PARMA LETTERARIA
Il Ritrattista
La vanità
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Gli artisti vengono sempre catalogati come vanitosi. Nella loro ricerca della bellezza, che come termine rappresenta l’esito della perfezione. Non ha in sé una finalità; è un’assenza che sagoma la forma interscambiabile, che è quel contenuto che simboleggia quell’ombra di significato.
Dietro al dipinto c’era, non la firma, ma il titolo che contestualizzava il senso. La brevità era l’essenza.
Tiderio al momento del paesaggio cercava di armonizzare gli elementi che erano frammenti da comporre la totalità. Nessun elemento sfuggiva e il punto di fuga non era una distrazione.
I componenti nel ritratto avevano un impegno focalizzato in un elemento. Da questo elemento principale, derivavano i frammenti del tutto. Non c’è pluralità; c’è carattere, dettaglio e addirittura conflitto. Perché quello che si fissa; è una immagine immobile, non ridotta, però assimilata e limitata a un momento che in sé, è un istante.
Solo si può fantasticare, e per quello, ci vuole molta immaginazione. Il tema sostituiva in essenza, questa necessità. Niente era tralasciato al caso. Lo specchio non era la copia di una realtà; che si riflette in se stessa per quanto appare, effimera in quel istante. Il carattere era rappresentato con tutto quello che lo coinvolgeva; nell’interesse di dimostrarsi, al di là, distante di quella emozione che il significato potrebbe soggiogare.
Al di là dello evidente, c’era un lavoro costruttivo di razionalità. La dedizione non potrebbe dedicarsi a un diversivo, che è una distrazione a vuoto. Una guida senza meta, senza tesoro. Dipingere non era diverso dal coltivare.
Tiderio attirava a sé, tutte queste consonanze, ed erano come l’algoritmo della sua devozione. Ogni pennellata per quanto delicata; rappresentava la sostanza di questo attributo cerimoniale, che rispondeva a una tecnica abile, mai ambigua, mai imperfetta. Obbediva ad ogni secondo, ai battiti dell’ispirazione. Il tempo era un invito, all’eternità.