Agosto 2017: My Bloody Valentine – LOVELESS (1991)

Loveless

 

Data di pubblicazione: 4 novembre 1991
Registrato a: Blackwing Studios (Londra)
Produttore: Kevin Shields
Formazione: Kevin Shields (voce, chitarre, sampler), Colm O’Ciosoig (batteria, sampler), Blinda Butcher (voce, chitarre), Debbie Googe (basso)
Tracklist

                        Only shallow
                        Loomer
                        Touched
                        To here knows when
                        When you sleep
                        I only said
                        Come in alone
                        Sometimes
                        Blown a wish
                        What you want
                        Soon

 

 

Ad essere sincero, non ho la minima idea di cosa diavolo stiamo facendo
(Kevin Shields)

 

Il rock è qualcosa di misterioso. Un termine secco dentro al quale però si possono scovare un’infinità di sottogeneri e di attitudini che lo rendono un oggetto misterioso e affascinante nello stesso tempo. Sul finire degli anni ’80 si delineò nel Regno Unito quel sottogenere che la stampa specializzata dell’epoca, con un particolare neologismo, chiamò “shoegaze”, ossia “fissa scarpe”. Nome del tutto particolare per identificare un genere specifico. Il fatto è che più che al suono, il nome veniva fuori dalla particolare attitudine che avevano i musicisti di tenere lo sguardo fisso verso il basso mentre suonavano, fissando appunto le scarpe (anche se poi questo era dovuto, visto che l’effetto del suono era dovuto all’uso massiccio della pedaliera che dava particolare effetto al suono delle chitarre). Da qui quel particolare nome dato dal New Musical Express. Ne esiste però una variante più sprezzante derivante dal Melody Maker, che tendeva a sminuire il genere come una sorta di attitudine snob e masturbatorie.
Nella fattispecie lo shoegaze si identificava con un significativo utilizzo degli effetti per le chitarre, fatti di distorsioni e riverberi, e un forte senso della melodia, spesso trattata però come una sorta di strumento supplementare dato alla musica. In un certo qual modo lo si può ritenere una sorta di approfondimento alternativo del Wall of Sound di Phil Spector.
A differenza del pop-rock di stampo più convenzionale, i musicisti che si addentravano in questo tunnel sonoro, mettevano in secondo piano le loro personalità a favore di una introspezione sonica e di un atteggiamento distaccato. In un certo qual modo si può dire che non esistono celebrità all’interno di questo sottogenere. La personalità era data da un muro di chitarre, un rumorismo “bianco” fatto di distorsioni ed effetti, e voci che emergono da questo mare di suoni “dissonanti”. Precursori furono i Jesus & The Mary Chain, con la pietra miliare Psychocandy, che apriva nuove strade per il rock alternativo degli anni ’80, che, dopo aver cavalcato le onde nere della New Wave e i dissapori iconoclasti del punk, ora si apprestava a investigare nuove personalità, nuovi caratteri. Ma precursori furono anche gli irlandesi My Bloody Valentine.
Nati nella Dublino dei primi anni ’80, che già vantava di aver dato i natali agli U2 e ai Virgin Prunes, i My Bloody Valentine cercavano una personalità musicale che non fosse l’anthemico pathos dei primi o la gotica teatralità dei secondi. Cercavano qualcosa di diverso. Dopo aver dato alle stampe un promettente ma ancora incerto ep nel 1985, debuttano ufficialmente con It’s anything nel 1988. Un album che si rivelava come una sorta di ibrido tra le armonie rumorose dei Velvet Underground e le fragilità dei Jesus & The Mary Chain. Uno stile che attingeva dalla psichedelia, ma che seguendo l’esempio dei Cocteau Twins, si dirigeva verso quel qualcosa che poi darà vita al Dream Pop.
Ma sarà con il leggendario Loveless, che i My Bloody Valentine saranno consegnati definitivamente alla storia. Oltre ad essere stato il loro ultimo e definitivo capitolo, prima che tornassero dopo ben ventidue anni di assenza con il meraviglioso MBV, e oltre ad essere stato uno dei dischi con la lavorazione più costosa (e non ricambiata in fase di vendita, visto che la Creation dovette sborsare all’epoca qualcosa come cinquecentomila sterline per le spese di realizzazione), Loveless è una vera pietra miliare di tutta la storia del rock. Come Psychocandy negli anni ’80, Loveless negli anni ’90 si prese il difficile compito di riscrivere la storia del rock, e di cambiare le carte in gioco nelle regole della composizione e degli stilemi di riferimento. Ribellione e armonia, intelligenza pop e acidità psichedelica si fondono in un amplesso sonoro senza precedenti, tanto da renderlo un album seminale e squisitamente unico. Non emergono virtuosismi, né vocali (l’uso della voce è coperto da un muro di chitarre) né chitarristiche, ma si resta impressionati dall’impatto che il suono ha sull’ascoltatore, facendolo naufragare in un mare di sonorità squisitamente acide.
L’apertura affidata a Only shallow è rappresentativa dell’idea che Shields voleva mettere in atto: ossia amalgamare suono e melodie per una fluttuazione sonora senza precedenti, come se i Beach Boys di Pet sounds dovessero far qualcosa con il Lou Reed di Metal music machine. E infatti la successiva Loomer, nel suo rumorismo scostante, raggiunge il paradosso di un equilibrio quasi paradisiaco. Touched invece è un disturbato intermezzo che porta all’armonia dissonante di To here knows when, dove il muro del suono copre una melodia dolcissima, quasi subliminale. I bagliori psicotici di When you sleep invece dilatano la musica verso orizzonti ancora più fantasiosi, e si fluttua in atmosfere sognanti e pregne di lisergico furore. Stesse atmosfere condivise dalla “gemella” I only said, bellissima nel dipanarsi della sua luminosità. Come in alone invece mette in contatto i Beatles più psichedelici con i Velvet Underground, in un connubio di fantasia e creatività. L’introduzione elettro-acustica del riff di Sometimes mette in perfetto equilibrio melodia e rumore, dolcezza e violenza, ordine e caos. Blown a wish nel suo corale intreccio di voci e suoni volteggia in atmofere oniriche, richiamando alla memoria le alchimie di un certo John Cale. Prima della chiusura affidata ai lunghi vortici di Soon, abbiamo ancora spazio per il garage rock di What you want.
Come Psychocandy o Screamadelica, Loveless ha il pregio di aver coniato nuovi linguaggi nella musica rock, e di aver influenzato tanta della musica a venire. Saranno in molti appunto a dichiarare di essersi ispirati alle tecniche o alle idee contenuti in questo disco, dai Radiohead ai Nine Inch Nails, dagli Smashing Pumpkins ai Verve della prima ora… Non mancheranno nemmeno omaggi, dai Primal Scream, gli Spacemen 3, i Dinosaur Jr, agli Spiritualized, e a tanti altri illustri colleghi. I My Bloody Valentine quindi posero le basi per qualcosa di assolutamente speciale nella grande cosmogonia rock, qualcosa che resterà impressa nella storia, tra astrazione e realtà, dimensioni parallele, proiezioni oniriche e sogni ad occhi aperti! Un manifesto dopo il quale nulla è stato più lo stesso!

 

Agosto 2017: My Bloody Valentine – LOVELESS (1991)ultima modifica: 2017-08-03T12:07:49+02:00da pierrovox

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