MARX al cinema. Il giovane Karl Marx – film (2017) – [Selezione di testi a cura di Massimo Cardellini].

Riteniamo sia piuttosto interessante riportare alcune recensioni o articoli che trattano sulla stampa italiana dell’uscita oggi 5 aprile 2018 del film sui giovani Marx ed Engels. Il lettore anche lievemente acculturato in generale e meglio ancora quello che posseggono dei rudimenti di storia e di filosofia e di critica ideologica non potranno che trarne giovamento e soprattutto diletto.
La lettura dei commenti sui cosiddetti social ne costituiscono un complemento di spasso ulteriore da cui, superato il primo inevitabile sbigottimento, non può che subentrare una forma di godimento per l’avversione alla figura di Marx e del suo pensiero, indice di una abissale ignoranza verso una tematica a dir poco fondamentale del pensiero e della storia mondiale.

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SCHEDA del film:

Il Giovane Karl Marx – Le jeune Karl Marx

FRANCIA, GERMANIA, BELGIO – 2017
CAST:
Regia: Raoul Peck
  • Attori: August Diehl – Karl Marx
    Stefan Konarske  – Friedrich Engels
    Vicky Krieps  – Jenny von Westphalen-Marx
    Hannah Steele  – Mary Burns
    Olivier Gourmet  – Pierre-Joseph Proudhon
    Alexander Scheer  – Wilhelm Weitling
    Michael Brandner  – Joseph Moll
    Niels Bruno Schmidt  – Karl Grün
  • Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Raoul Peck
  • Fotografia: Kolja Brandt
  • Musiche: Alexei Aigui
  • Montaggio: Frédérique Broos
  • Scenografia: Benoît Barouh
  • Costumi: Paule Mangenot
PRESENTATO AL 67. FESTIVAL DI BERLINO (2017) NELLA SEZIONE ‘BERLINALE SPECIAL GALA’.

Quando Marx baciò Engels

Luca Cangianti

da: Carmilla. Letteratura, immaginario e cultura d’opposizione

 7 novembre 2017

La spiaggia di Ostenda è costeggiata dalla Galleria Reale, un porticato di quattrocento metri che unisce l’ippodromo con il parco e la villa del re dei belgi. Poi ci sono i ristoranti, i caffè, i negozi turistici, i complessi condominiali dallo stile accettabile e quelli decisamente orribili. Lì, davanti al mare delle Fiandre, oltre 170 anni fa, un Karl Marx ancora ventenne, in equilibrio sui frangiflutti di pietra, discuteva ispirato con Friedrich Engels di una rivoluzione che sarebbe stata al tempo stesso esistenziale, filosofica e sociale. “Der junge Karl Marx” (Il giovane Karl Marx), il film del regista haitiano Raoul Peck abbonda di scene a forte impatto visivo e simbolico. In questo modo riesce a sintetizzare con notevole abilità concetti filosofici complessi e sentimenti di grande intensità.
La famosa XI Tesi su Feuerbach (“I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo”) è ad esempio enunciata dal filosofo tedesco dopo uno sbocco di vomito causato da una sbornia colossale; i manoscritti di critica ai giovani hegeliani sono riletti a lume di candela in un’atmosfera calda e sensuale da Karl, dall’amico Friedrich e dalla moglie Jenny von Westphalen. Di tenore erotico è lo stesso sviluppo del rapporto tra Marx ed Engels; prima caratterizzato da reciproca antipatia, poi da conflitto e corteggiamento intellettuale, infine da passione travolgente: una corsa a perdifiato tra vicoli e anfratti per sfuggire alle grinfie degli sbirri, i fili della vita e della filosofia che si riannodano in un pub fumoso, un abbraccio forte come l’amore che spazza via i tiranni e la tristezza, e perfino un bacio (sulla fronte, però). È qui che Peck raggiunge il suo massimo, perché alla base della rivoluzione c’è una forma d’amore, di desiderio di vivere e lottare insieme. La rivoluzione è la fuoriuscita degli individui dalla solitudine, è il loro divenire comunità cosciente di un destino. Il bacio tra Marx ed Engels è l’annuncio della primavera insurrezionale del 1848.“Der junge Karl Marx” è girato in tre lingue (tedesco, francese e inglese) e dallo scorso marzo è nei cinema tedeschi, francesi e belgi. Da ottobre è anche disponibile in dvd in edizione tedesca, ma ancora non è noto quando e se arriverà nelle sale italiane. In un primo momento può sembrare un biopic piuttosto mainstream, ma solo perché è una produzione di qualità, con un’ambientazione curata e attori che recitano bene. È sorprendente come in poco meno di due ore Peck riesca a disegnare con grande verosimiglianza la personalità di Marx: l’intransigenza teorica, la trasandatezza nell’abbigliamento, la predilezione suicida per i sigari puzzolenti, l’assoluto deficit pragmatico, le mani bucate come arrivavano un po’ di soldi, la passione per i crostacei, i sensi di colpa (e forse d’inferiorità) nei confronti della sua compagna, l’investire tutta la libido nei confronti di una palingenesi basata sullo smascheramento scientifico della falsa apparenza. Nasce così l’ossessione che perseguita il filosofo per tutta la vita: scrivere un libro che porti alla luce il mostro invisibile del capitalismo, ricostruendone il complesso metabolismo. Marx iniziò a lavorare al Capitale già negli anni ’40, scrivendolo e riscrivendolo in varie forme, pubblicandone ogni tanto una parte senza mai completarlo, perché in fondo il suo oggetto era infinito e mutante [1].
Ben caratterizzata è anche la figura di Engels, in conflitto con il padre industriale tessile, e dunque con la sua classe d’appartenenza. Risultato di questo attrito è una personalità simpaticamente contraddittoria e umanissima. Il giovane Friedrich è anticonformista, frequentatore di ambienti operai e irlandesi, ma anche profondamente borghese, amante del buon vino e degli agi vittoriani.
Gli altri personaggi storici che nella narrazione hanno un ruolo secondario non sono mai delle comparse anodine. Ognuno conserva infatti un tratto saliente: Proudhon sorride bonariamente, Weitling ha gli occhi da pazzo e fa discorsi incendiari, Ruge ha paura della propria ombra, Bakunin parla già d’anarchia e diffida del socialismo autoritario.
Tuttavia, a guardar bene, c’è ancora di più in questo film: allusioni subliminali al presente, microscopiche (e probabilmente volute) divergenze dalle fonti storiche che conferiscono alla narrazione un’autenticità che nessuna pignoleria sarebbe capace di restituire. Da questo punto di vista si possono citare: Jenny von Westphalen che dà del “tu” a Engels e alla sua compagna Mary Burns, Marx fluente in inglese già nel 1845, ma soprattutto il falso storico più colossale, eccitante e azzeccato: il filosofo di Treviri più bello e affascinante del suo amico biondo, grazie al fisico e all’interpretazione dell’attore tedesco August Diehl. Insomma, se il film è adatto a qualsiasi tipo di pubblico, i conoscitori della vita e del pensiero di Marx ne trarranno un piacere supplementare grazie alle brillanti soluzioni narrative utilizzate per mettere in evidenza dettagli storici e snodi teorici.
Il Karl Marx di Raoul Peck è l’esatto contrario del vecchio profeta barbuto, adorato e imbalsamato dal socialismo reale. È un ventenne pieno di passione, arroganza, fragilità caratteriale e fisica. Lo vediamo fare l’amore con Jenny, supplicare per un posto di lavoro, cambiare idea più volte, sentirsi in colpa verso la famiglia, frequentare centri sociali del tempo come il Red Lion di Londra, studiare voracemente, entusiasmarsi, deprimersi, ubriacarsi e combattere come un leone. Questo giovane Marx non è un cavaliere senza macchia e neanche un noioso topo di biblioteca, è un uomo profondamente ferito che si dedica a un’avventura disperata, nobile e ambiziosa. Nel film, che copre l’arco temporale che va dal 1842 al 1848, non si rivelano le cause della sua ferita e la battaglia finale contro l’antagonista è lasciata ai titoli di coda, quando le immagini delle rivoluzioni novecentesche, delle lotte anticoloniali, di Che Guevara e Nelson Mandela, sono accompagnate dalle note di Like a rolling stone: “When you ain’t got nothing, you got nothing to lose”, canta Bob Dylan. Similmente Marx scrive nelle parole conclusive del Manifesto del partito comunista: “I proletari non hanno da perdere che le loro catene. Hanno da guadagnarci tutto un mondo.”

[1]

  1. Cfr. Francis Wheen, Il Capitale. Una biografia, Newton Compton, 2007.

Il giovane Marx: un film

da: “Le Parole e le cose” Letteratura e realtà

Federica Gregoratto

Sono già passati circa dieci anni dall’inizio dell’ultima crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, soprattutto occidentale. Una delle trasformazioni sociali, politiche e culturali più evidenti che sta segnando la fase attuale (e terminale?) [1] della società capitalista è la presa di coscienza dei limiti, intrascendibili, e dei fallimenti, irreversibili, del progetto social-democratico e liberale. Le procedure democratiche e il sistema dei diritti non sembrano più soluzioni adeguate, o quantomeno sufficienti, per domare la volontà di potenza e violenza delle classi dominanti, mediare le relazioni con il “diverso”, godere delle libertà rese disponibili dal capitalismo tenendone sotto controllo, allo stesso tempo, le derive (auto)-distruttrici.

A destra, si cercano nuove ricette appellandosi a rozzi demagoghi o a nuove ladies di ferro. L’obiettivo principale è quello di rimuovere tutto ciò che appare sopraggiunto solo di recente: nuove forme di vita e religione arrivate con gli ultimi copiosi flussi migratori, nuove preoccupazioni, per esempio sul futuro del pianeta, cui la scienza ci mette ora di fronte, o nuovi generi sessuali, fluidi, aperti, negoziabili. A sinistra, invece, gli abbozzi di soluzione più interessanti – gli esperimenti di cooperazione di Occupy Wall Street o dei recenti movimenti di lotta contro le nuove destre neoliberali, da Washington a Budapest, da Istanbul a Londra, le forme di solidarietà mediterranea nei confronti di profughi e profughe, le prove con il reddito di base e con la riduzione della giornata lavorativa – non possono fare a meno che appigliarsi teoricamente a certi concetti base formulati molto tempo fa nel solco delle tradizioni socialiste e comuniste. Marx è un, o meglio il riferimento obbligato.

Le jeune Karl Marx (o, in tedesco, Der Junge Karl Marx), diretto dal regista haitiano Raoul Peck e mostrato per la prima volta all’ultima Berlinale, narra la formazione del pensiero marxista negli anni cruciali dal 1842 al 1848 in un modo che, sullo sfondo del contesto appena tratteggiato, acquista una particolare rilevanza. Due scritti sono associati a queste due date, uno sconosciuto ai più, l’altro conosciuto da tutti. Il primo, che il regista sceglie di trasporre nelle immagini dell’ouverture del film, è l’articolo “Debatten über das Holzdiebstahlsgesetz”, pubblicato nella Reinische Zeitung: in queste pagine, il giovane Marx critica la legge, emanata solo pochi anni prima dal governo prussiano, che condanna la raccolta di legna nelle foreste “private”. Ben cinque sesti delle accuse penali in Prussia interessavano “furti” di questo genere, commessi dai poveri contadini alla disperata ricerca di materiale per riscaldarsi. Il secondo testo, ovviamente, è il Manifesto del Partito comunista, redatto da Marx e Engels con l’intento di mettere nero su bianco le basi del neonato movimento.

Le jeune Karl Marx è un film filosofico e letterario, perché mette in primo piano la produzione teorica dei due padri fondatori del comunismo. Altri sono i testi non semplicemente citati, ma la cui stesura diventa parte integrante del plot: per esempio Le tesi su Feuerbach (scritto nel 1845), che Marx e Engels avrebbero buttato giù per sancire la loro nuova amicizia al termine di una notte di eccessi alcolici; o Miseria della filosofia (1947), cui Jenny Marx avrebbe dato un titolo molto più ironico e sibillino. Proprio la scelta dello scritto iniziale e di quello finale, tuttavia, mostrano che la strategia di Peck non è semplicemente storica, ma piuttosto sistematica. Il primo riferimento pone l’accento sulla tematica della cosiddetta accumulazione primitiva, formulata ancora acerbamente negli anni ’40, facendone una chiave di lettura per l’intero pensiero marxiano. Peck sembra qui raccogliere la tesi di quei critici marxisti, come Rosa Luxembourg, o più recentemente Silvia Federici o David Harvey, secondo i quali la violenta espropriazione da parte del capitale delle risorse condivise collettivamente, come i rami caduti dagli alberi, non stia semplicemente all’origine del capitalismo, ma ne rappresenti la condizione fondamentale e costante di riproduzione. Per quanto riguarda la divulgazione delle idee portanti del comunismo, affidata alle pagine del Manifesto più famoso della storia, è evidente che il regista vuole stabilire una continuità tra il momento storico delle sue origini europee e le lotte più recenti che possono dirsi, in qualche modo, ispirate da questa tradizione.

 La prova più evidente di una tale continuità la si trova nei titoli di coda, in cui le note di Bob Dylan accompagnano una carrellata gioiosa di scene che ritraggono alcuni degli eventi o personaggi simbolo dell’emancipazione socio-politica nel ventesimo secolo: Che Guevara, il Muro di Berlino, Nelson Mandela, #Occupy. Ma non è tutto. Nel corso del film, altri temi vengono toccati il cui potenziale riflessivo non ha perso affatto di attualità. Due in particolare mi pare importante rilevare: la natura agonistica del movimento, o del partito, e il ruolo della teoria in relazione alla prassi rivoluzionaria.

Il primo punto è probabilmente, se letto in chiave di attualità, il più problematico. Le scene centrali del film sono dedicate alla sofferta mossa politica di Marx e Engels di trasformare la Lega dei Giusti in una decisamente più combattiva, la Lega dei Comunisti. Nel suo discorso durante il congresso di Londra nel giugno 1847, Engels espone gli argomenti in favore della nuova Lega criticando soprattutto il punto di vista astrattamente morale e l’ideologia orientata alla conciliazione universale, all’amore e alla fratellanza che avevano caratterizzato il movimento fino a quel momento. Alla luce di quello che oggi sappiamo sui cosiddetti “socialismi reali”, queste critiche possono apparire problematiche se interpretate semplicemente come rifiuto della morale tout court e giustificazione della violenza. Ma Peck sembra qui piuttosto presentare i propositi di Engels e Marx come il tentativo di fondare la prassi trasformatrice non su astratti punti di vista morali, sull’ideale cristiano della fratellanza o dell’agape, o sulla volontà di raggiungere un’intesa con l’umanità intera. I principi troppo generali e gli ideali non sono infatti in grado di afferrare le condizioni materiali esistenti; le emozioni positive generalizzate, d’altra parte, non possono che tradire un’inefficace ingenuità di fronte alle brutture, nefandezze e sofferenze dell’ordine sociale dato. La conoscenza, innanzitutto empirica, della complessità in cui ci si trova ad agire, l’attenzione strategica per le conseguenze possibili delle azioni, la capacità di sopportare dissenso e incomprensione, la comprensione delle differenze costitutive di un “soggetto” rivoluzionario in trasformazione: queste le caratteristiche necessarie, secondo Peck, per una prassi socio-politica che potremmo anche chiamare, con Dewey, un “comunismo dell’intelligenza” [2].

   Ma quale il ruolo degli intellettuali – e degli scienziati e dei filosofi – in tutto questo? La posizione di Le jeune Karl Marx rispetto a questa annosa questione è chiara. Nessuna lotta socio-politica può rinunciare all’impegno teorico. Uno dei pregi della pellicola, tra l’altro, è l’accurata ricostruzione delle tre fonti principali del pensiero marxiano: l’idealismo tedesco, la teoria economica inglese e il socialismo francese. Il lavoro teorico non è semplicemente un’emanazione, un prodotto o una funzione secondaria della lotta: una certa autonomia della teoria è necessaria affinché essa possa svolgere il suo compito di fornire indicazioni e immagini più o meno dettagliate che orientino l’azione. Allo stesso tempo, la teoria non può arrogarsi nessuna funziona di guida, non può credere di essere superiore all’azione concreta. In una delle scene chiave e centrali del film, Marx e Engels si devono recare umilmente di fronte ad un comitato di lavoratori e cercare di convincerli che sanno di che cosa stanno parlando. Tutto quello che riescono a farsi concedere, giustamente, è di essere messi alla prova: la validità di un impianto teorico può emergere solo grazie al confronto diretto con la realtà – quella realtà che la teoria stessa vuole trasformare. Anche qui si avverte un’eco del pensiero (socialista) deweyano: se vogliamo una teoria al servizio della prassi trasformatrice, essa non può che porsi come fallibile e pertanto rivedibile. Ecco perché, ci dice Raoul Peck poco prima dei titoli di coda nella schermata riassuntiva delle tappe bi(bli)ografiche successive del suo protagonista, Marx non poteva terminare la sua opera magna: l’evoluzione delle condizioni materiali, sociali, politiche e culturali sollecita allo stesso tempo un’evoluzione della teoria, e a Il Capitale si devono aggiungere sempre nuovi capitoli.

  Nel suo ultimo libro, Axel Honneth si ripromette di rivitalizzare il progetto socialista riprendendone l’idea chiave, quella di “libertà sociale”, ma anche criticando gli errori commessi dai primi socialisti [3]. Tre sono i retaggi, secondo Honneth, da cui il pensiero socialista dovrebbe prendere congedo per riguadagnare attualità, e dunque riuscire a incanalare la rabbia diffusa contro le condizioni di vita presenti: primo, l’idea che il progresso storico verso l’emancipazione, e dunque il superamento del capitalismo, sia un progresso necessario; secondo, la convinzione che l’esistenza di una classe particolare, il proletariato, sia di sé legata a certi interessi socialisti e comunisti; [4] terzo, la fissazione sull’economico e il disinteresse nei confronti di altre due sfere fondamentali per la condizione umana moderna, ovvero quella politica e quella delle relazioni intime, famigliari, di amore e amicizia. Il film di Peck sembra voler contraddire su tutti i punti l’analisi di Honneth.

  Fino ad ora ho cercato in effetti di mostrare come Le jeune Karl Marx rigetti con decisione una visione anacronistica di materialismo storico, facendo della dimensione politica un nodo cruciale della lotta sociale. Come notato in precedenza, il nodo centrale del film, ma anche della formazione di Marx (e Engels), è data dalla sconfitta della corrente moralista all’interno della Lega dei Giusti e la costituzione della Lega Comunista. Uno dei pregi maggiori del film, non emerso fino ad ora, risiede inoltre nell’ampio spazio dedicato alle relazioni intime tra i protagonisti, costitutive per l’attività teorica e politica: il sostegno di Jenny Marx, che va ben oltre il semplice ruolo di moglie devota, [5] la passione di Engels per Mary Burns, che lo spinge a studiare più da vicino le condizioni di lavoro e vita dei lavoratori inglesi, l’affetto, ammirazione e dipendenza reciproca, non scevra di conflitti, tra Marx e Engels, ma anche i complicati sentimenti di Marx per Proudhon, nel film descritto quale mentore che seduce e allo stesso tempo respinge, incoraggia e allo stesso tempo delude. In L’idea di socialismo, e in altre opere, Honneth pensa alla sfera delle relazioni intime come al luogo in cui la libertà sociale – quella forma di libertà di cui gli altri e le altre non sono un limite ma una condizione – si manifesta in modo più immediato e concreto, fornendo in un certo senso un modello da applicare anche altrove. In Le jeune Karl Marx, questa idea è presa sul serio. La vita privata e affettiva di Marx ed Engels non è mostrata come un semplice complemento al, o peggio, come ad un rifugio dalla pubblicità del conflitto intellettuale e politico, ma, al contrario, come al laboratorio in cui idee e strategie vedono la luce, si raffinano e in un certo senso vengono messe alla prova. Il privato non è ridotto immediatamente al politico, ma i due sono intrecciati: non solo le condizioni sociali ed economiche e l’impegno politico influenzano e limitano la sfera affettiva; allo stesso tempo, quest’ultima nutre, mantiene vive, incanala le energie e le forze, sia intellettuali che emotive, che si dispiegano nella lotta. L’accento sul ruolo costitutivo delle relazioni intime non significa però, daccapo, riabilitare un’ideale di amore/amicizia improntato all’armonia, o vincolato a certe istituzioni. In una delle ultime scene, la lavoratrice Mary spiega a Jenny von Westphalen che la libertà, anche quella individuale, è per lei la condizione per continuare a lottare. Per questo non può che rifiutare gli agi, anche economici, che una relazione ufficializzata e socialmente riconosciuta con Engels potrebbe concederle. Così facendo, non solo non si lascia ingabbiare dal ruolo di madre, ma neppure dal modello romantico tradizionale [6]. Così come Marx aveva dichiarato, in faccia al borghese che giustificava il lavoro minorile, “quello che voi chiamate profitto, io lo chiamo sfruttamento”, Mary potrebbe ora dire, prendendo a prestito le parole di Silvia Federici: “loro lo chiamano amore, noi lo chiamiamo lavoro non pagato.”[7]

Note

[1] Secondo Wolfgang Streeck si tratta per l’appunto di una fase terminale: cfr. il suo “How Will Capitalism End?”, New Left Review 87, May-June 2014, pp. 35-64.

[2] Cfr. J. Dewey, Filosofia sociale e politica. Lezioni in Cina (1919-1920), a cura di F. Gregoratto, trad. di C. Piroddi, Rosenberg & Sellier, Torino 2017.

[3] A. Honneth, L’idea di socialismo, trad. di M. Solinas, Feltrinelli, Milano 2016.

[4] La premessa di un legame intimo e necessario tra classe proletaria – che designa quel gruppo di persone che dipendono dal loro lavoro per vivere, e che dunque sono estremamente vulnerabili al potere di coloro che controllano le condizioni di lavoro – e interesse al superamento del sistema capitalistico viene messa efficacemente in discussione anche nel libro di Didier Eribon Ritorno a Reims, in uscita per Bompiani nel 2017.

[5] Il coinvolgimento in prima persona delle donne nella prassi politica in quegli anni era già qualcosa di rivoluzionario, anche tra i socialisti. Sul ruolo di Jenny Marx si veda il bel libro di Mary Gabriel, Love and Capital. Karl and Jenny Marx and the Birth of a Revolution, Back Bay Books, New York/London 2011.

[6] Nel film la posizione di Mary circa questa questione non è posta come necessariamente superiore ad altre alternative. Se la sua scelta di non diventare madre e l’accenno al modello poliamoroso sono esplicitamente presentati come forme di libertà, altrettanto libero è lo stile di vita di Jenny von Westphalen, il cui matrimonio con Marx le ha permesso di rompere con le convenzioni dell’aristocrazia tedesca.

[7] S. Federici, Il punto zero della rivoluzione, a cura di A. Curcio, Ombre Corte, 2014.

«Il giovane Karl Marx», l’uomo, l’azione politica e il lavoro teorico

Eugenio Renzi

“Il Manifesto”, 03.04.2018

Esce giovedì il film di Raoul Peck dedicato al filosofo tedesco, ambientato negli anni dell’incontro con EngelsEsce infine in Italia, giovedì prossimo, il film di Raoul Peck su Karl Marx. Questo piccolo evento non può non intrigare il proletariato italiano. Ma che cosa ha da attendersi da un film uno spettatore di sinistra che ancora non conosce il pensiero del padre della filosofia della prassi? La difficoltà di ogni biografo del genio di Treviri è data dal fatto che la maniera di presentare i vari aspetti della sua esistenza è inevitabilmente anche un modo di interpretare il rapporto tra la vita privata, l’azione politica e il lavoro teorico.
Ora, in un film in costume, dove l’intreccio ha tendenza a dominare la scena, il rischio è di dare la priorità al romanzo, e quindi di cadere, colore a parte, in un’operetta borghese. Rischio accentuato dalla biografia del fondatore del socialismo scientifico che, in particolare in gioventù, non manca di avventure di ogni genere.
Quando il film comincia, il redattore della «Gazzetta renana» è già sposato con Jenny von Westphalen, l’aristocratica che ha scelto la ribellione alla sua classe, sposando il figlio di un ebreo convertito. La loro storia non evolverà d’un millimetro. Il film racconta invece le circostanze dell’incontro con Engels a Parigi.
I due sono già convinti ammiratori l’uno dell’altro. Devono solo confessarselo. Per il resto, Peck, e il suo sceneggiatore Pascal Bonitzer (ex dei «Cahiers» «époque Mao» e regista a sua volta) hanno cercato di evitare lo schema classico dei biopic: l’ascesa, la disgrazia, la redenzione.
Certo, il futuro fondatore dell’Internazionale passa attraverso vari naufragi economici e politici. È sempre sull’orlo della fame, alla ricerca di qualche soldo per il pane, braccato dalla polizia, costretto all’esilio. Ma la costanza della situazione di povertà e di precarietà è un altro modo per togliere al lato dickensiano il ruolo di trazione del film e dare più spazio agli aspetti teorici. Ma come si filma la teoria? Peck non ha voluto fare un film pedante. Ha cercato di concentrare lo specifico del pensiero di Marx in un concetto unico che irriga tutto: l’idea del conflitto.

IL GIOVANE KARL MARX. Intervista a Raoul Peck

 IL GIOVANE KARL MARX, LA RIVINCITA DI UN GRANDE SCONFITTO

A 30 anni dalla caduta del muro, complice l’aggressività del capitalismo globale, non sembra più un tabù professarsi apertamente marxisti. Dal 5 aprile al cinema.

Mymovies

Roy Menarini, mercoledì 4 aprile 2018

Magari non è uno spettro quello che si aggira per l’Europa e per il mondo negli ultimi anni, e forse è più che altro simile a un morto vivente. Eppure il marxismo, magari con un “neo-” davanti, è una delle correnti di pensiero politico e filosofico più in auge in questo periodo. Filosofi del calibro di Slavoj Zizek o Alain Badiou, che possiamo tranquillamente considerare superstar dell’editoria e del dibattito internazionale, si professano apertamente marxisti, e oggi – a ormai trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino – non è più tabù professarsi tali, anche a causa dell’aggressività del capitalismo globale e l’evidente arretramento delle democrazie occidentali.

Questo clima culturale, dunque, non deve essere stato estraneo alla decisione di mettere in cantiere Il giovane Karl Marx, curioso caso di film storico in costume di produzione indipendente (e internazionale), dove il budget limitato non impedisce la passione biografica.

E del resto non è un caso che a trovarsi dietro la macchina da presa sia Raoul Peck, regista militante haitiano che dopo anni di clandestinità cinematografica e militanza documentaristica dirige ora un affresco storico. Nato ad Haiti, cresciuto a Berlino, vissuto in Congo, poi cosmopolita, e ancora ministro della cultura del suo paese, poi spesso negli Stati Uniti, Peck ha una biografia movimentata e coraggiosa, e una filmografia altrettanto imprevedibile. Giusto lo scorso anno, con I Am Not Your Negro, ci aveva riportato la voce e la scrittura di un gigante (da noi poco noto) della narrativa come James Baldwin, intervenendo con forza nel dibattito sul razzismo e la diseguaglianza tra bianchi e neri nella nuova America degli anni Duemila.

Meno consueto vederlo alla regia di un dramma come questo, che però sembra andare all’origine dell’attivismo politico grazie a Karl Marx, verso il quale – e qui torniamo all’aporia di partenza: una figura sconfitta dalla storia che oggi riceve attenzioni sorprendenti – nutre una simpatia indiscutibile. Qui si cela anche la mossa più astuta di Peck e degli sceneggiatori: il racconto di giovinezza. Rappresentando Karl Marx come un rivoluzionario puro, e immergendolo nei furori giovanili, ne viene stemperata la carica più attuale (che sarebbe forse diventata indigesta a una larga fetta di pubblico) per immergerla nel contesto delle ingiustizie ottocentesche dove si trova a operare. È da questo scenario che poi gli spettatori decideranno se – come Peck suggerisce – le motivazioni profonde e le sperequazioni di classe da cui l’attività di Marx e Engels prese forza si ripresentano ancora oggi, o se invece limitare l’efficacia del racconto alla sua storicizzazione.

In ogni caso, anche ad accontentarsi della ricostruzione d’epoca, Il giovane Karl Marx fornisce indicazioni utili ai dibattiti e alle sofferte decisioni del periodo, per esempio intorno alla galassia socialista e alle indecisioni di Proudhon o al ruolo più borghese e dialogante di Engels.

E se è vero che talvolta sembra di trovarsi di fronte a “period drama” da piccolo schermo, è anche innegabile che il budget ristretto ha spinto Peck a concentrare tutto l’apparato emotivo e politico sui volti e sui dialoghi, lavorando in set claustrali e privilegiando gli interni. Anche le rivoluzioni nascono in una stanza.

Ecco la bella vita del giovane Karl Marx prima di scrivere il manuale comunista

Il film di Peck sugli anni «scatenati» del filosofo insieme con Engels

Cinzia Romani

“Libero” – Mar, 03/04/2018

Mentre la sinistra italiana subisce una Caporetto epocale e rischia di sparire, ecco Il giovane Karl Marx (dal 5, distribuisce Wanted), film drammatico dell’haitiano Raoul Peck, ex-ministro della cultura nella Haiti post-regime e autore noto per il documentario I’m not your Negro (2016), biopic antirazzista sull’intellettuale afroamericano James Baldwin: premio Bafta e Oscar 2017 come miglior documentario.

Alle vicende storicizzanti, che richiamano l’attualità, Peck è allenato. Stavolta, intanto che in Europa libertà, uguaglianza e diritti dei cittadini non sono più bandiere dei partiti comunisti, è di Karl Marx che egli tratta. Del Marx ventenne, in particolare, ritratto come un ragazzo pieno di vita, che fa l’amore a Parigi, beve birra a Londra e si scapiglia come si deve insieme all’amico Friedrich Engels, lui pure sexy quanto basta per parlare al cuore delle platee non bacucche.

«Voglio mostrare alle giovani generazioni la forza del pensiero rivoluzionario: oggi ci manca il modo di pensare di Karl Marx», spiega il regista, che ha ingaggiato August Diehl, uno degli attori tedeschi contemporanei più famosi al mondo, per incarnare il filosofo di Treviri. E se siamo abituati a pensare a Marx come lo raffigura l’unica foto che gira di lui, con la lunga barba bianca da vecchio, dovremo ricrederci. L’economista che nell’Ottocento ha profetizzato quanto si avvera nel mondo globalizzato («i poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi»), ha viaggiato come un hippy on the road, ha patito la fame, ha accettato ogni lavoro pur di sostentare la sua famiglia. E’ stato ragazzo nel periodo 1844-1848, quando, non ancora trentenne, doveva ancora affermarsi come punto di riferimento di sinistra dell’epoca.

Per quanto singolare sembri, finora nessuno aveva pensato a un film sugli anni prima che Marx scrivesse il Manifesto del Partito Comunista, pubblicato a Londra il 21 febbraio 1848, in tedesco e in forma di opuscolo. Una pubblicazione che, nei Settanta, campeggiava nelle biblioteche degli studenti «Revoluzzer» e degli studiosi impegnati, con la traduzione di Palmiro Togliatti (Edizioni Rinascita), poi caduta nel dimenticatoio, fino alla recente riproposizione nell’Economica Laterza.

Del giovane Marx, in Italia, soltanto Croce e Gentile, alla fine dell’Ottocento, avevano parlato via epistolario. E se Andy Warhol ha capito il lato pop di Marx, nato nel 1818 e morto a Londra il 14 marzo 1883, riproducendone serialmente l’icona barbuta, quale impatto avrà Il giovane Marx sui giovani ai quali è indirizzato? «Sarebbe bello poter guardare il mondo di oggi attraverso gli occhi di Marx», si è augurato il direttore della Berlinale Dieter Kosslick, quando, l’anno scorso tale cineromanzo di formazione di due ore, è passato al festival dividendo la critica. Troppo cerebrale per lo Hollywood Reporter, il film auspica una «Marx Renaissance», nel peggior momento delle sinistre europee. Non a caso finisce sulle note di Like a Rolling Stone, cantata da Bob Dylan.

[Selezione dei testi dalla rete a cura di Massimo Cardellini]

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