123. rappresentazioni e narrazioni: personalità in prestito, prendiamo in prestito anche i nostri desideri

Conosci te stesso.
Frontone del Tempio di Apollo a Delfi
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MA CHI CI CREDIAMO DI ESSERE? SUL BOVARISMO E DINTORNI
di Alfio Squillaci

Nel 1902 esce in Francia per i tipi del “Mercure de France” un singolare libro di un filosofo, Jules de Gaultier, intitolato “Il bovarismo”. Sulla scorta del celebre romanzo di Flaubert de Gaultier vi tenta uno studio sugli aspetti psichici delle personalità (è il momento giusto: due anni prima, allo scoccare del secolo, era uscito “L’interpretazione dei sogni” di Freud ) e rintraccia in questo testo una “loi phénoménale” dell’Io che sintetizza nella formula del bovarismo, ossia «la facoltà concessa all’uomo di concepirsi diverso da ciò che è» (le «pouvoir départi à l’homme de se concevoir autre qu’il n’est»).

Jules de Gaultier dice che vi sono uomini di prim’ordine che hanno se stessi come modelli e uomini di second’ordine che imitano gli altri, che prendono personalità in prestito. Sappiamo che Emma “corrotta” dalla lettura dei romanzi (che la suocera vorrebbe proibirle, in quanto «avvelenano l’anima») comincia a vedere ma soprattutto a “vedersi” attraverso la lente deformante di questa percezione di secondo grado che è la lettura. Non solo la propria aspirazione all’amore è educata attraverso le eroine dei suoi romanzi (dopo il primo amplesso con Rodolphe, ritornata a casa si dice «Sì, anch’io ho un amante», sottinteso «come nei romanzi») ma tutta la sua vita psichica è improntata e diremmo stravolta, visto come va a finire, non secondo “forme” sorgive, che nascono dall’interno della propria anima, ma per modelli secondari, presi in prestito.
Ciascuno di noi costruisce la rappresentazione di se stesso con modelli che, per quanto possano essere frutto di libera e spontanea elaborazione, in quanto “modelli” appunto, sono sempre presi in prestito. Spesso in questa emulazione di un modello «altro» che in effetti è sempre un modello «alto», ossia al di là della nostra portata, del nostro capitale intellettuale (come è il caso di Emma Bovary, che per questo fa fallimento) andiamo incontro alla nostra rovina. (Qualcuno, non molti anni fa – Tommaso Labranca – ha definito trash questo fallimento dell’emulazione di un modello alto, e ci ha fondato su una estetica compiaciuta).

Ora, continua de Gaultier, questo fallimento (défaillance) della personalità è spesso accompagnato presso i soggetti affetti da bovarismo (tutti noi ahimè) da impotenza, perché concependosi diversi da ciò che in effetti sono, e non essendolo intimamente, essi non giungono a eguagliare il modello che si sono posti, proposti e talora imposti, e tuttavia l’amor proprio proibisce loro di confessarsi questa impotenza. Questo vizio intimo del bovarismo li induce a supplire al talento con la postura, il gesto, il vocabolario. I personaggi e le situazioni che essi interpretano poggiano sul vuoto della propria personalità. L’effetto che sortisce da tutto ciò è il grottesco (che per Flaubert è triste ), il trash appunto.

L’indice bovaristico, secondo de Gaultier, misura pertanto «lo scarto che esiste in ogni individuo tra l’immaginario e il reale, tra ciò che egli è e ciò che crede di essere». De Gaultier tenta anche una tassonomia del bovarismo, che rintraccia nelle epoche storiche (durante la Rivoluzione si imita la Repubblica romana coi Cesari e i Bruti) come anche in tutti i personaggi di Flaubert, anche in quelli dell’”Educazione sentimentale” e delle opere successive: ma in effetti si tratta di un unico disturbo della personalità.

Le personalità in prestito

Abbiamo detto che il bovarismo è “un concepirsi diversi da quello che si è”. Questo stato psichico può generare una erronea valutazione di se stessi e l’adozione di una serie di atti che potrebbero portare o alla riuscita (si diventa effettivamente ciò che si è) oppure alla bancarotta dell’Io. Bisogna combinare questa intuizione di De Gaultier con il desiderio mimetico di René Girard. De Gaultier dice che il fallimento (défaillance) della personalità è spesso accompagnato presso i soggetti affetti da bovarismo da impotenza perché concependosi diversi da ciò che in effetti sono, e non essendo intimamente ciò a cui essi aspirano (il modello implicito), essi non giungono a eguagliare il modello “altro” (che è sempre un modello “alto”) che si sono proposti, e tuttavia l’amor proprio proibisce loro di confessarsi questa impotenza. Per sopperire allo scacco di questo fallimento giungono ad imitare tutto del personaggio cui intendono aderire (quanti orologi al polso stile Agnelli abbiamo visto, e quanti Kennedy replicanti nello scenario politico non solo americano! Ricordate il buffissimo “I care” di Walter Veltron che imitava don Milani che imitava Kennedy?

Analogamente ragiona René Girard (che conosceva e citava ovviamente De Gaultier): noi prendiamo in prestito i nostri desideri. Il nostro desiderio non è immediato, ma mediato. Lungi dall’essere autonomo, il nostro desiderio è sempre suscitato dal desiderio che un altro – il modello – ha dello stesso oggetto. Ciò significa che la relazione non è diretta, lineare, tra il soggetto e l’oggetto, ma triangolare. Tra il soggetto desiderante e l’oggetto desiderato si interpone il modello, il mediatore. Attraverso l’oggetto però è il modello, il mediatore che attrae. Attenzione a questo delicatissimo passaggio: è l’e s s e r e del modello che è l’oggetto vero del desiderio. Addirittura l’oggetto desiderato può sparire, ed ecco il desiderio diventare metafisico. «Il desiderio secondo l’altro è sempre desiderio di essere un altro». «Qualsiasi desiderio è desiderio di essere», di essere altro, è aspirazione, sogno di una pienezza attribuita al mediatore. Sciolgo i filosofemi di sopra con l’esempio facile facile della pubblicità di un’autovettura di lusso da cui scende un bell’uomo in compagnia di una bellissima donna. Secondo il modello del desiderio mimetico triangolare di Girard noi non vogliamo semplicemente avere q u e l l a macchina (sarebbe questo un desiderio lineare tra soggetto, noi che desideriamo, e l’oggetto, la macchina pubblicizzata), ma e s s e r e quell’uomo che guida o che scende dalla macchina (quell’uomo che la pubblicità ci fa intravedere come mediatore, come modello). Essere belli e fighi come lui, non certo volere la sua macchina! Per questa ragione, e contrariamente al bisogno, il desiderio è infinito e genera nel soggetto desiderante una costante tensione Da qui la dialettica delle personalità in prestito, da qui la recitazione e il teatro che si vede in giro. Voi lo sapete, lo avete visto: c’è chi è Manager e c’è chi fa il Manager, ma, accidenti, anche quello che è Manager sul serio fa il Manager (aderisce a un modello introiettato) . Da qui la domanda: ma ci è o ci fa? Ci è e ci fa assieme. La maschera è il volto, e il volto è la maschera.

Non avendo esatta cognizione del nostro capitale intellettuale – mai è suonata così urgente l’esortazione antica del “conosci te stesso” – affetti dal bovarismo, dal “concepirsi diversi da ciò che si è”, facile è, anche dopo attenta introspezione, non sapere esattamente chi si è. C’è un momento – quel momento in cui Hitler dopo il putsch di Monaco fa quasi una vita da clochard e talvolta dorme anche nelle panchine pubbliche – in cui nemmeno Hitler sa di essere Hitler. La falsa percezione di se stessi inizia fin dall’infanzia, quando ci sentiamo e ci vediamo talora indiani e talora cow boy.

Ma c’è anche un bovarismo del genio. Quello della falsa vocazione: Ingres il celebre pittore francese si ritenne per lungo tempo un grande violinista (da qui l’espressione francese “violon d’Ingres” per intendere i casi di fraintendimento su se stessi, sul proprio capitale intellettuale). È così difficile, anche per un grande artista, “diventare ciò che si è” che vediamo alcuni arrancare dietro se stessi e prendere false piste. Taluni si perdono, altri si ritrovano dopo lunghi percorsi. Se prendete le stesse opere di Flaubert sembrano scritte tutte da mani diverse. L’autore marmoreo dell’ “Educazione sentimentale” scrisse peraltro in gioventù un racconto in cui un personaggio è figlio di una negra e di un orangutan… Il grande Goethe per lungo tempo si ritenne ora scienziato naturalista (sua una teoria dei colori) ora un artista figurativo… Nietzsche scrive con molta sagacia a tal proposito che «senza le digressioni dell’errore, egli [Goethe] non sarebbe diventato Goethe: ossia l’unico artista tedesco dello scrivere, che oggi non sia ancora invecchiato – perché non volle essere per vocazione né scrittore né tedesco». (“Umano troppo umano”, II vol. §227).

Concludendo: siamo tutti mediati, mai siamo autentici e immediati, agiamo tutti secondo modelli, la nostra malattia è il bovarismo, molla, ad un tempo, per il cambiamento o il fallimento. Il povero Rousseau ci diventò matto – sul serio- inseguendo un uomo naturale immaginato al grado zero dei rapporti societari, autentico e irripetibile, che si sottrae alla corruzione dei romanzi, degli spettacoli, delle arti, in una parola, della civiltà. Nel “Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini” dice che gli uomini sono come la testa del dio Glauco sottomarino, piena di incrostazioni ( i romanzi, le arti, gli spettacoli), sfigurati e resi peggiori dalla civiltà.

Ma siamo mai esistiti senza incrostazioni? Solo in un ipotetico stato di natura, in una mera ipotesi della ragione, mai in uno stato reale. Appena usciti dalle caverne, siamo quello che siamo adesso: corrotti e civili.

 

 

Non imitare mai niente e nessuno.
Un leone che copia un leone diventa una scimmia.
Victor Hugo

https://it.wikipedia.org/wiki/Bovarismo

https://libreriamo.it/libri/cose-il-bovarismo/

http://www.treccani.it/vocabolario/bovarismo/

http://www.treccani.it/enciclopedia/bovarismo/

https://unaparolaalgiorno.it/significato/B/bovarismo

https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=bovarismo

http://www.sapere.it/enciclopedia/bovarismo.html

 

CONOSCI TE STESSO 1
cavez conosci te stesso

gnoti

123. rappresentazioni e narrazioni: personalità in prestito, prendiamo in prestito anche i nostri desideriultima modifica: 2019-09-10T11:43:20+02:00da mara.alunni

2 pensieri riguardo “123. rappresentazioni e narrazioni: personalità in prestito, prendiamo in prestito anche i nostri desideri”

  1. Ad un livello sociale, e sotto un profilo esteriore, è sicuramente valida la teoria del bovarismo. Tuttavia credo che ci siano delle eccezioni, o forse è più giusto parlare di variazioni.
    Una è quella di chi, per caso, per fortuna o per eccellente perizia emulativa, ottiene e consolida un successo consistente. In quel caso, non è raro che il soggetto che inizialmente ha fatto proprio lo stile emulato, prenda poi le distanze da esso, in certi casi anche rinnegandolo.
    D’altronde, l’esigenza di un modello da imitare urge a chiunque si affacci al mondo e in questa prospettiva il bovarismo sembra essere l’unica via praticabile per la promozione del progresso evolutivo, almeno nel regno animale.
    L’altra eccezione è quella di una sorta di “anti-bovarismo” dettato per lo più da processi dolorosi in età evolutiva, la cui reazione non potendo essere quella di imitare un modello, generalmente genitoriale, perché patogeno e non trovandone un altro valido ed operante nel proprio entourage, opera la negazione del modello stesso; un modello capovolto. Casi questi più che frequenti, credo da sempre.
    Quello della “falsa vocazione” è un fenomeno molto interessante. Tu citavi Goethe, io pensavo a Debussy, iniziato da piccolo alla pittura per via della fascinazione che provava per uno zio appassionato di quadri ( male lingue dicono che fosse il vero padre), virò solo dopo verso la carriera musicale, tra l’altro con deludenti risultati iniziali, raggiungendo poi il successo che tutti oggi conosciamo. Eppure, ed è proprio questa la cosa particolare, nella sua carriera plasmò la sua musica su un modello decisamente visuale, pittorico, prediligendo sempre temi che in qualche modo facessero riferimento all’arte pittorica e molto spesso dando ad essi titoli che parafrasavano un’icona, tanto da essere considerato “impressionista”, corrente, prima di lui, prettamente pittorica. Quindi, sembra quasi che qualcosa di originale, di unico, di non influenzato né influenzabile, risieda nel nostro animo e che prescinda dai modelli disponibili. Che poi esordisca o meno è un fatto legato quasi sempre alle circostanze ma una capatina, a volte anche stonata o fuori dalla propria scena, pare la faccia sempre.
    Sulla chiusa del tuo discorso invece la penso diversamente. Appena usciti dalle caverne credo che possiamo solo essere animali allo stato brado. La corruzione la vedo come un prodotto delle sovrastrutture sociali che abbiamo ingurgitato e la civiltà, la risposta adattiva alla convivenza con i nostri simili.
    Sempre bello leggerti Mara. Buonanotte 🙂

    1. Il testo che ho condiviso è un bell’esempio di critica letteraria e lo è anche affrontando un tema non facile, ma molto attuale, quale quello del “copiare”, per dirla con un termine semplice.
      Sembra che l’essere umano apprenda per un tratto imitativo (come anche tu dici) e per un tratto creativo. I mezzi di comunicazione potenziano la parte imitativa a scapito di quella creativa, poiché le immagini proposte da tv giornali film cellulari sostituiscono e annullano quelle che l’essere umano produrrebbe spontaneamente. Quando incontro le classi faccio sempre loro l’esempio di Biancaneve: chiedo loro di descrivermi la protagonista della favola e tutti e tutte descrivono la Biancaneve del film di Walt Disney. A quel punto chiedo dov’è la loro Biancaneve, come è fatta la loro Biancaneve nel loro immaginario, ma non ce l’hanno, non hanno una immagine personale di Biancaneve. Abbiamo milioni di ragazzi e ragazze che hanno lo stesso stereotipo, che pensano-immaginano lo stesso soggetto: è un semplice esempio di uno strumento, apparentemente banale, che aiuta nel percorso del concepirsi diversi da quel che si è. Madame Bovary aveva i romanzi, adesso abbiamo le immagini.
      Potresti dirmi, anche, che la facoltà di concepirsi diversi da quel che siamo è già un atto immaginativo e creativo, ma quell’essere diversi, e cioè unici, non nasce da “forme sorgive, che nascono dall’interno della propria anima”, ma per modelli secondari, presi in prestito, oggi più che mai. Tant’è che l’unicità è sempre più percepita come il risultato di un porsi contro, come anche tu dici, una risposta opposta al modello.
      Ma l’imitare avviene anche su più vasta scala, quello sociale-economico, per esempio. Io ho contatti con adolescenti immigrati che si fanno selfie nei supermercati, in mezzo ai prodotti, e poi mettono le foto su fb o le inviano ai loro famigliari. “Un lavoro, una casa grande, una macchina grande”, questo è quello che vogliono, a imitazione del nostro mondo che arranca e muore tra i luccichini, imitando noi a nostra volta la fine dell’impero romano …
      Imitare sembra essere il comportamento anelato, particolarmente dagli adolescenti, ma anche dagli adulti: basti pensare alla moda, ai suoi nefasti presupposti e alle sue pericolose conseguenze … Mi capitò l’inverno scorso di intravedere una trasmissione televisiva del primo pomeriggio: c’erano donne che venivano “corrette”, con il trucco, con gli abiti, con la pettinatura; il senso era che così come erano, così come si presentavano non andavano bene, andavano “corrette”, e corrette sulla base dei criteri di moda vigenti …
      Ciò che si diffonde non è tanto il “conosci te stesso”, ma “sii come …”: omologazione, conformismo, vie già stabilite e il gioco è fatto, si può vendere ciò che si vuole e si acquista ciò che è voluto altrove … Gli effetti dell’imitazione sono sotto gli occhi di tutti, basta saperli vedere.
      Grazie, è un piacere leggere anche te 🙂

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