Il Paese di Cartone

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Piccolo paese, grandi tristezze. Odore di nebbia, di cemento, di asfalto consunto, di muffa, di stantio, di campi che puzzano di fertilizzante chimico. Soliti discorsi, solite facce solitarie. Soliti odi. Piccolo paese, piccola gente. La piccola famiglia che si rovina e ti devasta anche nei sentimenti. Solite rane che saltano e gracchiano all’alba al cancello e si accovacciano stanche al tramonto dietro gli infissi. Palazzi popolari gremiti con vista ville dal prato all’inglese. Il denaro che serve solo ad ostentare. Il denaro che butti il fine settimana per tentare di evadere, ma poi devi ritornare. Il tempo che avresti ma è come non lo avessi. Gli amori che vuoi ma che non puoi. Nei piccoli paesi la vecchiaia arriva prima del dovuto. Le membra si rattrappiscono; a vent’anni il sale e l’umidità nell’aria ti hanno già scalfito ossa e pelle. Ti affretti, seppur svogliato, al ‘ora devo riprodurmi’. O mimi il gesto, sperando che nel sesso dal seme sprecato, qualcosa almeno dentro di te si evolva. Oltre i confini di questo municipio, di questa chiesa e il suo monotono scoccare l’ora, c’è altra vita. Ma se sei nato, vissuto, cresciuto, omologato al ‘piccolo’ ogni grandezza ti sfiorerà solo con tristezza. Sei condannato se non scappi alla ‘semplicità’ quando è il momento: in gioventù. Prima che quella nebbia ti soffochi la speranza, l’umidità ti appesantisca i vestiti, il sale ti irriti la pelle e quell’odore e sentore grezzo della noia mortale negli occhi della piccola gente ti invadano anche l’animo. Sei già morto dopo quel tempo, se resti qui. Lo sai, ma non lo ammetti. Puoi solo sussurrarlo in questa finzione sofferta in cui tutti sono solo figure disegnate su un cartone.