‘600-‘800 d.c.
Sia secondo la tradizione islamica, sia secondo la maggior parte degli storici moderni, l’Islam ha avuto origine in Arabia.
Per i musulmani questo non è avvenuto ai tempi di Muhammad ma ai tempi di Abramo, il quale (insieme al figlio Ismaele, progenitore degli arabi) edificò a Mecca la Ka’ba[1], verso la quale milioni di musulmani si recano in pellegrinaggio ancora oggi.
La porzione di Arabia che ci interessa maggiormente è quella occidentale di Hijaz, dove sono situate Mecca e Medina.
Muhammad nacque a Mecca nel 570 d.c. all’interno della tribù Quraysh, la quale era al governo della città.
Nel 610 d.c., a 40 anni, Muhammad iniziò a ricevere le rivelazioni che sarebbero poi divenute i versetti del Corano: egli le condivise prima con i suoi amici e parenti, e infine con gli altri abitanti di Mecca.
Il messaggio monoteistico di Muhammad era però incompatibile con la cultura politeista della città, e così, nel 622 d.c., dovette fuggire da Mecca insieme ai suoi seguaci.
Muhammad si stabilì pertanto a Medina, un’oasi popolata anche da un ampio numero di ebrei, dove il suo messaggio su Dio, sulla fine dei tempi, sul digiuno e sulla carità risultava familiare e non minaccioso.
Muhammad venne così ben accolto nella città, dove ricoprì addirittura la funzione di giudice per alcune dispute che dividevano la popolazione.
L’emigrazione di Muhammad e dei suoi sostenitori (Hijra) segnò il punto di partenza tanto per la sua carriera come “uomo di Stato” quanto per il calendario islamico.
Da Medina, ormai diventata la sua base, Muhammad diede inizio alla costituzione di una nuova comunità (la Umma), composta dai compagni emigrati con lui e dai suoi nuovi seguaci.
Quando si incrinarono le sue relazioni con gli ebrei, essi vennero gradualmente espulsi dalla città, mentre i meccani pagani vennero definitivamente sconfitti nel 630 d.c.
Negli anni successivi, Muhammad riuscì a unificare le tribù dell’Arabia sotto il vessillo della Umma.
I successi di Muhammad furono generalmente accolti come un segno del favore divino, e, in quanto tali, incoraggiarono le tribù di tutta l’Arabia a convertirsi.
Muhammad viene descritto dalle fonti antiche come un mortale che visse da fallibile e ordinario essere umano, e che morì, nel 632 d.c., come uomo:
nel Corano, Dio lo rimprovera ripetutamente.
Tuttavia, la tradizione islamica negli anni seguenti ha stabilito che egli fosse infallibile.
La morte di Muhammad causò due diverse reazioni a catena le cui conseguenze furono di fondamentale importanza.
Da un lato, infatti, emersero le sette islamiche;
dall’altro, si costituì un vero e proprio Impero islamico.
Una prima reazione riguardò quei gruppi che ritenevano che la morte del Profeta rappresentasse l’inizio di un’epoca;
una seconda reazione fu invece di coloro che ritenevano ne fosse la fine.
Costituì l’inizio di un’epoca per quei musulmani che si sottomisero al governo del Califfo (“successore”), il quale assunse la guida della comunità poco dopo la morte di Muhammad.
Il regno del primo Califfo, Abu Bakr (632-634 d.c.), venne speso soprattutto nel fare i conti con quelle tribù la cui conversione all’Islam era stata indissolubilmente legata alla figura dello stesso Muhammad, e che affermavano che, una volta morto il profeta, anche il loro “contratto” stipulato con lui fosse nullo.
Alcune tribù conservarono la nuova identità religiosa, ma rifiutarono di continuare a pagare i tributi e di rimanere fedeli alla Umma.
Altre tribù tornarono invece alle loro religioni pre-islamiche.
Tutti questi gruppi vennero considerati alla stregua di apostati[2] politici e religiosi, il cui “ritorno all’ovile” era di fondamentale importanza.
Le conseguenti “guerre all’apostasia” (Ridda) riuscirono non solo a realizzare questo obiettivo, ma anche a determinare lo slancio per ulteriori conquiste al di fuori della penisola arabica.
Molti arabi erano pastori nomadi e confidavano, per la loro sussistenza, sulle razzie a danno degli altri gruppi.
L’unificazione delle numerose tribù dell’Arabia sotto un neonato vessillo religioso instillò in loro un nuovo senso di coesione sociale e un obiettivo spirituale che seppe sfruttare il bisogno dei nomadi di razziare, ma privava allo stesso tempo gli arabi delle loro vittime più ovvie.
Dal momento che i musulmani non potevano fare razzie gli uni contro gli altri, essi si rivolsero allora contro i propri vicini di Iran, Iraq, Siria, Egitto e Nord Africa.
Queste razzie, però, erano differenti: per la prima volta, infatti, anziché saccheggiare semplicemente le popolazioni stanziali del Vicino Oriente, i nomadi importavano qualcosa di proprio, ossia un nuovo messaggio religioso.
Questo messaggio non fu accolto né dai sovrani bizantini[3] dell’Ovest, né da quelli Sasanidi[4] dell’Est: tuttavia, i loro sudditi furono più ricettivi, almeno nei confronti dell’egemonia dei musulmani.
Che le conquiste del Vicino Oriente avessero suscitato sugli uomini dell’epoca un’impressione così forte è reso evidente dal fatto che sia i conquistatori sia i conquistati erano certi che dovesse essere la mano di Dio a guidare gli eventi.
I musulmani interpretavano il loro successo come una “ricompensa” di Dio nei loro confronti per aver seguito la sua volontà;
i cristiani erano certi che le proprie sconfitte fossero una “punizione divina” per i loro peccati;
alcuni ebrei vedevano nell’Islam una parte del progetto di Dio volto a diffondere il monoteismo presso i lontani pagani dell’Hijaz.
Gli storici moderni hanno cercato altre spiegazioni per il successo della conquista musulmana araba, basandosi su tre principali teorie:
1 Le potenze imperiali erano deboli, avendo combattuto l’una contro l’altra nel corso dei secoli precedenti, prima di arrivare a una tregua costosa ed estenuante.
2 Una parte della popolazione del Vicino Oriente era ansiosa di sostituire i propri sovrani con monarchi più benevoli, avendo accumulato lagnanze dopo secoli di politiche impopolari in campo religioso ed economico.
3 Gli arabi avevano un vantaggio militare notevole sugli eserciti bizantino e sasanide, e riuscirono a sfruttare a proprio favore diversi fattori:
- Il fervore religioso
- L’elemento-sorpresa
- La familiarità con le tattiche bizantine e sasanidi
- La capacità di ritirarsi nel deserto o sulle montagne
In qualunque modo si giustifica il loro successo, gli arabi arrivarono in Vicino Oriente e in Nord Africa nella seconda metà del ‘600 d.c. e lì vi rimasero, edificando piazzeforti in Egitto, Iran Orientale e Iraq.
Entro la fine del ‘700 d.c. le piazzeforti erano diventate città pienamente sviluppate e gli arabi si erano avventurati nei villaggi e nelle città del Vicino Oriente, lasciando un segno durevole nel paesaggio.
Solo in Siria i conquistatori arabi si stabilirono in città già costruite (unendosi ad altri arabi che vi si erano stabiliti in età pre-islamica).
La diffusione dell’allevamento dei cammelli nei territori conquistati accelerò quel processo per cui le inefficienti vetture a ruote, che necessitavano di una manutenzione impegnativa e richiedevano strade lastricate, furono sostituite dai più semplici ed economici cammelli arabi.
Nelle province conquistate dall’Impero Bizantino, le ampie e rettilinee strade romane lasciarono così il posto ai vicoli ventosi e stretti ancora oggi visibili nei vecchi quartieri delle città del Vicino Oriente.
Le stesse piazzeforti divennero importanti centri economici, attirandovi gli abitanti non musulmani dagli insediamenti circostanti, e ridisegnano la mappa del Vicino Oriente.
Fu però la diffusione dell’arabo e dell’Islam a rappresentare la più significativa conseguenza delle prime conquiste.
Mentre le vittorie cruciali sugli imperi ebbero luogo durante il regno del secondo Califfo Umar (634-644 d.c.), fu sotto i califfi Umayyadi (661-750 d.c.) che la cultura araba e il dominio islamico si diffusero dalla Penisola Iberica fino al Punjab[5], fissando grossomodo le frontiere del mondo islamico per i secoli a venire.
Per alcuni musulmani del tardo 600 d.c., gli Umayyadi non avrebbero dovuto affatto essere califfi:
i loro quattro predecessori (Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali) erano infatti tutti imparentati con Muhammad tramite legami matrimoniali o di sangue, e il regno di questi quattro califfi (noti come “califfi ben guidati”, Rashidun) è tuttora ricordato per essere stato una sorta di “età dell’oro”, durante la quale la Umma è stata governata secondo i “principi islamici”.
Gli Sciiti sono coloro che credono che Ali sarebbe dovuto succedere a Muhammad immediatamente.
Uthman era un genero di Muhammad e gli viene attribuito il merito di avere ordinato la stesura di una versione autoritativa del Corano.
Gli Umayyadi, al contrario, non erano direttamente imparentati con Muhammad, e inoltre si dice anche che gli si opposero apertamente, convertendosi all’Islam solo per necessità, in un momento tardo della carriera del Profeta.
Quando Uthman venne assassinato, emersero due pretendenti alla carica califfale:
- Ali
- Mu’awiya, un umayyade consanguineo di Uthman, che reclamava il diritto di vendicarne la morte
Ali divenne Califfo nel 656 d.c., ma dovette lottare per far riconoscere largamente il suo potere, al punto che già un anno dopo dovette aprire alle trattative con Mu’awiya.
Per molti dei sostenitori di Ali, questo non sarebbe dovuto mai accadere (“il giudizio appartiene unicamente a Dio” era il loro motto), e così essi si distaccarono dal suo fronte, ragion per cui sono noti come “secessionisti” (Kharijiti).
La posizione che i Kharijiti mantennero riguardo al diritto a governare li spinse a considerare i dissidenti meritevoli di morte: la loro vittima più eminente fu proprio Ali, che nel 661 d.c. venne assassinato.
Con la morte di Ali, ebbe fine l’epoca dei “califfi ben guidati”.
Il sanguinoso conflitto che ne seguì divenne noto come la prima “guerra civile” della storia dell’Islam (Fitna) e condusse all’ascesa di Mu’awiya al potere, anche se a questo punto il periodo di unità all’interno della Umma era ormai compromesso.
Mu’awiya trasferì la capitale a Damasco e designò come proprio successore il figlio Yazid (680-683 d.c.), stabilendo così un principio di successione ereditaria a causa del quale gli Umayyadi vennero fortemente avversati.
Yazid andò incontro a problemi molto presto, quando uccise il figlio di Ali, Hussein, nel 680 d.c.: questo episodio sancì la sua infamia nella memoria degli Sciiti. Né Yazid né suo fratello Mu’awiya II (683 d.c.) governarono a lungo.
Una seconda Fitna nel 680-692 d.c. provocò grandi sconvolgimenti, e fu solo con il regno di Abd Al-Malik (692-705 d.c.) che la sovranità degli Umayyadi poté essere restaurata.
Il 692 d.c. fu noto come un “anno di unità”: furono infatti prese alcune misure amministrative allo scopo di rafforzare il controllo del Califfo sui sudditi, in modo da prevenire future sfide alla sua autorità.
In effetti, ad Abd Al-Malik e ai suoi successori, per quanto generalmente diffamati dalle fonti e ricordati come “sovrani empi” si riconosce a malincuore il merito di avere dato contributi di lungo effetto alla città islamica.
Furono loro a imporre l’arabo come lingua amministrativa ufficiale dei territori islamici e a estendere i confini verso Ovest (fino alla Spagna e al Marocco) e verso Est (fino al Pakistan e all’Asia Centrale).
Il controllo del Califfo sulle sue province fu rafforzato: le tradizionali politiche tribali di decentralizzazione lasciarono il posto a più funzionali organizzazioni imperiali.
Venne inoltre imposta dalle istituzioni califfali una identità consapevolmente araba e islamica:
- Vennero coniate “monete islamiche”
- L’arabo sostituì il greco, il persiano e il copto[6] negli uffici amministrativi (aprendo così la strada alla partecipazione dei musulmani nell’amministrazione)
- Venne edificata a Gerusalemme la Cupola della Roccia[7] sul Monte del Tempio: questo monumento contrastava le attese messianiche dell’Ebraismo e recava un’iscrizione di sfida alle dottrine fondamentali del Cristianesimo
Il messaggio era quindi chiaramente comprensibile a tutti: l’Islam era arrivato.
Ma che cosa significava “Islam” a quell’epoca?
Il più grande problema degli Umayyadi era proprio il fatto che la loro risposta a questa domanda differiva radicalmente da quella degli (auto-designati) esperti di scienza religiosa, gli Ulama, i quali al tempo disponevano di un grande sostegno popolare e che successivamente avrebbero scritto i libri di storia.
Per gli Umayyadi la morte di Muhammad era stata davvero la fine di un’epoca: dal momento che egli era “il sigillo dei profeti”, la volontà di Dio non sarebbe stata mai più comunicata per il tramite di uomini portatori di Scritture.
Al contrario, sarebbero stati i califfi a servire da “rappresentanti di Dio” in terra: quella era l’”epoca dei califfi” ed erano loro, gli Umayyadi, a detenere l’autorità religiosa.
Per gli esperti di religione come gli Ulama, invece, si trattava di un’assurdità: Dio aveva dato alla Umma tutto ciò che era necessario sapere.
Qualora qualcosa non si trovasse nel Corano, la si poteva ricavare dalle affermazioni e dalle azioni stesse di Muhammad.
Poiché, quindi, nessuno conosceva queste cose meglio degli Ulama, l’autorità religiosa sarebbe dovuta appartenere a loro.
Purtroppo per gli Umayyadi, non solo una grande porzione di loro sudditi musulmani concordava con gli Ulama, ma molti altri musulmani avevano ulteriori obiezioni teologiche alla loro pretesa al Califfato.
Inoltre, per gran parte del periodo Umayyade, la conversione all’Islam dei popoli conquistati venne scoraggiata dagli altri califfi, il che significava sia che veniva sempre meno sopportato il governo degli Umayyadi (i non musulmani infatti pagavano più tasse) e sia che la maggioranza dei sudditi dei califfi si componeva di non musulmani.
Gli arabi musulmani, i non arabi musulmani, gli arabi non musulmani e chi non era né arabo né musulmano: tutti avevano motivo di opporsi agli Umayyadi.
Così, gli Umayyadi vennero detronizzati nel 750 d.c. da quella che fu in sostanza una rivolta degli Sciiti partita da Oriente, che portò sul trono gli Abbasidi.
Gli Abbasidi (750 d.c.-1258) si dichiaravano discendenti di uno degli zii di Muhammad e promettevano di mettere fine alle ingiustizie degli Umayyadi: essi trasferirono il centro del potere dalla Siria verso Oriente, spostando la capitale da Damasco a Baghdad nel 762 d.c.
Tuttavia, come accadde per gli Umayyadi, anche gli Abbasidi versarono il sangue di leader carismatici musulmani, assassinando gli stessi artefici della loro rivoluzione, fondando essi stessi una dinastia e reclamando per sé l’autorità religiosa.
Anch’essi, inoltre, intensificarono la transizione da uno “Stato a maglie larghe” basato sulle tribù, a un “Impero sofisticato”.
Entro il regno di Harun Al-Rashid (786-909 d.c.) il Vicino Oriente si era ormai avviato, per molti versi, lungo un cammino che lo avrebbe visto trasformarsi fino a rendersi irriconoscibile.
‘800-1100
Che l’Islam esista, come abbiamo visto, è un fatto dovuto agli avvenimenti accaduti nel periodo 600-800 d.c.:
che esso abbia l’aspetto che ha oggi si deve invece in buona parte agli avvenimenti del periodo 800-1100.
Come i cammelli costituirono un elemento importante del primo periodo, le carovane furono rappresentative del secondo periodo.
Una carovana è composta da numerosi cammelli guidati da un gruppo di viaggiatori.
Questo rifletteva una delle maggiori differenze tra gli Umayyadi e gli Abbasidi:
mentre gli Umayyadi crearono un “Impero arabo” decisamente esclusivo, gli Abbasidi furono cosmopoliti e inclusivi, conferendo potere anche ai non arabi (soprattutto a coloro che erano di cultura persiana: caravan è peraltro un termine persiano) assorbendoli all’interno dell’Islam.
Le carovane costituirono un elemento centrale di questo periodo anche perché esse percorrevano le strade che collegavano tra loro le province Abbasidi, le quali erano estese irregolarmente nel territorio, trasportando pellegrini, mercanti, messaggeri, studiosi e soldati attraverso una rete stradale che incoraggiava un livello nuovo di multiculturalismo e di interconnessione.
Alla base di questo successo c’erano basi incredibilmente simili a quelle che vengono attribuite alla nascita dell’Occidente moderno.
Anziché una “rivoluzione della stampa”, però, l’Islam sperimentò una “rivoluzione della carta”, grazie alla quale sistemi di scrittura più costosi ed elitari (come i papiri e le pergamene) vennero sostituiti per l’appunto dalla più economica carta.
Si ritiene quindi che il livello di alfabetizzazione fosse cresciuto radicalmente, creando un nuovo pubblico di lettori capace di avvicinarsi (e di produrre) nuovi generi letterari.
Tutto, dalla poesia pre-islamica alle opere di filosofia, medicina, teologia, scienza ecc. venne registrato in forma scritta: ne derivò una commisurata rigogliosità della cultura e delle civiltà islamiche, che avrebbe poi dato origine in seno al mondo islamico a una variegata élite civile.
Anche i villaggi e il commercio prosperarono in questo periodo, nutrendosi di una grande fioritura culturale e alimentandola a loro volta.
Questo non solo significò che, sulla base delle nuove conoscenze delle terre lontane, si potessero pubblicare diari di viaggio, mappe, testi geografici ecc. ma anche che i mercanti del Vicino Oriente estesero le loro competenze e i loro orizzonti ben oltre i confini stessi dell’Impero Abbaside (si parla addirittura di viaggi in Francia e Cina).
Anche la diffusione dell’industria cartiera, partita dalla Cina fino al Vicino Oriente, è istruttiva di questo contesto: le nostre fonti ci raccontano che i musulmani sconfissero un’armata cinese nel 751 d.c., facendo prigionieri alcuni artigiani cartai, dai quali appresero le tecniche di fabbricazione della carta.
Ciò che è interessante è notare che anche circostanze molto ostili, come quella di una sanguinosa battaglia in Asia Centrale, non impedirono quasi per nulla lo scambio interculturale e la diffusione di merci, persone e idee.
Nel periodo Abbaside, infatti, i musulmani aprirono fronti in Spagna, Asia Centrale, India, Africa e Sud Europa: il racconto sui fabbricanti di carta cinesi ci ricorda che incontri simili venivano considerati dagli autori della storia come eventi capaci di offrire nuove occasioni all’interazione culturale quanto di soffocarla.
Questa “età dell’oro” della civiltà islamica fu resa possibile da un delicato bilanciamento di circostanze favorevoli, e in particolare da un costante flusso di introiti nelle casse del Tesoro califfale, supportato dal lavoro di contabili efficienti e dall’esistenza di una relativa stabilità all’interno dei territori Abbasidi.
Tale equilibrio venne però turbato a partire dal 900 d.c.: da allora, le condizioni per l’espansione globale degli Abbasidi non si sarebbero più ricreate.
La ricchezza portata dal commercio e dalle tassazioni iniziò a diminuire per svariati motivi.
La regione del Sawad, in Iraq, dove si concentrò buona parte della produzione agricola degli Abbasidi e che fino ad allora era stata prudentemente tenuta sotto controllo, venne gettata nel caos da una rivolta kharijita degli schiavi africani che erano lì impiegati.
Inoltre, i governatori delle regioni periferiche iniziarono a investire localmente gli introiti delle tassazioni anziché inviare il denaro alla capitale, conquistando un’indipendenza economica cui spesso seguiva un’indipendenza politica.
Fu poi questo il periodo in cui la massiccia conversione all’Islam da parte dei non arabi, pur aumentando la diffusione della religione, portò di contro anche alla riduzione delle entrate derivanti dalle tassazioni pro capite.
A peggiorare le cose, ciò che rimaneva nelle casse imperiali veniva rapidamente sperperato da una corte scialacquatrice che si espandeva ben al di là delle proprie possibilità e dei propri bisogni creando nuove élites dominanti, spesso molto più costose che funzionali.
Fu in questo periodo che gli Abbasidi iniziarono a perdere la loro autorità politica, militare e religiosa: ed ecco come ciò avvenne.
Da un punto di vista politico, gli Abbasidi stentavano a tenere uniti i loro vasti domini: con un Impero che si estendeva per circa 6.500 km da Est ad Ovest, e senza i vantaggi dei moderni sistemi di comunicazione, era ovvio che alcuni sudditi aspirassero a un certo grado di indipendenza.
Corrieri, piccioni viaggiatori, fari e altri mezzi di comunicazione poterono in qualche misura coprire l’enorme estensione dell’impero, ma la frammentazione politica era forse solo una questione di tempo.
Del resto, già durante il colpo di mano Abbaside un Principe Umayyade era fuggito in Andalusia, dove vi stabilì uno Stato indipendente che, sotto Al-Rahmann III (912-961 d.c.) e i suoi successori sarebbe poi diventato un “Califfato” nonché un centro di raffinata cultura.
Quando gli Abbasidi trasferirono il potere e l’attenzione a Oriente, le province Occidentali del Califfato si affrancarono l’una all’altra:
- Il Marocco sotto gli Idrisidi[8]
- Il resto del Nord Africa sotto gli Aghlabidi[9]
- L’Egitto sotto i Tulunidi[10]
- La Siria sotto i Califfi Fatimidi[11]
Anche le province orientali cercarono una certa indipendenza, con i Tahiridi, i Samanidi e i Ghaznavidi[12], i quali avevano base in Afghanistan.
Mentre, con qualche eccezione, queste dinastie orientali tesero a cooperare con gli Abbasidi e a riconoscerli formalmente, le dinastie occidentali (gli Umayyadi dell’Andalusia, gli Idrisidi e i Fatimidi) invece non lo fecero.
In pratica, anche se per ragioni meramente geografiche, gli Abbasidi ebbero spesso un’interazione maggiore con i territori sleali dell’Egitto e della Siria, e con quelli almeno nominalmente leali dell’Iran Orientale e dell’Asia Centrale.
Da un punto di vista militare, nell’800 d.c. gli Abbasidi rimpiazzarono l’esercito che li aveva portati al potere con degli schiavi-soldato turchi (ghulam o mamluk), comprati o fatti prigionieri in Asia Centrale.
I turchi erano attraenti per diverse ragioni:
- Essendo stranieri, non erano interessati alle alleanze locali e alle pressioni del popolo: la loro fedeltà era dovuta direttamente ai Califfi
- Erano eccellenti arcieri a cavallo
- La loro condizione di schiavi turchi (per quanto convertiti all’Islam) significava che non avrebbero mai potuto avanzare pretese alla carica califfale
In teoria, gli schiavi-soldato erano un’idea grandiosa, ma presto essi sfuggirono di mano ai Califfi.
All’inizio venne fondata una nuova capitale a Smarra, nell’838 d.c., per ospitarli e tenerli lontani dalla popolazione di Baghdad, con la quale erano entrati in conflitto.
In seguito, essi riuscirono a sottrarre il potere effettivo ai musulmani nati liberi in tutto il mondo islamico, agendo da autorità politicamente influenti dalla seconda metà dell’800 d.c. in poi, quando assassinarono il Califfo Al Mutawakkil e i suoi tre successori.
Infine, i turchi prosciugarono il Tesoro dei suoi fondi, minando ulteriormente il potere del Califfo e causando una incontenibile emorragia delle sue risorse e della sua autorità.
Da un punto di vista religioso, gli Abbasidi furono vittime di una loro stessa iniziativa: a indebolirli fu, in particolare, l’insistenza sulla centralità di Muhammad nell’Islam.
Gli Abbasidi avevano giustificato il loro rovesciamento degli Umayyadi sottolineando la distanza di questi ultimi dal Profeta, ed esaltando allo stesso tempo il proprio (debole) legame con lui: ma avere come antenato uno degli zii di Muhammad non è esattamente la stessa cosa che essere un discendente diretto del Profeta, come facevano notare, insoddisfatti, gli Sciiti.
In ogni caso, gli Abbasidi erano coloro che erano riusciti a prendere il comando, e questo aveva un qualche valore di per sé.
Il problema nel far derivare legittimità e prestigio direttamente da Muhammad consisteva nel fatto che, così facendo, i Califfi Abbasidi stavano innalzando il Profeta a una condizione più elevata di quella di cui aveva goduto in precedenza, lasciando poco spazio per le stesse rivendicazioni degli Abbasidi sull’autorità religiosa.
Muhammad diede agli Abbasidi il diritto di governare, ma diede anche agli Ulama il diritto di definire l’ortodossia, dal momento che si credeva che costoro, ben più dei Califfi, avessero conservato una testimonianza accurata del “comportamento esemplare del Profeta” (la Sunna).
I Califfi finirono così per accettare lo status degli Ulama, ma non senza lottare: Al Mamun (813-833 d.c.) tentò di affermare la propria autorità religiosa, sottoponendo gli Ulama a una “inquisizione” (Mihna), durante la quale la posizione del Califfo su una certa questione di teologia veniva imposta a tutti gli studiosi per mezzo di periodiche indagini sull’opinione dei singoli Ulama.
La Mihna rimase parte della politica califfale finché Al Mutawakkil non vi rinunciò nell’848 d.c., quando era ormai chiaro che i Califfi avevano perduto sia la battaglia che la guerra: sorprendentemente, di lì a poco persino essi iniziarono a sostenere gli Ulama.
Alla metà del ‘900 d.c., i Califfi Abbasidi avevano ormai solo un vestigio di potere in Iraq, ma anche lì vennero umiliati dall’arrivo a Baghdad degli Sciiti Buyidi, invasori provenienti dall’Iran settentrionale, i quali rivitalizzarono alcune tradizioni Sasanidi ma mantennero gli Abbasidi sul trono califfale.
Da questo momento in poi, con poche eccezioni, i Califfi Abbasidi furono al massimo solo dei capi spirituali per il mondo islamico.
Gli Sciiti Buyidi governarono l’Iran e l’Iraq Occidentale dal 945 d.c. al 1055 e vennero poi soppiantati dai Sunniti Selgiuchidi (1037-1157): si trattava della prima delle numerose ondate di turchi che entrarono volontariamente nel mondo islamico.
Nonostante tutto ciò suoni come piuttosto negativo (e per gli Abbasidi lo fu sicuramente), alla fine di questo periodo l’Islam, inteso sia come religione sia come civiltà, era a dire il vero in ottima forma.
Con la frammentazione politica del Califfato e l’esistenza di altri due Califfati a Cordova e al Cairo, i simboli del potere Abbaside e della civiltà islamica in generale vennero esportati nelle varie corti che nel frattempo erano sorte in tutto il mondo islamico, causando importanti ramificazioni culturali e religiose.
L’esistenza di centri di cultura a livello regionale (molti dei quali modellati sulla corte Abbaside) fece sì che nuove energie politiche potessero concentrarsi in regioni che nei secoli precedenti erano state troppo distanti per attirare l’attenzione dei Califfi.
La diffusione dell’Islam oltre i suoi confini tradizionali, nella Grande Zona Arida, fu resa possibile proprio dall’azione dei sovrani regionali:
- i Fatimidi e i Berberi[13], che dal Nord Africa erano avanzati nell’Africa Subsahariana;
- i Ghaznavidi, entrati in India grazie alle incursioni lanciate dal Sultano Mahmud.
Così, in Africa, India e nel Sud-Est asiatico si aprì la strada per una conversione delle popolazioni su larga scala.
Fu di cruciale importanza anche il periodo in cui i Sunniti e gli Sciiti si modellarono a vicenda nelle forme riconoscibili in cui essi esistono ancora oggi.
La rivalità tra gli Sciiti Buyidi e Fatimidi da una parte, e i Sunniti Selgiuchidi e Ghznavidi dall’altra, diede a questo fenomeno un taglio molto ideologico.
Entrambe le parti sostennero gli Ulama, costruirono biblioteche e scuole di legge e inviarono insegnanti e missionari in tutte le terre islamiche (e oltre).
Al suo apice, il Califfato Fatimida dominava su Hijaz, Siria, Yemen, Egitto, Nord Africa, Sicilia e una parte dell’Africa Orientale.
Lo sciismo divulgato dai Fatimidi era però diverso da quello dei Buyidi.
Tutti gli Sciiti individuano la guida della Umma in una “linea” (Imamato) che parte da Alì e prosegue attraverso i suoi figli e i suoi discendenti.
Dopo la morte del sesto Imam, Jafar, nel 765 d.c., il Movimento Sciita si era diviso in due gruppi:
- Alcuni seguirono suo figlio Ismail (da cui il termine Ismaeliti)
- Altri seguirono un altro suo figlio, Musa: questo gruppo continuò a seguire la linea degli Imam, fino a quando nel 874 d.c. il 12’ Imam (da cui il termine Duodecimani) morì.
Sotto l’egida dei Fatimidi, lo Sciismo Ismaelita (e, sotto quella dei Buyidi, lo Sciismo Duodecimano) venne compiutamente sistematizzato, e così i Fatimidi poterono sfidare i loro rivali Sunniti su qualunque fronte in Oriente.
La risposta Sunnita alla sfida degli Sciiti fu imponente: nel periodo 800-1100 vennero assemblate le sei più prestigiose collezioni di Hadith (tradizioni su Muhammad).
Gli orientamenti filosofici, teologici e mistici interni all’Islam vennero allineati al Sunnismo ortodosso: emersero così le quattro scuole del pensiero giuridico islamico (Madhhhab).
Si ritiene che nel 900 d.c. il Sunnismo si fosse ormai definitivamente cristallizzato: gli studiosi affermano che da quel momento in poi la porta dell’”interpretazione del diritto islamico” (Ijitihad) sia stata serrata.
Nel 1094, con la morte dell’ultimo Califfo Fatimida, il Movimento Fatimida si scisse in due gruppi, uno dei quali sarebbe divenuto noto in Europa come quello degli Assassini.
Gli Assassini sconfissero i loro nemici non sbaragliando eserciti, ma eliminando direttamente i leader avversari (il nome del movimento deriva dal sospetto che essi facessero uso di hashish per tenere sotto controllo i nervi dei propri agenti prima che questi si gettassero incontro a una morte quasi certa).
Una delle prime vittime degli Assassini fu il Visir Selgiuchide Nizam Al Mulik, il quale costituiva il perno intorno al quale girava il potere dei Selgiuchidi: dalla sua uccisione, i Fatimidi e i Selgiuchidi dell’Iran e dell’Iraq avrebbero iniziato un inesorabile declino.
A questo punto, tuttavia, il Sunnismo e lo Sciismo erano ormai avviati sulle loro rispettive strade, e dipendevano molto meno dal patrocinio statale rispetto a prima.
Inoltre, in questo periodo i musulmani avevano ormai superato come numero i non musulmani nei territori islamici: si può dire che l’Islam avesse così raggiunto la sua “maggiore età”, in tutti i sensi.
1100-1500
Spesso ci si riferisce ai primi due periodi della storia dell’Islam definendoli rispettivamente “periodo formativo” e “periodo classico”, e per la maggior parte dei musulmani questi sono i secoli più importanti.
Tuttavia, molti degli attuali musulmani sarebbero certamente ancora nel novero degli infedeli se non fosse stato per gli avvenimenti intercorsi nel periodo che va dal 1100 al 1500.
Per quanto i moderni islamisti (per i quali l’Islam è un sistema politico quanto lo è religioso) puntino i loro riflettori sull’epoca del Profeta e dei Califfi Rashidun, è in risposta agli eventi di questo periodo che sono nati i movimenti Islamisti.
Da una prospettiva europea, senza questo periodo la Turchia non avrebbe alcun titolo per essere inclusa nella UE (né avrebbe alcuna possibilità di chiamarsi proprio “Turchia”) e la Russia non avrebbe mai avuto problemi con i musulmani nel sud del proprio territorio.
Ecco cosa accadde.
Dopo aver dominato i propri vicini per secoli e aver dettato il corso della loro stessa storia, a partire dal ‘900 d.c. in poi i musulmani si trovarono spesso a dover rispondere alle azioni di altri popoli che vivevano oltre i confini del potere politico islamico.
Questi stranieri erano giunti nel mondo islamico sotto tre forme:
- Come turchi musulmani
- Come invasori non musulmani (cristiani a occidente, mongoli a oriente)
- Come invasori musulmani (i Timur)
Nella seconda metà del ‘900 d.c. ondate di tribù turche continuarono a migrare verso Ovest, seguendo i pascoli da cui dipendevano attraverso l’Iran settentrionale fino all’Anatolia: da lì, esse condussero incursioni nei territori bizantini, provocando una reazione militare.
I turchi sbaragliarono le forze bizantine a Manzikert nel 1071, e nell’arco di due decenni si impossessarono di gran parte della Siria, della Palestina e dell’Anatolia.
Nel 1200 l’Anatolia aveva ormai una considerevole fetta di popolazione musulmana, e l’arrivo di ulteriori ondate di turchi contribuì alla de-ellenizzazione della regione.
Il potere turco in Anatolia era decentralizzato, controllato da dinastie in competizione tra loro, associate solo in modo blando ai Grandi Selgiuchidi dell’Iran.
Le continue incursioni turche nel territorio bizantino spinsero l’Imperatore bizantino a chiedere il soccorso dei cristiani occidentali, il che ci porta alla seconda forma di intervento straniero all’interno delle terre islamiche: le Crociate.
Le Crociate non furono solamente una risposta dei cristiani alla richiesta di aiuto dei bizantini per fronteggiare i turchi: dal momento che coprirono tre continenti e cinque secoli, esse comportarono molto di più, e per molti più popoli.
Persino la Prima Crociata, indetta nel 1095, ebbe meno a che fare con gli scontri fra turchi e bizantini che con il più vasto contesto delle offensive cristiane contro l’Islam, e naturalmente con la riconquista cristiana di Gerusalemme e della Terra Santa.
Gli storici musulmani dell’epoca, nella misura in cui furono interessati alle Crociate (e molti di loro non lo furono affatto) le interpretarono nel contesto delle acquisizioni cristiane a danno dei musulmani nella Penisola Iberica, in Italia e altrove.
La Sicilia, che era stata governata come uno Stato islamico sin dalla metà del ‘900 d.c., venne riconquistata nel 1091 dai Normanni provenienti dall’Italia (anche se gli ultimi musulmani sarebbero stati espulsi solamente nel 1200).
L’Andalusia venne riconquistata in modo più graduale: dal momento che i cristiani locali, nel nord e nell’ovest della regione, avevano resistito strenuamente al dominio islamico sin dall’inizio, la Reconquista si svolse nell’arco di ben 800 anni, venendo completata solo quando Granada cadde nelle mani di Re Ferdinando II D’Aragona e Isabella di Castiglia nel 1492.
La Reconquista fu un processo lungo e difficile, che aveva ripreso slancio solo nel 1000 approfittando della disorganizzazione politica dei musulmani.
Nel 1031 con la fine del Califfato Umayyade, le terre che appartenevano in mano loro vennero frammentate in piccole città-stato regionali che combatterono costantemente tra di loro.
I sovrani musulmani, incapaci di resistere all’avanzata delle forze armate cristiane, chiamarono in loro soccorso gli Almoravidi, che governavano nel Nord Africa.
Gli Almoravidi erano dei berberi “puritani”, il cui scopo era quello di diffondere la propria visione di una rigorosa ortodossia islamica contro ciò che essi consideravano delle forme superficiali e corrotte dell’Islam praticato a quel tempo.
Essi governarono l’Andalusia dal 1086 al 1146, quando vennero sostituiti da un’altra dinastia berbera, quella degli Almohadi.
Le intransigenti dottrine religiose degli Almohadi li avevano resi invisi sia ai musulmani locali sia, ovviamente, alle forze della Reconquista: sotto il loro potere, i cristiani e gli ebrei indigeni vennero spesso costretti a scegliere tra la conversione, l’emigrazione (verso le regioni cristiane di Spagna e Portogallo) o la morte.
Gli Almohadi, tuttavia, a loro volta si ritirarono nel Nord Africa nel 1250, una volta che gran parte dell’Andalusia era stata ormai perduta a vantaggio dei cristiani (i quali avevano preso Cordova nel 1236 e Siviglia nel 1248).
Pur avendo in qualche misura innescato le Crociate, ai turchi debolmente associati ai Selgiuchidi deve venire riconosciuto il merito di avere resistito e avere avuto la meglio, alla fine.
I Grandi Selgiuchidi erano soliti affidare le loro province ai principi della famiglia, i quali erano però troppo giovani per governare autonomamente, e venivano perciò affiancati da tutori (Ataberg) che esercitavano il potere effettivo.
Uno di questi Ataberg fu Zangi, il quale riuscì a infliggere la prima seria sconfitta ai Crociati quando sottrasse loro Edessa nel 1146.
Suo figlio, Nur Al-Din, unificò la Siria, mentre uno dei suoi mercenari curdi conquistò l’Egitto, sottraendolo ai Fatimidi, nel 1169.
In seguito, un altro curdo sunnita, noto come Saladino, unificò l’Egitto e la Siria, mettendo fine alla dinastia sciita dei Fatimidi nel 1171 e riconquistando Gerusalemme a beneficio dei musulmani, sconfiggendo i Crociati ad Hattin nel 1187 (e acquisendo così una grande fama in Europa).
I successori di Saladino, della dinastia degli Ayubbidi da lui fondata (1174-1250) furono perennemente in lotta fra di loro, per cui dovettero spesso concludere tregue strategiche con i Crociati, e si contornarono di schiavi-soldato chiamati Mamluk (“Mamelucchi”).
I Mamelucchi scalzarono però dal trono gli Ayubbidi e arrivarono a dominare una vasta area che comprendeva l’Egitto, la Siria, e buona parte di Iraq, Arabia e Nord Africa.
Il loro attaccamento al sistema degli schiavi-soldato, che richiedeva l’importazione regolare di partite fresche di turchi, diede origine a una società forte e militarmente solida, capace di opporsi alle pressioni esterne.
Entro il 1291, i Mamelucchi scacciarono i Crociati dalla Palestina, dopo aver già sconfitto i Mongoli nel 1260: si trattava di due vittorie che mettevano definitivamente fine a questa doppia minaccia per i musulmani del Vicino Oriente.
Altrove, tuttavia, i musulmani non riuscirono a sfuggire alle conquiste mongole.
Come Muhammad, anche Tehmujin (1206-1277) aveva conquistato il potere unificando sotto il proprio comando numerose tribù nomadi, e si era ritrovato sotto i riflettori a 40 anni, quando venne rinominato Chinggis Khan (“comandante supremo”).
Inoltre, anche qui come Muhammad, Chinggis Khan non visse tanto a lungo da vedere il suo Stato espandersi in un “Impero globale”: al tempo in cui morì, i Mongoli avevano sì conquistato una vasta parte dell’Asia Centrale, ma dovevano ancora incorporare quelle parti di Cina, Corea, Europa Orientale, Caucaso e mondo islamico che avrebbero costituito il loro Impero.
Considerevoli porzioni dell’Asia Centrale islamica vennero conquistate con disastrose conseguenze: i resoconti della devastazione mongola sono agghiaccianti, pur con le iperboli narrative del caso.
Particolarmente devastante per i musulmani fu la conquista mongola dell’Iran e dell’Iraq intorno alla metà del 1200:
il delicato sistema di irrigazione che teneva in vita l’agricoltura venne distrutto, così come biblioteche, moschee e intere popolazioni nelle città e nei villaggi principali.
Ma ciò che incombe maggiormente nella memoria dei musulmani è il Sacco di Baghdad del 1258, che mise fine al Califfato Abbaside dopo 500 anni di esistenza.
I sovrani mongoli dell’Iran e dell’Iraq, gli Ilkhani (1265-1335) finirono per convertirsi all’Islam e cercarono di accattivarsi il favore dei musulmani locali patrocinando le arti, impiegando amministratori persiani e diminuendo la pressione fiscale:
ma, per il ruolo che ebbero nel mettere fine al dominio (ormai solo artificiale) degli Abbasidi, i Mongoli furono considerati un popolo crudele.
I Mamelucchi, d’altra parte, ne uscirono come eroi.
La logica sottostante all’impiego degli schiavi turhi nell’epoca Abbaside consisteva nel fatto che la loro condizione, appunto, di schiavitù impediva loro di avanzare pretese alla carica califfale.
Nonostante i Sultani Mamelucchi non richiedessero, effettivamente, di diventare Califfi, le loro origini servili restavano un problema: motivo per cui essi si presentarono come campioni del Jihad contro gli infedeli, trasferendo uno zio dell’ultimo Califfo Abbaside in Egitto, dove la sua presenza avrebbe conferito legittimità al potere Mamelucco.
I Sultani Mamelucchi, inoltre, patrocinarono gli Ulama e supportarono la presenza di fondazioni religiose e progetti edili; gli storici al loro soldo scrissero libri di storia nei quali venivano ritratti positivamente.
Nemmeno i Mamelucchi, però, difensori dell’Islam contro i Mongoli e i Crociati, furono in grado di resistere alla Peste Nera del 1340, che anzi essi aiutarono, innavertitamente, a far dilagare e dalla quale non si sarebbero mai più ripresi.
Da un punto di vista politico, verso la fine di questo periodo i territori islamici si trovavano in preda al caos.
Non solo i Mamelucchi si avviavano al declino, ma dal Nord-Est era stata lanciata una devastante campagna militare lungo le vie delle precedenti conquiste mongole, condotta dal sovrano turco-mongolo Timur (1336-1405) detto il “Tamerlano”.
Sebbene anche Timur fosse musulmano, la sua cultura e la sua identità erano consapevolmente mongole, e il suo obiettivo era unicamente quello di riconquistare le terre precedentemente possedute da Chinggis Khan e dai suoi successori.
Timur riuscì a sbaragliare le armate islamiche ad Aleppo, Damasco, Dehli e altrove nei primissimi anni del 1400, ma non creò un impero duraturo: subito dopo la sua morte, nel 1405, le sue terre vennero spartite fra i suoi quattro figli, nessuno dei quali era però altrettanto ambizioso militarmente.
Si racconta che Timur ottenne dalle sue conquiste un bottino particolarmente ricco in India, ed è proprio in India (e nelle regioni limitrofe) che la religione islamica avrebbe compiuto imponenti progressi negli anni seguenti.
L’India era stata puntata come obiettivo per la diffusione dell’Islam sin dai tempi dei Ghaznavidi, ma fu solo nel 1100 che i musulmani la governarono autonomamente, sotto le dinastie turche e afghane che includevano il Sultanato di Dehli (1206-1526).
Come è spesso accaduto nel corso della storia dell’Islam, accadde anche qui che uno schiavo-soldato di una certa dinastia si separò dai suoi signori e diede origine a sua volta ad un’altra dinastia: in questo caso si tratto di Aybeg, il quale conquistò Dehli nel 1206 e fondò uno “Stato Mamelucco” in India.
Anche se Aybeg morì cinque anni dopo, nel 1211, gli succedette uno dei suoi ghulam, creando così una dinastia di schiavi-soldato che sarebbe durata fino al 1290.
Nei due secoli successivi si diffuse nella regione indiana una cultura specificamente indo-islamica, permettendo all’Islam di espandersi nelle terre che saranno poi la Malesia e l’Indonesia.
Il declino e la caduta del Califfato Abbaside (nonché delle sue istituzioni) ebbero luogo insieme alla creazione di strutture politiche e sociali alternative all’interno delle società islamiche, in modo particolare quelle delle organizzazioni Sufi.
Il Sufismo, in quanto approccio mistico a Dio, è in un certo senso antico quanto lo stesso Islam, benché fu solo nell’800 d.c. che emersero le sue dottrine formali.
Le Confraternite sufiste (Tariqa), nate nel 1200, con le loro logge (ribat), i loro maestri (shaykh), e le loro cerimonie di iniziazione, potrebbero riportare alla nostra mente le immagini della massoneria:
ma, al contrario della massoneria, il Sufismo ebbe davvero una forte influenza sociale, politica e religiosa, e fu in larga parte grazie all’iniziativa dei leader Sufi che ampie regioni del Sud-Est asiatico, dell’Asia meridionale e dell’Africa Subsahariana vennero iniziate all’Islam.
In un primo momento, l’Islam guadagnò convertiti fra i popoli del Vicino Oriente che erano strettamente imparentati con il monoteismo semitico:
del resto, la distanza tra l’aramaico e l’arabo è breve (come tra “Abraham” e “Ibrahim”).
La relazione dell’Ebraismo e del Cristianesimo con l’Islam era così stretta che emerse nell’Islam la dottrina secondo cui queste religioni stesse erano in origine Islam, ma che fossero state corrotte nel tempo, motivo per cui Dio aveva dovuto rammentare al genere umano la Vera Alleanza, inviandogli Muhammad e il Corano.
Una simile dottrina non avrebbe potuto essere estesa razionalmente fino a includere l’Induismo, il Buddhismo o le religioni pagane dell’Africa e del Sud-Est asiatico: eppure i maestri Sufi ci riuscirono.
In poche parole, i missionari Sufi convinsero i pagani e i politeisti che essi fossero già essenzialmente musulmani, ma che le loro divinità e i loro rituali avevano nomi differenti nella lingua dell’Islam.
Affinché un tale approccio funzionasse, tuttavia, poteva essere divulgata solo una versione piuttosto superficiale dell’Islam, in modo che quegli elementi delle religioni pre-islamiche che non avevano equivalenti nell’Islam avessero una loro collocazione nella nuova religione dei convertiti (esattamente come San Valentino, Halloween e l’Albero di Natale hanno trovato un proprio posto nelle culture cristiane).
Tutto ciò avvenne senza ostacoli fra i convertiti monoteisti: infatti, le riscritture di storie bibliche si insinuarono, spesso inosservate, nella tradizione islamica.
Invece, nel caso dei pagani e dei politeisti, l’esito fu quello di un sincretismo[14] religioso che risultava profondamente offensivo per i musulmani “ortodossi”.
Gran parte dei movimenti islamisti moderni hanno origine proprio nei tentativi di purificare le società islamiche dalle forme sincretistiche (o altrimenti contaminate) della fede e del culto.
Nel 1300-1400, i movimenti Sufi erano attivi e influenti presso i turchi dell’Anatolia, dell’Azerbaihan e di altre regioni.
I vari elementi del Sunnismo, dello Sciismo, del Sufismo eterodosso e di altre concezioni, che si erano intrecciati insieme in queste zone, vennero progressivamente districati nel 1500, in modo da dare origine agli Ottomani sunniti e ai Safavidi sciiti: l’eredità e i discendenti dei cui imperi avrebbero contribuito a creare il Vicino Oriente moderno.
Dal 1500 ad oggi
Quando finisce la storia dell’Islam?
Sebbene in alcune parti del mondo la sua fine non sia neanche lontanamente ravvisabile, esistono tre ragioni importanti per cui si può dire che la storia dell’Islam si sia conclusa nel periodo che va dal 1500 ad oggi.
Infatti, quegli avvenimenti della storia che costituiscono il bagaglio comune di tutti i musulmani appartengono ai tre periodi descritti fino ad ora.
Nel periodo dal 1500 ad oggi, la storia che interessa l’Islam e i musulmani non è tanto una “storia dell’Islam”, quanto piuttosto una “storia mondiale” all’interno della quale l’Islam e i musulmani giocano una loro parte.
Poiché questo ruolo è molto spesso secondario, considerare gli sviluppi di questo periodo come parte della “storia dell’Islam” significa attribuire ai musulmani una capacità di controllo sui cambiamenti in atto che è quantomeno fuorviante.
Così, quando i francesi occuparono l’Egitto nel 1798, furono gli inglesi a cacciarli;gli egiziani, invece, non poterono fare altro che osservare dai margini.
Inoltre, il periodo dal 1500 ad oggi ha assistito all’erosione di molti dei tratti salienti delle società islamiche pre-moderne e della storia dell’Islam, inclusi:
- la diffusa dipendenza dagli schiavi-soldato (e dalla cavalleria più in generale)
- la distinzione giuridica tra musulmani e altri abitanti all’interno dei territori islamici
- la centralità dell’Haji[15] per la coesione della Umma
- il controllo da parte degli Ulama sull’autorità religiosa
Per tutti questi motivi, un’alta percentuale di musulmani di oggi discende da quanti si convertirono in quest’ultimo periodo.
Uno storico ha osservato che “nel 1500, un visitatore arrivato da Marte avrebbe pensato che l’intero mondo degli uomini fosse sul punto di diventare musulmano”.
L’ospite marziano sarebbe stato portato a una conclusione simile alla vista dell’esistenza contemporanea dei grandi imperi e delle civiltà cui diedero origine gli Ottomani (1300-1922), i Safavidi (1501-1722) e i Mughal (1526-1858).
Ecco uno sguardo su come si presentava questo mondo.
L’Impero Ottomano fu il primo super-Stato islamico a nascere in questo periodo e l’ultimo a cadere, conservandosi in una forma o nell’altra dall’inizio del 1300 al 1900.
L’Impero nacque quando, circa nel 1300, un ambizioso comandante dei soldati di frontiera turchi stanziati nell’Anatolia Occidentale riuscì a ritagliarsi uno Stato islamico indipendente nella regione.
Questo Stato, che prese il nome dal suo fondatore Osman (“ottomano” nella pronuncia europea) si estese rapidamente a spese dell’Impero Bizantino, finché nel 1453 gli Ottomani conquistarono Costantinopoli (“Instanbul” nella pronuncia turca).
Nel corso dei secoli successivi, gli Ottomani avrebbero sottratto Gerusalemme, Mecca e Medina al Sultanato Mamelucco (conquistato a sua volta nel 1517) e avrebbero sottratto anche Baghdad ai Safavidi nel 1534.
Parallelamente, gli Ottomani si espandettero in Europa verso Ovest, aggiungendo Belgrado e l’Ungheria ai loro possedimenti, e mettendo sotto assedio Vienna nel 1529.
I Sultani Ottomani erano pronti a fare tesoro delle loro acquisizioni in modo da ottenere ricchezza, potere e prestigio: denaro, biblioteche, archivi e gli stessi Ulama vennero trasferiti a Istanbul dai territori appena conquistati di Egitto e Siria, e i Sultani affermarono di avere ereditato l’autorità politica (insieme alle terre) dei sovrani sconfitti, chiamando sé stessi “Cesare”, “Califfo” o persino “Califfo di Dio”.
Prevedibilmente, i Sultani Ottomani assunsero poteri religiosi, emanando editti di carattere religioso e integrando gli Ulama nelle gerarchie al potere.
Il Sultano Sulayman (1520-1566), per i successi militari che ottenne in questo periodo, fu noto agli europei come “Il Magnifico”, mentre per la sua opera di integrazione del diritto consuetudinario all’interno della Shari’a[16], fu conosciuto presso i musulmani come “Il Legislatore”.
Entro la metà del 1500, gli Ottomani avevano creato un impero solido, centralizzato e cosmopolita, che includeva alcune delle più importanti città dell’Islam (e del mondo), con punti d’appoggio in Africa, Asia ed Europa.
Tuttavia, il cosmopolitismo risultò avere aspetti sia positivi che negativi:
1 Da un lato, il commercio e la cultura delle città ottomane diedero impulso all’assimilazione di decine di migliaia di rifugiati ebrei in fuga dall’Inquisizione spagnola.
Avendo ereditato i disparati gruppi di turcomanni che abitavano l’Anatolia, gli Ottomanni dominarono su una importante fetta di popolazione sciita e sufista, così come su diversi gruppi di cristiani.
La composizione dell’Impero non era meno variegata dal punto di vista etnico.
2 Dall’altro lato, prima della fine del 1800 sarebbe diventato chiaro che ci fosse davvero poco da fare per tenere unito questo mosaico di popoli.
Inoltre, benché fosse cosa buona e giusta assumere titoli religiosi, controllare gli Ulama e inorgoglirsi per la propria autorità sulle città sante, la verità è che, persino al culmine della sua grandezza, appena la metà scarsa dei sudditi dell’Impero era costituita da musulmani, e meno della metà dei musulmani del mondo era ottomana.
Un’unificazione della Umma come quella raggiunta (anche se solo politicamente) dai primi Califfi avrebbe avuto un valore di gran lunga maggiore per un sovrano musulmano rispetto al controllo politico sull’Albania e sulla Croazia.
Per di più, gli eventi che avevano una reale importanza per l’Islam e per i musulmani si stavano verificando altrove, nelle terre dei Safavidi e dei Mughal.
Infatti, più o meno al tempo in cui Osman stava creando il suo Stato in Anatolia, un uomo nativo dell’Azerbaihan di nome Safi Al Din (1252-1334) fondò ad Ardabil una confraternita Sufi, i cui membri divennero noti come Safavidi.
Sul finire del 1400, questa confraternita si era trasformata in un movimento militante sufi-sciita che considerava il proprio leader come Dio in persona.
Nei primi del 1500, il capo dell’ordine Safavide, un giovane di nome Ismail, venne allo scoperto e diede inizio alla conquista dell’Iran;
nel 1501, Ismail era già diventato Shah della regione, con capitale a Tabriz.
Tuttavia, nel 1514 le forze Safavidi vennero sconfitte dagli Ottomani (grazie al loro grande uso di polvere da sparo) presso Chaldiran, con una conseguenza importante: lì venne fissato l’attuale confine fra Turchia e Iran.
Negli anni successivi, le forze armate ottomane sconfinarono spesso nelle loro province occidentali: pertanto, gli Shah Safavidi spostarono la capitale sempre più a Est, stabilendola infine a Isfahan sotto il regno di Abbas I (1587-1629).
Nel dirigersi verso Est, i Safavidi si allontanarono man mano dalla loro originaria base di potere turkmena, finendo per piantare radici nel cuore dell’Iran.
Il carattere religioso dello Stato fu epurato delle concezioni più radicali, che furono sostituite da uno Sciismo Duodecimano ortodosso (mentre le élites turche vennero rimpiazzate da élites persiane).
Questa forma di Sciismo venne imposta con la forza a una popolazione che era in gran parte Sunnita: studiosi sciiti vennero importati dal Bahrein, dalla Siria e dall’Iraq nella città di Isfahan, dove fiorì una cultura sia religiosa che secolare.
Inoltre, Abbas I spostò a Isfahan gli abitanti delle città di provincia, accrescendone così le potenzialità di centro culturale ed economico.
Fu dunque sotto i Safavidi che si delinearono chiaramente i confini moderni e l’identità religiosa e culturale dell’Iran, in netto contrasto con la tollerante eterogeneità dell’Impero Ottomano.
La letteratura persiana raggiunse nuove vette, e, dal momento che sia gli Ottomani che i Mughal avevano adottato il persiano come lingua di alta cultura, i Safavidi si trovarono davvero al centro della civiltà islamica.
Tuttavia, dopo la morte di Abbas II (1642-1666), ebbe inizio un periodo di declino dei Safavidi: disastri naturali (carestie, terremoti e il dilagare di malattie) contribuirono a determinare, insieme all’inefficienza dei governatori, un vuoto di potere che fu riempito dagli Ulama Sciiti (o Mullah), i quali rafforzarono la presa dello Sciismo sulla società.
Ma imporre una religione con la forza non è mai il modo giusto per ingraziarsi amici ed esercitare influenza sul popolo: così i membri Sunniti delle tribù dell’Afghanistan, esacerbati, attaccarono i Safavidi nel 1722, mettendo fine al loro regno.
L’unità politica e lo Sciismo sarebbero tornati in Iran solo con i Qajar (1794-1925), che avrebbero accompagnato l’Iran verso la modernità.
Da qualche altro luogo dell’Afghanistan, all’inizio del 1500, un principe noto come Babur lanciò una campagna vittoriosa in India.
Poiché Babur si era dichiarato discendente sia di Chinggis Khan sia di Timur, era chiaro che avrebbe tentato di conquistare qualcosa:
così fece nel 1526, quando Babur con le sue armate sconfisse il Sultano di Dehli e fondò una dinastia in India.
Fu sotto il comando di suo nipote, Akbar (1556-1605), che venne creato l’Impero dei Mughal: per i due secoli e mezzo successivi, Akbar e i suoi discendenti prosperarono, espandendo i loro territori.
Al tempo del regno di Aurangzeb (1658-1707), i Mughal dominavano su quasi tutto il sub-continente indiano, così come su parti dell’Iran e dell’Asia Centrale, con una popolazione complessiva di circa 100 milioni di persone.
Sebbene la maggioranza schiacciante di questi sudditi non fosse musulmana, essi furono pienamente integrati nella società a tutti i livelli, godendo di una tolleranza senza precedenti.
I loro sudditi vennero esentati dal pagamento della tassa pro capite;
i sovrani Mughal sposarono donne indù;
il calendario lunare islamico venne abbandonato da Akbar in favore di uno solare.
La cultura Mughal fuse tradizioni islamiche con tradizioni indiane, dando vita a nuove forme e stabilendo nuovi canoni nella pittura, nella poesia e nell’architettura.
Oggi si può osservare l’eredità delle loro conquiste nella magnificenza del Taj Mahal[17] e nell’uso comune della parola “mogul” per indicare chi detiene potere e ricchezza.
Tuttavia, non tutte le idee di Akbar sarebbero state adotatte volentieri dai suoi successori.
Nel 1581 Akbar aveva fondato quella che lui chiamava la Din-I-Ilahi, la “religione divina”: un culto che mirava a ordinare le molte verità contenute in tutte le religioni all’interno di un unico sistema.
Neppure i missionari Sufi, però, potevano permettersi di sostenere un progetto simile: l’esperimento di Akbar non sopravvisse alla sua morte e gli eccessi di tolleranza offerti ai sudditi non musulmani finirono per portare a eccessi di intolleranza (Aurangzeb proclamò infatti un jihad contro gli induisti).
Con sempre più terre da governare e sempre meno abitanti disposti a collaborare, i Mughal iniziarono un rapido declino perdendo il potere effettivo nel 1725, anche se il loro Stato sarebbe rimasto in vita fino al 1857.
Nel 1803, con la regione ora ripartita fra gli induisti autoctoni e i dominatori inglesi, un influente Ulama di Dehli dichiarò che l’India non era più un paese musulmano.
Ma cosa ci facevano in Asia gli inglesi e gli altri europei?
La risposta più immediata è: compravano cose.
A partire dal 1500, piccole nazioni dotate di grandi imbarcazioni (Olanda e Portogallo) e più tardi grandi nazioni come Inghilterra e Francia, tentarono di acquisire il controllo delle rotte commerciali per l’Estremo Oriente, in modo che le spezie e le altre merci potessero essere importate senza mediazioni (e di conseguenza a prezzi più economici).
Per secoli interi, gli stati e le società dell’Islam avevano beneficiato della loro posizione strategica, servendo da ponte tra l’Europa e l’Asia.
Nell’età pre-moderna, la centralità geografica del mondo islamico si era ben combinata con la sua cultura superiore, l’organizzazione politica e la potenza militare: tutti elementi che avevano consentito ai musulmani di dominare su gran parte dell’Eurafrasia in un tempo in cui gli europei avevano appena cominciato a “scendere dagli alberi”.
Ma, nel 1600 e 1700, il declino dei grandi imperi islamici coincise con l’ascesa delle potenze europee.
In seguito alla Rivoluzione Industriale, gli europei acquisirono infatti importanti vantaggi nella capacità produttiva e nel campo delle comunicazioni.
Le Guerre Napoleoniche (1793-1815) incanalarono gli sforzi industriali verso obiettivi militari;
la Rivoluzione Francese mobilitò ampi settori di popolazione, stimolando il patriottismo e il concetto di “servizio pubblico”;
l’Illuminismo fornì una legittimazione scientifica all’esistenza di una gerarchia delle civiltà (al vertice della quale si trovavano, ovviamente, gli europei).
Dal momento che i tre grandi imperi islamici erano per lo più focalizzati sul controllo della terraferma, essi non sarebbero stati in grado di competere con le flotte europee.
I Mughal e i Safavidi persero così il loro potere all’inizio del 1700, mentre gli Ottomani riuscirono a sopravvivere solo riorganizzando il proprio impero secondo linee-guida europee.
Il fallito assedio di Vienna[18] del 1683 prima, e le umilianti sconfitte subite durante la Guerra Russo-Ottomana del 1768[19], posero fine all’illusione dei Sultani di essere militarmente superiori rispetto alle potenze europee.
La decentralizzazione dell’Impero Ottomano, le lotte di fazione all’interno della corte e vari motivi di instabilità interna contribuirono a dare l’impressione che questo impero fosse “il malato d’Europa”.
Come reazione, a partire dal regno di Selim III (1789-1807), i Sultani cercarono di riaffermare il proprio ruolo per mezzo di provvedimenti di politica interna che condussero poi alla “riorganizzazione dell’Impero” (Tanzimat) tra il 1839 e il 1876:
- la legge secolare rimpiazzò la Shari’a
- i non musulmani vennero equiparati ai musulmani
- l’amministrazione ottomana venne modernizzata
Abdul Hamid II (1876-1909) introdusse inoltre un sistema ferroviario nell’Impero (le cui dimensioni si stavano ormai contraendo) e investì ampie somme di denaro in progetti di edilizia.
Significativamente, laddove i precedenti Sultani avevano promosso con orgoglio l’edificazione di moschee e altri edifici religiosi, i progetti di Hamid II furono quasi unicamente di natura secolare.
Tuttavia, la modernizzazione su larga scala era costosa: ragion per cui gli stati islamici si ritrovarono presto debitori di somme elevate nei confronti delle nazioni europee.
Gli europei si ritrovarono invece ad avere il controllo politico dei territori islamici.
Niente di tutto questo, ad ogni modo, era inevitabile, e in alcune parti del mondo islamico le cose presero una direzione completamente diversa.
Nel 1500, i beduini del Sahara si erano spostati verso il Nord Africa per prendere il controllo dell’entroterra marocchino, dando origine a una dinastia di Sharif (“coloro che reclamano una discendenza diretta dal Profeta”), i quali governarono da Marrakech.
Da quel momento, le dinastie di Sharif regnarono sul Marocco.
Gli Sharif del Marocco respinsero inoltre le armate spagnole e portoghesi nel 1578 e si opposero alle insidie degli Ottomani, mettendo inglesi e spagnoli gli uni contro gli altri: tutto ciò permise loro di rimanere uno Stato islamico permanente.
La dinastia Saadi riuscì ad attraversare quella che un tempo era ritenuta un’area del Sahara militarmente impenetrabile, conquistando l’Africa Occidentale e prendendo come capitale Timbuktu nel 1591.
Gli stati sceriffali riuscirono a tenere lontani gli europei fino alla fine del 1800: ma persino loro, alla fine, dovettero soccombere al colonialismo.
Nel 1912 i francesi istituirono un Protettorato sul Marocco, dal quale i marocchini si resero indipendenti solo nel 1956 sotto il regno di Muhammad V.
Gran parte delle società islamiche avevano già sperimentato il dominio straniero nel corso del millennio precedente, quando i turchi, i mongoli, i berberi e (in alcune regioni) gli arabi avevano governato come dominatori esterni, spesso mostrando poca sensibilità verso le tradizioni dei locali.
Furono tre circostanze però a rendere il colonialismo europeo particolarmente impopolare.
1 Anzitutto, così come i Crociati, le potenze coloniali non erano musulmane, ma erano anzi spesso in aperta competizione con i musulmani nel diffondere la propria fede.
Diversamente dai Crociati, però, esse erano onnipresenti e avevano un forte impatto su quasi tutti i musulmani.
2 In secondo luogo, le società islamiche scoprirono in questo periodo nuovi stratagemmi per resistere al colonialismo, nonché l’esistenza di alternative ad esso, oltre al Jihad imbracciato da alcuni.
In certi casi, il panislamismo, il panarabismo e il panturchismo seguirono le strade dei movimenti di liberazione nazionale, suscitando così nei musulmani l’aspettativa di poter sconfiggere la dominazione straniera.
3 In terzo luogo, grazie alla diffusione dei sistemi di comunicazione moderni, la forza dei due punti precedenti poté essere diramata in lungo e in largo.
A partire dal 1800 emersero in diverse aree del mondo islamico vari movimenti tesi alla riaffermazione e alla purificazione dell’Islam, che si proponevano di combattere sia forze esterne (il colonialismo), sia forze interne (le pratiche dell’Islam apparentemente superficiali e la secolarizzazione delle società islamiche e dei loro governanti).
Sebbene spesso i singoli movimenti si identificassero con un determinato motivo di rimostranza, nel tempo molti di questi gruppi (e la maggior parte dei loro seguaci) giunsero a fondere insieme svariati gridi di battaglia o a convogliare specifiche lamentele nel sentimento generale che le cose non sono come dovrebbero essere: un problema la cui soluzione fu quella di cambiare secondo linee religiose intransigenti.
Per questi gruppi era particolarmente irritante il fatto che la classe dirigente islamica sembrasse contribuire al problema piuttosto che alla soluzione.
Questi pensatori e attivisti tesero a chiamare sé stessi Mujaddid (“rinnovatori”), ma noi propendiamo a chiamarli “Islamisti”.
Benché le sue radici vengano spesso fatte risalire a Muhammad Al Wahhab (1703-1792), anche l’Islamismo subì una trasformazione nel corso del 1900, in seguito alla fondazione da parte di Hasan Al Banna della Fratellanza Musulmana in Egitto nel 1928 e a quella della Società Islamica da parte di Ala Mawdudi in India nel 1941.
La Fratellanza Musulmana prendeva di mira i colonialisti stranieri e i fautori del secolarismo interno;
la Società Islamica si concentrò contro gli inglesi e i loro alleati indù.
Questi movimenti si internazionalizzarono rapidamente, influenzandosi a vicenda e generando a loro volta numerose ramificazioni.
Le idee di Mawdudi ispirarono l’influente islamista egiziano Sayyid Qutb (1906-1966) che a sua volta apparteneva alla Fratellanza Musulmana (alcuni membri della quale avrebbero poi fondato Hamas nel 1987).
Sebbene si individui spesso nel colonialismo la chiave di lettura per comprendere le società islamiche del 1800, un fattore di grande importanza fu anche la diffusione della stampa nei territori islamici.
La stampa portò alla diffusione dei giornali, con la fondazione di periodici governativi in Egitto (1824), Turchia e altre province ottomane (1831), Iran (1837) e altrove negli anni seguenti.
Di cruciale importanza si rivelò il fatto che i principali riformisti musulmani iniziarono a dirigere questi giornali e a divulgare così le proprie idee.
Ideologi come Muhammad Abduh (1849-1905) e Jamal Al-Afghani (1837-1897) pubblicarono un giornale religioso gratuito dove trovarono voce idee islamiste e anti-britanniche, e che conquistò lettori in tutto il mondo (con eccezione di Egitto e India, dove gli inglesi ne vietarono la diffusione).
Un discepolo di Abduh, Rashid Rida (1865-1935) fu il direttore per più di 40 anni della rivista islamica Al-Manar, per mezzo della quale venne data ampia risonanza alle idee del suo mentore, insieme alle proposte dello stesso Rida per la creazione di un Califfato pan-islamico.
Ciò che la stampa promuoveva, inoltre, per quanto inconsapevolmente, era la democratizzazione dell’autorità religiosa.
Nel passato, l’insegnamento dell’Islam era stato propagato solo tramite l’interazione personale con gli Ulama o i maestri Sufi: solamente quelle guide rispettate che, in virtù della loro conoscenza della religione e della loro reputazione, erano in grado di attrarre a sé un seguito di allievi, avrebbero potuto esercitare una vera influenza.
Con la diffusione dei mezzi di comunicazione, invece, chiunque avesse accesso alla tecnologia necessaria poteva influenzare milioni di persone.
Le credenziali religiose e la reputazione locale non erano più tanto importanti, ormai, quanto lo erano gli strumenti di comunicazione.
Questo cambiamento però compromise spesso il delicato equilibrio raggiunto tra le autorità politiche e gli Ulama:
un equilibrio che era stato conservato fino ad allora controllando questi ultimi o dando supporto ai membri più compiacenti all’interno della loro classe, a spese dei Sufi.
Il quadro, pertanto, si complicò con l’affermarsi degli Islamisti, i quali mal sopportavano sia la maggioranza dei Sufi sia i politici musulmani “occidentalizzati” (o quegli Ulama che venivano accusati di essersi “venduti ai politici”).
Con questo si vuole dimostrare che, naturalmente, sarebbe semplicistico vedere nell’Islamismo solo una reazione di rifiuto verso l’Occidente e i suoi stili di vita.
Gli Islamisti sono stati ben contenti di acquisire e utilizzare tanto gli strumenti quanto i metodi della civiltà occidentale moderna per promuovere le proprie cause.
L’Ayatollah Khomeini ha diffuso efficacemente il suo messaggio rivoluzionario servendosi di audiocassette, e Al-Qaeda ha fatto pieno uso della tecnologia delle comunicazioni, rilasciando messaggi agli organi di stampa, comunicando via internet per mezzo delle chat room e sfruttando, ai fini del reclutamento, l’attenzione dei media che si accende attorno alle sue operazioni.
I messaggi di martirio e le raccapriccianti decapitazioni che si trovano sui siti di video sono ulteriori esempi del desiderio di trarre beneficio da questo tipo di tecnologie.
In termini di metodi, le idee occidentali sono state fatte proprie persino da quanti inseguono la liberazione dall’influenza dell’Occidente:
sebbene si possa dire che il Panislamismo[20] affondi le sue radici nell’età pre-moderna, i movimenti di liberazione nazionale, dalla Cecenia alla Palestina, sono invece di importazione occidentale.
Analogamente, le teorie antisemite ampiamente impugnate da quei musulmani che mirano a ribaltare gli effetti del colonialismo e dell’imperialismo (fenomeni di cui, stando a queste teorie, sono responsabili gli ebrei) costituiscono anch’esse un prodotto imperialista e occidentale.
Le società islamiche non conobbero niente di simile prima che gli arabi importassero tali idee nei territori islamici, nel 1800.
Da parte sua, anche la schiacciante maggioranza dei musulmani che rigettano le ideologie islamiste stanno adottando in misura crescente le tecnologie moderne e le idee occidentali, con esiti interessanti.
Alcuni hanno provato (in modo convincente) il ruolo dell’Islam nella nascita delle scienze, della medicina e delle tecnologie moderne;
altri hanno tentato di dimostrare (in modo meno convincente) che idee tanto “occidentali” come la democrazia, i diritti umani e l’egualitarismo possano in ultima analisi essere rintracciati nell’Islam delle origini.
Benché tutto questo suggerisca che i musulmani stiano diventando sempre più “occidentalizzati”, ciò dimostra anche con quanta facilità l’occidentalizzazione possa essere adattata all’Islam.
Conclusioni
E così, a grandi linee, questo è ciò che è accaduto.
Come ci si può aspettare da un qualsiasi studio che abbracci 1400 anni di storia e tre continenti, abbiamo incontrato la nostra buona parte di sovrani, battaglie, dati e nomi con suoni simili.
Ho provato a controbilanciare questo aspetto dando un’idea del mondo in cui l’Islam nel suo insieme si è sviluppato in ciascun periodo.
Ci limiteremo ora ad un’unica conclusione relativa agli sviluppi religiosi e politici.
Una volta fondato un Impero in seguito alle conquiste islamiche, la diffusione dell’Islam come religione non è sempre andata di pari passo con quella come potere politico.
In molti casi, infatti, l’Islam ha ottenuto grandi successi proprio mentre i sovrani musulmani ottenevano risultati particolarmente miseri.
Così, l’Islam ha avuto più convertiti durante il periodo del dominio coloniale europeo che in qualsiasi altro periodo, e nell’epoca post-coloniale anche la distribuzione geografica dei musulmani è aumentata enormemente.
Senza gli inglesi in India e i francesi in Nord Africa, si sarebbero avuti meno pakistani in Gran Bretagna e meno algerini in Francia.
E anche se il movimento dei Deobandi[21] iniziò come una reazione al dominio britannico in India, oggi una ramificazione missionaria di quel movimento controlla quasi metà delle moschee del Regno Unito, rappresenta più dei tre quarti dei religiosi musulmani in quello stesso paese e pianifica la costruzione della più grande moschea d’Europa accanto al sito delle Olimpiadi di Londra 2012.
Una conseguenza interessante di questo fatto è che, presupponendo che questa tendenza continui, anche se i tentativi di istituire un “Califfato globale” andassero a buon fine essi non si accompagnerebbero necessariamente a una corrispondente diffusione dell’Islam.
Viceversa, se il trend demografico e statistico restasse costante, in breve tempo (anche in assenza di un Califfato) un terzo dell’umanità potrebbe benissimo diventare musulmana.
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Ka%CA%BFba#Storia
[2] L’apostasìa è l’abbandono formale e volontario della propria religione (in tale contesto si parlerà più propriamente di apostata della religione). All’apostasia può seguire sia l’adesione a un’altra religione (conversione) sia una scelta areligiosa (ateismo o agnosticismo).
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_bizantino
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Sasanidi
[5] Il Punjab è la regione più popolosa del Pakistan (più della metà del totale) e la seconda più vasta (205.340 km²), situata a est del Paese, al confine con l’India, dove si trova uno Stato omonimo.
La divisione del 1947 fra India e Pakistan portò qui ad uno dei più massicci scambi di popolazione in base a una logica religiosa.
[6] Copto: antica lingua egiziana.
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Cupola_della_Roccia
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Idrisidi
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Aghlabidi
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27Egitto_tulunide
[11] https://it.wikipedia.org/wiki/Fatimidi
[12] https://it.wikipedia.org/wiki/Ghaznavidi
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Berberi
[14] Sincretismo può essere considerata un’unione e fusione di elementi ideologici già inconciliabili, attuata in vista di esigenze pratiche di carattere culturale, filosofico o religioso, appartenenti a due o più culture o dottrine diverse.
Il termine è applicato soprattutto nella scienza e storia delle religioni, in cui indica quel complesso di fenomeni e concezioni costituite dall’incontro di forme religiose differenti.
[15]Haji è un titolo originariamente dato a una persona musulmana che ha completato con successo l’Ḥajj (pellegrinaggio alla Mecca Il termine è anche usato spesso per riferirsi a un anziano, in quanto può richiedere tempo per accumulare la ricchezza per finanziare il viaggio e in molte società musulmane come titolo onorifico per un uomo rispettato. Il titolo viene posto prima del nome di una persona; Per esempio Saif Gani diventa Hajji Saif Gani.
[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Shari%27a
[17] Il Taj Mahal situato ad Agra, nell’India settentrionale (stato di Uttar Pradesh), è un mausoleo fatto costruire nel 1632 dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie preferita Arjumand Banu Begum, meglio conosciuta come Mumtaz Mahal. Nonostante vi siano molti dubbi riguardo al nome dell’architetto che lo progettò, generalmente si tende a considerare Ustad Ahmad Lahauri il padre dell’opera.
È da sempre considerata una delle più notevoli bellezze dell’architettura musulmana in India ed è tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 9 dicembre 1983.
È stato inserito nel 2007 fra le nuove sette meraviglie del mondo
[18] http://www.viaggio-in-austria.it/turchi-in-austria2.html
[19] https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_russo-turca_(1768-1774)
[20] Il panislamismo è un pensiero politico e religioso che auspica l’unione politica di tutti i popoli islamici in un’unica istituzione statale, cioè la Dār al-Islām.
La forma di stato più proposta è il Califfato, ma si propone anche l’Organizzazione della cooperazione islamica (almeno nei territori non russi o cinesi).
Il movimento nasce come reazione all’espansionismo occidentale e rivendica di essere una difesa antimperialista e anticolonialista. Difeso dai sultani ottomani, il pensiero panislamista iniziò ad acquistare peso dopo la I Guerra Mondiale, influenzando il programma politico del primo movimento islamista della storia moderna dell’Islam, i Fratelli Musulmani.
[21] https://it.wikipedia.org/wiki/Deobandi