importante nella storia del rock, sia per come ha saputo guidare la musica dei Pink Floyd (e si pensi che per oltre quindici anni ha dovuto letteralmente “combattere” contro l’ego spropositato di Waters), e sia per come ha saputo avviare un’interessante carriera da solista.
Siamo verso la fine degli anni ’70, e i Pink Floyd, che da poco avevano confezionato Animals (un album che all’epoca prese non poche batoste, spesso in maniera gratuita e del tutto ingiustificata, ma poi il tempo saprà fare giustizia), erano uno dei gruppi pesantemente messi in discussione dal proliferare del punk rock. Il nuovo che avanzava, con tutta la sua carica iconoclasta, che voleva spazzare violentemente tutto ciò che era vecchio (se ci si pensa, il mondo del rock veniva rivoluzionato nel giro di pochissimi anni, che parevano decenni!). Se con Dark side of the moon e Wish you were here i Pink Floyd erano diventati un’istituzione intoccabile, ora il punk ti sputava in faccia tutto il suo odio, e quindi voleva assolutamente distruggere quell’istituzione. Mettiamoci anche un paio di concerti non proprio felici, tra i quali uno in cui Roger Waters sputò in faccia ad un fan, e si capisce che per i Pink Floyd non era un periodo felice.
Ma come in tutti i periodi complicati c’è sempre la via di uscita, e la musica fu quella perfetta. Così mentre Waters si calava nel buio del suo ego per partorire The wall, David Gilmour nel frattempo si trasferisce in Francia, e registra il suo primo disco da solista.
L’album è stato un po’ schiacciato col tempo dalla presenza preponderante di un gigante come The wall (che seppe ben mandare a fanculo il punk e la loro iconoclastia del cazzo!), ma per la prima volta David si prendeva degli spazi che erano i propri, provando delle cose che volevano essere anche un po’ diverse da ciò che faceva nei Pink Floyd. Ed è così che arrivò l’omonimo album da solista. Il disco in questione mantiene volutamente un profilo sonoro più basso rispetto alle opere della band. Il suo intento è quello di proiettare l’ascoltatore in un viaggio sonoro completo tra le arterie, le viscere e lo spirito dell’artista di Cambridge, che tra le altre cose qui anticipa anche un paio di idee ben presto portate nella band.
L’album si apre con lo strumentale Mihalis, che per certi aspetti ci riporta nei territori di Obscured by clouds, ma qui mantiene un tocco distaccato, quasi etereo, in bilico tra acid rock alla Santana e il prog rock dei Pink Floyd più recenti. Si prosegue poi con il country rock sommesso della cover di There’s no way out of here degli Unicorn. Mentre la successiva Cry from the street si riveste di velleità hard e blues, apparentandosi con i Deep Purple o i Lynyrd Skynyrd. Ma tocca all’estatica e pianistica So far away chiudere il primo lato, con i suoi umori altalenanti e l’ingresso di una chitarra che rende l’atmosfera del brano ancora più riflessiva.

Short and sweet che apre il secondo lato invece suggerisce alcune delle idee che ben presti finiranno nelle canzoni di The wall, tanto che il riff ricorda molto da vicino quello della strepitosa Run like hell. Raise my hand è un altro elegante pezzo strumentale, particolarmente rappresentativo delle peculiarità artistiche del Nostro. No way vive invece di un rapporto abbastanza stretto tra la canzone d’autore e le atmosfere, con tanto di strutture jazz di base. Deafinitely invece cerca alambicchi psichedelici da regalare a piene mani, e si chiude con la riflessiva I can’t breathe anymore, quasi una riflessione sulla sua opera precedente con i Pink Floyd.
Si dice anche David non fosse riuscito ad ultimare per il suo disco un pezzo cui stava lavorando: Confortably numb. Ma per nostra fortuna quel pezzo strepitoso troverà posto su The wall, e diventerà una delle colonne portanti non solo di quel disco, ma di tutta la storia dei Pink Floyd.
L’album d’esordio di Gilmour ottenne un successo piuttosto modesto, se paragonato ovviamente a quelli con i Pink Floyd. A questo disco farà seguire altre tre album, ben distanziati nel tempo: About face del 1984, On an island del 2006 e Rattle that lock del 2015. Tutte espressioni di un’arte che non consuma, e che trova il suo tempo nell’ascolto attento, non distratto e che mira soprattutto ad andare in profondità!

Dicembre 2018: David Gilmour – DAVID GILMOUR (1978)ultima modifica: 2018-12-24T09:18:02+01:00da pierrovox

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